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Autore: Audrey_e_Marilyn    08/12/2014    1 recensioni
Gli uomini sognano, ma i sogni non hanno alcun valore quaggiù e ciò che prima era un luminoso raggio di speranza, adesso è una lunga notte d'agonia. Questo è il principio della fine, è stato concesso tempo a sufficienza, ma nei meandri della terra ancora giace in attesa l'eredità degli angeli, un'eredità macchiata di sangue e bruciata dal fuoco.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atto Terzo:  Il Sacrificio di Merrow
 
Il viaggio a Parigi li condusse ad un altro pezzo della spada e all’indizio successivo: una moneta dorata finemente incisa.
 «È troppo piccola!» sbottò Samuele posando malamente la moneta sul tavolo intorno al quale erano raccolti, «non si legge niente!».

Erano circa le nove del mattino e si erano raccolti nel bar dell’aeroporto in attesa del volo che li avrebbe riportati in Italia. Nessuno dei quattro aveva dormito granché e le occhiaie violacee intorno ai loro occhi lo dimostravano.
 «Nessuno ha una lente?» domandò Clelia scostando una ciocca di capelli biondi dal viso. Shane non l’aveva mai vista in quello stato e la conosceva da anni, probabilmente era stata al capezzale di Samuele vista la sua brutta ferita, pensò velocemente e, conoscendola, era stato così.
 «Io…» rispose lui prontamente tirandola fuori dallo zaino. La sua amica la prese in mano e cominciò ad esaminare le scritte con attenzione.
 « “Là dove la magia è viva”…» lesse Clelia sul bordo della moneta.
 «Disneyland!» esclamò Shane con un sorriso.
«Ti prego vai avanti…» la intimò Giselle pizzicando scherzosamente il fianco del suo partner.
  « “Cerca Jack-in-the-Green, oltre la culla di uno spunkie, danza con un folletto in una notte di luna; oltre la croce di Silke, il labirinto del Leprechaun, sotto i piedi della Dulhan e segui la Banshee. La stella di Merrow in cambio di un’altra, o una triste canzone verrà cantata.” »
Macabro, pensò Shane, molto macabro. Sembravano quelle canzoncine che cantavano la notte di Halloween, giusto per metterti paura… erano storie…. Non erano mai vere… o comunque non andavano prese alla lettera.
 «Allegria portami via…» borbottò Samuele « per quanto carina, questa maledetta filastrocca non ci porta da nessuna parte» asserì infastidito. Shane non poté dargli torto, trovarono quella moneta sulla lama della spada grazie a Clelia che d’un tratto la strappò di mano al suo partner e prese la valuta.
 «Invece lo sappiamo» li contradisse Giselle passandosi la moneta tra le mani.
«Ma non da alcuna coordinata…» disse poco convinto.
 «Sì ti dico! Jack-in-the-Green, spunkie, Silke, Dullhan, Leprechaun, Merrow…. Sono tutte fate irlandesi» replicò lei piccata.
 «Come lo sai?!» domandò Shane sbalordito.
«Io sono irlandese… non dirmi che non te lo ricordi?»
Non seppe bene che rispondere. Se lo ricordava eccome… in un possibile universo parallelo. «Certo che me lo ricordo!» esclamò, peccato che Gise non credette ad una sola delle sue parole, «ora che me lo hai detto, sì, me lo ricordo…»
La sua partner roteò gli occhi divertita e ricominciò a parlare: «ricordo una piccola isola ad est dell’Irlanda , mia nonna mi ci portò da bambina…»
«Perfetto!» esultò Samuele, «ricordi anche come si chiamava?» domandò.
  «Mia nonna la chiamava “Jack-in-the-Green”, mentre i suoi abitanti la chiamavano “Isola di Merrow”… in ogni caso è un buon punto di partenza, no?» sorrise lei arricciando il naso. «Si può arrivare là con un semplice traghetto».


Salirono in fretta sul primo aereo diretto a Dublino. Il viaggio non fu per niente lungo, solo turbolento e rumoroso. A differenza dei suoi compagni, che ebbero la fortuna di  potersi sedere tutti e tre vicini, lui si ritrovò in mezzo a due vecchiette amanti dei romanzi rosa… erotici. Non che avesse nulla contro Christian Grey, ma dopo un’ora e mezza di ininterrotte chiacchiere su di lui poté dire di conoscere il libro senza averne letta neppure una riga. Quando scesero da quel terribile aereo corse affianco a Giselle e la abbracciò, fortuna che lei era tanto candida ed innocente, lei non gli avrebbe mai parlato di quel sadomasochista grigio!
 «Shane… staccati… mi stai stritolando…» borbottò lei sommersa dalle sue enormi braccia.
«Oh mi dispiace…» si scusò lui spolverandole i vestiti e aggiustandole un poco i rossi capelli spettinati.

