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Autore: DwalinTonante    12/12/2014    0 recensioni
Igvärd è un giovane fabbro ambizioso che brama il sogno di divenire una figura tra le più rilevanti nel regno di Vängardia, per dimostrare non solo a sé stesso ma anche al suo popolo il proprio valore.
Deriso in una società obsoleta mossa dal virus di odio e avidità che infetta qualsiasi persona, in uno scenario ricco di guerre, avventure e insidie che metteranno alla prova emotivamente il nostro personaggio.
Sul suo cammino incontrerà gente di qualsiasi genere, giungendo, infine, alla scoperta della minaccia più grande che soccomberà inaspettata.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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                                                      CAPITOLO 1 : WINTERWOLF


 Lavenport  / anno 1750 – vent’anni dopo gli eventi della prefazione /
 Terzo *Mánandagr d’autunno




Le tenebre della notte erano calate sulla città di Lavenport  ed Igvärd si affrettava a chiudere la fucina in cui lavorava fin dalla giovane età di otto anni. Aveva passato l’intera mattinata a forgiare armi e utensili di vario genere ed uso quotidiano, odiando alla follia il macellaio che gli aveva richiesto venti ganci in acciaio da cui si era procurato un taglio sul palmo della mano, durante le operazioni di raffreddamento del metallo. Sospirò la propria frustrazione agli dèi, mentre chiudeva con un lucchetto grande quanto la sua mano, le cigolanti porte, in legno, della bottega.  Forse Khatrin, sua madre, aveva qualche rimedio da poter usare per disinfettare e placare il dolore che lo perseguitava. Nemmeno il gelo della notte era capace di alleviarlo.
Durante il tragitto verso casa,  una strana figura catturò la sua attenzione. Il buio annebbiava l’arguta vista di Igvärd, ma nonostante ciò riuscì a distinguerne il vestiario : il volto era coperto da un cappuccio di lino color nero, quindi gli era impossibile distinguere chi fosse, inoltre indossava una tunica nera dello stesso materiale del cappuccio. Oltre a questo non riuscì a denotare la forma fisica, in quanto corse via verso una stradina. La curiosità non lo trattenne dal seguire  quella ambigua figura. Chi diavolo si aggirava per Lavenport a tarda ora? Non vi erano risposte certe, ma qualcosa stava succedendo. Doveva assolutamente sapere. Igvärd era fatto così, amava svelare situazioni del genere. S’impose di seguire i passi del misterioso individuo, intraprendendo anche lui quella buia via. Non vi era l’illuminazione fioca di case e negozi ovvero le torce accese da cittadini e negozianti durante la notte, lì non c’era nulla e la vista gli era parzialmente impossibilitata. La strada era un vicolo cieco, se ne accorse quando dinanzi a lui non c’era altro che un muro di pietra. Ragionò a lungo, osservando l’ostacolo e l’area circostante : c’erano solo le mura portanti delle abitazioni, assenti anche porte da cui accedervi, tuttavia ben sapeva che l’ingresso si affacciava sulla la via principale che avrebbe dovuto percorrere, inoltre non c’erano particolari oggetti in cui nascondersi. Era totalmente vuota. Cosa stava accadendo?  Forse la stanchezza gli giocava un brutto scherzo? Con questo pensiero decise di ritornare a casa.
Dopo essersi nuovamente incamminato lungo la via principale con il dubbio di ciò che era accaduto che continuava a tormentarlo, così come il dolore della ferita, arrivò a casa.
Kathrin aveva acquistato quella casa vent’anni prima, dopo essere fuggita da Nhoringard. L’aveva comperata attraverso una somma di denaro regalatagli dalle sorelle Winterwolf, al fine di riavviare la nuova vita. Igvärd, aprì la porta e si guardò intorno. Non c’era luce e il tavolo posto al centro della stanza era privo del solito vaso di fiori, le sedie erano al loro posto così come le aveva lasciate nel diurno prima di uscire. Pareva inabitata, stranito si avvicinò alle due mensole vicino alla finestra che dava sul mare, passandovi il dito sopra. C’era qualcosa di strano, vi era troppa polvere e ciò era indice di una mancata pulizia solita non mancare mai vista la pazienza di Kathrin di ripulire disordine e sporcizia. Inoltre il camino era spento, il gelo era l’unico abitante della stanza e non vi erano i resti di pietanze cotte. Preoccupato, scattò nella stanza accanto.
-Madre! Madre!
Sbraitò muovendosi rapidamente verso il letto a baldacchino, dove le coperte erano rigonfie di una presenza che non parve smuoversi ai richiami. Che fosse morta? Non osava nemmeno pensarlo, aveva troppa paura di perdere l’unica persona cara in quella dannata vita.
-Madre!
Ora era vicino alle coperte, a quel punto tastò quel che al tatto pareva un braccio. Improvvisamente uno schiaffo lo colpì in maniera violenta e l’accumulo di dolori parve non finire.
-Cos..
Soffocò massaggiandosi la guancia, mentre il dolce volto della madre sbucava da sotto le coperte. Il tempo non l’aveva sfiorata, era bellissima e aggraziata come un tempo. Beh, ora non tanto aggraziata piuttosto pareva un feroce lupo.
