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Autore: PeaceS    10/12/2014    11 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo ventottesimo parte II –
Stay Alive

 

 

 

 

 

 

Il Ministero della Magia Inglese sembrava essersi arrovellato, come una carta vicino al fuoco, su se stesso.
La pioggia cadeva fitta all'interno dell'edificio, superando piani e scale – filtrando attraverso crepe, fessure e il soffitto che aveva ormai ceduto sotto gli incantesimi e le esplosioni causate dai presenti – fino a toccare e inondare la sala meeting degli Auror, dove continuava a consumarsi la carneficina più sanguinosa della storia.
Le mura che li circondavano erano vicine allo sgretolamento, mentre il pavimento mostrava voragini e dissonanze: la signora nera con la falce era al fianco di tutti loro, respirava in modo così affannoso da poterla sentire ad orecchio nudo e aveva portato con sé, di già, senza chiedere alcun permesso o sentire nessuna supplica, la maggior parte dei presenti.
Scorpius guardò la desolazione che lo circondava con un macigno che gli opprimeva i polmoni e la gola, cercando una ragione plausibile per tutto. Per ogni cosa che aveva perso... per ogni cosa che doveva perdere ancora.
“Vuoi uccidermi, Scorpius?”
La voce di suo zio era lieve, come se non avesse fatto altro che gridare fino a quel momento e questa avesse deciso di abbandonarlo proprio mentre la battaglia arrivava al culmine e le grida assordavano ogni cosa.
“Hm?” continuò con un sorriso, lasciando che i suoi lineamenti si addolcissero e la somiglianza con Draco diventasse quasi terribile.
Scorpius si toccò il pomo d'Adamo con la sensazione di soffocare e suo zio sorrise ancora, facendo brillare gli occhi di una luce quasi perversa.
E Scorpius seppe che era stato
scelto. Non aveva vinto nulla né aveva superato qualsivoglia barriera: Diamond aveva scelto il modo di morire e da chi essere ucciso.
E aveva scelto lui.
“Io non voglio ucciderti” mormorò Scorpius, facendo ciondolare le braccia lungo il busto e rilasciando un lungo sospiro.
Un esplosione alla sua destra lo colpì di striscio, ma continuò a rimanere immobile di fronte a lui, come in stato di trance. Come se muovere anche solo un muscolo gli costasse troppa fatica.
“Guardami” sussurrò Diamond, con una disperazione nello sguardo che gli fece attorcigliare lo stomaco: Scorpius arpionò lo sguardo sul suo volto e tremò; aveva i suoi stessi capelli biondi e la sua pelle d'alabastro, con la bocca sottile e ad archetto e le ciglia folte, angeliche – l'esatto contrario di ciò che era realmente. Di quello che gli pompava dentro simile ad acido. Simile a veleno.
Aveva il suo stesso neo, quello tra le ossa dello sterno e le spalle, con la sua stessa postura retta... come quella di un leone, non di un serpente.
E faccia a faccia, a soli pochi metri di distanza, Scorpius capì perché aveva scelto lui.
“Sei proprio uguale a lei” ridacchiò Diamond, mettendogli i brividi.
E faccia a faccia, a soli pochi metri di distanza, Scorpius alzò lo sguardo sul ritratto di sua nonna – annaspando pericolosamente.
Solo in quel momento tutti i tasselli mancanti tornarono al suo posto, in perfetto e maniacale ordine. Solo in quel momento tutto sembrò chiaro e nitido come non lo era mai stato fino ad allora.
Ogni santissima volta che si era ritrovato a pochi metri da lui e non era mai stato sfiorato nemmeno di striscio, nonostante fosse figlio di uno di quelli che avevano voltato le spalle all'Oscuro Signore; tutte le volte che Lily era stata ferita e lui completamente ignorato, lasciato quasi in disparte. Tutte le volte che era stato alla sua mercé, pronto per essere trasformato in carne da macello...
Sei proprio uguale a lei.
“Proprio come me”
Lo stesso biondo grano, delicato – ma non albino.
La stessa folle ossessione per i propri amori, che se per Scorpius si era concentrata in ogni sua sfaccettatura su Lily, per suo zio aveva trovato sfogo su sua nonna.
La stessa bellezza angelica e dolce, così dissonante col resto della famiglia...così diversa da quel sangue che aveva deciso dalla loro nascita chi essere e quale strada intraprendere.