Una mezz’ora dopo salirono sul traghetto e, se il viaggio in aereo fu una tortura, quello via mare fui ancora peggio! Erano tutti stretti su una panca e lui si era ritrovato in mezzo ad un obeso cinese di minimo duecento chili con l’alitosi e un emirato arabo che continuava a sporcargli i pantaloni con la salsa tartara del suo fish and chips. I miei poveri pantaloni nuovi, pensò demoralizzato, chissà quante lavatrici dovrò fare! Sospirò amareggiato e infilò le cuffie dell’mp3. I suoi tre compagni  stavano belli larghi e chiacchieravano amabilmente coi loro vicini: Giselle e Clelia discutevano sul nuovo disco dei “One Republic”, mentre Samuele commentava la partita di rugby che passavano sul piccolo schermo del traghetto. Perché, fra tutti, quello più sfigato con gli incontri era lui?! Non gli andava molto a genio quella situazione, perché a lui non capitava mai vicino ad una bella ragazza? --Beh è ovvio idiota, l’unica volta che è successo sei stato mollato per uno stipendio- pensò Shane tra sé e sé. Forse era meglio rimanere sfigato piuttosto che avere fortuna per poi ritrovarsi col cuore a pezzi senza nessuno che ti aiutasse a raccoglierli. «Che vita di merda» brontolò seccato senza preoccuparsi troppo dei suoi due vicini puzzolenti che non migliorarono di certo il suo terribile mal di mare.  Quando mise un piede a terra fece un lungo e profondo respiro, riempiendo i polmoni di aria pulita e non contaminata dall’olezzo di aglio e cipolla.

Il villaggio in cui attraccarono era modesto, in cui uomo e natura diventavano un tutt’uno; le case erano semplici, in legno e i tetti in paglia, dall’aria calda e accogliente.
 «I tipici cottage…» commentò Clelia caricando la pistola.
 «Non perdiamoci in un bicchier d’acqua… Giselle, dove dobbiamo andare?» domandò Samuele alla rossa mentre i rispettivi partner sistemavano le armi. La ragazza ci pensò su qualche minuto, poi parve illuminarsi.
«Il conte cavaliere che regnò sulle Merrow…» borbottò lei tra sé e sé, «Dobbiamo dirigerci al maniero in cima alla collina» sentenziò lei indicando un grosso catello in pietra grigia, grezza e ricoperta di rampicanti, preceduta da un rigoglioso giardino perfettamente curato con siepi e cespugli di rose.
 «Che posto è questo Gise? E perché quella frase?» domandò confuso.
  «Era una vecchia legenda, si dice che il vecchio conte di questo rudere  conquistò la fiducia delle sirene. Alla sua morte predisse al popolo delle Merrow l’arrivo di un nuovo conte che avrebbero seguito e protetto…» spiegò lei cominciando la salita verso il colle.
«Che si riferisca ad uno di noi?» domandò Samuele.
  «Dubito Sam, sono solo leggende centenarie» rise Giselle fermandosi davanti al cancello della reggia. Si chinò e cominciò ad osservare una piccola statuetta in marmo. «Che cosa… stai cercando?» domandò Samuele perplesso.
«Gli spunkie…» rispose laconica la rossa.
  «Tradotto per noi poveri ignoranti?» continuò Sam
«gli spunkie sono i fuochi fatui, ovvero le anime dei bambini morti senza battesimo…»
  «Continuo a non trovare il filo del discorso Gise…»
«Non sono seppelliti nei cimiteri, quindi eressero dei piccoli altari commemorativi» illustrò lei mostrando una piccola e delicata statuetta in marmo rappresentante una donna alata che reggeva tra le braccia un neonato. «E con i bambini addormentati dalle sirene ci siamo… prossima tappa?» domandò entrando  nel giardino del palazzo.
 «La danza di un folletto in una notte di luna» le ricordò Clelia mostrandole un foglietto dove, durante il volo, si erano riscritte la filastrocca.