-Devi smetterla con questi assalti notturni! Sei la disgrazia della mia vita, nonché futura causa d’infarti!
Era nei guai e un altro schiaffo non glielo toglieva nessuno. Nemmeno gli dèi avevano il grande potere di controllare l’ira funesta di una madre inacidita. Non sapeva dove volgere lo sguardo, l’armadio non avrebbe preso le sue difese, come nemmeno il comodino in legno, semmai avrebbero ospitato la sua testa in un contesto di violenza.
- Chiedo venia, madre. Io..non volevo,  ho temuto viste le condizioni della vostra salute.
Il tono di voce si abbassò radicalmente, come se uno schiaffo potesse accordare le corde vocali. Si sentiva imbarazzato e cercò di non aggiungere altro, mantenendo  lo sguardo lontano da quei due occhi neri come la notte.
-Non serve scusarti, piuttosto mi hai ricordato una persona ….
Khatrin non volle concludere quella frase perché avrebbe fatto più male ad Igvärd che a lei. Aveva promesso che suo figlio non doveva sapere, doveva crescere libero dal passato.
-Chi madre?
Chiese Igvärd, spalancando quei due occhi verde smeraldo con il quale si era guadagnato il soprannome di “Occhi di gatto”, in tutta la cittadina. In quell’istante aveva avvertito uno strano stato d’animo in Kathrin, la fronte non era più corrugata dalla rabbia, gli occhi parevano freddi e gelidi, come se un fantasma si era manifestato al suo sguardo.
- Il dio Thròn, ha …. il tuo stesso sguardo. Adesso vieni con me, dobbiamo medicare quella brutta ferita.
Una conclusione piuttosto strana, a parer di Igvärd, ma comunque poco rilevante in quel momento, visto che Kathrin si era accorta della ferita. La tensione di qualche secondo prima gli aveva fatto dimenticare il dolore, ma bisogna pur affrontare i propri mali, no? E conobbe lo spiacevole effetto dell’alcol su di una ferita aperta.
Strinse i denti e strizzò gli occhi per evitare di svegliare l’intero villaggio, sentiva dentro di sé i polmoni pronti a dare fiato alle corde vocali che avrebbero distrutto persino le mura della fortezza degli dèi!
- Sta calmo, abbiamo finito!
Cercò vanamente, Kath, di calmarlo a parole. Il viso di Igvärd era diventato rosso di dolore, come una spada forgiata nelle fiamme roventi. E questo ricordo accentuò ancor di più il male. Ogni pensiero veniva a concatenarsi come un sillogismo; in quel momento odiava la propria condizione.
Passarono pochi minuti prima di ritrovarsi una mano bendata, di tessuto scomodo e ruvido che impossibilitava il movimento delle falangi. Come poteva l’indomani adoperare l’enorme martello con cui forgiare diciotto spade? Magari poteva concedersi un giorno libero, dopo mesi. Non era una cattiva idea, però poteva risultare un paradosso. Ci avrebbe pensato domani. Era finalmente giunto il momento di dormire, di mettere da parte ogni avvenimento, chiudere gli occhi e recuperare le forze.
Kath, era già nel letto e aveva ripreso il sonno interrotto. Igvärd, la fissò a lungo dalla sua branda ai piedi dell’armadio, mentre ritornava con la memoria al dialogo avvenuto prima. Non avrebbe dovuto svegliarla così, poteva  concretizzare le conclusioni affrettate. Temeva per l’aggravarsi della salute di sua madre, si teneva su di un bastone quando camminava, era sempre più debole. Con quest’ultimo pensiero chiuse gli occhi e calò in un sonno profondo.
Era disteso sul suo letto quando udì alcuni passi provenire dalla stanza accanto, avvertiva una strana sensazione, come se qualcosa stesse per sbucare da un momento all’altro. Saltò giù dal letto in cui dormiva, camminando in punta di piedi verso l’armadio, per poi aprirlo senza far troppo rumore e cercare tra la marmaglia di abiti, una spada. Ebbene, aveva forgiato quella spada due anni prima, in modo tale da poter arruolarsi nella guardia cittadina, ma la domanda gli fu negata per motivi di cui ignorava l’esistenza.
L’impugnò con entrambe le mani e ad un tratto s’illuminò di un rosso rubino. Come può una spada illuminarsi così? , pensò  mentre avanzava lentamente sperando di non far svegliare sua madre. Aveva raggiunto lo stipite della porta, i batti del cuore acceleravano dalla paura. La tensione cresceva sempre di più, improvvisamente i rumori avevano smesso di ripercuotersi. Cominciava a sudare a freddo dall’ansia, ma nonostante ciò raccolse ogni forza per armarsi di coraggio e piombare nella stanza!
L’unico problema è che non c’era nessuna stanza, solo … l’infinito, come osò descriverlo. Sembrava un ritaglio di cielo che rivestiva le pareti e il pavimento. C’erano milioni di stelle e strani mondi di forma e dimensione diversa. L’ultima volta che aveva fumato la pipa di Corvin, lo sciamano, non gli era parso di vedere stelle brillare. Improvvisamente venne sbalzato via da una strana corrente boreale, il freddo gli trapassò le ossa e non riusciva a muovere braccia e gambe. Cadde nel nulla.
In lontananza sentì alcune voci familiari, che le stelle avessero voce propria? Era improbabile.

