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Autore: Mikirise    13/12/2014    3 recensioni
C'erano parecchie cose sbagliate in quella situazione.
Insomma, Reyna era una romana, un pretore, una guerriera, non una principessina rosa coi capelli pettinati.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mitchell, Reyna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Grazie mille a chi continua a leggermi ed a recensirmi, siete… incredibili!
❤️





 

Il compito dei figli di Afrodite

Un pomeriggio con Mitchell, tra rosa, bambole, vestiti alla moda e tante chiacchiere all'apparenza inutili

Parte Due: Quel che è successo dopo









Fu così che Reyna si trovò nella Capanna Dieci, seduta sul letto di un ragazzo -per la prima volta in vita sua-, con le gambe incrociate e i sandali rivolti verso l'alto, mentre Mitchell, molto casualmente, le teneva la mano, dipingendole le unghie di viola e parlottando irritantemente.

La Casetta dei figli di Afrodite era così da Afrodite, che la romana dovette trattenersi da fare gli stessi versi che i bambini fanno quando vedono qualcosa di pacchiano ed eccessivo e non risultare offensiva, o insolente.

Le tende davanti alle finestre erano rosa, le pareti erano rosa e bianche, i mobili erano rosa, con alcune sfumature di rosso, le lenzuola erano bianche e rosa e Reyna sentiva di voler vomitare tutto quel rosa, insieme a quegli stupidi poster di attori e cantanti famosi che tappezzavano le pareti, interrompendo quel rosesco rosa. La tenda che divideva la sezione maschile da quella femminile era rigorosamente rosa, con dei disegni bianchi, rossi e dorati. E, strano ma vero, tutti gli specchi, in quel monento erano coperti da graziosi tendaggi, questi non rosa ma di tutti i colori.

E Reyna sarebbe voluta veramente morire.

Voleva tornare indietro nel tempo e seguire l'Idiota con Due Corpi verso il lago.

Mica stupido Jason.

Sapeva perfettamente cosa sarebbe potuto succedere nel Campo Mezzosangue: ci aveva vissuto quasi per un anno. Quel grandissimo traditore avrebbe potuto anche avvisarla sul terrore che potevano incutere i figli di Afrodite. L'aveva avvisata di non avvicinarsi alla Casetta di Ipno e non alla minaccia più grande ed incombente, soprattutto per una ragazza come la portoricana.

Soprattutto se è un ragazzo a portarti nella casa delle bambole.

Soprattutto se quel posto, in un modo o nell'altro, le ricordava gli ultimi anni della sua infanzia, l'ultimo momento della sua vita nella quale aveva accettato e mostrato la sua femminilità al mondo.

E forse aveva fatto anche bene.

Immaginarsi così, circondata di rosa, circondata di cura estetica eccessiva, la metteva a disagio, come se quella parte di lei la mettesse continuamente in imbarazzo, come se fosse un male.

Mitchell, però, le sorrideva dolcemente, gentilmente, e le raccontava vecchi aneddoti imbarazzanti dei suoi primi mesi al Campo Mezzosangue, o prima di sapere di essere un semidio. La pesca col padre, le serate in paese, i due di picche che aveva subito e che aveva fatto subire. Sembrava molto divertito delle sue parole, molto felice di poterne parlare.

In uno scaffale, l'unico riempito di libri, Reyna riuscì a distinguere gli otto libri di Harry Potter, un'altra macchina tra il rosa della stanza.

Quando il ragazzo notò che stava osservando quella parte della stanza, aveva spiegato, con un sorriso che la Rowling era una delle scrittrici che più ispiravano i figli di Afrodite. Alla domanda Perché?, aveva arricciato le labbra e, come le la mora avesse fatto la domanda più strana e ai limiti dell'intelligenza "Perché, ci insegna Silente, la magia più grande di tutte è l'Amore"

La ragazza sbattè le palpebre, rimanendo in silenzio per qualche secondo.