Diamond aveva scelto di morire per mano di sua madre, era quella la risposta. Aveva scelto di morire per mano di quelle dita pallide – simili a quelle di un pianista – che da piccolo non lo avevano mai accarezzato. Che da piccolo non lo avevano mai stretto con dolcezza.
Sei proprio uguale a lei. E suonava come una condanna.
E suonava come lo stridio involontario di un violino nel bel mezzo della più bella e delicata melodia.
Diamond era finalmente felice, tanto da rilassare le spalle e sorridere armonioso – sospirando nel mentre.
Era felice di morire in quel modo, tra quelle braccia che avevano il profumo di una mamma mai conosciuta e in quello sguardo che non aveva mai avuto il piacere di affondare.
Era come morire tra le braccia di sua madre, coccolato e amato per la prima volta. Per l'ultima volta.
“Ti prego” bisbigliò Scorpius, con gli occhi di un bambino innocente costretto a fare qualcosa di cui sa che si pentirà per il resto della propria vita.
Diamond sorrise ancora e il piccolo Malfoy sentì qualcosa dentro sé incrinarsi definitivamente.
Ora!” sibilò con enfasi, lasciando che ancora una volta quella follia si accendesse nel suo sguardo – perfida e calcolatrice.
Tutto successe così velocemente che Scorpius non ebbe nemmeno il tempo di agire, di muoversi dalla postazione privilegiata che suo zio gli aveva offerto.
Un vampiro che lui aveva visto solo di sfuggita nella battaglia si era lanciato alla sua destra ad una velocità assurda, aggrappandosi alle spalle del compagno di Angelique – intento a combattere a pochi metri da lei; quasi a rallentatore vide quelle dita penetrare nel petto del demone, superare carne, tendini e ossa e strappargli il cuore.
Scorpius sentì a malapena il tonfo che produsse l'organo quando cadde sulla pietra, coperto dal suono del proprio vomito; piegato in due, ad un solo metro dal pavimento, Scorpius seppe che era arrivato il momento.
Il suicidio più epico della storia.
E mentre Angelique spalancava lo sguardo – annichilita – e il cuore del suo compagno andava a completare la pozione terminata, Scorpius si aggrappò alla cinta di suo zio, alzando lo sguardo tremante.
Il suicidio più epico della storia.
“Fallo” mormorò Diamond ad un passo dalla sua bocca, affondando le dita nei suoi capelli e spingendolo ancora più vicino a sé.
Suicidio che non avvenne per mano sua.
Altre dita penetrarono nel petto di suo zio, lasciandolo crollare contro di lui come un burattino a cui erano stati tagliati i fili.
Mentre dal calderone alle sue spalle fuoriusciva fumo nero come la pece, ritta e meravigliosa nella sua mise porpora c'era lei.
Con le dita sporche di sangue e la bocca completamente bianca lo guardò dall'alto, mentre lui veniva soffocato dal peso del corpo senza vita di suo zio.
C'era un altro calderone ai suoi piedi, più piccolo e contenuto, e quando il cuore ancora pompante di Diamond finì al suo interno la pozione divenne completamente trasparente.
“E cuore del nemico, che possa rigenerare il suo battito, fornendogli un nuovo corpo” recitò senza alcuna reticenza nel tono di voce – fissando il fumo dorato che cominciò a circondarla, contrastando fortemente quello nero alle sue spalle.
Scorpius ci aveva visto giusto quella notte. Non c'era nulla di umano in Lily Potter, nonostante avesse i capelli rossi come il sole al tramonto e il sorriso di un'anima caritatevole.
Non c'era nulla di umano nel modo in cui i suoi occhi ora vermigli venivano illuminati dalla perfidia e dalla follia. Dal potere.
Non c'era nulla di umano nel modo in cui, mentre quei due fumi s'incrociavano alle sue spalle, lei rimaneva immobile a guardare la furia più spaventosa che i maghi – in secoli e secoli – avessero mai visto.
Angelique urlò così forte che le crepe nei muri divennero voragini, il pavimento sotto i loro piedi solo un ammasso informe di detriti e le voci un eco lontano e inudibile.
Il tempo si fermò per un millesimo di secondo e la battaglia cessò. Tutti, nessuno escluso, ora fissavano quel volto dalla bellezza centenaria trasformarsi in una maschera d'orrore.
