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Autore: Himenoshirotsuki    13/12/2014    10 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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24

Lotta per la Vita

 
"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 

Ovunque si vedevano disperati che tentavano di scappare, ma le piccole viuzze di Luthien non erano abbastanza grandi per permettere a tutta quella gente di correre. Così, i più deboli e gracili venivano inesorabilmente travolti dalla folla urlante, calpestati da un fiume in piena che tentava di aprirsi un varco per mettersi in salvo. Ma ormai quegli esseri erano dappertutto, demoni che di umano avevano solo l'aspetto ed elfi con armature nere come la notte.
Erano creature che Myria credeva esistessero solo nei racconti per bambini o nelle leggende. Quando aveva udito la campana di allarme, il presentimento che qualcosa di orribile stesse per accadere l'aveva paralizzata. Aveva osservato con Melwen e Zefiro il drago, che lentamente si avvicinava alla città. Poi la bestia aveva sfondato le mura e l'esercito nemico si era riversato all'interno delle strade, scatenando il panico. I demoni erano saltati in mezzo alla folla, azzannando direttamente alla gola i primi malcapitati e facendoli a pezzi con la sola forza degli artigli e delle zanne, mentre gli elfi avevano passato a fil di spada chiunque si era parato loro davanti. Una cacofonia di urla si era levata sino al cielo, voci di uomini, donne e bambini, lamenti che somigliavano spaventosamente al vagito della Morte. Tutti avevano cominciato a correre in preda all'angoscia, cercando riparo nelle botteghe o in qualunque posto li potesse proteggere dalla furia omicida di quelle creature. 
Myria si era mescolata alla folla, stringendo convulsamente le mani ai due bambini. Aveva intimato loro di rimanerle vicino, ma la sua voce era stata coperta dal sibilo delle frecce che venivano scoccate da ogni direzione. Aveva visto intorno a lei le persone trafitte dai dardi afflosciarsi a terra e i loro corpi venire scossi da un ultimo spasmo di vita. Poi aveva udito Melwen strillare e uno schizzo di sangue le aveva macchiato il vestito, ma era rimasta imperturbabile, come se quello spettacolo orrendo non l'avesse neanche toccata. 
In quel momento le campane si misero a suonare. 
- Attenzione! - 
Un carro in fiamme stava rotolando lungo la strada. Myria stritolò le mani dei piccoli e si appiattì su un muro appena in tempo, un attimo prima di venire investita. Tuttavia, dietro di lei risuonarono dei gemiti e un rumore di ossa rotte. Continuò ad avanzare imperterrita, facendosi largo a gomitate e spinte. Con il fiato in gola e gli occhi sbarrati, scaraventò gente contro le pareti, si contorse in mezzo a quella moltitudine urlante e, senza mai fermarsi, continuò a correre. Una donna, trafitta a morte da una freccia, le crollò davanti e Myria ne calpestò il cadavere, incurante di tutto. Singhiozzò, ma l'istinto di sopravvivenza la spronò a proseguire. Eppure per quanto camminasse non bastava mai: c'era troppa gente attorno a lei e, quando riusciva ad aprirsi un passaggio, questo veniva immediatamente bloccato dai corpi di altri cittadini in lotta per la vita. 
Le lacrime le rigarono il volto, stordendola per un breve istante. Non poteva essere reale. Era troppo orribile per esserlo.
Improvvisamente una mano gelida le artigliò un braccio, serrandosi in una stretta così dolorosa da farle perdere la presa con le dita dei due bambini. Con orrore vide la folla travolgerli e portarli via.
- No! - gridò.
Si dimenò con furia, ma invano. Un elfo con i capelli color cenere e gli occhi vuoti la fissò con ferocia animale. Myria lottò per liberarsi, si divincolò, sferrò calci e pugni e provò a graffiargli la faccia, ma il guerriero nemico rimase impassibile, come se non percepisse il dolore. Percepì le dita affondare nella pelle del suo braccio e poi l'essere la lanciò di lato, facendola schiantare contro il suolo a un paio di metri di distanza. Sbatté la testa contro la dura pietra e per un istante il mondo si offuscò. Avvertì qualcosa di caldo e viscoso colarle tra i capelli e bagnarle il collo. Era così stanca e, per quanto tentasse di alzarsi, le sue gambe erano molli e inerti, due magre protuberanze che sembravano essere state messe lì da qualcun altro. Singhiozzò e deglutì, gli occhi sbarrati per la paura. 
L'elfo fece una smorfia che voleva essere un sorriso e scoprì una chiostra di denti marci. Dal fodero legato sulla schiena estrasse una spada lunga a due mani. Sollevò la lama contro il sole e la luce guizzò su di essa, accarezzando il filo dell'arma.
Myria serrò le palpebre e scoppiò in un pianto a dirotto, mentre un profondo odio verso se stessa e la propria debolezza l'assaliva.
"Dei, ve ne prego, siate misericordiosi e fate in modo che almeno i bambini si salvino." 
Infine attese che il freddo acciaio calasse su di lei. Un secondo più tardi, proprio come aveva previsto, udì il sibilo del metallo che dilaniava le carni, frantumandole con spietata violenza. Aspettò, ma per qualche ragione il dolore non arrivò mai. Un tonfo sordo la fece sussultare e la ridestò dalla quella snervante immobilità. Sollevò le palpebre lentamente per appurare di essere ancora viva, perché forse se lo stava solo immaginando e in verità era già morta. Poi si sentì tirare su con forza.
- Andiamocene, prima che ne arrivino altri. - 
Sobbalzò e incrociò due familiari occhi di un marrone caldo. 
- Alan... come...? -
- Te lo dico dopo. Ora allontaniamoci. - rispose sbrigativo l'uomo, poi si volse verso l'interno di un vicolo e cominciò a correre, la spada grondante di sangue ancora ben salda nel pugno. 
Myria vide di sfuggita il corpo dell'elfo che giaceva contro il muro, la testa affogata in una pozza scura e densa. Seguì Alan senza più voltarsi indietro, le gambe adesso leggere come piume e irrorate di nuova energia. Sfrecciarono nell'ombra, sempre più veloci, evitando le vie più affollate, dove avrebbero corso il rischio di finire sotto le suole di centinaia di stivali al minimo passo falso. 
Il terrore ormai dominava nella cittadina: le donne scappavano urlando, con i loro bambini stretti al seno, assieme agli uomini e a chi era riuscito a scampare alla ferocia degli assedianti. Myria era certa che se non ci fosse stato Alan lì con lei, non avrebbe avuto nemmeno la forza di alzarsi per quanto era esausta psicologicamente. Gli era molto grata per il suo gesto, ma non poteva dimostrarlo come voleva, perché le espressioni sgomente di Zefiro e Melwen un istante prima di venire trascinati via continuavano a tormentarla e ad alimentare l'ansia che le pesava sul cuore. 
D'un tratto, Alan si arrestò. Le fece cenno di tacere e indicò un punto avanti a sé: a poca distanza da loro alcuni demoni, tre uomini e una donna, stavano banchettando con le carni di un uomo, ma il tanfo di putrefazione giunse alle narici dei due ancor prima di vederli. Myria si coprì la bocca con le mani per soffocare un grido roco e cercò di tenere sotto controllo i conati e i brividi, che le percorsero il corpo quando il puzzo le invase la gola. Si impose di guardare da un'altra parte, ma non riuscì a distogliere l'attenzione dalla scena raccapricciante che stava avendo luogo a pochi passi da lei. Poteva sentire il suono rivoltante della carne strappata, il cozzare delle zanne contro le ossa, il mugugno di piacere che le creature emettevano mentre masticavano le interiora del cadavere. Singhiozzò e avvertì montare in sé il bisogno di gridare, smaniosa di liberarsi del groppo che le ostacolava il respiro. Ma resistette all'impulso, perché sapeva che se lo avesse fatto avrebbe condannato a morte certa sia lei stessa che Alan. Lacrime silenziose solcarono le sue guance, mentre i ricordi dei giorni d'inferno ad Amount-vinya riaffioravano dalla sua memoria. Alan le strinse la mano per rassicurarla, ma non disse nulla.
