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Autore: mikalesonfamily_ale    10/12/2014    0 recensioni
——NO SPOILER——
Da uno dei primi capitoli.
— L'avevi promesso. —
— E manterrò la promessa. Solo non ora. Non così. —
———————————————————————————
E' bastata una telefonata per rovinare la vita di Daisy Fill.
Un incidente stradale quasi mortale manda la vita di Damon Salvatore su un filo.
E' lui, che le promise un per sempre a lieto fine. Lui c'è ancora, lei lo sa, ma adesso che le loro vite sono cambiate radicalmente, sarà possibile un lieto fine?
———NO SPOILER———
Sullo sfondo della cara Mystic Falls, un Damon Salvatore che tutti conosciamo - descrizione fisica e caratteriale che rappresenta per maggior parte la serie, non i libri.
Non ci sono spoiler, comparirà il personaggio di Elena e l'otp Delena (e Stelena) ma LA TRAMA NON SEGUIRA' IL FILO DELLA SERIE NE' DEI LIBRI, MA UN FILO A SE'.
Sarà presente Klaus, rallegratevi.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena, Elena/Stefan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi risveglio nel letto dove apro gli occhi ogni giorno della mia vita, da quando avevo dieci anni. Ho la mente confusa. Ricordo solo di essere stata al Roffie Bar, di aver scherzato e giocato con Charlotte dopo il lavoro e di essere tornata a casa. E’ stata una bella giornata. Sul calendario è segnato che è venerdì, perciò è il turno di Dean, oggi... solitamente mi chiede di andarlo a trovare, ed infatti ricordo benissimo che l’ha fatto, ma stavolta prendo il telefono e digito il suo numero senza pensarci.
— Daisy?
— Dean, ciao. — dico, scendendo le scale del palazzo. La Fletcher è ancora in casa. Arrivo fuori all’edificio in fretta e aspetto il pullman. — Ti ho chiamato perché...
— Stai bene?
La sua interruzione mi lascia sconcertata. L’ha detto con una forte tensione, un po’ preoccupante. — Sì. Sì, sto benissimo. — Le parole mi escono da bocca quasi come se non avessi mai immaginato di dirle. Quasi fossero uscite dalla bocca senza passare tra i miei pensieri. Come se me le avesse dettate qualcuno e io le avessi ripetute. A pappardella. Forse la testa fa davvero troppo male. Dovrei prendere un taxi. — Perché? —
Dean non risponde. Esita un po’. Lo faccio anch’io. Metto la mano libera nella tasca larga della felpa e sospiro.
— Okay. — fa lui, evidentemente sentendo il mio sospiro. E’ come un segnale che mi permette di parlare. Fermo una macchina per passare ed attraverso, arrivando al centro della strada, dove c’è un piccolo pezzetto d’erba per fermarsi: — Oggi hai il turno al Roffie? —
La voce gli si affievolisce. —  Sì, sì. Se vuoi restare a casa fai pure.
Okay, è altamente preoccupante. Scuoto il capo. — Dean, tutto bene? — lo interrompo.
— Sì, credo, Daisy... il problema è se a te va tutto bene —
— Sì, a me va benissimo. Perché non dovrei venire al bar? —
Lui sospira: — Okay, Daisy, diciamo che io non ce la faccio ad ignorare la cosa. Ma se tu lo fai, lo farò anch’io.  —
— Quale cosa? —
Dean esita: — Ho sbagliato. Ho sbagliato a dirtelo così. Io... — poi fa una risatina nervosa. Va bene, basta scherzi. Decido di cambiare discorso, ma le parole che avevo intenzione di dire prima - «Senti, non mi sento tanto bene e non credo verrò al bar, mi dispiace» - le escludo completamente.
— Sai che c’è? Oggi vengo al bar. —
— Cosa? —
— Sì. E mi racconti tutto di questa ‘cosa’ dopo. Ci vediamo a scuola. — E non ascolto neanche la risposta. Attacco, metto il telefono in tasca e faccio segno ad un taxi di fermarsi.
 
Sono nel taxi più puzzolente che potessi trovare, ma devo sopportarlo. Molto, molto meglio l’autobus. Nel giro di un quarto d’ora sono fuori al vialetto dietro alla scuola, pago il taxista e scendo; nel vialetto c’è sempre gente che conosco, tipo i ragazzi della nostra scuola o quelli che generalmente frequentano il Roffie. Ed infatti ci sono Dean e Charlotte, con un altro paio di persone. Li saluto con un cenno allegro della mano, e Charlotte abbassa lo sguardo e mi abbraccia.
— Ehi. —
— Ehi! Oggi vieni anche tu a trovare Dean al bar? — domando.
Lei mi guarda stupita. — Cosa, vai al bar...?
