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Autore: Snow_Elk    08/12/2014    4 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

21kjucz

Episodio II- Passione Blasfema

Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro.
Quel tale, Debran, l’aveva convinta a salire nelle sue stanze, al piano superiore del Picchiere Nero, con la scusa di farla riposare e riprendere un attimo perché aveva un po’ troppo alzato il gomito con l’animanera e c’era gente che in  un gesto simile ci aveva lasciato le penne e non solo la cena. Ironico, visto che quella era l’ultima cosa che si ricordava prima di ritrovarsi distesa su un letto dannatamente morbido e, complice l’oscurità, quasi infinito.
Si sentiva frastornata, confusa, come se qualcuno l’avesse fatta roteare più e più volte su se stessa, doveva aver bevuto davvero tanto, e sembrava quasi che tutte le energie del suo corpo l’avessero abbandonata, sconvolte da quel suo comportamento così “indecente”.
 
E poi c’era quella sensazione di calore al petto che non l’aveva abbandonata nemmeno per un secondo, una fiamma che bruciava al posto del suo cuore e che stava scatenando un incendio di emozioni nella sua stessa anima. Quanto a lungo poteva ardere in quell’oscurità così cupa e suadente? Dov’era Debran? perché sentiva così tanto la sua mancanza? Dopotutto l’aveva conosciuto solo poche ore prima.
I suoi occhi color ametista saettarono da una parte all’altra della stanza, alla ricerca di un particolare, di qualcosa che le confermasse che si trovava ancora alla locanda, ma il buio inghiottiva tutto con le sue fauci oscure e solo i lampi illuminavano l’ambiente circostante per alcuni, fatidici, secondi accentuandone i dettagli, l’aria intrisa di pioggia, il cuore che le era rimasto in gola.
 
Fuori pioveva e dentro di lei qualcosa urlava di desiderio, spingendola a stringere con forza le lenzuola di cotone candide, a rivoltarsi nei suoi stessi vestiti, a sbottonare con forza il copri spalle nero. Sciolse il fiocchetto viola che teneva unite le due parti e se lo sfilò di dosso, come se all’improvviso fosse diventato pesante, quasi opprimente, lasciando le spalle pallide scoperte, lasciando intravedere il corsetto di pizzo nero che le cingeva il torace con eleganza. Lanciò il copri spalle nell’oscurità della stanza con nonchalance e tornò a fissare il vuoto o il soffitto, passava da uno all’altro con un senso di inquietudine assoluto, non riusciva a darsi pace.
- Debran, dove sei?- aveva pronunciato davvero quella domanda o se l’era solo immaginato? La confusione, l’oscurità, la stanchezza perenne e la sinfonia sinistra e melodrammatica della pioggia non contribuivano in alcun modo ad aiutarla, a farla ragionare a mente lucida. Stava delirando, no, peggio, stava affogando in un oceano di desiderio senza freno.
- Sono qui, piccola mia – sentirsi chiamare a quel modo, in altre circostanze, le avrebbe fatto venire il sangue acido, ma in quel momento la fece quasi sussultare di piacere. Allargò le braccia alla ricerca di quel corpo che ormai bramava senza neanche sapere perché, intravedendo quei due rubini che la fissavano nel buio. Era vicino a lei. Lo percepiva, sentiva il suo profumo.
- Vieni da me, abbracciami, vieni da me – ripeteva quelle parole come una sorta di supplica, come un’invocazione che attendeva di essere esaudita dalla divinità di turno. Perché? Perché stava provando tutto quel desiderio ardente verso quell’uomo? Non aveva alcun senso, solo un paio di occhi rosso sangue.
 
L’uomo  la sovrastò con la sua mole, si sentiva una ragazzina ai primi passi dell’adolescenza a confronto, posando le mani poco sopra le sue spalle: si era levato la giaccia e la camicia bianca sembrava  brillare di luce propria nel buio della stanza, così come i capelli che scivolando leggiadri gli incorniciava il viso dalla bellezza straziante.
Un brivido la scosse fino alle ossa, poteva sentire il suo respiro, l’odore intenso dell’animanera che avevano bevuto insieme fino a poco prima, c’era qualcosa di altamente insano e blasfemo nei suoi pensieri, così come nello sguardo di Debran, che restava in silenzio.
 