Si rifugiarono nella bottega di un fabbro lì vicino, sopravvissuta non si sa come alla distruzione. La porta era sopravvissuta per chissà quale miracolo e l'interno era tranquillo. Non appena Alan ebbe sprangato la porta, Myria si lasciò scivolare lungo la parete, raggomitolandosi su se stessa. Udiva ancora il caos che regnava fuori per le vie, ma le arrivava alle orecchie come un'eco lontana. Tentò di individuare le voci dei due piccoli in quel coro urlante, ma ogni grido era uguale all'altro.
- Dov'è Zefiro? - indagò Alan.
- Non lo so. - mormorò con voce rotta, - L'ho perso assieme a Melwen quando... quando sono stata trascinata nel vicolo da quel mostro. -
Il ruggito del drago si infranse sui vetri, ma lei non vi badò. Era tutto un dannato incubo. Anzi, avrebbe pagato oro perché lo fosse.
- È stata tutta colpa mia. Se solo non avessi lasciato le loro mani, a quest'ora... - 
Due braccia forti la avvolsero e una mano calda le accarezzò delicatamente la testa.
- Non è colpa tua. - replicò l'altro dolcemente, - Sono sicuro che sono sani e salvi. Sono svegli, vedrai che sono riusciti a cavarsela. -
- Per quanto in gamba, sono solo bambini! -
La donna affondò il viso nella sua spalla piangendo e inspirò il suo odore, che sapeva di sangue, terra e sudore. 
- Devi crederci. - le alzò delicatamente il mento, catturando le sue lacrime con i pollici, - I miracoli accadono. Siamo usciti vivi da una situazione simile non molto tempo fa e ci riusciremo anche questa volta. - 
Lei assentì debolmente, per poi intrecciare le dita nei suoi capelli. Alan la strinse ancora di più. 
- Ti proteggerò, Myria. Ho promesso a tuo marito che non ti sarebbe mai successo nulla di male. - sussurrò a mezza voce. 
Fece per aggiungere qualcosa, ma il ricordo del migliore amico troncò le sue parole sul nascere. Esitò un istante, poi si allontanò dalla donna e distolse velocemente lo sguardo. Uno strano gelo gli avvolse il cuore, ma lo ignorò. 
- Dobbiamo studiare un piano per arrivare nella parte alta della città. - dichiarò con fermezza. 
La bottega era piena di polvere e fuliggine. La rastrelliera con le armi era stata rovesciata, l'incudine scaraventata in un angolo della stanza, mentre il martello giaceva sul pavimento. La testa, così come il manico, era sporca di sangue. Sopra l'enorme fornace, alle spalle di Alan, coperta dai residui di carbone e sporcizia era appesa una mappa di Luthien. 
- Nella parte alta della città? Perché dovremmo recarci proprio lì? -
- Ho parlato con Fenrir e Baldur. Hanno detto che avrebbero tentato di far evacuare i cittadini attraverso la porta Ovest. -
Studiò la carta con attenzione, poi indicò un punto vicino a una piccola piazza. 
- Noi siamo qui. Per arrivare nel luogo prefissato potremmo tagliare per la via del mercato e... -
Un colpo secco, seguito da un altro e un altro ancora, li fece sobbalzare. La porta tremò e i cardini scricchiolarono, ma non cedettero. Sentirono un insistente raschiare e di riflesso arretrarono.
Alan si girò verso Myria, che lo scrutava con occhi sgranati, si avvicinò e si frappose fra lei e la porta, facendole da scudo. 
- Guarda la mappa e vedi dove dobbiamo andare. - le ordinò.
- Ma... ma io... - balbettò la donna, ancora stordita. 
Non sapeva cosa fare. Il mondo le vorticava attorno come impazzito e per un secondo temette di essere prossima allo svenimento.
- Dannazione, riprenditi! - la voce concitata di Alan la riscosse. 
La guardò fugacemente, la spada già sguainata e il corpo in posizione di difesa. 
- Non c'è tempo! Dobbiamo scappare! -
All'esterno risuonarono risate sguaiate e suoni gutturali, inumani. Un'ascia penetrò nel legno, facendolo esplodere in mille schegge, e un elfo con il viso deturpato da terribili ustioni si affacciò dalla fenditura.
- Devi trovare in fretta una strada! -
Myria fece scorrere lo sguardo sulla carta ingiallita e memorizzò la via più veloce tra le mille che vedeva disegnate. Il cuore le rimbombava nelle orecchie e le mani erano sudate.
- Ho trovato... - 
La porta della bottega si spalancò. Sulla soglia apparvero un elfo e due demoni con l'aspetto di donne dalla pelle livida e le dita affusolate e ossute munite d'artigli. Queste camminarono all'interno della stanza, annusando l'aria come segugi affamati, mentre l'elfo avanzò con passo leggiadro verso di loro. Aveva lineamenti marcati e spigolosi e occhi algidi e spenti, simili a quelli dei morti.
- Guarda guarda, allora c'è ancora qualche sopravvissuto! - dichiarò all'indirizzo di Myria, umettandosi le labbra famelico, - Lei ha detto di lasciarne qualcuno vivo, ma finora non ci siamo divertiti per niente, vero? - 
Si volse verso i due demoni. Il sangue colò dalla bocca sul pavimento, mescolandosi alle gocce di quello che cadeva dai loro artigli.
Alan rimase impassibile, tutti i muscoli già pronti a scattare. L'elfo fece una smorfia delusa e lo studiò annoiato.
- Soldato di poche parole, eh? La tua faccia la trovo insopportabile. Sarà un piacere staccarti la testa. - disse roteando l'ascia e schioccando la lingua.
Myria indietreggiò. La paura le accelerò il battito cardiaco, ma cercò di rimanere lucida. Osservò l'ambiente che la circondava per trovare una via d'uscita, anche se ad una prima analisi pareva proprio che fossero caduti in trappola. Dovevano fuggire, lo sapeva, ma non aveva la forza di muoversi. Di nuovo, le gambe si rifiutarono di obbedire ai comandi del suo cervello.
- Myria, scappa. - ordinò Alan autoritario, poi, senza esitazione, si scagliò contro gli avversari.
L'elfo ghignò soddisfatto e gli si avventò addosso, mulinando l'ascia in un poderoso fendente. Alan si mosse con agilità, scartò di lato e deviò il colpo, prima di allontanarsi con un balzo. Inspirò piano, gli occhi appuntati prima su una e poi sugli altri due avversari. Il clangore dell'acciaio sovrastò ogni altro suono, divenne l'orchestra della bottega. Alan indietreggiava, parava, tirava fendenti rapidi, in un ballo mortale dove il ruolo di dama e cavaliere si scambiavano senza alcun preavviso. Ci volle poco perché cominciasse ad accusare la fatica: era un veterano, ma loro erano dei mostri, ed erano in superiorità numerica. Colpivano ogni centimetro che lasciava scoperto, sia pur per un breve attimo, approfittando della stanchezza per insinuarsi nella sua guardia. Per ogni colpo che andava a segno, un taglio nuovo si apriva sulla spalla, sul braccio, sotto l'occhio. In poco tempo cominciò a perdere coordinazione, forza, velocità. I demoni snudarono le zanne, in una smorfia grottesca che poteva somigliare a un sorriso, gli artigli marchiati dal suo stesso sangue, e l'elfo sghignazzò, con gli occhi vitrei colmi di spietata ferocia. 