"Ma sei gay?" Reyna si sarebbe voluta prendere a schiaffi non appena aveva terminato di fare la domanda.

Ma le era venuta fuori spontanea, aveva guardato il ragazzo parlarle, seduto anche lui sul suo letto, tenendole la mano e dipingendole le unghie ed aveva arricciato le labbra, mentre le parlava di qualcosa di molto futile, secondo il punto di vista della ragazza, ed i suoi gesti, le sue parole ed il suo tono, le aveva ricordato il modo di essere di Hazel, quando si prendeva cura dei pegaso, o si spazzolava i ricci bagnati nelle terme, o quando, con un sorriso timido, cercava di essere gentile con lei.

Prese a boccheggiare disperata, cercando una giustificazione alla sua domanda, scuotendo la mano in aria, davanti al viso del ragazzo.

Mitchell sbattè le palpebre, per poi scoppiare a ridere, tappandosi la bocca con il dorso della mano "No" rispose tra le risate, per poi grattarsi il naso con l'indice "Me lo hanno chiesto in molti. Non sei la prima. Le mie sorellastre sono sicure che io possa essere gay. Perché, poco dopo essere arrivato al Campo, sono stato riconosciuto da mia madre. Cioè, sì, com'è ovvio, no? Ma devo aver fatto qualcosa che l'aveva fatta arrabbiare, in un modo o nell'altro. Beh, un giorno mi sono svegliato nella Capanna Undici e mi sono ritrovato con il trucco in faccia, un vestito da donna e la possibilità di essere preso in giro da decine di semidei. Un incubo. Fortunatamente ai tempi c'era Silena, mi ha incontrato che correvo per nascondermi, visto che la mia cara mami mi ha bruciato i vestiti che portavo prima e tu sai quanto possano essere odiosi gli Stoll, cioè non cattivi, solo... dispettosi, ecco. Tu non l'hai mai conosciuta, ma, ti giuro, ti sarebbe piaciuta. Silena, dico. Era gentile e dolce. Mi ha portato nella Capanna Dieci, mi ha dato dei vestiti decenti e non ha mai riso, nche se ha commentato il fatto che ero piuttosto carino con la gonna e l'ombretto. Fosse stata solo lei a vedermi, tra le mie sorellastre, non avrei avuto problemi, ma mi ha visto anche Drew e non posso dire di essermela tenuta sempre buona. Per quel che riguarda l'aspetto fisico, invece, tengo al mio aspetto, come molti in questo Campo dovrebbero fare " terminò lui soddisfatto, alzandosi dal letto.

Reyna rise e stava per portarsi le mani accanto alla bocca, in un chiaro intento di mordersi le unghie, ma il ragazzo la fermò, scuotendo la testa.

Si mosse verso un mobiletto, sopra il quale si trovava uno specchio coperto da un lenzuolo azzurro. Mostrò il pettine in una mano, col sorriso, e si avvicinò alla mora, facendole cenno di girarsi.

Reyna esitò, accarezzandosi il collo con la mano.

Sospirò, decidendo di fare come diceva Mitchell, rimanendo sul materasso del letto, ma dando le spalle al ragazzo, al contrario di quello che le avevano insegnato al Campo Giove -mai dare le spalle ad un possibile nemico- e sperando di intravedere uno specchio non coperto nella Casetta.

Le dita di Mitchell si mossero velocemente, accarezzando delicatamente le ciocche more di Reyna, intrappolate in una treccia.

La ragazza già si stava mordendo le labbra, pronta a sentire il suo cuoio capelluto essere tirato dalle dita del ragazzo. Non perché avesse i capelli sporchi, ma perché aveva la brutta abitudine di lavare i suoi capelli mossi, asciugarli in fretta ed intrecciarli senza neanche passare le dita tra quelli, cosa che favoriva la formazione di nodi. Reyna non amava curare i suoi capelli, in modo particolare.

