Lloyd
provò per diversi minuti a
liberarsi dai legacci, ovviamente senza successo. Il problema
consisteva nel
fatto che non era ancora abbastanza lucido per riuscire a coordinare
per bene i
movimenti, anche se la sua costituzione non aiutava di certo. In fondo
era
risaputo che i quadrupedi potevano sollevare solo una zampa per volta e
non
tutte e due insieme a causa dell'angolatura totalmente opposta che
avrebbero
preso le ossa per favorire il movimento. E avendo le zampe legate
assieme tale
movimento era stato impossibile da effettuare. Non che non avesse
ugualmente
tentato, con l'unico risultato di farsi dolere ancor di più
i muscoli delle
gambe.
Ma quei vani tentativi non erano
stati però completamente inutili. Lloyd aveva infatti
scoperto una cosa, anzi,
due cose alquanto interessanti. Si ricordava di essersi ferito, la
prima volta
la zampa con un pezzo di vetro mentre scappava dalla casa e la seconda
quando
un ramo gli aveva infilzato la coscia quando era caduto all'interno
della buca.
Ebbene, le parti lesionate, che
Lloyd ricordava sporche di terra e sangue, brucianti e faticose da
muovere,
adesso erano bendate. E le fasciature erano perfettamente bianche,
segno che
non erano state le prime ad essere applicate sulle ferite. Il Deino
infatti se
le ricordava mentre eruttavano sangue come se non ci fosse un domani,
mentre
invece adesso non facevano più male se non si provava a
muovere molto, ed erano
pure bendate. Qualcuno di sicuro l'aveva soccorso, ma non riusciva a
spiegarsi
né chi, né come e né
perché. Se davvero chi li aveva soccorsi li aveva anche
curati, che bisogno c'era di legarli in quel modo? Erano considerati
una
minaccia? Era forse l'umano ad averli presi? E se sì,
perché mai li avrebbe
dovuti curare? E se invece si fosse trattato di qualcun altro?
A Lloyd faceva male la testa a
causa di tutte quelle preoccupazioni. Era sveglio da poco
più di dieci minuti,
eppure gli sembrava di essere là da un'eternità.
E già si sentiva stanco. Era
tentato di abbandonare di nuovo la testa sul freddo pavimento, ma
cercò di
resistere, senza nemmeno sapere veramente il perché.
Alla fine cedette, le palpebre si
fecero pesanti e si addormentò di nuovo.
***
Neville
venne svegliato dal
fastidioso trillo della sveglia. Con un pugno schiacciò il
pulsante di
spegnimento dell'apparecchio e si girò dall'altra parte del
letto, tirando su
le coperte. Era stato un movimento quasi naturale, non se n'era neppure
reso
conto. Eppure un piccolo pezzo di lui sapeva quello che aveva appena
fatto, e
dopo qualche minuto di sospensione tra il dormiveglia e la
realtà, Neville
finalmente si decise ad alzarsi.
Avrebbe ardentemente desiderato
rimanere a letto, quel giorno. Non si sentiva bene, la testa gli faceva
male e
non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte. Era riuscito ad
appisolarsi
solo un'oretta prima, ma quel breve lasso di tempo non era certo adatto
a
soddisfare il fabbisogno giornaliero di riposo di un uomo adulto.
Del resto si era ripromesso di
badare meglio a quei mostri. Prima di tutto doveva pensare a nutrirli
regolarmente,
poiché l'ultima cosa che voleva era la loro morte. Per il
momento. Poi doveva
assicurarsi di trovargli un altro posto sicuro dove sistemarli. Ormai
la
cantina non era più adatta.
Neville aveva riparato alla
bell'è meglio il buco causato dai pokemon. Nel capanno degli
attrezzi dietro la
casa aveva trovato qualche pannello di truciolato e di cartone, il
tutto appena
sufficiente a coprire, pur lasciando qualche buchetto dal quale
penetravano
spifferi d'aria, il buco. La caldaia per lo meno non si era
danneggiata, e per
questo poteva ritenersi molto fortunato. "Comunque" si era detto
"devo metterli in un posto diverso".
