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Autore: elyxyz    08/12/2014    15 recensioni
Questa storia contiene un po’ di comicità, ironia ed esperienze metà vere e metà romanzate, quindi NON è assolutamente un manuale di puericoltura.
Mescolate un babysitting coatto, uno zio imbranato, un nipote diabolico, un pianista (dalle mani porno) eletto ad angelo custode, segreti e bugie. E forse vi ritroverete con una storia d’amore.
“Guarda che io non abbocco!” sibilò Arthur, puntandogli un dito contro. “La tua faccia d’angelo non mi frega, piccolo demonietto!” rincarò con un ghigno. “Deve ancora nascere qualcuno che pensa di mettere nel sacco Arthur Pendragon!” completò spavaldo. “Quindi… a noi due!”
Mordred raccolse il guanto di sfida sputandogli il ciuccio contro.
“Ehi! Non vale usare armi!” s’indignò l’uomo, raccattando il succhiotto da terra. “Questo era un colpo basso!”
Per un istante, fu certo che il poppante avesse ghignato. E non gliene fregava un accidente se le guide pediatriche di mezzo mondo dicevano che nessun neonato poteva ghignare.
Mordred poteva, eccome.
(...) Alla seconda canzone, che il suo personale angelo custode stava suonando, il diavoletto era certamente caduto nel girone dei sogni infantili infernali.
[Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin - 5 capitoli in totale, storia conclusa.]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Mordred, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Modern

Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.

 

 

D’istinto, vorrei dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia un filino migliore di Arthur con Mordred.

E poi è dedicata a chi mi segue con costanza e affetto.

A chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.

Voi rallegrate le mie giornate!

Grazie.

 

 

 

 

Magic Melody (Mordred’s Lullaby)

 

 

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Capitolo II

 

 

I piedi gli facevano male. Persino nelle sue costossime scarpe italiane!

Poteva giurare di avere cento calli ad ogni estremità e le gambe pesanti come piombo.

Dopo quell’infinita scarpinata, avrebbe chiesto i danni morali e materiali alla vecchia strega, parola sua!

 

Arthur imprecò per l’ennesima volta, a quel pensiero, e decise che aveva inalato abbastanza smog anche per gli anni a venire, quindi deviò il percorso dal marciapiede, che costeggiava il viale, verso un piccolo parco che non aveva mai visto prima.

Attraversò il cancelletto e si mise a girare per i vialetti di ghiaia.

Anche se questo movimento gli costava molta più fatica, s’era accorto che quel disgraziato di suo nipote – perlomeno – aveva smesso di frignare e si intratteneva osservando in giro il panorama e rosicchiando ossessivamente il succhiotto.

 

Morgana lo aveva chiamato già due volte per sentire come procedevano le cose e sincerarsi che non avesse affogato il suo prezioso unigenito nel Tamigi e Arthur non aveva avuto il coraggio di ammettere la propria disperazione. Era un Pendragon, lui! Diseredato o non diseredato, era cresciuto a pane e orgoglio e col cavolo che avrebbe ammesso di essere in difficoltà! Men che meno con quell’arpia di sua sorella che lo avrebbe sfottuto da lì all’eternità!

 

Pupino e lo zio si divertono un sacco, Gana cara!” aveva ironizzato. “Stiamo per dare da mangiare alle ochette dello stagno!”

 

“Se ti azzardi a dar loro in pasto mio figlio, ti strapperò le palle col tagliaunghie!”

 

“Senti che brutte cose dice la mamma, Pupino bello?” recitò retorico. “Siamo in vivavoce, sorellina adorata!” mentì, perché in realtà temeva che, se il piccolo mostro avesse sentito la voce della sua Latteria, avrebbe iniziato a frignare per riaverla con sé.

Dopodiché chiuse la conversazione senza salutare e si rimise a spingere, controvoglia, il dannato mezzo di trasporto e il suo occupante.

 

Purtroppo per lui, l’attrattiva per la gita panoramica fu presto accantonata e Mordred si mise a piagnucolare sempre più scontento. Persino Arthur poteva capire quanto fosse – effettivamente – sfiancato e assonnato, ma anziché cedere alla stanchezza, quel malcontento lo frustrava sempre più, impedendogli di soccombere al riposino.