No, perché le ricordava quei momenti a Puerto Rico, quelli con Hylla e suo padre, quelli in cui sua sorella maggiore la faceva sedere sulle sue ginocchia e le spazzolava la sua corta e mossa chioma. E lei era piccola, debole, indifesa. E lei non era il pretore che doveva essere in quel momento.

Mitchell aveva quello stesso tocco leggero, quella delicatezza che non le fece proprio male.

Le spazzolò i capelli, raccontando della volta in cui a New York, durante la guerra contro Crono, bloccò un mostro confondendolo sulla natura del blush. Dèi, era un mostro molto stupido.

"Ti piace il viola?" chiese poi, di punto in bianco "Voi romani siete sempre vestiti di viola. Un po' come noi greci sempre di arancione. Certamente il viola è un colore fantastico, ma indossarlo sempre... Jason dice che preferisce il rosso. Il rosso gli sta molto bene"

Reyna si lasciò accarezzare dalle mani gentili di lui la testa, senza rispondere, anche se si sforzava di seguire i ragionamenti del ragazzo "Mmm?" mugugnò, pensando che Jason avrebbe cambiato tranquillamente il viola per l'arancione, appena ne avresse avuto occasione. Poteva essere a causa di Piper, o forse si sentiva veramente più a casa al Campo Mezzosangue.

Cercò di non sentirsi tradita, anche se dovette mordersi le labbra per diatrarsi da quei pensieri.

"Posso parlare di Jason davanti a te, vero?" chiese Mitchell, continuando a spazzolare i capelli della ragazza "Per essere sincero, girano parecchie voci qui"

"Voci come?"

"Come che prima hai provato ad essere la ragazza di Jason, che ti ha respinto, e che ci hai provato anche con Percy, che ti ha respinto" il ragazzo fece una breve pausa "È vero?"

"Girano un sacco di voci" sbottò irritata Reyna, incrociando le braccia "Siete un branco di suocere"

"Non sai quanto" rise lui "Ma se posso dirtela tutta, su Jason, dico, tutti lo vedono come il Principe Azzurro, che salva le Donzelle in Difficoltà e non ha alcuna macchia. E secondo me non è così. Nel senso, conosco Jason, è dolce, simpatico, perfetto per Piper, ma per una come te... non sei tipa da Jason Grace. E nemmeno da Percy Jackson. Con uno avresti un rapporto noioso, che segue le regole, un buon rapporto di amicizia, ma non d'amore. Con Percy finiresti per stufarti del troppo movimento. E poi, siete tutti e tre della stessa pasta: dei leader guerrieri. E avete bisogno di una persona che vi equilibri. Percy ha trovato Annabeth, la mente che dà un limite all'impetuosità. Jason ha trovato Piper, la fuga alle regole e all'opinione comune. E tu dovresti trovare una persona che tiri fuori i tuoi sentimenti, senza farti sentire debole, senza confondere il legame politico con quello amoroso... Non sembri essere molto brava in questo"

Reyna abbassò lo sguardo, senza smettere di mordersi le labbra "Pare che ci pensiate molto su questa cosa. Devo essere lo zimbello di questo Campo" ed ecco un altro motivo per cui avrebbe fatto di tutto per impedire le Olimpiadi dei due Campi.

"No" ammise Mitchell, lasciando cadere i capelli della ragazza sulle sue spalle "Ci ho pensato solo io. Ho un debole per le ragazze come te. Aspetta, torno subito"

La ragazza sentì le orecchie bruciare e si girò verso la porta, dalla quale lui era scomparso. Sbattè le palpebre un paio di volte, alzandosi dal letto.

Il ragazzo comparve con un vestito in mano "Rebecca mi doveva un favore e penso abbia la tua stessa taglia. Provatelo" disse, tendendolo verso Reyna, che lo guardava diffidente.

"Per forza?"