- Avanti, umano! Facci divertire! -
Myria era paralizzata. Andarsene avrebbe significato abbandonare Alan al suo destino e lei non voleva sopravvivere da sola. No, non voleva, non senza di lui. I suoi occhi saettarono febbrili per tutta la stanza in cerca di un'arma. Senza pensarci due volte afferrò un pugnale e corse verso uno dei demoni. L'elfo la intercettò, l'afferrò per il polso e la scaraventò contro il muro. La donna sbatté forte la testa contro il muro e la vista le si annebbiò. Percepì l'elsa scivolarle via dalle dita, mentre la realtà veniva avvolta da un velo confuso, sfocato. Solo la voce dell'uomo riusciva realmente a raggiungerla, anche se non capiva cosa le stesse dicendo.
- Vattene! -
Non aggiunse altro; l'ascia squarciò l'aria e la gola di Alan. Uno schizzo di sangue si riversò sul pavimento e il legno lo assorbì. L'uomo tentò invano di incamerare ossigeno, ma più si ostinava a voler respirare più l'aria gli sfuggiva dalle labbra. La spada cadde al suolo e il suono metallico coprì appena i suoi rantoli disperati. L'elfo lo spinse a terra con un calcio, il ghigno della vittoria stampato in faccia. Alan annaspò e strisciò verso Myria: persino nei suoi ultimi istanti cercava di proteggerla.
- Che scena commovente. Mi viene da vomitare. - 
Uno dei demoni saltò sulla schiena di Alan e affondò le zanne nel collo, come un leone la sua preda. Myria lo vide sussultare, contorcersi in un ultimo spasmo e infine chiudere gli occhi. Il sangue schizzò fino a lei quando il demone strappò le pelle e i muscoli. Poi la seconda creatura balzò addosso al cadavere inerme dell'uomo e cominciò a dilaniarlo, mentre l'altro essere aveva già cominciato a banchettare con le sue carni. In poco tempo, le ossa biancheggiarono in mezzo a quel groviglio insanguinato di tendini e viscere.
Myria si appiattì terrorizzata contro la parete e trattenne il fiato. 
Prima Zefiro e Melwen, ora anche Alan. Era sola, adesso, completamente sola. 
La disperazione l'assalì. La realtà perse rapidamente i suoi contorni, tanto da darle l'impressione di essere stata catapultata in universo onirico. Perché non poteva essere accaduto davvero. Alan non poteva essere morto. 
Nel frattempo, quei mostri si erano avvicinati a lei. Percepì l'acciaio contro la pelle tesa del collo e nelle orecchie le loro risate di scherno. Si stavano beffando di lei, di lei e di Alan. Il suo Alan. Osservò il cadavere che giaceva a terra, gli occhi chiusi come se dormisse. Avrebbe potuto sdraiarsi accanto a lui e accogliere la morte abbracciata all'uomo che amava. L'idea si fece strada nella sua testa, allettandola con dolci promesse. 
Lo sguardo le cadde sulla pozza vermiglia che si allargava sul pavimento. Qualcosa in lei si risvegliò. No, non poteva arrendersi, doveva sopravvivere, doveva ritrovare Zefiro e Melwen. Non poteva gettare la spugna senza combattere, non dopo che Alan si era sacrificato per salvarla. Aveva lottato strenuamente per concederle un vantaggio sui nemici, ma lei, stupida, non aveva colto l'opportunità ed era rimasta lì, inerme e indifesa, a guardare quel soldato coraggioso perire sotto i colpi di quelle creature. Se si fosse lasciata andare, il sacrificio di Alan sarebbe stato vano. Suo figlio doveva conoscere le gesta eroiche di quell'uomo che considerava come un padre.
Avvertì una rabbia animale montarle dentro, facendo nascere un sentimento che mai fino ad allora aveva provato. Con un urlo che scaturiva direttamente dalla sua anima impugnò ancora una volta la spada incompleta e si scagliò sull'elfo con tutta la forza che aveva. Il nemico schivò all'ultimo momento e la lama sferzò il vuoto. 
- Ops! Mancato. - 
Myria lo fissò con odio e gli andò nuovamente addosso. L'altro rimase immobile e, per qualche istante, credette di averlo colto di sorpresa. Ma presto, o forse troppo tardi, comprese di essersi sbagliata. 
- Stupida puttana. - 
L'elfo le artigliò il braccio, torcendoglielo dolorosamente dietro la schiena e tirandola a sé. Le ossa scricchiolarono in modo inquietante. Si morse le labbra e strinse i denti, ricacciando in gola i gemiti di dolore. 
- Ti fotterò fino a farti sanguinare e poi ti terrò ferma quando i miei amici banchetteranno con le tue interiora. Ma se farai la brava, prometto che sarò gentile. - le soffiò nell'orecchio. 
Myria si scansò trasalendo: puzzava di morto.
Lo scrutò di sbieco, piena di ribrezzo, poi gli sputò in faccia e sibilò: - Vai all'inferno. -
L'elfo rimase impietrito, come se faticasse ad afferrare cosa quella sciocca, debole umana aveva osato dirgli. In un attimo la gettò a terra e la sovrastò. 
- Questo sarà l'ultimo affronto che accetterò. - 
Alzò l'ascia sopra la testa, pronto a colpire. Stavolta, però, Myria non chiuse gli occhi. Non aveva paura, non più.
Improvvisamente l'aria venne pervasa dal rumore di vetri in frantumi. Un sibilo ruppe il silenzio e una freccia di luce perforò la testa del guerriero. Questi ebbe un fremito e guardò la donna con occhi stralunati. L'arma gli scivolò dalle mani e cadde sul pavimento con un tonfo, seguita dal suo corpo.
Myria girò il capo da una parte all'altra, spaventata e perplessa, cercando di capire da dove fosse arrivato quel lampo provvidenziale, quando sulla porta vide stagliarsi la figura di una ragazza dai lunghi capelli rossi. Fuori, proprio dietro una selva di schegge di vetro, un elfo la fissava, l'arco teso e una freccia di luce puntata verso una delle creature. Avvertì il sollievo scioglierle i muscoli contratti e il cuore riprendere a battere frenetico.
- Airis! - esclamò speranzosa.
I due demoni rimasero pietrificati, senza riuscire a capire cosa fosse realmente successo. La guerriera scattò verso di loro, vibrando un fendente contro quello più vicino. Il mostro tentò di allontanarsi, ma fu troppo lento e la lama calò sulla sua gola, aprendo uno squarcio mortale. Con la coda dell'occhio, Myria scorse l'elfo armato di arco svanire di botto dalla sua posizione e subito dopo udì dei gemiti impregnati di sofferenza risuonare all'esterno.
L'ultima creatura rimasta ringhiò ad Airis e indietreggiò. Studiò la sua avversaria, poi le balzò addosso come una belva, gli artigli protesi minacciosamente verso di lei. Airis scartò di lato e il colpo si infranse contro il tavolo di legno lì dietro, mandandolo in mille pezzi. Ma prima che il mostro potesse voltarsi e sferrare un altro attacco, la ragazza gli assestò un colpo sulla schiena. Le ossa cedettero di schianto e l'argento lacerò le carni. Un grido che sembrava provenire direttamente dai più remoti abissi riecheggiò nella bottega. Dopodiché piombò nuovamente il silenzio.
Airis corse veloce accanto all'amica e l'aiutò ad alzarsi.
- Stai bene? -
Myria si lasciò sfuggire una lacrima, ma l'asciugò prontamente. La guerriera gettò un'occhiata alle sue spalle, in direzione del corpo di Alan. Non ci fu bisogno di altre spiegazioni.
- È morto con onore. - si limitò a dire.