“Igvärd! Aiutami! Preparati!

 In un battito di ciglia sentì sbattere la testa, come se avesse raggiunto la meta di quell’infinito cosmo. O forse no? Un pugno gli fece rimescolare lo stomaco, non era un pugno qualsiasi e se ne accorse quando aprì gli occhi assonnati. Era Allie, la giovane vicina di casa che ogni mattina aiutava Kath nelle faccende domestiche, se l’era quasi scordato.
-Dannazione Allie, devi smetterla con i pugni allo stomaco mentre dormo!
Quando riaprì gli occhi lei gli fu fatale, come un raggio di luce accecante, con quei capelli che parevano ciuffi d’oro puro, il viso dolce e delicato, con quei due occhi blu e perfetti che davano la sensazione di navigare in un oceano immenso , senza fine, ed un sorriso bianco vivo come la sua pelle.
-Tua madre mi ha raccontato che ti sei ferito … e volevo vedere se eri ancora vivo.
 Non tralasciando dettagli come l’incredibile mascolinità, una dote da far paura anche al più forte dei cavalieri di Nhoringard. L’unica pecca è che era già promessa in sposa, Igvärd ci avrebbe sperato in un  relazione con lei.
- Sono vivo, grazie per avermelo ricordato con quel pugno.
Controbatté ironicamente una volta rialzatosi, ricambiato da un dolce sorrise e un occhiolino quasi malizioso di Allie, la invitò, con un regale inchino, ad andare nella stanza accanto per fare colazione con lei e sua madre.
- Buongiorno Igvärd, come va la mano?
La voce della madre lo raggiunse non appena si accomodò sulla sedia; lei era in piedi a preparare la colazione, aiutata da Allie. Il menù di quel mattino fu cosciotto d’agnello e avena, bisogna ben sapere che l’alimentazione non segue regole fondamentali e il pasto varia di giorno in giorno, così era per tutto regno eccetto le ricche e prestigiose colazioni dei nobili. Fortuna a loro e che gli dèi possano regalargli una carestia infinita. Sospirò e scosse il capo al triste pensiero di una pesante colazione, nel frattempo mobilitò le falangi della mano chiudendole in un pugno. Sembravano essere guarite, ma non era così, il dolore ritornò non appena sforzò maggiormente la mano, subito la riaprì cercando di far dissolvere il dolore.
- Male madre, come ieri notte se non peggio.
Nel frattempo gli era stato poggiato un enorme piatto di terra cotta, abbastanza assottigliato e dalla forma quasi ovale, con all’interno un cosciotto d’agnello grande quanto il suo polpaccio. Non avrebbe digerito mai più nella sua vita.
- Allie ti va di dividerlo?
Chiese cordialmente alla ragazza che era occupata a spazzare la stanza. Al sol sentire di quella domanda, infatti, lei non diede risposta veloce, dapprima lo guardò di sottecchi e poi scosse il capo come se inorridita. Che fosse così male la cucina di sua madre? Questo no, ma servire un cosciotto d’agnello di quelle dimensioni lo avrebbero mandato al bagno in un battibaleno e la giornata l’avrebbe passata così;  il gabinetto l’avrebbe accusato di molestie solo per la puzza che avrebbe sollevato. No, no. Un pezzo di pane e burro potrà bastare.