I denti di Angelique divennero zanne lunghe centimetri, i capelli cobra velenosi e il volto un accumulo di vene nere come la pece; respirava e attorno al suo corpo, in quell'istante spogliato dalla veste bianca che l'aveva coperto, s'addensavano nuvole di zolfo.
Lily rise e Angelique urlò ancora e ancora, facendo tremare le fondamenta del Ministero della Magia – ridotto quasi ad accozzaglia di cenere e pietre.
E se quel fumo dorato colpì dritto il petto di Diamond, entrando dalle narici e posandosi sul petto immobile, quello nero ritornò nel calderone da dov'era uscito – provocando un boato.
Per Harry, riverso ancora al suolo, sembrò tornare indietro nel tempo. Stava rivivendo quella scena che, anche se era invecchiato, ancora lo terrorizzava.
Quel fumo nero divenne tutt'uno con la sostanza sciolta del calderone e piano, quasi andando a tempo con il suo respiro mozzato, cominciò a dare forma ad un corpo.
Nel mentre, Angelique uccideva qualsiasi cosa gli passasse sotto mano.
Amici, nemici – fratelli, sorelle – nulla sembrava avere più importanza per lei; colpiva e andava a segno.
“Lily, sta per rinascere!” urlò Scorpius, fissando ad occhi spalancati un volto prendere forma tra quelle piaghe nere.
Ma Lily non lo ascoltava. Fissava Diamond con gli occhi intrisi di brama, quasi in attesa.
E Scorpius lo sentì: suo zio subì uno strattone e rotolò su un fianco, annaspando come se avesse trattenuto il fiato troppo a lungo e ora stesse cercando quell'aria persa quasi in modo disperato.
Quasi gli venne un infarto quando lo sentì mugolare e trattenne il respiro nel vederlo spalancare gli occhi...ora grigi. Non era lui, su questo poteva metterci la mano sul fuoco.
Quegli occhi non erano dello stesso colore di Diamond e non avevano nemmeno la stessa pazzia che li aveva animati fino a pochi minuti prima; quell'uomo non era suo zio.
“Ma cosa...” bisbigliò – quasi terrorizzato – nel vedere quei capelli biondi striarsi di nero.
Quell'uomo non era suo zio...e Lily era riuscita nel suo intento.
Sirius Black aveva appena aperto gli occhi in un corpo che non era suo.
“Lily” gemette questa volta Harry, disperato, cercando di attirare l'attenzione di sua figlia sull'uomo che ora era alle sue spalle.
Sull'uomo che ora aveva un corpo e un cuore oscuro che non gli apparteneva – ma che gli permetteva di vivere.
Nonostante i sacrifici, gli Hocrux distrutti, i suoi amati ora morti, lui era rinato. Lui era tornato e ora fissava sua figlia con gli occhi rossi spalancati – come ammaliati da qualcosa di estremamente meraviglioso.
“Salve”
Angelique si fermò e i Mangiamorte rimasti s'inginocchiarono ai piedi del loro Signore nonostante la donna che li aveva dimezzati fosse ancora furiosa; fissavano con le maschere sui volti l'uomo che aveva dato vita a tutto quello. L'uomo che aveva reso possibile ogni cosa. 
Il loro leader. Il loro unico e solo padrone.
“Interessante. Molto interessante” sussurrò Lord Voldemort, lasciando che una donna depositasse un mantello sul suo corpo – coprendo la sua nudità.
“...già mi sta sulle palle” borbottò Lily, fissando suo padre con un delicato broncio sulla bocca nuovamente rossa.
Scorpius quasi sputò un polmone ed Harry collassò nel suo stesso sangue, chiedendosi se fosse normale.
Ma quando mai sua figlia era stata normale?
“Alla fine ho vinto io” disse il Signore Oscuro, rovesciando gli occhi serpenteschi verso il suo nemico di sempre – ora ferito e ansimante.
Lily inclinò il capo e i capelli le accarezzarono la spalla piccola e fragile: socchiuse le labbra e sospirò piano, mentre quell'uomo dal volto inumano la fissava estasiato.
“Non è vero, Harry Potter?” sogghignò ancora, ignorando il pop di smaterializzazione che produsse Angelique quando scomparse nel nulla. Senza attaccare l'uomo che per rinascere aveva ammazzato il compagno di una vita.
Senza muovere un solo muscolo: scomparendo e basta, come se non fosse mai esistita.