 

Fu per questo che l’uomo decise per un dietro-front strategico e una vergognosa ritirata verso casa. Avrebbe chiamato Tata Mary e l’avrebbe supplicata di addormentare il piccolo diavolo, poi avrebbe pagato per il suo silenzio, o forse, semplicemente, la donna di buon cuore avrebbe avuto pietà di lui.

 

Con questo proposito in mente e il dolore costante ai piedi, Pendragon si trascinò fino all’uscita del parco ma, giusto in prossimità del cancello d’entrata, si accorse di alcuni uomini, vestiti da operai, che vi armeggiavano attorno.

Quando chiese che problema ci fosse, gli fu risposto che, semplicemente, quella era ordinaria manutenzione e che il passaggio sarebbe rimasto bloccato per almeno un’ora – come indicato dall’avviso sul cartello che Arthur non aveva visto entrando.

 

Oh, perfetto!

Ci mancava solo dover ripercorrere un’altra volta tutto il sentiero ghiaioso spingendo quelle dannate ruote snodabili! E col cavolo che avrebbe usato l’altra apertura: si trovava diametralmente opposta a dov’erano adesso e rispetto alla strada verso casa!

Avrebbe atteso lì, pungolando i manovali, se necessario, e li avrebbe stressati minacciandoli col pianto del mostriciattolo, così forse si sarebbero dati una mossa!

 

Ma Mordred, ancora una volta, era di tutt’altro avviso e rimanere fermo impalato per così tanto tempo non era stato nei suoi programmi.

Dimenandosi ululando, rese chiaro allo zio la sua posizione a riguardo, costringendo l’uomo a inveire contro tutto e tutti e a trascinarlo altrove.

 

 

***

 

 

Arthur era certo di aver scavato un fossato intorno alla vasca circolare dei pesci rossi, a furia di girarci intorno.

Per questo – e per disperazione – prese uno dei piccoli sentieri meno battuti e si ritrovò a costeggiare la recinzione perimetrale. Quando trovò una delle poche panchine libere del parco, si sentì come se avesse incrociato un’oasi nel deserto e vinto la lotteria tutto in una volta.

Si accasciò, sfinito, sul duro legno umido e se ne infischiò.

Al diavolo i pantaloni chiari, al diavolo le macchie che non sarebbe mai andate via, al diavolo tutto!

Il gentile invito era rivolto anche al paffuto demonietto che sembrava fulminarlo dalla sua postazione. Arthur lo ignorò e, gemendo con soddisfazione, lasciò ciondolare la testa all’indietro e si sfilò i mocassini per dare requie ai suoi piedi martoriati, arieggiandoli.

 

La pace durò poco – giusto un paio di secondi – quando il neonato si mise a piangere, disperato, e Arthur, bruciando il suo attimo di paradiso, fu costretto a saltar su e a prenderlo in braccio per confortarlo, ottenendo l’effetto contrario e urla ancor più disumane.

 

Quel pianto ossesso l’avrebbe fatto arrestare!

Ecco, ecco! Da un momento all’altro sarebbe spuntato qualche Bobby e lo avrebbe sbattuto in gattabuia per maltrattamento di animali!

Oh, Dio! E Mordred strillava come se lo stessero scuoiando vivo!

Che aveva mai fatto di male, lui, per sopportare una tale piaga?!

E come cazzo avrebbero ripercorso la strada di casa con il piccolo rospo in piena crisi?, Manco se l’avesse sgozzato o torturato!

 

Arthur aumentò il ritmo del dondolio (e le suppliche, le preghiere, le minacce), ma fu tutto vano.

Il nipote si mise a lamentarsi ancor più forte e a dimenarsi come al culmine di una crisi epilettica.

 

Poi, di colpo, com’era iniziata, cessò.

Arthur scrutò il bambino in braccio, incredulo, temendo che fosse svenuto per l’eccessivo scuotimento, ma notò che l’attenzione del pupo era tutta per una lenta melodia, gli occhietti puntati in cerca di qualcosa: il suono di un pianoforte che proveniva da una delle case oltre il recinto.

 

Senza pensarci due volte, Pendragon scavalcò la recinzione, avvicinandosi alla fonte del suono, senza smettere di cullare il nipote.