Dopo aver lasciato vagare la
mente per un po', Neville si alzò finalmente dal letto. Si
stiracchiò, e andò
alla finestra. Il catino appoggiato sul minuscolo balcone era pieno
d'acqua
fino all'orlo: doveva aver piovuto, quella notte. Lo prese, lo
appoggiò sul
comodino e prese una piccola brocca, che immerse nel contenitore fino a
farla
riempire d'acqua. Si affacciò di nuovo al davanzale della
finestra e prese a
lavarsi la faccia, attento a sprecare meno liquido possibile. Si
asciugò la
pelle con un lembo della coperta e ributtò l'acqua avanzata
nel catino. Non era
per niente facile sopravvivere in quel modo, ma oramai era tutta la
vita che faceva
così, e Neville si era presto abituato.
Con calma si sfilò il pigiama e
si vestì. Ripose i leggeri tessuti di lana sopra il letto,
ed indossò i pesanti
pantaloni che era solito portare, abbinandoci un maglione verde morto e
assicurando il tutto ad una cintura ben stretta alla vita. Non si tolse
le
ciabatte, era pur sempre in casa sua.
Prese con delicatezza il catino,
e facendo attenzione a non far uscire nemmeno una goccia d'acqua lo
portò di
sotto, sforzandosi di non perdere l'equilibrio mentre scendeva le
scale.
Fortunatamente l'operazione riuscì, e l'uomo
depositò il catino in cucina.
Prese da sopra una mensola un panno di spugna, e fece per immergerlo
nell'acqua, salvo poi ripensarci e abbassare piano la mano.
Da quando li aveva riacchiappati,
nessuno dei mostri si era risvegliato. Ma nonostante ciò
doveva pur sempre
nutrirli. Aveva finora evitato il cibo solido, per paura che essendo
incoscienti si potessero magari strozzare con un pezzo di qualcosa che
non
avevano avuto il riflesso di ingoiare, non essendo svegli. Era invece
ripiegato
su di un panno imbevuto d'acqua, che per una mezza dozzina di volte al
giorno
aveva strizzato quasi direttamente nella bocca dei mostri al fine di
fargli
assimilare il liquido senza che essi si svegliassero prima del dovuto.
Ma ormai
erano passati tre giorni da quando li aveva riportati lì, e
forse era ora che
il loro sonnellino finisse e che tornassero a mangiare qualcosa di
più denso
dell'acqua.
Neville posò il panno dove
l'aveva preso, e si diresse al frigorifero. Lo aprì, e
guardò cosa aveva. C'era
un bel po' di frutta, come mele, pere, un paio di banane e qualche
susina,
oltre ad un grappolo d'uva. Ma la cosa più abbonante erano
le bacche. Ma non le
bacche che ad esempio crescono spontaneamente, come i frutti di bosco.
Oramai
il tipo di frutta più diffuso erano le loro
bacche. Quelle schifezze erano giunte assieme a quei mostri, e non
erano altro
che brutte copie della frutta vera. Baccamela, Baccapesca, Baccaki e
tante
altre idiozie del genere. Nemmeno la fantasia di scegliersi un nome
diverso.
Almeno erano nutrienti, questo Neville doveva ammetterlo. Ma cercava di
mangiarle il meno possibile, e per questo furono quelle la portata
principale
del piatto che preparò per i suoi "ospiti".
Le dispose malamente su di un vassoio,
e si sedette infine a contemplare il suo lavoro. Guardò la
piccola catasta di
frutta, e quasi si rattristò di non poter continuare a
nutrire i mostri con
l'acqua. Purtroppo, nonostante ne disprezzasse, le bacche erano la sua
principale forma di sostentamento, e rinunciarvi per nutrire degli
stupidi
pokemon non era certo facile. Ma stavano deperendo in fretta, e Neville
non
voleva che passassero all'altro mondo proprio in quel momento
così delicato.