La donna annuì debolmente, anche se quelle parole non sarebbero mai riuscite a consolarla sul serio. 
- Ho perso Melwen e Zefiro mentre scappavo. Devi... devi aiutarmi a ritrovarli! -
- Va bene. Ma prima dobbiamo andarcene da qui. - 
- Aspetta! Non... non possiamo lasciare qui Alan. Se arrivassero altri mostri per mangiarlo? Non voglio che subisca questa fine. -
- È morto ormai, quello è solo il suo guscio. E poi sarebbe difficile procedere spediti con una zavorra del genere appresso. Dobbiamo lasciarlo qui, spero che tu capisca. -
- Ma... no, ti prego! Si è sacrificato per salvarmi! Non potrei mai perdonarmi di aver lasciato il suo cadavere alla mercé di quelle... cose abominevoli. -
Airis tacque per qualche secondo, assorta nei suoi pensieri, poi tornò a fissare Myria con espressione seria.
- Il massimo che possiamo fare è dare alle fiamme questa bottega, così che il suo corpo bruci insieme al resto. - 
- Va bene, sì, certo. -
La guerriera annuì. Si voltò verso la porta e lanciò un'occhiata in strada, dove, assieme ai corpi dei cittadini, giacevano anche quelli di alcuni nemici. 
- Ledah ne sta eliminando più che può, ma da soli non possiamo respingere tutta l'orda. - considerò a bassa voce, come se stesse parlando più a se stessa che all'amica.
Myria rimase interdetta e si bloccò al ricordo di quell'elfo che aveva fatto irruzione insieme ad Airis. Che fosse lo stesso Ledah che aveva conosciuto? Eppure non gli aveva mai visto le orecchie a punta.
- E' una storia lunga. Appena ci riuniremo agli altri ti spiegherò. - 
La guerriera l'agguantò per il braccio e si affacciò dalla soglia, ispezionando con lo sguardo ogni angolo. Le vie di Luthien, di solito piene di vita, adesso erano deserte e agghindate di cadaveri. Le fiamme divampavano sui tetti di alcune case e in lontananza era ancora possibile udire le grida dei superstiti. Sopra di loro, a oscurare il cielo come un'ombra minacciosa, c'era il drago, che pareva pattugliare dall'alto la città in maniera che nessuno uscisse vivo da quell'incubo.
Airis focalizzò l'attenzione verso un punto poco distante, in alto, ma nessuna emozione deformò i tratti del suo viso. Myria scorse una figura nera saltare sui tetti, per poi mettersi a correre verso di loro. Man mano che si avvicinava, Myria fu in grado di riconoscere il volto di Ledah. Al suo fianco le parve di intravedere un lupo avvolto da fiamme celesti, ma fu solo questione di un istante, perché i due scomparvero subito, inghiottiti da un vicolo. Dopo una manciata di secondi Ledah sbucò da solo da una stradina laterale e corse loro incontro.
- Via libera per adesso. - dichiarò, l'arco ancora stretto in pugno, - Ma dobbiamo assolutamente ritrovarci con Baldur e Fenrir. Da soli non ce la possiamo fare. -
- Ma Zefiro e Melwen potrebbero essere ancora lì fuori! - esclamò Myria.
- Non possiamo perlustrare le strade col rischio di cadere in un agguato da un momento all'altro! Siamo stati invasi da un esercito di non-morti! Ci serve aiuto, capisci? -
L'altra tentennò, spostando lo sguardo dalla guerriera all'elfo. Non sapeva cosa pensare. Quello che Airis stava dicendo era logico, ma lei era una madre e finché non fosse tornata a stringere Zefiro tra le braccia non si sarebbe data pace.
In quel momento, Ledah le si accostò e le appoggiò una mano sulla spalla. Si era legato i capelli neri in una lunga treccia, che ricadeva pigramente sul petto, lasciando scoperte un paio di lunghe orecchie appuntite. La donna si soffermò a studiare confusa quei particolari e sentì l'impulso di ritrarsi immediatamente: lui era il nemico. Schiaffeggiò la mano dell'elfo e indietreggiò. Lui la fissò interdetto, ma non protestò.
- Myria, li ritroveremo. Sono bambini in gamba e Melwen è molto più speciale di quello che credi. Inoltre, non siamo gli unici a cercarli. Anche Copernico è sulle tracce di sua figlia. -
- Va bene. - disse infine, dopo qualche secondo di esitazione. 
Doveva fidarsi, non aveva altra scelta. Ledah le regalò un sorriso carico di calore, poi inserì due dita in bocca e fischiò. Da dietro un vicolo sbucò un enorme lupo bianco dagli occhi eterocromi. Myria sussultò, ma prima che potesse girarsi e scappare per la paura, Airis l'afferrò per un braccio.
- Non è un nemico. Ci porterà in fretta verso il molo. - la rassicurò.
L'aiutò a salire in groppa, mentre Ledah attendeva già in sella. Raiza emise un ringhio indispettito, ma non si ribellò.
- Andiamo. - l'ordine dell'elfo arrivò assieme a delle grida disumane da qualche parte dietro di loro.
- Ledah, da' fuoco alla bottega. - gli mormorò Airis all'orecchio.
Il moro non domandò alcuna spiegazione, ma poteva immaginare benissimo quale fosse il motivo della richiesta. Pronunciò un paio di parole in lingua elfica e presto le fiamme lambirono la piccola costruzione in legno, avvolgendola come un mantello ustionante. 
Senza attendere oltre, il lupo scattò lungo la strada. Il sibilo delle frecce li sfiorò appena, ma non arrestarono la loro avanzata. Raiza svoltò a destra e poi ancora a sinistra, evitando abilmente i vicoli in cui sarebbero potuti rimanere intrappolati e, allo stesso tempo, seminando i non-morti che tentavano di attaccarli. 
Quando il tanfo di morte e i fumi degli incendi iniziarono a scemare, Myria realizzò che la meta era vicina. Un refolo di vento le accarezzò il viso e, dopo poco, il molo apparve davanti a loro. Le navi mercantili erano state bruciate e il legno era ormai abbrustolito. Il carbone aveva annerito l'acqua e la cenere mulinava nell'aria simile a grigi fiocchi di neve. I corpi di coloro che avevano tentato di salvarsi salendo sulle imbarcazioni galleggiavano in balia della corrente. Vicino ai resti di una barca stazionavano due figure, che sembravano attenderli. Non tradivano alcuna ansia o paura: al contrario, la loro aura trasmetteva una calma che stonava con il caos che imperversava nella città. Da lontano Myria non riuscì a distinguere bene i loro volti, ma uno dei due era molto più basso rispetto all'altra figura, meno della metà. Aguzzò lo sguardo e riconobbe due facce a lei familiari.
Si fermarono a pochi passi dal duo e Baldur si fece avanti, l'ascia bipenne ancora stretta in pugno.
- Allora? Dov'è Alan? -
A quella domanda Myria ebbe un tuffo al cuore. Smontò da Raiza e fissò negli occhi il suo interlocutore, trattenendo a stento le lacrime. Il nano chinò la testa afflitto e rinserrò la presa con rabbia sull'arma, borbottando qualcosa a mezza voce. Fenrir abbassò l'arco, si affiancò al compagno e socchiuse leggermente gli occhi. Bisbigliò qualcosa, forse una preghiera. Trascorsero alcuni momenti di assoluto silenzio, mentre l'eco della distruzione risuonava attorno al gruppetto. 
- Dobbiamo aiutare i superstiti a fuggire da qui. Non possiamo permettere che ci siano altre vittime. - disse Airis.