A mano a mano che si avvicinavano, poteva vedere le palpebre di Mordred farsi sempre più pesanti.

Giunto davanti alla portafinestra da cui fuoriusciva la musica, poteva esser certo che il piccolo obbrobrio stava quasi dormendo – lo testimoniavano il respiro lento e il movimento del ciuccio, divenuto consolatorio e non più nevrastenico.

Alla seconda canzone, che il suo personale angelo custode stava suonando, il diavoletto era certamente caduto nel girone dei sogni infantili infernali.

 

Arthur, ancora incredulo, ringraziò quella botta di culo e girò sui tacchi, per tornare al passeggino e dirigersi verso casa ma, come fece per allontanarsi da lì, il nipote spalancò un occhietto sornione, vigilando sul suo operato.

 

“D’accordo, hai vinto tu, piccolo bastardo”, sibilò allora fra i denti, finendo per sedersi sui gradini di fronte alla residenza del suo salvatore, preferendo di gran lunga quella sosta forzata al terribile piagnisteo di poc’anzi.

 

Per sua fortuna, il pianista sembrava in procinto di regalargli una lunga sessione d’allenamento.

 

 

***

 

 

Il giorno successivo, con suo enorme disappunto, le cose non andarono affatto meglio.

Morgana aveva giurato e spergiurato che Mordred non aveva mai ascoltato un brano di musica classica nella sua (pur breve) vita, e che quella del dì addietro era stata solo una fortuita coincidenza. A parer suo, l’adorato Pupino era semplicemente crollato, sfinito, e non era stata certo la strimpellata di qualcuno a favorirne l’addormentamento.

 

Arthur, tuttavia, essendo di diverso parere – e a priori in contrasto con le idee di sua sorella –, aveva caricato sull’impianto Home Theater della strega ogni pezzo di musica classica per pianoforte che aveva trovato reperibile, ogni ninnananna, dalla più celebre alla più bizzarra.

 

Avrebbe persino suonato le Trombe dell’Apocalisse se fossero servite allo scopo.

Eppure, non aveva funzionato.

 

A malincuore (e con tanto mal di piedi), Arthur si ritrovò davanti alla casa del giorno precedente, pregando fervidamente ogni divinità, conosciuta e non, che la botta di culo si ripetesse.

Qualcuno, da lassù, doveva volergli bene, perché – giusto quando stava per perdere la speranza e Mordred la pazienza – il suono della medesima sinfonia gli arrivò come un canto soave ed egli fu lesto a dondolare l’infame nipote per aiutarlo a decollare verso il mondo dei sogni.

 

 

***

 

 

Il terzo giorno non fu diverso.

Beh… c’era stata l’aggravante dell’incidente innominabile, però.

 

Tutto era cominciato quando Tata Mary era dovuta scappare all’improvviso, dopo una telefonata, perché suo marito non si era sentito bene, ed ovviamente l’uomo aveva scelto il momento peggiore – ossia al cambio del pannolino – per rischiare di andare all’altro mondo, e la vecchia bambinaia aveva lasciato Mordred alle cure dello zio nel bel mezzo del pit stop – ovvero gambe all’aria e culetto al vento.

Arthur, mentre racimolava il coraggio necessario per compiere l’ingrata operazione, s’era chiesto come il poppante potesse puzzare tanto. Sembrava una discarica che eiettava il triplo di quello che mangiava. E ancora mangiava solo il latte di Morgana!

E di colpo il suo cervello autolesionista s’era figurato l’immagine della strega che allattava, e Arthur aveva chiuso gli occhi stretti, anche quelli mentali, certo che sarebbe potuto diventare cieco per lo shock se avesse visto le tette di sua sorella.

 

In compenso, mentre lui era distratto, Mordred aveva pensato bene di rimarcare la propria virilità con una zampillante fontana di pipì che aveva colpito esattamente la camicia preferita di Arthur al centro del petto ed era venuto giù un diluvio di bestemmie.

Poi, neanche mezz’ora dopo, c’era stata la cosa del vomito sui pantaloni nuovi – Mordred aveva rigurgitato il latte appena succhiato – latte che era fuoriuscito dalle tette di sua sorella. Dio!, Dio, che abominio!

