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Autore: ToscaSam    11/12/2014    0 recensioni
Dopo la caduta di Lord Voldemort, Draco ha intrapreso un lungo viaggio interiore alla riscoperta di quello che effettivamente voleva essere. Ma i suoi pregiudizi, così profondamente radicati in lui, hanno attanagliato la sua anima per troppo tempo. Solo una mano gentile e capace potrà estirpare le erbacce e dare nuova ai fiori desiderosi di sbocciare.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Non avevo mai conosciuto Draco malfoy, che sarei io'
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Se quei due giorni furono lenti, non si può nemmeno immaginare.
Ogni volta che il pranzo o la cena obbligava gli studenti a sedersi nei tavoli delle rispettive case, Astoria metteva sempre la sua aria altezzosa e mangiava con una velocità indicibile, per poi ritirarsi. Attorno agli occhi le si stavano creando delle ombre violacee che cozzavano con la sua carnagione pallida e giallognola, facendola sembrare malaticcia. La sua finta muraglia si stava sgretolando e sarebbe arrivata a distruggersi in breve tempo.
Quando finalmente arrivò la vigilia di Natale, Draco sentì dentro di sé un moto di liberazione; un sospiro di sollievo che si tirò da solo: quella sera alle nove sarebbe iniziato il Ballo.
Era lui che si era cacciato in quella situazione, e lo sapeva, eppure tra non molto ci sarebbe stato solo da sorridere su tutta la questione.
Almeno era quello che sperava.
Era l’ora di pranzo e Astoria era appena fuggita con elegante calma dal suo tavolo per andare a rinchiudersi nel dormitorio femminile.
Con indifferenza, anche Draco si alzò e seguì con l’orecchio il rumore dei passi che scendevano nella Sala Comune, ed infine il clangore della serratura.
Nello stomaco di Draco c’era un formicolio odiosissimo, che rischiava di mandare all’aria il piano che aveva in mente, facendogli emettere risolini sgraditi.
Toc . Toc.
La porta si aprì in fretta, lei era sempre lì vicina.
Quando vide chi le stava di fronte parve colta alla sprovvista e non fece in tempo ad indossare la faccia austera, quindi rimase semplicemente impietrita.
« Che cosa vuoi?»
La sua voce tradiva una certa emozione.
« Il professor Lumacorno ha detto che avrebbe piacere di vederti al Ballo»
« Ma davvero?» sembrava ironica e quasi disgustata.
« Si, me l’ha detto un paio di giorni fa»
« E lo dici adesso?»
« Si».
C’erano delle fiamme nei rispettivi occhi, che non prevedevano spiegazioni o richieste. L’importante era che quella conversazione finisse subito.
« Digli che io invece non ne ho piacere»
Disse infine Astoria, chiudendo nuovamente la porta, dando addirittura una mano di serratura.
 
Il pomeriggio al castello si rivelò noioso e snervante.
C’erano porte chiuse e schiamazzi femminili da dietro di esse.
Le femmine. Che strane creature. Come tante allodole se ne stavano nei loro nidi a farsi belle per i piccioni che le avrebbero strette a sé quella sera.
Eppure in un nido lontano e sotterraneo, una gazza se ne stava inquieta e silenziosa. Draco poteva immaginarsela nitidamente.
L’orologio pareva pietrificato. Le lancette scivolavano lente e svogliate. Non coglievano la trepidazione delle giovani studentesse, né l’impazienza di uno spirito pensieroso.
 In un qualche modo, arrivò l’ora che Draco stava aspettando. Si chiese se avesse l’aria ridicola, uno che aveva passato tutto il pomeriggio nella nuova Sala Comune di tutte le Case a fissare l’orologio a pendolo.
Sentendo tuttavia una specie di scossa elettrica percorrergli la schiena e le articolazioni, riuscì ad alzarsi e a dirigersi a quella porta che poche ore prima si era visto sbattere in faccia.
Cercò di cambiare lo stile di bussare, tanto per evitare che una imbronciata e vendicativa Astoria decidesse di non aprirgli. Evidentemente riuscì nel suo intento, o la diretta interessata non fece caso allo strategico cambiamento di battiti.
Quel che ne uscì fu il solito uccellino spaurito, che parve accorgersi di essere piombato dritto in una tela di un gigantesco ragno.
« Che cosa vuoi?»
Stavolta il tono era esasperato.
Lo fissò esercitando tutto il potere dei suoi occhi neri.
Poi notò lo sguardo concentrato e sprezzante di colui che aveva disturbato la sua quiete, così aggiunse:
« Cosa stai guardando in quel modo?»
« Il tuo abbigliamento, ovviamente»
« Che vorresti dire?»
Era sulla difensiva, ma se lui l’avesse costretta sarebbe stata pronta a colpire. Lo si vedeva dallo sguardo selvaggio e dalla lingua affilata.
« Sono le otto. Hai un’ora esatta per prepararti. Vedi di non fare tardi»
Gli occhi di lei si inselvatichirono e divennero due fessure taglienti:
« Ti ho detto che non ci vengo»
« Non esigo intransigenze. Non andrò al ballo senza una compagna».
Lo sguardo di Astoria cambiò: come una lastra ghiacciata che si fosse rotta d’un pezzo, rivelando le acque lucenti e morbide sotto di sé.
Era ancora molto guardinga, ad un certo punto i suoi occhi vivi si fecero di nuovo apatici:
« Pansy Parkinson ti ha dato buca?» disse aspramente.
« Che diavolo c’entra Pansy Parkinson?»
« È quella che hai invitato»
« Questo l’hai detto tu»
Ancora non si piegava:
« E allora, quella che avevi invitato ti ha dato buca?»
« La sto pregando di non farlo, proprio in questo momento»
« Ma tu … io …»
« La mia proposta non è cambiata a quanto mi risulta. E ora ripeto. Hai un’ora esatta. Non fare tardi o potrei irritarmi».
Il viso di Astoria si illuminò di una luce perlacea come una pietra preziosa.
« Oh, non sia mai, per carità!»
  
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