"Per favore"

Lei alzò gli occhi al cielo e gli fece cenno di uscire dalla stanza. Lui chiuse la porta, ma Reyna riuscì a sentire la sua schiena contro il legno.

"Che tipo di ragazza sono, quindi?" chiese, sfilandosi i sandali.

"Una guerriera" la voce di Mitchell arrivò a lei ovattata, ma anche incredibilmente vicina "Una ragazza col cuore tenero che si nasconde così tanto dietro la sua spada da aver dimenticato cosa vuol dire essere te. Te per davvero, non Te Romana, Te Pretore, Te figlia di Bellona. Lo capisci?"

"No" Reyna alzò il vestito fino a non fargli toccare più terra, fece una smorfia e sospirò, prima di capire come infilarselo.

Lui rise "Non importa"

"È questo il vostro compito nel Campo, quindi? Far mettere vestiti da sera alle figlie di una dea, o un dio, della guerra?" sbuffò, lasciando cadere sul suo corpo il vestito leggero. Girò su se stessa, cercando di vedere la coda dell'abito violetto. Si rinfilò i sandali, lasciati poco prima accanto al letto.

Il figlio di Afrodite rise di nuovo "Fosse quello il nostro compito sarebbe stato molto più semplice, non trovi?"

"Non capisco" Reyna si passò una mano frai capelli, sorpresa che le sue dita non si fossero incastrati tra quelli.

"Non importa" rispose, ripetendo le sue stesse parole, il ragazzo "Posso entrare?"

In risposta, la ragazza aprì poco elegantemente la porta, con una mano poggiata sul fianco e l'espressione di una condannata a morte "Mi hai truccato" cominciò "la mia faccia è, più o meno, più pesante di tre chili, mi hai fatto le unghie, mi hai pettinato e fatto mettere un vestito. Dimmi che questa tortura è finita"

Mitchell sorrise, poggiando una mano sulla sua spalla, quasi a dirle quanto la capiva, eppure lui si stava divertendo molto, Reyna riusciva a leggerglielo in faccia ed avrebbe voluto fargli la domanda Stai facendo tutto questo perché sei sadico?, aspettare che lui menta dicendo No, e poi farlo sbranare da Aurum e Argentum, se non fosse per il fatto che, quel ragazzo, stava piano piano iniziando a stargli anche simpatico -insolente, come si permetteva?-

"Quasi" promise lui, passandogli un braccio intorno alle spalle e portandola verso il centro della stanza "Devi farmi un ultimo favore: chiudi gli occhi" le disse, posizionandola e sorridendole.

Lei riprese a mordersi le labbra, ma annuì, ritrovandosi a non seguire, di nuovo, gli insegnamenti dei romani -Non chiudere gli occhi davanti ad un possibile nemico-, sentì i passi di lui allontanarsi e poi riavvicinarsi "Mi vuoi uccidere?"

"Mi sento così Louise Roe" mormorò lui, facendo trasparire, dal solo tono della sua voce, il sorriso sulle sue labbra "Apri gli occhi"

E lei eseguì gli ordini, rimanendo paralizzata sul posto. Tutti gli specchi coperti, adesso erano scoperti e tutti riflettevano lei da ognibangolazione della stanza.

Cioè, quella doveva essere lei, ma non era lei.

Quella nello specchio, era la ragazzina che sarebbe potuta crescere a Puerto Rico, con sua sorella maggiore e suo padre al fianco, cosa che, aveva capito crescendo, era impossibile.

I capelli sciolti e mossi non seguivano alcuna apparente regola, pur essendo pettinati ed ordinati, i suoi occhi scuri erano stati valorizzati dall'eyeliner e il leggero ombretto che seguiva il colore della sua carnagione ambrata, le labbra carnose e rosa senza che Mitchell ci avesse messo mano. Le sue braccia libere, seppure con il tatuaggio tipico dei romani, le davano un'aria di leggerezza, e le sue gambe erano scoperte davanti e coperte dietro.