Sbuffo e comincio a camminare verso l’incrocio della scuola, assicurandomi che i due mi seguano. — Perché non dovrei andarci? Tu e Dean mi state tormentando. —
— E’ per quella cosa. — Charlotte non mi guarda. Ha lo sguardo fisso sulle sue scarpe da ginnastica rosse firmate Vans. — Pensavo volessi far passare più tempo prima di, beh, insomma, riprendere a... — Si ferma, porta un dito sotto all’occhio destro e si asciuga una lacrima. Anche io e Dean ci fermiamo e lui le stringe il braccio e le sussurra qualcosa all’orecchio. E’ tutto troppo strano. Perché piange? Che succede? Charlotte tira su col naso e annuisce: — Sì, sì okay, parlale. Io... io vado più avanti. —
E lo fa, si allontana. A quel punto Dean si volta verso di me e mi da un bacio sulla guancia. Io arrossisco. E’ il mio migliore amico da tanto tempo, forse troppo, e mi sento bene con lui, come se fosse un fratello.
— Ascolta, oggi vorrei portarti a Mystic Falls. O domani, come vuoi. Se devi studiare va benissimo andarci nel pomeriggio. —
— Mystic... Mystic Falls? — borbotto. Che diavolo dice, adesso? E’ da un sacco di tempo che non ascolto questo nome. Perché dovrei andare a Mystic Falls? — E perché?
Dean mi guarda con espressione ovvia. — Beh per... vederlo. Cioè, per andare all’ospedale. —
— Vedere chi? — Sospiro. Mi sento una stupida. Non so di che parlano, sono loro che mettono strani argomenti in mezzo, eppure mi sento io una sciocca a non saperlo. L’unica persona che conosco di Mystic Falls è...
Dean sospira esasperato: — Damon! Damon Salvatore, Daisy, dai! — Quasi grida. Se ne rende conto, evidentemente, perché porta una mano alla bocca e guarda con spavento la mia reazione. Ha sempre avuto problemi di questo genere.
Io lo scruto attentamente e mi gratto la testa: — Perché dovremmo cercare... lui... all’ospedale di Mystic Falls? Sta male? —
— Non hai ascoltato l’ultima parte della chiamata? — Poi si interrompe, perché siamo fuori scuola. La giornata passa in modo regolare e noioso: un paio di ore di studio, un intervallo brevissimo. Mi salto l’ultima ora perché Dean dice che deve parlarmi urgentemente, e Dean viene prima di tutto. Perciò esco di soppiatto dall’edificio e aspetto fuori scuola, fischiettando per eliminare la tensione. E’ da quando ha pronunciato il nome ‘Damon Salvatore’, che non riesco a togliermelo dalla testa. L’unico fatto che mi disturba è che ricordo tutto di lui, ma il suo aspetto, seppur lo conosco assai bene, non mi è chiaro. Mi spiego meglio: se dovessi descriverlo, lo farei facilmente, ma se dovessi immaginarlo nella mia testa... non riuscirei più a vederlo come lo vedevo un tempo. Con gli stessi occhi persi, innamorati, di una volta. Quando tutto era più facile, e più bello.
— Sei qui. —
Mi volto ed ecco il mio amico proprio di fronte a me, in piedi, con le mani nelle tasche dei jeans. — Dean. Cosa dovevi dirmi? —
— Io... — si avvicina a me e mi squadra un po’ indeciso — Devo dirti una cosa.
— Dimmi. — Lui tace. Sospiro. — Non mi avrai fatto perdere un’ importantissima lezione
di letteratura inglese con la Gilgash, vero? —
Lui ride, chiudendo gli occhi. — Senti, è una cosa che sto cercando di dire con calma, ma sappi che è molto difficile per me... —
— Vai, Dean. Lo sai che ti ascolto e non ti giudico, non sono la tipa che si arrabbia. —
Lui ridacchia, si blocca, tossisce e riprende. — Tu? Tipa che non si arrabbia? Ha! —
— Andiamo avanti? —
— Sì, scusa. — Si schiarisce la voce e fa un respiro profondo. — Daisy... —
E poi ecco di nuovo che si blocca. Sbuffo: — Andiamo, Dean! —
— Aspetta. Cos’è quello? — domanda. Guardo dietro di me. — Quello cosa? —
Lui fa tintinnare i ciondoli del braccialetto sul mio polso. Il braccialetto? Non ho mai portato un braccialetto così.
— E’ nuovo? — domanda.