La stava osservando, in attesa di qualcosa, un gesto forse? Oppure una frase? No, non stava aspettando nulla, quando l’ametista incontrò i rubini capì che la stava letteralmente spogliando con gli occhi, pezzo dopo pezzo, fino a denudarle l’anima e sentì le sue guance avvampare come le fiamme di una fornace.
- Che cosa vuoi che faccia? – le chiese, con un sussurro, e lei sentì di nuovo quel brivido, freddo sì, ma dannatamente piacevole scivolare veloce tra la sua pelle e le pieghe delle lenzuola.
- Baciami, ti prego, baciami e fammi tua! – esclamò, restando stupita di quello che aveva appena urlato, ma la sua mente era già altrove, il suo corpo si stava per abbandonare ad una passione sfrenata e la sua anima era ormai incatenata a qualcosa che andava ben oltre la sua immaginazione.
- Sarà fatto – le sussurrò  all’orecchio con una nota di sadismo che si dissolse ben presto nell’aria come il fumo di una sigaretta, mentre la tirava a sé afferrandola da uno dei nastrini del corsetto e lei non oppose resistenza, come una piccola bambola di porcellana che attende di essere accarezzata dal suo padrone: le sue labbra si posarono voraci sulle sue, sentì prima l’umido e poi un calore inconcepibile che dalla bocca si spingeva in basso, verso la gola, fino a bruciarle l’intero petto tanto che a confronto l’animanera sembrava acqua e nient’altro.
 
Spinta da una foga indescrivibile lo strinse a sé, bramandolo come un tesoro dal valore inestimabile, affondandogli le unghie nella schiena robusta, mordendogli le labbra carnose, cercando con la lingua la sua, tenendo gli occhi socchiusi per non dover reggere il peso di quei rubini incastonati in quella maschera di seduzione. Sarebbe bruciata tra le fiamme della lussuria più e più volte, per una scelta che non era stata sua, né del liquore, ma che stava assaporando come se non ci fosse stato un domani.
Mentre ancora lei bramava quelle labbra che avevano il sapore dell’animanera lui la respinse dolcemente e posando le mani sulle sue spalle la volse con delicatezza dall’altro lato, dove un enorme specchio ovale le rispediva il suo sguardo confuso, vuoto, ma comunque carico di passione, una piccola ombra viola accanto a quei due rubini che la fissavano incessantemente con una tale intensità che si sentiva in soggezione, sempre di più.
Era seduta sul letto, rigida, con le gambe ricoperte dai lunghi stivali che zigzagavano tra le coperte e le mani poggiate in grembo, irrequiete, desiderose di esplorare quel corpo di cui sentiva il respiro sulla pelle.
 
Debran era alle sue spalle, percepiva la sue presenza quasi ossessiva, ma perché l’aveva fatta voltare verso lo specchio? Perché si era fermato?
Prima che potesse continuare a farsi domande a cui nessuno avrebbe  risposto due labbra fredde come la morte e calde come il sole le sfiorarono il collo e sussultò, ansimando leggermente mentre una delle mani le accarezzava il seno sopra il corsetto, con estrema delicatezza,  sfiorandolo come se fosse stato un oggetto di cristallo, affascinante e fragile al tempo stesso. Socchiuse gli occhi assaporando quella sensazione di piacere che si insinuava nella sua pelle come veleno, un peccato blasfemo che avrebbe macchiato anche il più candido dei cuori.
 
Uno, due, cinque baci sul collo e ognuno di loro era una scarica di adrenalina, una scossa di lussuria verace che la costrinse ad afferrare con forza le lenzuola fin quasi a lacerarle per non voltarsi e abbandonarsi ai suoi istinti più oscuri e reconditi, a qualcosa che in cuor suo aveva sempre creduto di non possedere.
- Co… cosa vuoi fare? – gli chiese, ansimando tra una parola e l’altra, socchiudendo di nuovo gli occhi mentre lui le scoccava un bacio più intenso e vorace dei precedenti, un bacio che si trasformò ben presto in un morso che la fece sussultare di piacere.
- Voglio che tu veda con i tuoi occhi a cosa ti sei abbandonata, al peccato che stai consumando… inconsapevolmente, tra le braccia di una follia senza volto, mia piccola Alice… - quando li riaprì trovò  nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel’avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
 