E il povero Arthur, traumatizzato, aveva dovuto prendere in prestito un cambio completo dal guardaroba di Leon.

 

Tutti questi incidenti – oltre che a guastargli l’umore – avevano altresì fatto accumulare un discreto ritardo sulla loro abituale tabella di marcia, così Arthur (anche su sentito suggerimento dei suoi piedi) aveva caricato in auto il seggiolino e il nipote e si erano diretti al loro consueto appuntamento per ascoltare la vitale serenata.

 

Dopo esser giunti nei pressi della loro meta, furono costretti a parcheggiare e, sistemato Mordred nel passeggino, a percorrere l’ultimo tratto di strada nella zona a traffico limitato.

 

Con un sospiro grato, Pendragon si accorse che il suo angelo custode si stava già esercitando, quindi la bestiaccia si sarebbe addormentata in fretta e, con soddisfazione, si lasciò cadere sugli usuali gradini davanti alla portafinestra, approfittando del momento di tranquillità, anche se la curiosità cominciava a stuzzicarlo...

 

Il primo giorno aveva solo dato corda al sollievo.

Non gli importava l’esecuzione di chi e di cosa. Non riconosceva nessun brano. E l’esecutore poteva essere un professionista o un pivello, era il risultato a contare – ovvero che Mordred si fosse calmato ascoltando.

Anche il secondo giorno non ci aveva fatto caso.

Ora, però, che la tragedia era stata meno marcata, poteva godersi il concerto privato.

Non conosceva i nomi dei brani, perché non era un intenditore, ma iniziavano ormai a diventargli familiari, perché ogni giorno venivano eseguiti più e più volte, alcuni passaggi difficili venivano ripresi e rielaborati – più lenti o veloci – e Arthur cominciava ad anticiparne la melodia nella sua testa.

Lui, proprio lui! Che, fin da piccolo, aveva fatto di tutto per rimanere lontano dalla musica classica e aveva rifuggito ogni offerta paterna di imparare uno strumento!

L’unica cosa che sapeva suonare era il campanello di casa!

E adesso Mordred lo costringeva a quella tortura quotidiana!

 

Uhm. No. In realtà no. Accantonando l’acredine verso il rospetto, e restando sincero per un istante… non poteva francamente dire che quello fosse davvero un supplizio.

 

Poteva andargli anche molto peggio – poteva ritrovarsi con un nipote patito di jazz! – e non doveva lamentarsi davvero.

Chiunque fosse dentro a quella casa, ci metteva devozione e impegno – un sentimento che traspariva nota dopo nota e aveva colpito persino lui.

 

Chissà che faccia aveva la persona dietro a quel pianoforte? Chissà se era giovane o vecchia? Chissà se era un maschio o una femmina?

 

Forse avrebbe dovuto mandare un mazzo di fiori al suo salvatore ignaro – uomo o donna che fosse, gli artisti amavano sempre gli omaggi floreali, giusto? – per ringraziarlo del suo aiuto insperato.

                           

O forse avrebbe sbagliato e sarebbe stato peggio. Forse il pianista si sarebbe sentito spiato, depredato di un momento tutto suo – quelle delle esercitazioni, quello degli errori fatti in privato, dei pezzi provati e riprovati, delle imprecisioni e delle gaffe. Forse, anziché essere compiaciuto di quei fans abusivi, si sarebbe arrabbiato e li avrebbe cacciati, mettendo Arthur nei guai per i giorni a venire…

 

Per questo, Pendragon decise che lo stallo era la cosa migliore.

Avrebbe continuato a tacitare la sua curiosità e non avrebbe inviato un bel niente. Quando, poi, qualora il suo compito di babysitter gentilmente costretto fosse finito, allora… allora avrebbe potuto sdebitarsi con un biglietto e un regalo e magari vedere in faccia chi lo aveva salvato.

 

 

***

 

 

I suoi buoni propositi fallirono il giorno seguente quando, arrivati come di consueto, trovarono la portafinestra più socchiusa del solito e il vento agitava le tende bianche immacolate che solitamente impedivano la visuale interna.

Dopo essere rimasto, per un tempo infinito, a guardarle muoversi come ipnotizzato – sembrava quasi che danzassero a ritmo con la melodia – Arthur non riuscì ad impedirsi una sbirciata, una sola, promesso!, una veloce veloce.