Giselle indicò un piccolo rialzo al centro del giardino su cui stava un’enorme cerchio di pietre, «è una riproduzione, ma andrà bene ugualmente» disse lei mettendosi al centro.
 «Che cosa rappresenterebbe?» domandò l’amica indicando i massi, la rossa sorrise e raccontò che secondo la leggenda i folletti danzassero in cerchio nelle notti di luna piena e che, le pietre, rappresentassero le loro impronte.
 «Certo che avevano dei piedi enormi per essere dei folletti» ironizzò Shane  mentre riprendevano a camminare.
 Si fermarono dinnanzi al portone del castello. Non aveva mai visto nulla di più grande e di così elaborato, era semplice quercia con intarsi floreali e decorazioni dello stesso stile in ferro battuto. Lui e Samuele si rimboccarono le maniche e spinsero le ante per aprirlo.
 «Ma una porta di servizio no?» ringhiò Samuele che, con  forza, spalancò piano le porte d’ingresso.
«Questa È la porta di servizio Sam» rise la rossa dandogli una pacca amichevole sulla spalla, ricevendo in cambio solo un’occhiata truce e seccata. «Beh? Perché mi guardi in questo modo? Entra invece di guardarmi come se ti avessero appena picchiato… »cinguettò lei entrando nel lungo corridoio del palazzo, pieno di porte e armature impolverate.
 «Dietro ad una di queste dovrebbe esserci la croce di Silke» dedusse Clelia appoggiandosi al muro vicino ad un’armatura munita di alabarda.
 «Per quanto ricordo le Silke erano fate amichevoli, ma piuttosto dispettose e i paesani le tenevano lontane con delle croci di frassino»
 «chiamatela Wikipedia» scherzò Shane scompigliandole i capelli.
 «Come sei simpatico!» rispose acida lei arricciando il naso.
 «Non vedo croci qui intorno…» disse lui.
«A meno che non basti cercare una porta» ribatté Samuele fermandosi dinnanzi ad una di esse «è in frassino» disse indicandola, «così come il decoro»

Clelia la aprì piano ed entrò titubante. «Via libera» disse, e tutti la seguirono in silenzio. Davanti a loro si aprì  un lungo e stretto corridoio di pietra così come la scala con cui terminava.
 «Fammi indovinare» disse Shane fermando la sua compagna «Leprechaun?»
«Esatto!» esclamò sorpresa « sono i folletti amanti dell’oro, lo nascondono in dei labirinti nel sottosuolo » sospirò la sua partner cominciando a scendere lungo le ripide e fredde scale. Finirono esattamente in un freddo, buio e asettico corridoio, pino di inquietanti ritratto dallo sguardo glaciale e perfido che si posava sulle spalle anche quando li superavi. Gli venne quasi la nausea dopo ore ininterrotte a cercare l’uscita in quell’antro buio. Nulla. Almeno finché Clelia  non tirò fuori una vecchia sciarpa e cominciò a sfilarla. Persero un sacco di tempo prezioso, ma almeno riuscirono ad uscire da quei cunicoli stretti e ombrosi che puzzavano di morto anche se fuori il sole già stava calando. Si persero un attimo a guardare il tramonto su una grossa terrazza di strapiombo che si affacciava sul mare smeraldino.
 «Non è possibile… » sospirò Samuele esasperato «tutta questa fatica per un fottuto vicolo cieco?!»
  «No… aspetta….» lo contradisse Clelia scendendo dalla terrazza «qui c’è una porta…» disse indicandola. Era massiccia, in pietra, ricca di incisione in rame e con un piccolo foro circolare nel centro.
 «Fantastico dolcezza, come la apri se non abbiamo la chiave?» domandò Shane scettico come al solito.
«Magari era nel labirinto… forse dovremmo tornare indietro a cercarla….» propose Samuele partendo già in quarta.
  «Fermo!» lo bloccò Clelia «noi abbiamo la chiave» disse lei mostrandogli la moneta dorata per poi inserirla delicatamente nel foro della porta che, con uno scatto sordo, si aprì.
«Sei una grande Clelia!» esclamò lui scendendo le scale che si erano aperte sotto di loro.
 «Ah… adesso sarei una grande?» rise lei.
«Sì perché mi sei utile…» sghignazzò lui.
 «Ma fottiti» scherzò lei seguendolo.