Altrimenti cosa li avrebbe curati a fare? Non gli aveva certo ripulito
le
ferite e sprecato delle preziose bende solo per vederli spirare un po'
più
tardi.
Si alzò, prese in mano il vassoio
e fece per dirigersi nella stanza dei prigionieri. E fu solo allora che
si
ricordò di averli legati. "Cazzo!" imprecò
mentalmente, e fece marcia
indietro. Appoggiò di nuovo il vassoio sul tavolo, prese un
coltello dal
cestello delle posate e cominciò a sbucciare la frutta.
Da legati i mostri sicuramente
non potevano fare grandi manovre o movimenti eccessivi, e questo
includeva lo
sbucciare la frutta oppure prenderla in mano per mangiarla. E
così a Neville
erano rimaste tre soluzioni: slegarli, imboccarli oppure sbucciargliela
e
lasciare che se la cavassero da soli. La prima era assolutamente fuori
discussione, era certo che avrebbero tentato di nuovo la fuga. La
seconda era
troppo umiliante per Neville. Ridursi ad imboccare anche solo una di
quelle
spregevoli aberrazioni sarebbe stato toccare il fondo. Per cui, anche
se un po'
titubante, l'uomo mise in atto la terza opzione.
Finì di togliere la buccia anche
prima di quanto desiderasse. Fece attenzione a disporre il cibo sul
vassoio,
mettendo i frutti più pesanti sul fondo e quelli meno
voluminosi in cima, in
modo che non si spappolassero. "Ma che sto facendo?" si chiese
mentalmente
"Gli preparo anche dei piatti raffinati?".
Prese il vassoio, e si incamminò
verso il corridoio.
***
Era
di nuovo sospeso nel nero.
Pareva che ogni altra forma di sogno fosse stata bandita al punto che
nemmeno
gli incubi si facessero più vivi, lasciando solo quell'atona
oscurità. Non che
a Lloyd dispiacesse, in fondo preferiva quello a chissà
cos'altro.
Eppure... avvertiva che non
finiva tutto lì. C'era qualcos'altro oltre a lui e al nero.
Qualcosa di molto
più consistente. Capì al volo di cosa si
trattava: la muraglia. Ed aguzzando la
vista infatti la scorse, non particolarmente lontano. Distinse subito e
con più
chiarezza della volta precedente il movimento che pareva fare lo strano
muro,
anche se notò che adesso sembrava essersi fatto
più frequente, ed ogni scossone
diventava sempre più violento (anche se di poco) del
precedente.
Questa cosa inquietò
profondamente il Deino. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato,
qualcosa di
marcio in tutto ciò. Eppure era presente anche quella strana
sensazione di
calore, del tutto fuori luogo in una situazione come quella. Oltre ad
esserne
timorato, Lloyd si sentiva in qualche modo attratto da quel muro. Ma
questo non
lo realizzò subito.
Fu
una luce, dapprima fioca e poi
sempre più intensa a risvegliarlo. Il pokemon
aprì stancamente gli occhi, e fu
quasi accecato da tutto quel bagliore. Da quant'è che non
vedeva la luce? Da
almeno tre giorni, ovvero a quando risaliva il suo ultimo ricordo della
cella
dove era stato rinchiuso per circa una settimana.
Poi, in mezzo al bianco, distinse
anche qualcosa di nero. E quel nero si muoveva. Lloyd provò
a mettere a fuoco,
ed intravide una forma umanoide avanzare verso di lui. Per un attimo il
Deino
si spaventò, credendo che quell'essere gli stesse venendo
addosso. Vedendolo agitarsi,
l'estraneo si fermò un attimo ad osservarlo, salvo poi
chinarsi per appoggiare
qualcosa a terra. L'essere si rialzò, lo guardò
di nuovo per un istante e fece
dietrofront, scomparendo di nuovo nella luce. La quale scomparve un
paio di
secondi dopo di lui.
Sulle prime Lloyd non capì
cos'era appena successo. Fu l'odore che gli arrivò al naso a
fargli
riacquistare, seppur in minima parte, la capacità di agire e
di pensare con un
po' di lucidità. "Cibo" pensò. Lo stomaco, quasi
a confermare i suoi
sospetti, emise un sonoro brontolio.