Il Drow assentì: - Di quello si sta già occupando Copernico, insieme alle guardie cittadine. Piuttosto, c'è una cosa che mi preoccupa. Non vi sembra tutto un po' troppo strano? Siamo qui a parlare tranquilli e non viene nessuno ad attaccarci. Saremmo delle prede facili, invece la maggior parte dell'esercito è occupata a distruggere tutto. Io e Baldur siamo giunti qui ben prima di voi, ma non abbiamo subito imboscate. -
Incoccò una freccia e studiò sospettoso le macerie che li circondavano.
- È vero. Inoltre, quegli elfi, l'odore che emanano... è come se fossero... morti. - commentò Myria.
Quell'ultima parola restò sospesa in mezzo a loro, ma nessuno ebbe il coraggio di commentarla. 
Un brivido attraversò la spina dorsale di Airis e il peso delle parole di Lysandra tornò a schiacciarla. Scosse la testa. Non era il momento di darla vinta alla preoccupazione, doveva rimanere lucida e concentrata. Quando era arrivata in città e aveva dovuto farsi largo a colpi di spada, si era accorta con orrore che quegli elfi avevano qualcosa di insolito, inquietante. Nel colorito terreo del viso e in quegli occhi vitrei aveva riconosciuto i servi del Lich, i non-morti di cui si era attorniata e che costituivano gran parte del suo esercito. E, probabilmente, non era stata l'unica ad averlo notato. Scoccò di nascosto un'occhiata a Ledah.
- Se quello è un esercito di morti, non possiamo fare molto. Per quanto riguarda ciò che ha detto Fenrir, ci penseremo dopo. Ora dobbiamo andare verso la città alta e... -
Un sibilo alle sue spalle la raggelò. Si voltò lentamente, trovandosi davanti il pugno di Ledah. Aveva le dita serrate intorno a una freccia che sicuramente l'avrebbe colpita, se lui non avesse avuto i riflessi pronti. Gli altri osservarono l'elfo increduli, mentre questi spezzava il dardo e sguainava le lunghe daghe. Controllò la zona circostante con lo sguardo, scrutando fra le macerie con i sensi all'erta. Poi puntò gli occhi di fronte a sé e rimase immobile. 
Dal tetto di una casa semidistrutta una figura avvolta da un'armatura nera saltò giù, atterrando con straordinaria eleganza. L'elmo con l'effige di un drago gli copriva completamente il volto e gli occhi opachi, come quelli di un morto, si intravedevano appena sotto le fessure della visiera.
Ledah si irrigidirsi. Tuttavia, un particolare attirò la sua attenzione. Osservò le daghe elfiche che il guerriero brandiva e ne esaminò la pregiata fattura e le incisioni che la tempestavano. Lo stupore si dipinse sul suo viso e il dubbio si insinuò nella sua mente, tramutandosi in certezza man mano che il nemico si faceva sempre più vicino. Poi l'orrore lo invase.
- Ledah? - 
Airis gli si accostò, ma lui le fece cenno di tacere.
- Tieniti pronta. Stanno arrivando. -
Raiza alzò di scatto il muso e cominciò a ringhiare. Prima che la guerriera potesse chiedere altro, dai vicoli antistanti il molo sbucarono una decina di non-morti. Indietreggiò, sfoderò la spada e assunse la posizione di difesa.
- Mirya, stai indietro e resta vicino a Fenrir. - le intimò e strinse maggiormente la presa intorno all'elsa, mentre il nano la affiancava.
La donna ubbidì e seguì il Drow, che corse a nascondendosi dietro una pila di casse di legno miracolosamente intatte, poste a ridosso di una costruzione fatiscente ancora in piedi, sulla destra rispetto a dove avevano lasciato i compagni. Il ruggito delle creature la ghiacciò e serrò d'istinto le palpebre.
- Preparatevi! - esclamò Airis.
Poi i non-morti, assieme all'oscuro guerriero, partirono all'attacco.
Ledah rimase fermo, con gli occhi fissi in quelli lattiginosi dell'uomo che brandiva le daghe elfiche, sebbene non fosse affatto sicuro che si trattasse di uomo. Osservando quel verde slavato, che aveva fatto riemergere dai remoti anfratti della coscienza tristi sprazzi di memoria, fece molta fatica a credere a ciò che vedeva, ma era impossibile negare la realtà. Percepì l'angoscia, la rabbia e la frustrazione montare dentro di sé. A quel punto mise da parte ogni indugio e, con le dita che formicolavano attorno all'impugnatura delle sue spade, si scagliò contro il nemico. Le lame cozzarono, provocando una marea di scintille all'impatto, e il suono metallico riecheggiò nell'aria. Il guerriero nero grugnì e fece forza, cercando di deviare le spade di Ledah verso il basso, ma questi resistette e scattò indietro, alla ricerca di uno spiraglio per attaccare, un punto scoperto da poter utilizzare a proprio vantaggio, ma quell'armatura sembrava fusa con la pelle del proprietario. Si mosse di lato, schivò un fendente alla gola e incalzò. Fece una finta e affondò con l'altra lama, ma il suo avversario la parò. L'acciaio emise uno stridio assordante. Vide la daga nemica scorrere rapida sulla sua, poi il guerriero nero fletté le gambe e si piegò sulle ginocchia per sfruttare l'apertura sul fianco che l'elfo gli aveva fatalmente lasciato. Ledah percepì l'arma penetrargli le carni e il sangue sgorgare dalla ferita, ma tutto ciò che poté fare fu allontanarsi in fretta e ripristinare la distanza di sicurezza. L'altro roteò le daghe e lacrime cremisi imbrattarono il terreno. Ledah scrollò la testa, cercando di riprendere fiato, ma l'avversario non si dimostrò propenso a concedergli una tregua. Ad un tratto, sentì una delle lame sibilare vicino. Schivò prontamente, spostandosi sulla destra, ma le sue gambe non furono abbastanza veloci: la tunica venne lacerata e un graffio netto gli si disegnò sulla spalla.
- Non mi riconosci? - ansimò Ledah, poi si rialzò a fatica stringendo le daghe con forza. 
Le orecchie gli ronzavano e nel suo cervello c'era uno strano vocio, sussurri maligni che lo tormentavano e gli offuscavano la mente, impedendogli di muoversi come avrebbe voluto. E poi a frenarlo c'era la certezza di sapere contro chi stava combattendo.
Il guerriero caricò con ferocia. Ledah reagì con un fendente laterale e la lama penetrò senza sforzo. Il nemico accusò il colpo, arretrò agilmente e attese, come se stesse meditando una strategia.
- Fermiamo questa follia, Brandir! - gridò esasperato, ma non ricevette risposta.
Poi Ledah incrociò di scatto le daghe, parando un fendente dall'alto. Fu questione di un attimo: una nuova stoccata lo raggiunse al braccio e lo trafisse da parte a parte. Un gemito di dolore scivolò fuori dalle sue labbra e fu costretto a ritirarsi di nuovo. I muscoli erano intorpiditi e la stanchezza lo stava logorando istante dopo istante. Il sangue gli bagnava la pelle in più punti, mentre le ferite pulsavano dolorosamente. Brandir lo stava facendo a pezzi. Un colpo fulmineo al costato gli mozzò il fiato e lo fece piegare sulle ginocchia. In un ultimo sforzo, si scansò e riuscì per un pelo ad evitare un affondo mortale. Tossì, scosso dai tremiti. Si sentì mancare, ma l'istinto di sopravvivenza lo spronò a rimanere in piedi e rispondere agli attacchi. Il suo corpo bruciava e al contempo era attraversato da brividi freddi, ma la disperazione attenuava tutto, persino quell'incendio di dolore. Aggredì il suo vecchio amico mulinando le daghe con furia cieca. Il guerriero nero, invece, danzò con grazia e gli inflisse continue ferite con sconcertante facilità, ma la sofferenza che si irradiava da esse durava meno di un battito di ciglia e non bastava a fermarlo. Sembrava che quel mostro stesse solo giocando con lui come il gatto col topo, divertendosi a procurargli tagli più o meno profondi, senza mai infliggergli il colpo di grazia. Il sangue si mescolò al sudore, in una soffocante membrana umida e viscosa che aderiva alla pelle. I morsi della stanchezza non gli davano pace, ma Ledah non cessò di muoversi e lo fece con quanta più precisione possibile. Era certo che se si fosse fermato anche soltanto per un secondo, sarebbe stato spacciato. Il nemico lo stava fiaccando sia nel corpo che nell'anima e di quel passo lo avrebbe sconfitto. Alcuni colpi si infransero contro l'armatura nera, mentre altri, pochi, furono in grado di superare la sua difesa, eppure Brandir pareva essere immune al dolore: le sue stoccate conservavano la stessa potenza e lo incalzavano senza sosta. 