 

Intuì solamente un profilo indiretto, di riflesso sul vetro, perché la penombra dentro casa impediva di cogliere qualsiasi altro particolare.

Non era riuscito a intravedere nulla più del suo ignaro salvatore, così etereo e misterioso.

Arthur sbuffò deluso, pronto a rinunciare, e rinfilò in bocca il ciuccio che Mordred stava perdendo. Fece una smorfia quando le sue dita incontrarono la bava del nipote e si sedette sulle scale in paziente attesa.

 

 

***

 

 

Il giorno dopo, la portafinestra era molto più aperta e no, non era colpa del vento, ma della giornata particolarmente calda per quella fine di maggio. Anche la tenda era più accostata e la musica proveniva dall’interno piacevole e familiare.

 

Arthur stava per lasciarsi cadere sul solito scalino che aveva eletto a suo trono, quando la melodia cambiò di colpo in un pezzo nuovo – suadente e particolarmente accattivante – che si era aggiunto inaspettatamente al repertorio. Contro ogni buonsenso, egli si accostò un po’ troppo e arrischiò un’occhiata dentro. 

 

Dio.

Erano quelle, le mani che producevano una melodia così?

Erano davvero mani da pianista. Nella definizione più pura del termine.

Mani con dita lunghe e affusolate, che accarezzavano i tasti con riverenza e sensualità.

Mani agili e veloci, scattanti e sinuose, lente, cadenzate.

Mani che sembravano offrire piacere ai rettangoli d’avorio e trarne godimento a loro volta.

Mani che…

Dio, erano qualcosa di pornografico.

 

Arthur deglutì a vuoto, sognando quelle mani su di sé. Indietreggiò, stordito dall’intensità di quel desiderio e si lasciò cadere a peso morto accanto al passeggino di un Mordred addormentato.

Realizzò solo in quel momento che erano mani d’uomo.

 

 

***

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L’aveva sognato, quella notte.

Il tizio misterioso, senza volto, dal profilo sinuoso e dalle mani ossessionanti.

 

Arthur aveva sprecato una serata intera di lavoro infruttuoso sul dodicesimo capitolo, piantato a metà. Non si era smosso di una riga, perché era impossibile inserire un personaggio nuovo – a quel punto del romanzo – solo per dare sfogo a quell’improvvisa smania che gli prudeva dentro e che, al contempo, gli impediva di seguire la scaletta prefissata.

 

Dopo aver scritto e tagliato un’infinità di frasi, era crollato addormentato quasi all’alba e – e quelle mani, Cielo, quelle mani!, avevano generato sogni o incubi? – si era svegliato eccitato, frustrato e irrimediabilmente in ritardo (era già passato da un pezzo mezzogiorno) ed era corso a casa di Morgana senza neppure fare colazione o pranzare, per dare il cambio a Tata Mary.

 

Rimasto solo, ad onor del vero, aveva fatto man bassa della dispensa di sua sorella, ma lo considerava solamente un lecito risarcimento per il disturbo che doveva subire e, quando l’amato nipote si mise a frignare assonnato e di malumore, valutò che il suo indennizzo avrebbe dovuto essere molto più cospicuo di un brunch sgraffignato.

Poi, elencando mentalmente ciò che avrebbe chiesto a Morgana come rimborso personale – cosa che lo rese alquanto euforico –, si avviò col prezioso pargolo verso il loro appuntamento pomeridiano.

 

Quando arrivò a destinazione, la portafinestra era chiusa, la tenda completamente velata.

 

D’accordo, era un po’ presto rispetto al solito, si disse, controllando l’ora, ma il tempo passò e nessuna musica iniziava.

E Mordred si stava spazientendo.

 

Arthur si mise a girare in tondo, trascinando il passeggino per tutto il vialetto davanti alla casa, impensierito da quell’inconveniente e dal fatto che il neonato fosse sempre più irrequieto, minuto dopo minuto.

Dove diamine era finito quello strimpellatore da strapazzo?!, imprecò mentalmente, nel momento in cui la fonte dei suoi problemi si mise a strillare a squarciagola.