Affamato, cercò di allungarsi
verso il punto dove l'essere aveva appoggiato qualcosa. E infatti
più avanzava
e più l'odore si faceva intenso, facendogli progressivamente
riacquistare le
sue energie. Finalmente riuscì a distinguere i contorni di
un piccolo vassoio,
e subito dopo le sagome di una manciata di bacche tutte diverse da loro
accatastate su di esso.
***
Neville
si lascio ricadere sulla
poltrona del suo studio, chiudendo nel frattempo gli occhi. Lo sforzo,
seppur
blando, di portare da mangiare ai suoi prigionieri l'aveva
completamente
privato delle energie. Questo era un segnale. E l'uomo aveva capito
anche cosa
significava. La fine non era lontana, e più i giorni
passavano più sentiva
accorciarsi le sue forze e la sua voglia di continuare a tirare avanti.
Ma
doveva resistere, anche solo un'altra settimana sarebbe bastata.
Neville si portò due dita agli
occhi, e se li strizzò, cercando di mandar via il fastidioso
impulso a
lasciarsi cadere in un sonno profondo. Si prese poi a massaggiarsi le
tempie,
borbottando parole incomprensibili di frustrazione tra sé e
sé. Era tutto il
giorno che stava venendo tormentato da un mal di testa martellante, a
tal punto
che gli sembrava che il cranio gli dovesse scoppiare da un momento
all'altro.
Aveva provato a preparasi una tisana calda e a stendersi un po', ma
niente
aveva funzionato.
Finalmente l'uomo aprì gli occhi,
e lo sguardo gli cadde sulle due bandiere sopra il caminetto. Erano
flosce e
ripiegate su sé stesse, e dovevano stare a prender polvere
da un bel po' di
tempo. Neville ripensò a quando l'aveva raccolte nel mentre
del suo peregrinare
passato.
Una notte si era fermato in un
castello in rovina, mezzo distrutto e invaso dalle erbacce. Doveva
esserci
stata una battaglia, altrimenti mai si sarebbe spiegato un tale
macello. Ciò
però doveva essere accaduto almeno una trentina d'anni
prima, visto che non
v'era traccia di cadaveri né di qualsiasi segno recente che
potesse
testimoniare lo scontro. Nell'aria però aleggiava un odore
strano, un odore
dolciastro, come di fiori appassiti. Un odore che sapeva quasi... quasi
di
morte.
Aveva esplorato un po' le sale
del castello, ed effettivamente vi aveva trovato vari resti ossei qua e
là, ma
non avrebbe mai saputo dire se appartenessero ad umani o a pokemon o a
qualcos'altro. Inoltrandosi in profondità nelle rovine del
maniero aveva
trovato per terra uno straccio verde, che Neville aveva raccolto
pensando si
trattasse di un antico arazzo magari caduto dal muro. E invece no, era
una
bandiera di seta finissima, sulla quale era recata una spirale mezza
bianca e
mezza nera in campo verde. Se l'era portata dietro, pensando che un po'
di
stoffa forse gli sarebbe potuta tornare utile.
Poi, dopo qualche ora, mentre si
accingeva a trovarsi un giaciglio per la notte, l'aveva vista. Su di un
torrione Neville aveva scorto un qualche vessillo mosso appena dal
vento, ma
essendo sera non aveva saputo dire di cosa effettivamente si trattasse
per
colpa del buio. Ma una folata di vento improvvisa l'aveva sferzato al
punto da
farlo distendere in tutta la sua lunghezza. Il vessillo si era disteso
per
lungo nell'aria circostante, e si era messo proprio davanti alla luna
di quella
sera, che era piena. L'uomo aveva potuto così distinguere
così ogni minimo
particolare di quella bandiera: una croce bianca in campo blu scuro.
E solo allora aveva realizzato.