“Tanti anni a rifiutare il potere e guarda... guarda tua figlia come si lascia cullare dalla cattiveria – dall'oscurità” e dicendo questo accarezzò il corpo di Lily con lo sguardo, frattanto Harry tratteneva i conati di vomito.
“Vedo del potenziale in te, piccolo giglio” bisbigliò Voldemort, rivolgendosi direttamente a lei.
La fissò con brama – quasi desideroso di possederla.
Lui la voleva. La voleva tra le sue file, la voleva accanto a sé.
Voleva rubare il tesoro più prezioso del suo nemico, nonostante gli avesse tolto già tutto; non era abbastanza.
Harry Potter lo aveva mandato all'inferno: aveva reso reale ogni suo incubo e doveva pagare. E doveva pagare le sue stesse pene, quelle che si erano protratte all'infinito nell'inferno in cui era stato costretto a stare prima di essere richiamato lì – nuovamente sulla terra. Lì, nuovamente tra le persone, pronto a spargere terrore. Pronto a spargere morte e dolore.
“Potenziale che potrebbe arrivare alle stelle, al mio fianco”
Harry gemette, tamponandosi la ferita con la maglia sempre più inzuppata di sangue.
Il giorno che aveva sempre temuto era arrivato: lui era tornato ancora una volta, ma ora aveva molto di più da perdere. Ora aveva la sua famiglia – quella che non aveva mai avuto – quella che si era costruito con tanta pazienza e dedizione.
La sua vita. Il suo respiro. Coloro che gli avevano permesso di vivere ancora, senza rimorsi, senza rimpianti.
“Vieni con me e avrai potere”
Il giorno che aveva sempre temuto era arrivato: lui stava cercando di portargli via la sua bambina – colei che per proteggerlo era diventata tutto ciò che aveva sempre disprezzato. Tutto ciò che aveva imparato ad accettare solo per lei.
E Scorpius capì che era arrivato il momento.
Era arrivato il momento che Lily tornasse ad essere quella di sempre; era arrivato il momento che quella cappa oscura l'abbandonasse.
E sapeva cosa fare. Scorpius l'aveva sempre saputo.
“Lily...” la sua voce si sovrappose a quella di Lord Voldemort e il contatto stabilito tra i due si ruppe: lei lo guardò di sfuggita, prima che qualcosa si bloccasse definitivamente a ciò che Scorpius stava facendo.
Ciò che avrebbe già dovuto fare tempo prima... prima che lei arrivasse a quel punto. Al punto da desiderare di seguire il nemico secolare di suo padre per il potere. Per quell'oscurità che gli scorreva dentro.
Che era nata solo per lui. Solo per proteggere lui e la sua famiglia.
E se il dolore l'aveva trasformata in quel modo, solo un dolore più grande sarebbe stato in grado di riportarla allo stato di sempre.
“Perdonami” mimò con la bocca, prima di afferrare una delle pistole che avevano usato contro i Mangiamorte e puntarsela al petto.
Chissà perché le sue dita non tremavano. Chissà perché premere il grilletto era così facile – nonostante la canna fosse puntata verso lui.
Ah, i Malfoy...così belli e terribili. Così pazzi e folli, tanto da non temere nemmeno la morte per mano propria.
In quel modo morivano quelli come lui. Restavano nascosti una vita intera e poi uscivano di scena con stile – in un modo così teatrale da farsi ricordare anche nei secoli avvenire.
Non era la paura di morire a frenare quelli come lui. Ma quella di non essere ricordati. Era quella la vera morte.
Era quella la vera paura.
Quando Lord Voldemort sentì lo sparo non si mosse, ma restò a guardare gli occhi della piccola Potter scurirsi improvvisamente. Vide quello sguardo marrone riempirsi di un dolore così grande – così immenso – da piegarla in due su quel corpo.
Lily cadde in ginocchio, piegata.
Ora aveva nuovamente la pelle liscia e levigata, rosea appena sulle guance.
Ora aveva nuovamente quegli occhi bruni che avevano fatto innamorare l'uomo ai suoi piedi – intrisi di lacrime. Intrisi di angoscia, dolore.
Le sue mani piccole e pallide andarono a stringere il volto di Scorpius, sorprendendosi nel sentire dei singhiozzi squarciarle l'udito.
Si guardò attorno e capì senza fiato che era lei. Era lei che stava singhiozzando, tremando dalla testa ai piedi come una bambina.
“Scorpius...” bisbigliò, abbassandosi su di lui e guardandolo negli occhi.