Era disposto persino a pagarlo per suonare. Per disperazione. Sì, l’avrebbe fatto.

Un altro pensiero lo colse, dandosi dell’idiota da solo: perché, cavolo, non aveva mai pensato di registrare i suoni e di usarli comodamente a casa del marmocchio?!

Sarebbe bastato accendere il cellulare in uno dei giorni precedenti e questa disgrazia avrebbe avuto una facile soluzione!

Poi, però, considerò che no, con la sua dose di sfiga personale e la bastardaggine congenita del piccolo mostro, anche se ci avesse pensato per tempo, non avrebbe funzionato. Probabilmente l’orecchio assoluto del Pupino non avrebbe gradito niente di meno che una esecuzione in diretta per soddisfare le sue esigenze musicali ed, effettivamente, i cd che gli aveva propinato non erano serviti a niente, perché, evidentemente, per il palato fine di Mordred, la Ninnananna di Brahms era troppo proletaria e commerciale. !!!

 

 

Sarcasmo a parte, la situazione stava degenerando a un ritmo vorticoso, tanto che presto la si poté paragonare alla disperazione del primo giorno.

Indeciso se suonare il campanello e offrire una sfacciata, lauta mancia per un’esecuzione immediata o propendere per un’umiliante ritirata a casa, da Tata Mary, Arthur bestemmiò a mezza voce contro il suo pianista dalle mani porno ritardatario. Poi lanciò uno sguardo supplice alla portafinestra, come se dal nulla il suo desiderio si potesse esaudire e, successivamente, ricontrollò il quadrante dell’orologio. Solo allora si accorse di un piccolo, fondamentale particolare: era domenica. Cazzo.

 

Non gli era neppure passato per l’anticamera del cervello che fosse un dì festivo!

 

Anche se il Padre Celeste si era riposato al settimo giorno, le transazioni economiche non guardavano in faccia le ricorrenze comandate e Morgana stava lavorando a pieno regime, come un qualsiasi altro giorno dell’anno.

Per lui, invece, scrivere era un impiego 24/7, perché – quando l’ispirazione (o la scadenza) bussava, bisognava aprirle e darle completa attenzione, fino a che non avesse deciso lei di andarsene.

A volte, quando il sacro fuoco lo colpiva, lavorava ininterrottamente fino allo sfinimento, senza mangiare né dormire.

Due anni addietro, per esempio, il colpo di genio gli era venuto il 23 dicembre e si era concluso il 2 gennaio, quando una squadra di vigili del fuoco gli aveva buttato giù la porta di casa, su segnalazione di una Morgana preoccupata dalla mancanza di risposte sia di messaggi che di telefonate. A suo dire, lei aveva temuto di trovarlo morto, un cadavere già decomposto e puzzolente.

Puzzolente lo era stato davvero, perché non si era lavato per più di una settimana e dovette riconoscere che, com’era conciato – con la barba lunga, gli occhi spiritati, l’odore da capra – non era stato certo una bella visione.

D’altra parte, mentre le parole scorrevano come fiumi in piena nel suo cervello e le mani volavano sopra la tastiera quasi che avessero avuto vita propria, non poteva staccarsi neppure un momento dal suo portatile, nemmeno se ne fosse andato di mezzo la sua vita. Essere scrittori era così, prendere o lasciare.

 

Ma magari il suo pianista, la domenica, non suonava! Oddio, oddio! E come avrebbe fatto?

 

Qualche altro minuto gocciolò via e – mentre le cose si stavano sfracellando, con Mordred ormai fuori di sé e Arthur pronto al peggio – il miracolo avvenne.

 

Una ninnananna dolcissima, mai sentita prima, si espanse nell’aria.

 

Arthur girò il collo così velocemente che sentì un distinto ‘crack’ e, quasi con le lacrime agli occhi, vide la porta socchiusa e la tenda un po’ tirata.

 

Dio doveva benedire quell’anima buona, sospirò Pendragon, al colmo della gratitudine. Un momento dopo, infatti, la piccola peste stava già cedendo alla nenia fatata, come un topolino incantato dal Pifferaio Magico.

 

 

***

 

 

Il lunedì si era aperto con un cielo plumbeo che si era riversato a catinelle, verso mezzogiorno, sul suolo londinese.