— In realtà... — Do un’occhiata al mio braccio e lo muovo un po’ per sentire il tentennio dei ciondoli. E’ bellissimo, ma non è mio. In mezzo agli altri quattro o cinque bracciali, - sono una tipa eccentrica in queste cose, sull’altro braccio ne ho anche di più - eccolo lì. Quando noto la scritta, poi, per poco non lancio un grido. Tiffany! E quando li avrei pagati così tanti soldi per un braccialetto? Dean non smette di guardarlo. — Sì. L’ho comprato qualche giorno fa da... Tiffany. —
— Alla Tiffany? Devi averlo pagato una fortuna! Sei andata fino a New York o... —
— Sì, sì, emh, no, non proprio, ma... — Gli lancio un’altra occhiata. — E’ un regalo di alcuni zii delle parti Newyorkesi. —
— Brooklyn? —
— Midtown. Ma è uguale. — rispondo, distrattamente.
Lui annuisce.
— Allora, che volevi dirmi? — chiedo. Lui scuote il capo; anche lui è distratto e non sta seguendo davvero la conversazione. Fissa il braccialetto con troppa intensità. — No, non è niente. Magari un’altra volta. —
— Va bene. —
— C’è... c’è un’altra cosa che volevo chiederti. — sussurra.
— Cosa? —
Dean indugia con le parole. Sospiro, però lui avverte il mio nervosismo e risponde con più agilità. — Riguardo a... beh, ricordi l’argomento di stamattina? —
Annuisco. Non ho voglia di parlarne. Che potrei dire? Fortunatamente lui continua senza che dica una parola: — Dicevo che Damon sì, è all’ospedale. E tu non hai ascoltato il resto della registra... — Si blocca nuovamente. E’ un vizio? — Ah, ma... sì, tu hai attaccato. Cioè, non hai sentito tutto. Hai attaccato poco prima che finissi la frase. — Si gratta la fronte, nervoso. Sta parlando da solo? — Sì, però poi ho chiamato Charlotte, quindi l’hai sentito. Credo. Beh, io l’ho detto, perciò avrai sicuramente sentito. Oh, diamine, Daisy, qualcuno deve pur averti detto che Damon ha quasi rischiato la vita per quello stupido incidente del... —
La sua espressione cambia di colpo. Ha un’espressione talmente corrucciata da farmi venire il dubbio che possa rimanere paralizzato così per sempre. Non si è neanche accorto che anche la mia è cambiata. Sono completamente esterrefatta. Quasi non riesco a parlare. Mi manca il respiro. Damon. Damon Salvatore. Incidente. Ha rischiato la vita.
— Mi... mi dispiace. Non volevo dirlo così. — balbetta. Poi china il capo — Per te già è difficile senza che io parli in questo modo... è solo che tu... tu. — Si blocca. — Ieri mi hai chiamato dall’Ospedale di Mystic Falls. Tu eri a Mystic Falls, Daisy. —
— Cosa? —
— Sì. Mi... mi avevi lasciato una chiamata in cui dicevi che stavi andando a Mystic Falls, stavi piangendo. Di nuovo. Tu stavi andando all’ospedale e non me l’hai detto! Daisy, tu... potevi farti del male! —
L’ospedale di Mystic Falls. Damon Salvatore. Incidente. Ha rischiato la vita. Farmi del male.
— ...e io e Charlotte? Che avremmo fatto se ti fosse capitato qualcosa? Se ti fossi scontrata con qualche animale? Stavi guidando da sola in un’auto, a tipo 400 km di distanza e... —
L’ospedale di Mystic Falls. Damon Salvatore. Incidente. Ha rischiato la vita. Farmi del male. Facendomi del male.
— ...e poi già l’altro giorno ti avevo detto di non tornarci mai più! —
— L’altro giorno? —
— Sì... quando sei andata a Mystic Falls... il giorno in cui Damon... beh, hai capito. —
— Aspetta — Lo interrompo quasi aggredendolo, e mi dispiace, ma ho le idee confusissime e voglio capirne di più. — Io sono stata a Mystic Falls? —
— Sì. —
— E quando... dov’è successo l’incidente di... insomma...? — Non voglio pronunciare il suo nome. Come stamattina.
— Nelle vicinanze di Williamsburg. O almeno così ha detto l’ospedale di Mystic Falls. —
Non è così. L’incidente è andato in un altro modo.
— Dean io... — balbetto. Non trovo le parole per dirlo... come lo si può dire? — Io credo che lui non fosse a Williamsburg quel giorno, ma proprio a Mystic Falls. —
— E perché dici questo? —
Perché c’ero anch’io quel giorno, e non è stato un incidente.
Damon è quasi morto per salvarmi. Da qualcuno che aveva cercato di aggredirmi. I ricordi cominciano a tornare in piccoli frammenti, come schegge di cristallo che si uniscono ricomponendo uno specchio, un bicchiere di vetro, una cornice. Si era schiantato contro la bestia, e anche il suo viso si era trasformato in un secondo in qualcosa di anormale, strano e sconosciuto. In un mostro.
I miei ricordi finiscono qui. 
   
 
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