Neville era corso subito verso il torrione, e ne aveva trovato
l'ingresso non
con poca fatica. Era in qualche modo riuscito a districarsi tra i
corridoi e le
varie sale, ed infine era arrivato sul camminamento dove aveva visto
svolazzare
la bandiera. Individuatala, l'aveva allora issata su, e l'aveva
ammirata in
tutta la sua bellezza. La distese per terra e tirò fuori dal
suo zaino anche
l'altra bandiera, e le dispose l'una di fianco all'altra. Quelle per
lui erano
due preziose reliquie. Erano il simbolo di una razza che sarebbe presto
morta
con lui, l'ultima testimonianza della battaglia in cui erano periti la
maggior
parte degli uomini sopravvissuti alle Grandi Guerre.
E finalmente capì: quel castello
non era una rovina qualsiasi, bensì il teatro dell'ultimo
scontro tra umani e
pokemon per la supremazia sul pianeta Terra. Quello era il castello di
Stirling, dove le ultime forze umane erano state assediate per giorni
dalle
armate di quei mostri ripugnanti prima di soccombere definitivamente.
L'assedio
dal quale suo padre e i suoi familiari erano in qualche modo riusciti a
salvarsi, solo per morire miseramente pochi anni dopo.
Aveva preso allora una decisione:
non avrebbe lasciato che le ossa dei suoi simili fossero lasciate a
marcire
all'aria, preda delle intemperie e di chissà cos'altro.
Aveva rinunciato a
dormire per quella notte, e aveva passato tutte le ore piccole a
raccogliere
tutte le ossa che era riuscito a trovare e a separare quelle degli
umani da
quelle dei pokemon, per quanto le sue scarse conoscenze anatomiche gli
permettevano. Aveva poi scavato una fossa con una piccola pala che si
portava
sempre dietro, e vi aveva riposto con cura i resti, per poi ricoprirli
e
compattare la terra al meglio che poteva onde evitare che qualcuno di
quei
mostri potesse accorgersi della terra smossa e magari spinto dalla
curiosità
potesse profanare il luogo dell'eterno riposo degli ultimi coraggiosi
combattenti umani.
Una lacrima gli scappò da un
occhio senza che lui se ne accorgesse, e la notò solo quando
gli bagnò il
labbro superiore. Neville assaporò per un attimo il sapore
salato e poi si
asciugò l'occhio con il dorso della mano.
Pensò di alzarsi, ma desistette
quasi subito da quel proposito poiché le gambe non ne
volevano sapere di farlo
alzare. Cercò allora di rimettersi a dormire, ma si sa, il
sonno quando lo
cerchi non arriva mai mentre al contrario ti coglie quando è
indesiderato. Rivelatasi
fallimentare anche questa intenzione, Neville si mise a pensare. E fu
allora
che gli ritornarono alla mente le riflessioni del giorno prima sulla
sua vita.
A quel punto in testa prese a parlare una voce davvero fastidiosa, che
lo torturava
urlandogli "Stronzo, non ci hai
pensato abbastanza! Adesso paghi pegno!". Era tutto frutto
della sua
immaginazione, ma Neville non se ne rese conto subito.
E così, quasi come una forma di
tortura autoimposta, all'uomo tornarono in mente tutti i ricordi
più dolorosi
della sua vita: la morte del padre prima e quella della madre e dello
zio in
seguito. In particolare l'immagine del decesso degli ultimi due gli
tornò
chiara e limpida, come se l'avesse appena vissuta.
E così come le immagini gli
tornarono anche tali e quali le emozioni: dapprima una disperazione che
non
aveva mai provato. In un colpo solo aveva perso sia la madre che lo
zio, gli
unici che erano mai stati presenti per lui (oltre che gli unici ad
essergli
rimasti, si intende). Li aveva perduti per sempre, portati via dagli
infami
artigli del destino.
Neville era rimasto quasi
l'intero pomeriggio a piangere sui cadaveri dei suoi parenti,
finché realizzò
che non erano stati gli artigli del destino a portarglieli via,
bensì gli
artigli di qualcos'altro. Qualcosa di molto più diabolico e
crudele, oltre che
animalesco.