Mentre i due cominciarono a scendere, Shane e Giselle rimasero sulla terrazza. L’aria era leggera e i gabbiani volteggiavano sopra il pelo del mare alla ricerca di qualche pesciolino last-minute da ingurgitare. Nulla di anomalo eppure fra di loro si insinuò uno strano silenzio che mai, in due anni che lavoravano insieme, venne a crearsi. Non era imbarazzo, né tanto meno vergogna… conosceva bene Gise e sapeva che qualcosa non andava.
 «Tutto bene? Sembri preoccupata…» disse lui rompendo il silenzio. Sapeva e vedeva che qualcosa la opprimeva, anche lui aveva un brutto presentimento che gli percorreva la spina dorsale.
«Pensavo alla filastrocca… “una triste canzone”… mi chiedo se… se vogliano un sacrificio in cambio della spada» sussurrò grave lei giocando con una ciocca di capelli.
« In cambio volevano una stella…» cominciò ad allarmarsi lui.
 «Shane.. nessuno di noi ha una stella» sentenziò lei seria.
«Clelia…» sussurrò con voce tremante. Ma certo! Si sarebbe sacrificata per tutti! Per quanto potessero sempre punzecchiarsi, per quanto potessero apparire “rivali” loro erano a mici da sempre. Ricordava ancora il giorno in cui li introdussero all’Ordine, due bambini, pieni di voglia di fare e con una grande grinta che volevano esprimere in ogni modo. Sentiva le varie voci che giravano sul conto della sua amica, tutte menzogne.  Lei non era la migliore perché avesse voluto esserlo, no… gli altri si aspettavano sempre il meglio da lei e, di conseguenza, lei lo pretendeva da sé stessa anche quando non poteva farcela da sola. Poteva sembrare una strafottente, ma a conosceva abbastanza bene per poter affermare il contrario. Non era migliore di lei, né voleva esserlo, ma era la sua più grande amica  e vederla in quelle condizioni, senza quel suo vivace sorriso era come ricever un forte pugno allo stomaco. Né lui né Gise le avrebbero permesso di sacrificarsi, non seppe bene il perché ma nel profondo sentì che era giusto così. «Dobbiamo trovare una soluzione» borbottò.
 «C’è… e spero che basti» sospirò Giselle affranta mentre raggiunsero i due amici.

La scala terminò in una grossa sala circolare, senza porte né finestre, colorata di un grigio scarno. L’aria era fitta e viziata, tutto ricoperto di polvere e ragnatele. L’unico elemento della stanza era un quadro, rappresentante un’armatura vuota e con l’elmo sottobraccio.
 «Questo quadro è raccapricciante!» esclamò Shane guardandolo da vicino.
«Tuttavia è azzeccato, le Dullhan sono fate guerriere senza testa»
 «quindi se si dice sotto i piedi della Dullhan…» sussurrò lui avvicinandosi ai pannelli che percorrevano la parte bassa della stanza, col piede diede al pannello sotto il quadro un piccolo calcetto e, questo, si staccò facilmente dalla sua sede, rivelando un piccolo antro.
 «Wow Shane!» esclamò la sua partner con un fischio «a volte mi sorprendi» rise entrando nella botola.
 «Solo a volte?» rise lui seguendola. I quattro percorsero quel lungo e stretto corridoio a gattoni guardando gli affreschi mitologici rappresentati le varie guerre delle tribù celtiche che insediarono quei luoghi. «Ehi Gise, quella ti assomiglia!» rise lui indicandole una fata dai capelli rossi.
 «Strano… manca lo sposo» rise lei a sua volta.
 «Sposo?» domandò confuso.
«Questa è la scena in cui, la regina delle fate, Titania, ricevette la proposta di matrimonio da parte del conte cavaliere. Ella chiese la luna in cambio della sua mano ed egli mantenne la promessa regalandole ciò che lei bramava» raccontò lei proseguendo lungo il corridoio.
 «E come fai a donare la luna?» domandò Samuele «è impossibile».
«Puoi se colei a cui la doni la considera tale» sorrise lei.
 «Fa molto zucchero e cannella questa storia » rise Clelia mentre uscivano dall’antro, «ora dobbiamo seguire la Banshee… Gise stranamente so cos’è una Banshee».
 «E come lo sai?» domandò lei inarcando un sopracciglio.
 «Semplice: Ho letto la saga d Harry Potter. Se ne parla abbastanza » rise lei.