Quello sì che era un problema, brontolò Arthur, osservando il diluvio scrosciante al di fuori della finestra della nursery, preferendo ignorare il malcontento di Mordred. Il passeggino era fuor di questione, accidenti!

Ma lui non si sarebbe lasciato frenare da due fottute gocce di pioggia!

 

Per questo, corse nel ripostiglio e agguantò il vecchio impermeabile di Leon – un pezzo d’antiquariato dal colore improponibile. Sembrava una segnaletica stradale! Seriamente, suo cognato aveva un gusto nel vestire pari allo zero assoluto. Come diamine faceva a vivere con Morgana, che di secondo nome faceva VivoAllaModa?!

 

Poi si infilò un paio di stivali (che avevano visto la guerra) e infine acchiappò anche il nipote e un marsupio porta-bebè – bontà divina! Chi avrebbe mai indossato quella schifezza con i panda disegnati e gli orsetti a pois? Doveva esserci una legge, da qualche parte, che ne vietava il commercio! Andavano contro la pubblica decenza! – e uscì di casa.

 

 

***

 

 

Non si sarebbe lasciato frenare da due fottute gocce di pioggia. Ma forse, da un nubifragio, sì.

 

Arthur parcheggiò al solito posto e cercò di raccattare un po’ di coraggio e di masochismo per decidersi a lasciare la sua calda, asciutta e confortevole vettura in favore di una bella scarpinata – anzi, sfacchinata! – sotto ad un acquazzone torrenziale vestito come un idiota (nel caso migliore) o come uno appena scappato dal manicomio (ad essere più realistici).

 

Nella sua testa, la lista delle cose per cui avrebbe chiesto risarcimento si allungò a dismisura e intanto infilò un recalcitrante Mordred dentro la tortura-porta-enfant che si era legato addosso e, fissata l’imbracatura, si avviò verso la casa del suo salvatore.

 

Due cose erano possibili: o lui stava invecchiando, o (più probabilmente) suo nipote era obeso, perché Arthur arrivò a destinazione col fiato corto e con la certezza che sarebbe morto di lì a poco per lo sforzo sovrumano.

Senza ritegno, si lasciò cadere sul suo scalino abituale, incurante di bagnarsi i vestiti e, raddrizzato l’ombrello che li avrebbe coperti alla meno peggio, si rassegnò all’attesa…

Perché quell’anima buona avrebbe suonato anche oggi, no?, pregò, col naso all’insù, rivolgendosi spiritualmente a qualunque essenza divina in ascolto. Iu-huu… c’era qualcuno lassùùù?

 

“Ehi… amico!” si sentì apostrofare. “Sì, dico a te, lì sotto…”

 

Arthur trasalì impreparato, sgranando gli occhi. Stava forse avendo una crisi mistica?

 

“Scusa, non volevo spaventarti”, riprese la stessa voce, Il Tizio Dalle Mani Porno, gesticolando mentre sbucava dalla portafinestra accanto a dove erano appollaiati zio e nipote.

 

Arthur scansionò l’uomo da capo a piedi e fu tentato di darsi un pizzicotto, come in quei romanzi Harmony di bassa lega, per vedere se stava sognando o meno. Ma si trattenne.

Dio, e quel sorriso? Chi gli aveva dato delle mani e un sorriso così?!

 

“Piove…” riprese lo sconosciuto salvatore. Arthur guardò in alto, come se non avesse notato prima quel tempaccio da lupi. Ed ebbe la decenza di arrossire.

 

“Ehm… ti va di entrare?” si sentì offrire.

 

Sarebbe mai esistita un’alternativa più ragionevole?

E fu dentro prima ancora di sapere come.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

Ugualmente, le immagini che ho scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono. Idem per le canzoni.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura (che ha reso presentabile la mia gif orrenda), che subiscono le mie paranoie. X°D

Note: Come ho anticipato, non imitate Arthur nelle sue scelte di babysitting: benché verosimili, non sono pedagogicamente corrette.

 

Devo confessare una cosa: la bozza di questa fic è nata molto prima di mio nipote, ma alcune cose si sono rivelate tragicamente profetiche, quindi molte disgrazie di Arthur sono di stampo autobiografico. Forse Arthur si è vendicato su di me per averlo maltrattato, o Mordred è in realtà Phily. >__<

 

Mentre immaginavo Arthur ascoltare Merlin che suonava, avevo tre pezzi che mi giravano in testa e a suo modo mi hanno ispirata.