- Madre conserverò il delizioso pasto, lo consumerò stasera di ritorno da lavoro. Per ora mi basta un pezzo di pane e qualche fendente di burro sopra di esso.
Non voleva per nulla ferirla, sarebbe comunque ritornato sulla questione in un secondo momento, in modo tale da poterla aiutare sulla scelta delle vivande a colazione. Ora aveva soltanto bisogno di  sbrigarsi, il sole si stava levando sempre di più nel cielo, doveva andare a lavoro. Il sol pensiero era noia.
- D’accordo figliolo. 
Kathrin parve per nulla ferita,  al contrario era calma e continuava a lavare i piatti e gli utensili usati da lei per la colazione. Era contento nel vederla tranquilla e rilassata, Allie le giovava molto ed era affidabile come poche nella cittadina. Così come era bellissima, senza eguali. Tornò nella stanza da letto, diretto verso l’armadio per vestirsi e dare una ripulita al viso assonnato, con l'acqua rimasta nella bacinella. Improvvisamente venne interrotto sul punto d’indossare la maglia in lino. Aveva già immaginato di chi poteva trattarsi.
- Igvärd!
Allie era piombata nella stanza, alterata e impaurita. In pochi secondi venne raggiunto da due guardie che erano entrate di prepotenza nella casa. Due colossi per la precisione, con cotte di maglia e armature d’acciaio che parve riconoscere subito, l’elmo era quadrato. Sembravano due novellini, quelle spade non erano effettivamente spade, parevano taglia carte, inoltre la lama e l’elsa erano di fattura scadente. Ma bando ai dettagli, cosa diavolo stava accadendo? Due giorni di ambigui eventi, al quale non riusciva a dare spiegazioni.
Erano due guardie del feudatario di Lavenport; il primo sfoderò la spada e la punto contrò Igvärd, il secondo cominciò a leggere una lunga pergamena. Non sapeva cosa fare, se attaccarli e sperare di metterli al tappeto oppure parlare e capire.

“Signor Igvärd Winterwolf, lei è accusato di essere il diretto discendete di Rudolf Winterwolf, ex-regnante di Nhoringard. L’imperatore vi chiama al suo cospetto per un pubblico giudizio. Deve pagare per i crimini di vostro padre, ovverosia : Abuso di potere, cattiva condotta nei confronti dei regnanti vicini, stupro di donne, furto di denaro direttamente dalle casse del reame, politica espansionistica non approvata dal re.”

Kathrin nel frattempo era svenuta, Allie la stava assistendo in cucina. Igvärd veniva portato via dall’abitazione e il suo ultimo sguardo incrociò quello della giovane che forse non avrebbe più rivisto.
Era arrabbiato, non capiva, cosa gli stava accadendo?






Angolo autore : 

* Lunedì, secondo il calendario norreno. 
 
Okay, è giunto per Igvärd il momento di affrontare il suo destino e di iniziare la sua avventura in questo regno! 
Spero vivamente di essere chiaro nei dettagli e di saper scrivere in maniera abbastanza decente. 
Grazie per aver letto e spero nelle vostre recensioni (anche per aiutarmi a crescere come "scriba"). 

CORDIALI SALUTI, DWALIN.
   
 
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