Lo sapeva anche lui che cos’era una Banshee, erano quelle fate che si presentavano alle porte delle nobili famiglie irlandesi piangendo lacrime d’ambra per annunciare una morte imminente. Arrivarono ad un bivio e Giselle prese velocemente la strada a destra da dove proveniva il pianto straziato di una donna che pareva assordarli, nonostante fosse quasi come un sussurro. La paura d una morte imminente gli stringeva il petto come fosse tra le spire di un pitone con le membra di filo spinato e, infine, la conclusione della loro piccola avventura si presentò dinnanzi ad una bambina, esile e pallida con dei lunghi capelli che accarezzavano il pavimento e le nascondevano due grandi occhi azzurri, trasparenti come il vetro.
 «Stella o sangue, cosa offrite in cambio della spada?» domandò con voce cristallina.
   «Tu mostrami ciò che cerco, o nobile Merrow, ed io deciderò il pagamento» si fece avanti Giselle con un inchino sentito e profondo. Tra le mani della fata comparve l’elsa della spada con una gemma incastonata alla base della lama.
 «Noi non abbiamo una stella» sussurrò Clelia a Samuele allarmata.
«Stella o sangue fanciulla?» domandò nuovamente la fata.
 «Se scegliessimo il sangue?» domandò Samuele portando Clelia dietro di sé.
 «Uno di noi dovrà morire per pagare il prezzo» rispose Giselle tenendo lo sguardo basso.
«Vado io» rispose Clelia senza esitare scostando piano Samuele.
 «Non dire cazzate Clelia! Tu sei importante, servi viva!» esclamò Samuele trattenendola, «tutti noi serviamo vivi! »
Nessuno si rese conto che Giselle si avvicinò alla Merrow che, nuovamente le domandò: « per l’ultima volta fanciulla, stella o sangue?» i tre udirono le parole ferree della fata e volsero lo sguardo su Giselle.
 «Gise no!» gridò Clelia cercando di raggiungerla, «ti prego… non posso perdere anche te» al scongiurò lei con gli occhi lucidi. Shane sapeva che la sua amica avrebbe tanto voluto piangere, ma non lo faceva mai a meno che non fosse sola, era la regola per ogni cavaliere: “nessuna lacrima bagna il viso di un prode”. Molte altre regole furono stipulate al tempo, ma, tra tutte, la peggiore era la numero tre.
 «Va bene così» sorrise Giselle «offro il sangue in cambio della spada» asserì sicura alla Merrow.
«Molto bene…»