E fu allora che alla disperazione
era subentrata la rabbia. Una rabbia come Neville non l'aveva mai
provata, e né
come l'avrebbe provata di nuovo. Fu l'unica occasione in cui perse il
controllo, lasciando che fossero i propri istinti a guidarlo,
perché mai e poi
mai avrebbe fatto quel che fece se avesse potuto rispondere delle
proprie
azioni.
Ma al rimorso per essersi
lasciato così imprudentemente guidare dai suoi sentimenti
presto venne
sostituito dal piacere, il piacere provocato dal ricordo della dolce
vendetta
che si era preso sugli assassini dei parenti. Mai avrebbe dimenticato
gli occhi
sbarrati dell'ultimo mostro che la sua mano aveva ucciso, e mai si
sarebbe
pentito delle sue azioni passate. Né mai di quelle presenti.
Del resto, da quello che aveva
inteso quando aveva spiato gli assassini, intendevano usare il corpo
dello zio
come attrazione turistica, una specie di luogo di pellegrinaggio. Forse
intendevano lucrare sul fatto che tali resti potessero essere
considerati una
sorta di reliquia, vestigia dell'ultimo essere umano, ultimo degli
odiati
nemici della razza dei pokemon. Anche se Neville aveva due motivi per
cui
opporsi a tale cosa: primo, aveva conosciuto abbastanza a lungo suo zio
per
capire che non era in grado di arrecare sofferenza ad altri solo per il
gusto
di farlo, come invece sembravano comportarsi la maggior parte dei
mostri. E
secondo, suo zio non era l'ultimo umano, c'era ancora lui vivo.
La notte precedente Neville aveva
pensato a queste cose assai di sfuggita, poiché è
comprensibile il fatto di non
essere, diciamo, completamente lucidi a quell'ora tarda. Ma adesso vi
aveva
rimuginato per bene, ed era ben intenzionato a non farlo mai
più, poiché quei
dolorosi ricordi gli facevano appunto male, molto più male
anche di quanto egli
stesso sospettasse.
- Adesso ci ho pensato per bene!
Contento?! - urlò Neville a pieni polmoni, rivolto alla
vocina che lo aveva
istigato a rimuginare su quei fatti ormai dimenticati. Aveva preso una
decisione: quella sarebbe stata l'ultima volta che ci pensava, e mai lo
avrebbe
rifatto fino al fatidico momento. Chissà, forse allora vi
avrebbe dedicato
l'ultimo istante di lucidità.
Si alzò dalla poltrona, e si
diresse alla scrivania. Si sedette allo sgabello, e si rivolse verso
l'angolo
del tavolo. Adagiato lì c'era un libro non molto grande,
rilegato in elegante
pelle nera e con scritte vergate in un solenne carattere dorato.
Edizione 2074,
recava una piccola nota sulla costola. "Allora sì che li
sapevano fare i
libri" rifletté l'uomo.
Neville prese delicatamente in
mano il libro, lo mise davanti a sé, accese la lampada
fissata poco sopra la
sua testa e prese, con fare quasi maniacale, a lisciare pagina per
pagina il
vetusto manoscritto. Ci teneva a che gli sopravvivesse, così
che magari qualche
postero avesse potuto comprendere il motivo delle sue azioni.
Piccolo avviso, non so se sarò in grado di pubblicare di nuovo prima della fine dell'anno, poiché indicativamente attorno al 20 mi dovrò sottoporre ad un'operazione per la quale dovrò restare degente per un paio di giorni in ospedale. Riguardo a cosa, fatevi i cazzi vostri.
Chi ha notato un leggero cambiamento di stile? In questo momento sto leggendo Le avventure di Arthur Gordon Pym, e devo dire che lo stile di Poe mi ha preso. E penso che si noti.
Oramai siamo a più della metà della storia, per cui sto già cominciando a pensare a cosa verrà dopo IAL. E a proposito, ho una piccola sorpresa che magari non a tutti piacerà.