Dopo secoli risentiva il cuore battere e questa volta andava violento, correndo come un forsennato.
“Sei tu” sorrise Malfoy, prendendo quella mano che lo accarezzava tra le proprie.
Voldemort si smaterializzò e i Mangiamorte fecero lo stesso, sconfitti proprio come i loro nemici. Abbattuti proprio come gli Auror – dimezzati dallo stesso demone a cui avevano chiesto aiuto.
“Non sono mai andata via” singhiozzò Lily, piegandosi su di lui e poggiando la fronte contro la sua.
Mai. Anche quando era sopraffatta da quel male che le si agitava dentro, lei era sempre lì – accucciata in un angolo. Lei era sempre stata lì, ad amarli come aveva sempre fatto... ma a dimostrarlo in modo nettamente diverso.
“Non morire.
Non morire, ti prego” bisbigliò disperata, sdraiandosi accanto a lui e sporcandosi dello stesso sangue che per anni li aveva allontanati.
Che per anni li avevano resi diversi. Distanti. Poco consoni l'uno all'altra.
“Non morire” pianse ancora, stringendolo a sé in modo disperato e strappando lacrime commosse a chi già piangeva i perduti.
Non morire.

 

E mentre i feriti contavano i morti ed Harry Potter doveva ingoiare più di un amaro ritorno, in fondo al corridoio c'era un'altra stanza.
Frattanto James cercava, disperato e ansante, tra le lacrime che gli appannavano la vista e straziavano il cuore, di curare le ferite di Dominique – che le sfregiavano il corpo e il volto in più punti – i tre ragazzi sotto incantesimo aprivano gli occhi.
Il primo fu Dalton. Lentamente, quasi in modo estenuante, sbatté le palpebre e si ritrovò a fissare il soffitto ; si alzò a sedere lentamente, stiracchiandosi come dopo un lungo sonno ristoratore e si guardò attorno: non era ad Hogwarts né a casa sua, ma accanto a sé c'era ciò che di più caro possedeva.
Sua madre stava accarezzando il volto di Joe con dolcezza, scorrendo lungo i lineamenti fini e delicati. Ed era bella, come non lo era mai stata in vita sua.
“Mammina?” la richiamò, usando quel nomignolo che oramai si era perso nel tempo e con la crescita.
Mammina, mi leggi una favola?”
Asia alzò lo sguardo velocemente, trattenendo il respiro dinnanzi agli occhi incredibilmente chiari di suo figlio.
Non ora tesoro, io e il papà dobbiamo partire per un lungo viaggio d'affari”
Si tappò la bocca con entrambe le mani, cercando di soffocare il lungo gemito che le stava opprimendo i polmoni e la gola.
Mammina, me lo dai il bacio della buonanotte?”
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Gli stessi occhi di suo figlio – che ora la fissava esanime, senza dire una sola parola o assumere alcuna espressione.
Sei cresciuto per queste cose, Dalton... non credi?”