Alle spalle della fata comparì un’ampolla e l’acqua al suo interno cominciò ad incresparsi, fino ad alzarsi e avvolgere il corpo di Giselle.
 «Ferma!» gridò Shane, portandosi tra Giselle e la fata.
«Spostati giovane, ha fatto la sua scelta…» rispose la bambina con un’inquietante pacatezza mentre le spire d’acqua continuavano ad avvolgere la sua amica, lentamente, iniziando a nasconderne il corpo.
  «Va… va bene così Shane…» sussurrò lei con voce soffocata, quella di chi si sente l’aria venirle meno nei polmoni. Guardò le sue labbra e notò quanto fosse falso e teso il suo sorriso.
«No! Non va bene così! Tu HAI una stella Gise!» gridò lui e l’acqua, che oramai stava stringendo ferocemente l’esile corpo della sua amica, si dissolse cadendo a terra in una pozza.
  «Stella?» domandò la fata guardandola con attenzione «tu possiedi una stella?» strinse forte l’elsa fra le mani.
 «N-No… » tossì lei «nessuna» rispose con fiato corto.
«Lei non ha stelle… ma io si» sentenziò facendosi avanti.
  «Tu… Tu possiedi la stella di Merrow ragazzo?» strabuzzò gli occhi che brillarono di speranza e la sua bocca si aprì in un sorriso enigmatico.
«Non so se è all’altezza ma…»  Shane cominciò a sbottonare la camicia e la sfilò velocemente, mostrando un tatuaggio, all’incirca all’altezza del suo cuore, a forma di stella con una  “C” nel centro. «Ho fatto questo… tanto tempo fa».
  «Shane…» sussurrò Clelia tristemente che, insieme a Samuele, aveva assistito alla scena e ancora la tratteneva tra le sue braccia per impedirle di avvicinarsi. «È il tuo unico legame con lei…» la sua voce tremava e a stento tratteneva le lacrime.
 «Non importa se serve a risparmiare la vita di Giselle preferisco dimenticare piuttosto che torturarmi… credo che… avrei dovuto voltar pagina già da tempo ma non ho mai avuto il coraggio per farlo». Nessuno a parte Clelia sapeva della sua relazione con Cassandra,  lei aveva mantenuto il segreto fino all’ultimo. Quando venne a conoscenza del tradimento della ragazza fu la prima a darle contro, Cass si vendette ad un altro uomo solo per poter diventare il Gran Maestro di Venezia prima di lui. Il fatto che fosse andata a letto con un altro alla fine non gli fece male più di tanto, poteva scegliere se farlo o no… quello che davvero lo aveva distrutto erano le parole che ogni notte si dicevano, i baci, le effusioni… perfino il sesso in sé era una bugia… una bugia per scavalcarlo. Patì le pene dell’inferno per diventare Gran Maestro a Venezia, anni e anni di duro allenamento buttati al vento perché la sua partner, nonché la sua amate, si era venduta per avere quel posto. Lui aveva rischiato TUTTO per lei, tutto. Quella maledetta regola che tutti i cavalieri temevano, odiavano… Quella maledetta regola numero tre… sapeva che se lo avessero scoperto con Cassandra probabilmente avrebbe perso gli onori e il lavoro… ma era il meno… le punizioni vere variavano a seconda della sorta di rapporto instaurato col partner. Mai innamorarsi del proprio partner… almeno se si ha un briciolo di sale in zucca. No, lui era troppo innamorato… si sarebbe tagliato anche una mano per lei, se solo glielo avesse chiesto. In meno di una settimana si era ritrovato da solo, costretto a ricominciare da zero una carriera affiancato ad una ragazzina impacciata e per nulla esperta. Quando arrivò Giselle fu inizialmente molto freddo con lei si parlavano solo durante gli allenamenti, lei era molto inesperta e Clelia, quando poteva, gli dava una mano. Quella piccola ragazzina era diventata in breve tempo la sua più fidata amica, la sua dolcezza riusciva sempre a strappargli un sorriso. «Cassandra è il passato e quindi… Merrow ti offro la mia stella».
 «Questo simbolo ti è molto caro, se la offri di quel disegno non rimarrà nulla» disse la fata poggiando la piccola mano ossuta sul suo petto.
  «Non mi interessano le conseguenze…»
«E sia…» scostò la mano dal suo petto e sul suo palmo comparve il tatuaggio di Shane, il quale al suo posto ebbe solo un’irritazione. Posò poi la mano sulla gemma alla base della lama imprimendovi il simbolo. « Lo scambio è stato fatto!» annunciò solenne la Merrow, «oh giovane, tu che hai offerto il tuo amore in cambio di una vita, a te, io, porgo la spada di fuoco e ti riconosco come Conte; non dimenticarlo… ora le Merrow sono il tuo popolo» Shane prese fra le mani l’elsa della spada e la tenne stretta. Le ultime parole della fata arrivarono a loro flebili mentre l’acqua sul terreno si alzò nuovamente ritornando dentro la boccetta dalla quale era uscita.


Una forte botta di sonno lì colpì, si accasciarono sul freddo terreno e quando riaprirono gli occhi si ritrovarono sulla spiaggia su cui attraccarono il giorno prima. Shane aprì piano gli occhi e si sedette sulla spiaggia, d’un tratto Gise gli coprì le spalle con la sua camicia.
 «A saperlo che eri un conte non ti sfottevo così tanto» rise Samuele spolverando via la sabbia dai vestiti.
 «Simpatico…» ironizzò lui guardando il lungo mare.
«Shane… grazie» sorrise lei, « so quanto fosse importante per te..» sussurrò come se fosse in imbarazzo o si sentisse in colpa.
 «Vieni qui scimmietta!» la prese per il braccio e la abbracciò, «tu sei più importante…»
«Grazie Shane… davvero» rise lei abbracciandolo. «Dov’è Clelia?» domandò poco dopo guardandosi intorno con i suoi occhioni azzurri.
 «Bella domanda» concordò Samuele cominciando a cercarla, «dove cazzo si è cacciata?...Clelia!» la chiamò, ma nessuno rispose. «Clelia!» da dietro uno scoglio, comparve la ragazza con un andatura un po’ tentennante, Samuele le corse incontro e la aiutò a reggersi. «Cos’è successo?» domandò.
 La ragazza sussultò e diede un forte spintone a Sam come se fosse spaventata da lui, da tutti loro che si erano raccolti a vedere che cosa le stesse succedendo. Le sue pupille erano dilatate e il suo sguardo perso nel vuoto, lacrime le rigavano lente il viso ma le sue palpebre non battevano. Samuele la scrollò e parve riprendersi. Come un bambino  che ha appena avuto un incubo.
 «Sto… Stonehenge!» disse con un filo di voce, «do… dobbiamo andare a Stonehenge».
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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