Reyna fece un passo indietro, iniziando a boccheggiare "I-io..." si vide entrare nel panico da tutte le angolazioni, per poi prendere un lungo respiro e chiudere gli occhi "Io non sono così" riuscì a dire, cercando gli occhi chiari del ragazzo che, accanto a lei, sorrideva.

"No" concesse lui "Sei anche così. Tu sei stata, per una parte della tua vita, solo questa Reyna. Poi, sei entrata in quel Campo Giove e sei diventata solo la Reyna Pretore, che cerca in tutti i modi dimenticare questa Reyna. Ma non puoi essere Reyna se non accetti tutte le parti di Reyna. Ti sei dimenticata cosa vuol dire essere la Ragazza e non la Romana, perché tu stessa non accetti quella parte di te" Mitchell poggiò una mano su una sua spalla, facendo un passo indietro e posizionandosi dietro di lei, perché potesse vedere meglio il suo riflesso "E se sei tu a non accettarti, a non farti vedere completamente, come puoi pensare che qualcun altro possa accettarti completamente, tanto da amarti?" fece girare la testa della ragazza verso lo specchio.

"Perché mai...?"

"Tante ragazze" l'interruppe lui, intuendo le parole di lei "si nascondono dietro una corazza perché non credono che ci sia qualcosa di bello in loro, o nella loro parte più debole. Reyna. Questa è la tua parte debole, quella che cercavi di nascondere. Ed è bellissima. È bellissima perché sei tu. Cioè, una parte di te. Non ti dico che devi diventare una principessina. Oh, dèi, ti prego non diventarlo, ma volevo farti vedere quella parte che tanto ripudi. Che sei bellissima anche senza tutta questa roba addosso, ma avevo bisogno che tornassi in contatto con il tuo lato non tanto femminile, quanto adolescenziale. E, se vuoi che parli da figlio di Afrodite steriotipato, guardati un attimo allo specchio" Mitchell sospirò e prese un gran respiro "Questa è la bellezza che emani continuamente, anche quando, che so, spali la cacca -ti prego, non dirmi che spali la cacca-. La persona innamorata di te, o che s'innamorerà di te, ti vedrà sempre in questo modo, sempre. Ma tu devi lasciare che ti guardi in questo modo. E magari non andare dietro ai Pincipi Azzurri o agli Eroi Insolenti. Saresti tu l'Eroe della storia ed in due si è troppi. E, ricordati, non sei una Principessa"

Reyna sbattè le palpebre e si girò per guardare in faccia il ragazzo, che si grattava il dietro dell'orecchio a disagio.

"Devo ancora farci la mano, con questo compito da figlio di Afrodite" si scusò "ma ci tenevo veramente molto ad aiutarti, perché, beh, dalla prima volta che ti ho vista, ho visto tutte le parti di te, e mi è sembrato uno spreco che tu cercassi non accettarti... e..."

Reyna si tappò la bocca, scoppiando a ridere. Rise, interrompendo Mitchell e piegandosi in due, in modo tale che la sua fronte trovasse la spalla del ragazzo.

Rise, rise e rise, finché non iniziarono ad uscirle lacrime dagli occhi e, allora, la risata divenne pianto disperato e liberatorio, sulle spalle di un semi-sconosciuto e greacus, per di più.

C'era qualcosa di sbagliato nella sua risata diventata pianto?

Mentre il ragazzo le carezzava in silenzio i capelli, dopo tanti anni, dopo tanto tempo e senza neanche accorgersene, non pensò che fosse sbagliato piangere perché era romana.

I romani non piangono, le avevano insegnato.

Eppure lei, semplicemente, pianse.

Pianse come Reyna in tutta la sua complessità -Romana, figlia di Bellona, Portoricana, pretore, orfana, eterna mollata e guida-, con Mitchell che le ripeteva quanto fosse bella anche con gli occhi rossi.
  
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