Ledah, col protrarsi dello scontro, iniziò a sentirsi sempre più stanco. In un attimo di lucidità riuscì a mettere a fuoco l'armatura del suo avversario e valutarne i danni: era stata intaccata in più punti ed era possibile scorgere le ferite sanguinanti al di sotto, eppure quell'essere rimaneva indifferente. Attaccava e parava, attaccava e parava, in un susseguirsi costante di assalti. 
Le voci nella testa di Ledah si fecero più insistenti e chiare, quasi autoritarie.
- Ti prego... ascoltami... - esalò, ma in cambio ricevette solo silenzio. 
Emise un mugolio angosciato e tentò un ultimo, profondo affondo. Caricò con rabbia mirando alla gola, gli occhi annebbiati dalle lacrime. Doveva staccargli la testa, così come aveva fatto con gli altri. Il guerriero parò il colpo e con l'elsa della daga lo colpì al ventre. Le ginocchia cedettero e Ledah cadde carponi a terra. Provò a rialzarsi, ma il suo corpo si era ormai arreso, prosciugato di ogni energia. Percepì il gelo dell'acciaio sul collo e, incapace persino di gemere, rimase immobile in attesa della morte. La sua giusta sentenza di morte.
All'improvviso udì un grido alla sua destra e poi dei passi concitati, che si interruppero bruscamente. Poi il mondo tacque, assieme a tutti i suoi suoni.
Allora Brandir volse lo sguardo altrove distraendosi e la lama scivolò via dalla nuca di Ledah senza scalfirla. L’elfo alzò la testa e lo scorse di spalle. Un tremito gli attraversò i muscoli e una profonda rabbia lo pervase. Puntò la daga a terra e con le gambe malferme si tirò su. Tremava da capo a piedi e nella sua mente le voci non ne volevano sapere di tacere. Il suo nemico era ad appena un paio di braccia da lui, eppure gli sembrava così lontano. 
Uccidilo! Uccidilo! Uccidilo!
Con un ringhio si diede lo slancio e si scagliò contro di lui. Doveva raggiungerlo e mandare il colpo a segno, era la sua ultima possibilità di vittoria. Però si ritrovò ad osservare con crescente confusione la sua figura imponente allontanarsi a passo sostenuto e non poté esimersi dall'abbandonarsi ad un sospiro di sollievo, anche se dentro di sé il furore era tutt'altro che svanito. Il cuore pompava sangue nel suo petto a ritmo frenetico, rimbombando nelle orecchie. Poi qualcuno gli si accostò da dietro e una presa salda si chiuse attorno al suo polso.
- Fermo. - 
La voce di Airis lo riscosse. Si afflosciò e si appoggiò a lei per riprendere fiato. 
Alle loro spalle la battaglia contro i non-morti era cessata e i loro compagni sembravano esserne usciti indenni. File di cadaveri di mostri e umani giacevano intorno a loro, in un macabro spettacolo di sangue e interiora squarciate.
- Quell'essere con l'armatura nera... -
- Sì, lo conoscevo. - con il respiro rotto, Ledah si terse il sudore dal viso, - Dobbiamo inseguirlo. -
Airis lo fissò interdetta. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, quando un ruggito sopra le loro teste li pietrificò. 
- Attenti!- 
Il nano arretrò in fretta per cercare un riparo. Ledah tirò a sé la guerriera, mentre una vampata di fiamme lambiva il molo. Un muro incandescente si erse quasi fino al cielo, frapponendosi tra loro e i compagni. Poi l'enorme drago si gettò in picchiata, atterrando di fronte a Baldur e a Fenrir. Li squadrò coi suoi occhi di brace, come se li stesse invitando a sfidarlo, e ruggì spalancando minacciosamente le fauci.
Ledah si affrettò ad allontanarsi da quella bestia maledetta e trascinò via anche Airis. Non potevano perdere tempo a combattere, dovevano assolutamente raggiungere Brandir. L'aveva visto imboccare un vicolo, in direzione di una delle strade maestre che sbucavano nella piazza principale. Anche se era uscito sfinito dall'ultimo duello, non se lo sarebbe lasciato sfuggire. Non gli importava di essere allo stremo, avrebbe continuato a combattere al massimo delle proprie capacità, finché la morte non lo avesse reclamato. Lo doveva ad Airis e alle parole che le aveva rivolto per convincerla a tornare in città con lui. 
Lei si divincolò e fece per lanciarsi contro il drago, ma il calore insopportabile del fuoco la costrinse a mantenere le distanze.
- Dobbiamo aiutarli! -
Ledah la strattonò malamente, salvandola da un colpo di coda del drago. 
- No, non c'è tempo. - 
La creatura vomitò fiamme, mirando al nano e al Drow. Baldur spiccò un balzo all'indietro e Fenrir scartò di lato assieme a Myria, evitando all'ultimo istante che la vampata li investisse.
- Quel guerriero nero ha un altro bersaglio. Si stava dirigendo verso il centro della città, non si stava ritirando. I non-morti avevano già attaccato Luthien in precedenza. Ho salvato Melwen da loro il giorno del mio arrivo. Probabilmente, il motivo della loro presenza è uno solo. -
Airis si paralizzò e Ledah la vide tremare. 
- Copernico. - 
Un lamento agghiacciante sferzò l'aria: il drago si contorceva come impazzito, mentre rivoli di sangue nero come l'inchiostro sgorgavano copiosi dall'occhio destro. Il nano gli saltò addosso, gli piantò l'ascia nella spalla e cominciò ad agitarsi avanti e indietro come per darsi lo slancio, facendo scivolare la lama sempre più in profondità. Dall'impugnatura gocce dense e viscose colarono lungo le sue braccia e gli impregnarono i vestiti.
- Non pensate a noi! Ci rivedremo sotto il campanile! - gridò Fenrir.
Il Drow rivolse loro un'occhiata significativa attraverso la barriera di fuoco, poi tornò a concentrarsi sul drago e incoccò un'altra freccia. 
Airis li guardò ancora un istante, l'espressione che tradiva paura ed esitazione. Ledah, invece, annuì e fischiò, richiamando l'attenzione di Raiza, che comparve subito accanto a lui.
- Porta Mirya al sicuro. - ordinò.
Il lupo annuì e corse verso la donna. Lei gli montò in groppa senza indugio e insieme si allontanarono veloci dalla battaglia. 
Poi Ledah chiuse gli occhi e scacciò via ogni pensiero. Agguantò il polso di Airis e la trascinò verso la strada doveva aveva visto incamminarsi il guerriero nero. 