Senza dire nulla, senza nemmeno che lui se ne rendesse conto, lei gli buttò le braccia al collo – stringendoselo contro con così tanta forza da fargli e farsi male.
“Grazie a Merlino stai bene” sussurrò al suo orecchio, cullandolo con dolcezza.
Da quando non lo abbracciava in quel modo?
Da quando non sentiva il suo respiro tra i capelli e le sue labbra sulla fronte?
“Il mio bambino... il mio bellissimo bambino” canticchiò a bassa voce, quasi come una nenia triste.
E Dalton, dopo tanto tempo, si permise di chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Dopo tanto tempo, Dalton si permise di amare; amare veramente, come aveva amato Angelica. Come amava Joe.
“Mi sei mancata” mormorò con voce roca, chiedendosi se fosse tutto un sogno. Chiedendosi se ancora una volta qualcuno lo avrebbe svegliato.
“Non ho mai smesso di stare con te, Dalton e non ho mai finito di amarti; sei la cosa più bella che sia riuscita a fare nella mia vita” bisbigliò Asia, senza dar conto alle lacrime che le solcavano le guance.
Ed è strano. Perché un attimo prima i tuoi sogni si avverano... e un attimo dopo sei in uno dei tuoi peggiori incubi, quasi senza accorgertene.
“Avada Kedavra”
E sua madre crollò contro di lui, esanime.
Avada Kedavra, e l'ultimo sprazzo di vita abbandonò gli occhi azzurri di sua madre.
Ed è strano. Come è possibile avere il mondo nelle mani e un attimo dopo vederlo rompersi in mille pezzi?
L'ultimo Mangiamorte rimasto al Ministero alzò la bacchetta contro Dalton, convinto della sua missione suicida e Zabini non avrebbe mai dimenticato quel momento.
Non avrebbe mai dimenticato il modo in cui sua madre ora giaceva tra le sue braccia, come una bellissima e spenta bambola di porcellana.
“Avada Kedavra!”
Dalton aveva chiuso gli occhi, tremando nel rendersi conto che la voce intenta a pronunciare quell'incantesimo era femminile – dolce e, sopratutto, conosciuta.
Voltò velocemente il capo alla sua sinistra e Joe era lì, seduta ancora su quel lettino di fortuna che l'aveva ospitata per quel lasso di tempo in cui era stata sotto incantesimo. Joe era lì e aveva ancora la bacchetta puntata contro l'assassino di sua madre.
Aveva il petto ansante e la mano ferma, decisa.
“Santissimo Merlino...” annaspò la ragazza dai capelli neri, abbassando il braccio e voltando lo sguardo verso di lui – spalancato.
Aveva appena ucciso un uomo. Non sapeva nemmeno dove si trovava e aveva ucciso un uomo a sangue freddo – puntando semplicemente la bacchetta contro di lui e pronunciando quelle due parole.
“Cristo!” sibilò, abbassandosi e vomitando anche l'anima.
Aveva appena ucciso un uomo e il suo fidanzato la stava guardando senza alcuna luce negli occhi, quasi come se fosse morto al posto di sua madre.

   
 
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