 

1) Christina Perri - A Thousand Years (Piano Cover)

Credo sia superfluo dire quanto questa canzone sia l’emblema del merthur; è la loro canzone, punto.

Trovate testo e traduzione qui: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-a-thousand-years-christina-perri-362/

E se volete piangere, ascoltate questa (Piano/Cello Cover): https://www.youtube.com/watch?v=QgaTQ5-XfMM

 

Ci sono cover diverse del brano, allo stesso modo in cui Merlin avrebbe potuto esercitarsi diversamente nell’eseguirlo.

Quella col cinguettio di sottofondo è forse la meno gradevole, ma è la più realistica con il canto degli uccelli del parco accanto ad Arthur.

 

http://www.youtube.com/watch?v=FeOH0st4iQ4

 

http://www.youtube.com/watch?v=5jJh8p3-4LE (la mia preferita)

 

http://www.youtube.com/watch?v=XfkffghZsTM

 

http://www.youtube.com/watch?v=Q-BPccPCntY

 

Ouran High School Host Club - Sakura Kiss for Piano

 

http://www.youtube.com/watch?v=yBP0tEsCT8I

 

Lullaby di Edward per Bella - Twilight.

 

http://www.youtube.com/watch?v=HQkBbK0AXwI

 

DevinCarnes ha immaginato baby!Mordred così. Non è puccioso?

http://media-cache-ak0.pinimg.com/236x/94/b7/b1/94b7b1669ab795d651504ea923e510f1.jpg

 

 

 

Vi metto un paio di anticipazioni del prossimo capitolo:

 

“In realtà… Il fan è lui”, dichiarò, indicando il nipote.

 

Il tizio dalle mani porno alzò un sopracciglio scetticamente.

“Un neonato?”

 

“Sì, lui!” insistette con enfasi.

 

“E tu ti apposti, da giorni, davanti a casa mia perché…?”

 

“Perché sei soporifero!”

 

Oh, cazzo. Oh, cazzo.

Troppo tardi, Arthur s’era accorto d’aver detto la cosa sbagliata.

Bene. S’era bruciato ogni possibilità.

 

Già il primo impatto non era stato dei migliori. A colpo d’occhio, doveva sembrare un poveraccio.

(Era stato visto abbigliato peggio di un clochard. Col più infimo abbinamento al mondo! Probabilità di cuccare? Meno all’infinito.

Certo. C’entrava di mezzo la sua sfiga leggendaria! Proprio oggi, che era vestito male, l’altro si faceva vivo?!)

E adesso… quest’uscita infelice avrebbe polverizzato ogni infinitesimale chance di rimonta.

 

Vedeva già il titolo a caratteri cubitali del suo prossimo libro: “Come fottersi ogni possibilità con l’uomo che ti piace (10 figure di merda in 10 minuti)” a cura di Arthur Pendragon.

 

(…)

 

Che Merlin possedesse una copia del suo libro lo aveva reso incredibilmente euforico.

Non avrebbe mai pensato che un tipo come lui leggesse quel tipo di romanzi!

Ed era meraviglioso che avessero questo punto di contatto! Magari… magari era anche un suo fan!

 

Quando Emrys tornò con il vassoio del tè, vide il suo ospite assorto con un grosso tomo che non faticò a riconoscere.

 

“Odio Arthur De Bois!” esordì allora, facendolo sussultare, impreparato, a tal punto che il volume cadde a terra, sul tappeto. Arthur sbiancò, e l’altro uomo ridacchiò, scusandosi. “Perdonami, non volevo spaventarti!”

 

N-no, è che…” farfugliò incoerente. “Forse non ho capito bene…”

 

Merlin si chinò a raccogliere il testo e ne spazzolò la copertina, poi lo ripose nello scaffale con tutti gli altri.

“Ho detto che odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri!”

 

*evil smile*

 

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~ ~ ~ ~ ~

 

Ringrazio i lettori che hanno inserito questa fic nei preferiti/ricordate/seguiti.

Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^

 

 


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