Ad un tratto, dalle viuzze laterali sbucarono fuori altri non-morti ed elfi, ma nessuno dei due si fece intimorire. Airis si voltò e si mise spalla a spalla con Ledah. Li affrontarono tutti, uno dietro l'altro. Le creature si gettarono su di loro con furia animale, ma i loro assalti non ebbero effetto contro le loro lame e nulla poterono contro l'abilità di chi le impugnava. L'elfo saltò dietro un suo ex compagno e lo trafisse con entrambe le daghe, poi ritirò un braccio, parò l'affondo di un altro e lo spinse verso Airis, che ne smembrò muscoli e ossa con un unico, potente fendente. Con la coda dell'occhio Ledah intravide il baluginio dell'acciaio dietro di sé. Si scansò all'ultimo istante, prima che il martello di un non-morto gli fracassasse il cranio. Piantò entrambi i piedi a terra e bloccò un altro colpo. Le due lame si divisero come delle forbici, chiudendo nella loro morsa la parte superiore dell’arma. Quindi Ledah roteò i polsi e con un rapido e agile movimento disarmò l’avversario. Poi lo aggredì ringhiando, lo atterrò e gli cavò gli occhi con entrambe le daghe. L'essere si contorse sotto di lui, ululò e scalciò nel tentativo di toglierselo di dosso, ma Ledah penetrò ancora di più, fino a quando non sentì le ossa scricchiolare. Infine, con uno strattone, estrasse le lame dalla carne e il sangue zampillò fuori a fiotti, macchiandogli l'armatura. 
Ma ancora non bastava. Spuntavano da ogni vicolo e porta nascosta e li attaccavano in massa, senza conceder loro respiro. 
Balzò contro il demone più vicino e la creatura gli venne incontro furiosa, le lunghe zanne ricurve spalancante e feroci. Ledah lo costrinse ad arretrare ad ogni colpo, mirò al torace e lo uccise. Poi saltò in aria e si avventò contro un altro, piantandogli le daghe nel collo. Il sangue esplose in una cascata scarlatta e alcune gocce gli finirono sul viso. Per ogni nemico che abbatteva, le voci diventavano sempre più insistenti, mani deformi lo toccavano dappertutto e quei dannati bisbigli gli assediavano il cervello, minacciando di fargli perdere la ragione.
Lasciati a noi, Ledah. Noi possiamo aiutarti. 
L'elfo le respinse, continuando a farsi strada in mezzo a quella miriade di corpi. Il sangue aveva completamente lordato la sua corazza e la veste che indossava sotto. 
"Via! Andate via!"
Senza di noi sei debole.
Lacerava, decapitava, colpiva, in una danza macabra che sembrava non avere fine. La sete di potere, di quel potere, lo tentava, ma non doveva cedervi o si sarebbe trasformato di nuovo in un mostro. Sbattè le palpebre più volte, deglutì e ingoiò il groppo di angoscia che gli ostruiva la gola. 
Non credere di aver vinto. Un giorno avrai bisogno di noi. 
- Che fai lì impalato? - Airis lo sorpassò correndo, - Muoviti, prima che ne arrivino altri! -
Gettò un'occhiata fugace intorno a sé e si accorse che avevano fatto piazza pulita. Seguì la guerriera in quella corsa sfrenata, mentre il terrore diveniva quasi insopportabile e l'oscurità che aveva dentro pulsava per uscire fuori. Ma Ledah era riuscito a domarla ancora e gli angoli della bocca si arricciarono appena in un sorriso vittorioso.
Girarono l'ultimo angolo e giunsero alla piazza principale. Le fiamme avevano divorato ogni cosa e cadaveri di uomini, donne e mostri giacevano ovunque, riversi sull'acciottolato o a ridosso dei muri. In lontananza, simile a un braccio mozzato, si stagliava il campanile. La torre era crollata e ora, sotto i suoi resti, era sepolto il quadrante del prezioso orologio. 
Brandir era davanti all'unico edificio che sembrava essere sopravvissuto alla devastazione, una panetteria che aggettava direttamente sulla piazza. Puntò la daga contro il legno carbonizzato della porta e colpì. L'insegna annerita ondeggiò e le catene che la tenevano appesa alla trave stridettero, per poi cedere in un gemito metallico. Un urlo acuto ruppe il silenzio. Un secondo più tardi una testolina bionda e un'altra figura più piccola si gettarono fuori da una delle finestre infrante, veloci come lepri.
- Melwen! Zefiro! - 
Raggiunsero i due bambini e Airis li nascose dietro di sé. Il nemico incrociò gli occhi dell'elfo e questi percepì addosso uno sguardo carico di rabbia, rancore e sete di vendetta.
Da sotto l'elmo uscì un sibilo sprezzante: - Io ti odio. - 
"I morti non provano sentimenti." 
Indietreggiò, folgorato da quel pensiero. 
Airis si frappose tra i due, mulinò la spada e vibrò un fendente laterale. Il guerriero indietreggiò, preso alla sprovvista, parò appena il colpo e retrocedette di nuovo, ma Airis non si scompose. Incalzò ancora, scartando agile come un gatto per schivare le stoccate dell'avversario. Brandì la lama di taglio e vi infuse tutta la forza che aveva. L'argento alchemico stridette contro il metallo oscuro dell'arma dell'altro, ma alla fine penetrò comunque fino a raggiungere la carne. Il nemico incassò senza fiatare e subito dopo tentò un affondo con una delle daghe, ma Airis fu veloce a sottrarsi e ad attaccarlo dal basso. Cominciò a menare un colpo dietro l'altro, senza lasciargli alcun margine. 
Ledah osservò affascinato la maestria con cui il Cavaliere del Lupo combatteva. Non compiva mai movimenti superflui, ogni affondo andava a segno con precisione, perfettamente bilanciato, fluido, letale. Acciaio contro acciaio, le lame cozzavano in un duello serrato, senza esclusione di colpi. Per Airis non esisteva nient'altro, eccetto lei e il suo avversario. Nei suoi occhi brillava la gelida determinazione del cavaliere. 
Il guerriero nero rispondeva come poteva, cercando di stare dietro ai continui assalti di Airis, ma le sue parate erano sempre più lente e impacciate. Ora sembrava accusare la stanchezza e le ferite che Ledah gli aveva inflitto lo rallentavano. L'elfo non riusciva più a contare quante volte la giovane lo avesse colpito, ma i danni che aveva riportato erano numerosi e gravi. Un normale essere umano a quel punto sarebbe già morto. 
Airis impugnò la spada a due mani e mirò alla gola. Brandir non reagì in tempo e la lama si abbatté sul collo, scavandovi un profondo solco e tranciandogli di netto la testa. 
Ledah restò basito. I due bambini si strinsero alle sue gambe, tremando come due foglioline, gli occhi sbarrati e l'incarnato cereo. 
- E' tutto finito, state tranquilli. - 
- Dov'è la mia mamma? - balbettò Zefiro sull'orlo del pianto.
- E papà? Papà sta bene? - si intromise Melwen, la voce insicura e tremante.
Prima ancora di riuscire a rispondere, uno spostamento d'aria li fece slittare all'indietro. L'immensa figura del drago oscurò il cielo, per poi atterrare di fronte a loro. Airis lo mancò per miracolo, cadde di schiena e strisciò indietro. 
Con un colpo di coda la bestia scaraventò a terra qualcosa, che non appena impattò col suolo iniziò ad inveire. Baldur digrignò i denti e si tirò su a fatica, il corpo cosparso di ferite e bruciature e le braccia bagnate del proprio sangue e di quello del drago. Roteò l'ascia e lanciò un'occhiata alle sue spalle. Con la coda dell'occhio Ledah intravide Fenrir sbucare da uno dei vicoli, con l'arco teso e lo sguardo fisso su quell'essere infernale.
L'animale spalancò le fauci ed emise un verso spaventoso di dolore misto a rabbia: uno squarcio slabbrato ornava il suo collo e la pelle squamosa sanguinava in più punti, ma non abbastanza copiosamente. L'unico occhio che gli era rimasto ardeva di una furia cieca. 