Sentì le sue mani bramose iniziare a sfilare i vari nodi del corsetto, uno dopo l’altro: la destra che trascinava via i fiocchetti ed ognuno di essi era un brivido lungo la schiena, la sinistra si spingeva più in basso, tra i merletti delle gonne e lei non osava minimamente opporre resistenza. Stava accadendo tutto così in fretta, stava accadendo, ma era tutto così surreale.
Eppure, quando nel riflesso dello specchio vide il suo corpo seminudo e quelle mani che lo toccavano e accarezzavano con un desiderio imprevedibile e subdolo si bloccò di colpo, smise di gemere di passione e il suo sguardo vuoto rimase fermo a fissare quell’immagine dai contorni sfocati e dall’anima oscena.
Un senso di angoscia e di panico si impossessarono di lei, come prima aveva fatto il desiderio di concedere tutta se stessa a quell’uomo,  e continuando a fissare lo specchio mosse le labbra con estrema lentezza:
- Oh mio Dio, che cosa sto facendo? – senza attendere una risposta che non sarebbe mai arrivata si divincolò dalla presa di Debran, che stranamente non fece nulla per fermarla, e si rialzò fissando scioccata l’uomo che le sorrideva come se niente fosse.
- Che cosa aspetti? – disse, con un filo di voce, quelle gocce di fuoco che la stavano dilaniando dall’interno – Scappa – e quella parola si tramutò in un ordine per lei, che scossa dai tremiti e da un’incredulità senza limiti si guardò intorno alla ricerca di via di fuga da quell’incubo. La porta era sbarrata, l’oscurità le impediva di orientarsi bene e la finestra sembrava l’unica via di salvezza.
- Avanti, Alice, scappa! – esclamò Debran lanciando qualcosa contro lo specchio che si infranse in parte, ricoprendosi di crepe, generando una miriade  astratta di riflessi. Con il cuore in gola e la testa che batteva come se stesse per esplodere si lanciò fuori dalla finestra aperta, rotolando a terra per attutire la caduta e imprecando più volte per il dolore lancinante che l’attraversò dalla testa ai piedi.
Si lasciò alle spalle Il Picchiere Nero, Debran e tutto quello che era successo, correndo a perdifiato sotto la pioggia battente,  scomparendo in quel turbinio di acqua e vento, desiderando in cuor suo di essere inghiottita dalla notte stessa.
Non sapeva nemmeno dove stava andando, aveva freddo, era ancora confusa e probabilmente stava girando in tondo senza nemmeno accorgersene.
Stava per fermarsi a riprendere fiato quando inciampò ritrovandosi a terra: era bagnata fradicia, le vesti e i capelli le si erano attaccati addosso e stava letteralmente tremando per il gelo che le era entrato anche nelle ossa.
 
Scoppiò a piangere, in silenzio, stringendosi nelle spalle, e in quel momento non sentì altro che le sue lacrime scivolarle sulle guance come rasoi, neanche una goccia di pioggia, eppure intorno a lei continuava a piovere a dirotto.
Stupita alzò lo sguardo e si ritrovò davanti un uomo vestito in modo elegante, dai lunghi capelli biondo platino, dal sorriso rassicurante e con due occhi ambrati che la osservavano dolcemente. Per un attimo aveva temuto che fosse Debran, ma era qualcun altro e reggeva un grande ombrello nero con il quale la stava proteggendo dalla pioggia. Le si inginocchiò accanto e ricordandosi che parte del corsetto era sfilato, lasciandola seminuda, arrossì e cercò di coprirsi la parte destra del seno col braccio, abbassando lo sguardo. L’uomo sorrise e sfilandosi la giacca gliela posò sulle spalle.
- Non ti preoccupare, Alice, andrà bene, andrà tutto bene –
Fuori pioveva, fuori faceva freddo, il suo cuore sembrava essersi ghiacciato, ma stranamente, incrociando per un attimo quegl’occhi si sentì al sicuro… a casa.
   
 
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