Ledah sentì le gambe molli e, improvvisamente, la consapevolezza di non avere alcuna via d'uscita lo schiacciò. Erano tutti e quattro stanchi e provati. Forse, se fossero stati nel pieno delle forze, avrebbero avuto qualche possibilità, ma non in quello stato, in bilico tra la vita e la morte.
- Voi due! Alzatevi e combattete! Io non ho intenzione di morire in ginocchio! -
La voce irata del nano giunse come un'eco lontana.
Airis si alzò e puntò la spada contro la bestia. Il braccio sembrava sul punto di lasciar cadere l'arma, ma i suoi occhi erano pieni di grinta. 
Ledah voleva farli desistere, convincere almeno Airis a ritirarsi, ma i suoi muscoli rifiutarono di muoversi. Era come se tutta la stanchezza di quel giorno gli fosse crollata addosso bruscamente. Desiderava aiutarli a fuggire, dire qualcosa che facesse realizzare a tutti quanto fosse assurda la loro ostinazione nel voler combattere, ma non ci riusciva. Era il suo stesso corpo a bloccarlo, a costringerlo a rimanere lì, immobile, ad osservare impotente la battaglia che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. 
Il drago si girò e diresse la sua furia contro la guerriera. La sua zampata calò sulla sua testa, ma Airis fu rapida a spostarsi. Vibrò un colpo di spada contro la zampa dell'animale, lacerandone le membra con facilità.  Però, quando arretrò, Ledah la vide sbiancare. Portò l'attenzione verso il punto in cui erano fissati i suoi occhi e si rese conto che dalla ferita appena inferta non scorreva alcuna goccia di sangue. Anzi, i lembi di pelle squarciata si richiusero in fretta. Studiò il drago e solo in quell'istante si accorse che ogni ferita si stava rimarginando: scorse i muscoli riallacciarsi tra di loro, i legamenti recisi fondersi di nuovo insieme come se fossero stati dotati di vita propria e le squame ricomporsi. Ormai del taglio sul collo non era rimasta che una misera linea rossa. 
- Airis, va' via da lì! - gridò Ledah.
Una violenta fiammata eruttò dalla gola della creatura. La guerriera si gettò dentro una bottega. La vetrata esplose in una miriade di schegge e il fuoco si infranse contro la pietra. 
- Ledah! Ledah, aiutala! - lo supplicò Melwen in lacrime.
Non appena udì la voce della bambina, il drago si concentrò su di lei. Spalancò le fauci ed emise un altro ruggito, stavolta più alto e potente. Si mosse verso di loro, ma una raffica di dardi simili a lampi neri cadde giù dal cielo e si schiantò contro il drago, interrompendo la sua avanzata. Ledah intravide un'ombra allungarsi sul tetto di una casa, le braccia tese e la sagoma di un arco tra le mani.
"Fenrir. Quando è salito lassù?"
Un lamento acuto ferì le sue orecchie. 
- Bastardo! Muori! - sbraitò Baldur, lanciandosi contro la bestia. 
Ledah non poteva più rimanere piantato lì come uno stoccafisso, doveva agire.
- Melwen, Zefiro, allontanatevi. - scandì perentorio.
"Forza, venite a prendermi!"
Un brivido freddo gli percorse la schiena.
- Ma... - balbettò Zefiro.
"Su, non è da voi farvi attendere!"
Mani inconsistenti lo sfiorarono e sibili incomprensibili gli invasero la testa.
- Ho detto andate! - ordinò secco. 
Il bambino lo fissò spaurito, ma poi tirò via la sua amica. Non appena il drago percepì lo scalpiccio alle sue spalle, colpì furibondo il nano, scagliandolo a terra, le iridi vermiglie sfolgoranti d'ira come tizzoni ardenti.
Finalmente ci cerchi!
Ledah digrignò i denti, si graffiò il viso e chiuse gli occhi, il corpo già scosso dai brividi. La follia era lì a un passo da lui. La sua mente fu invasa dalle visioni: la statua di suo padre, il suo sguardo austero, i volti dei suoi compagni, migliaia di maschere intorno a lui, deformi, grottesche, distorte. Risate assordanti gli ferirono le orecchie. Le mani lo avvolsero e lo trascinarono in una voragine di tenebra.
Nessuno ti ha mai amato. Solo noi.
Vide una Sheelwood vuota e silenziosa, quasi senza vita. I suoni di quel giorno lo aggredirono: il cozzare delle armi, le grida, i tonfi dei corpi che cadevano a terra.
Bravo, Ledah, non resisterci. 
Il suo corpo ebbe uno spasmo e le sue dita si contorsero in modo innaturale. Il dolore era lancinante e sembrava fagocitare la sua volontà. Provò la strana sensazione di fluttuare nel vuoto. Poi il mondo scomparve, lasciando dietro di sé solo quell'incendio di emozioni che lo stavano travolgendo: odio, rabbia, sofferenza, vendetta. Percepì il sangue ribollire nelle vene e la testa pulsare alla velocità del suo cuore impazzito.
La senti? La senti la forza? 
Apparve ancora quella pianura. Alle sue spalle c'era Brandir, il suo migliore amico, intento a fronteggiare un elfo armato di una mazza pesante. Al suo fianco c'era lui, le due daghe sguainate a parare un affondo, la treccia lunga che danzava nell'aria e gli occhi verdi ridotti a fessure.
Guarda. Ricorda la rabbia di quel giorno. 
Ledah urlò, ma la sua voce non riuscì a dipanare lo spesso velo di oscurità che lo aveva avvolto. 
Vide un essere vestito con un'armatura nera, le catene intrecciate intorno alle braccia e l'elmo crestato a coprirgli il volto, mentre con una mano perforava il petto di Brandir. Si sentì soffocare. Le ginocchia cedettero, ma non percepì il contraccolpo delle ossa sul terreno. Spalancò gli occhi più che poté, ma a quell'abisso non c'era fine. Mille e mille voci gli riempirono la testa, milioni di ombre danzarono davanti a lui.
Mostro! Mostro! Sei tu il mostro!
Vide Brandir annaspare e serrare le mani tremanti attorno a quelle del nemico, per poi guardarlo dritto in faccia. Era il suo migliore amico, il suo unico amico. Scorse le sue labbra muoversi e tendersi in un sorriso sereno. 
- Ti voglio bene, Ledah. - 
Il suo cuore mancò un battito e per un istante tornò cosciente.
Vieni nell'abisso con noi.
"No. Vincerò questa battaglia rimanendo me stesso."
Dalle mani di Brandir scaturì un globo di luce bianca che lo accecò. Si sentì strappare da quella buia prigione con violenza e la realtà riassunse i suoi contorni. Aprì le palpebre nel momento esatto in cui il drago si levò in volo per scagliarsi contro i bambini. 
Zitto! Smettila di opporti! 
Ledah corse verso di loro, mentre la marea nera e invisibile che gli si aggrappava agli arti per fermarlo.
Gli artigli della bestia fendettero l'aria e il grido di Melwen riecheggiò nella città morta. Zefiro si strinse alla sua amica e attese. Rimasero immobili, immersi in un silenzio surreale, senza avere il coraggio di guardare. Poi il bambino spalancò gli occhi e il respiro gli rimase incastrato in gola: la zampa era proprio sopra di loro. Sotto di essa, di spalle, c'era un guerriero con una mezza armatura nera. I palmi delle sue mani erano premuti contro la pelle squamosa del drago, i muscoli tesi e tremanti per contrastare la sua forza mastodontica.
Ledah volse leggermente la testa verso di loro e Zefiro intravide due occhi incendiati dalle fiamme rosse della follia.

 
 
 
  
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