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Autore: Aries K    13/12/2014    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tredicesimo Capitolo








Allungai una mano appena in tempo per soffocare un grido, voltandomi con il cuore precipitato nello stomaco, tanta la paura.
Mi ritrovai a fissare con occhi sgranati quelli limpidi di Rebecca Williams.
“Signorina Williams!”, strillai, vicina ad una crisi. Ma che cosa diavolo ci faceva lì?
Lei mi sorrise stringendo le labbra e mi si avvicinò con la naturalezza con cui s’incontra un amica in centro, in un giorno qualunque.
“Ero venuta a cercarti, Emily”, mi rispose, semplicemente.
“A cercare me? Oh, oh no… mia nonna! E’ successo qualcos…”
“No, Emily. Calmati e vieni qui”, mi ordinò buttando un’occhiatina alle mie spalle, per poi afferrarmele e condurmi più in profondità.
“Mi vuole dire cosa succede? E perché si è nascosta qui?”
“Nessuno deve vedermi e tu, naturalmente, non dovrai dire nulla riguardo questo incontro”, disse lentamente, scandendo bene le parole.
Una. Per. Una.
“Mi sta spaventando.”
La stretta delle sue mani sulle mie spalle si fece più ferrea e il suo sguardo, carico di apprensione, cercava in me una conferma riguardo la sua richiesta.
“Sì, io non dirò a nessuno che l’ho incontrata qui. Ma non mi faccia aspettare un secondo di più”, quasi ringhiai per il dolore provocato alle mie ossa, -“la prego.”
Lei annuì freneticamente, alcuni ciuffi si ribellarono all’elastico della coda e le ricaddero ad incorniciagli il viso pallido.
“Domani mattina. Metropolitana centrale. Alle nove in punto, voglio trovarti lì.”
“E perché?”, domandai, dominando una vertigine di paura e incomprensione.
“Ci sono cose che devi sapere e perché è così che deve andare. Domani mattina la Delacour non ci sarà, non rientrerà prima di mezzogiorno. No, non chiedermi come io faccia a sapere queste cose: l’importante è che io le sappia. Ora entra dentro dalle tue amiche. Vai!”, mi girò con un gesto repentino e mi spinse fuori dal limitare del bosco. Non mi voltai indietro per concedermi un ultimo sguardo, barcollai con le gambi molli fino a rientrare nel clima della festa.
Proprio come avevo previsto il dj aveva deciso di movimentare la serata con qualche brano natalizio remixato; in quella massa di corpi danzanti dovetti alzarmi sulle punte per guardarmi intorno alla ricerca di Jamie, Nicole e le altre. Un ragazzo mi rifilò una gomitata al centro dello stomaco e, se non avessi intercettato il suo viso mortificato e rosso per l’imbarazzo, avrei creduto l’avesse fatto di proposito. Cambiai area, senza smettere di cercarle.
Pochi istanti dopo, però, fu qualcun altro a trovare me; il mio sguardo ne intercettò un altro che chissà per quanto tempo era rimasto lì, immobile, a richiamare il mio.
William s’incamminò verso di me e sul mio viso si dipinse un sorriso di pura euforia. Era elegantissimo, sapete? I suoi capelli sembravano più scuri rispetto al loro colore naturale poiché li aveva fissati all’indietro con del gel, alcuni ciuffi gli si arricciavano presso i lobi e lungo il collo. Giacca e cravatta gli donavano un’aria retrò, come se fosse uscito da una di quelle vecchie fotografie color seppia. Allargò le braccia per avvolgermi contro il suo corpo ed inspirai il profumo della sua pelle, rendendomi conto solo allora dell’astinenza che avevo in circolo.
“Ho dovuto fissarti per un paio di minuti prima di rendermi conto che eri tu”, mi disse all’orecchio, e non sentii nient’altro che la sua voce, isolando la musica e le chiacchiere.
“E questo sarebbe un complimento o…?”
“O assolutamente un complimento, Emily.”
Fece scivolare una mano all’incavo della mia schiena e mi baciò quasi con prepotenza, facendomi chiaramente comprendere che le chiacchiere potevano essere rimandate ad un altro momento. Fu una vera e proprio lotta contro me stessa rimanere ad occhi chiusi, perché avevo la terribile sensazione che tutte le persone presenti avessero smesso ogni loro azione per fermarsi e guardarci. Un pensiero piuttosto egocentrico da parte mia, lo ammetto, ma proprio non riuscivo a farne a meno di essere così guardinga, sospettosa fino all’esasperazione.
“Sei bellissimo”, mormorai sulle sue labbra, per poi mordicchiargli il labbro superiore. Lui sorrise e affondò il viso nel mio collo, agganciando le braccia dietro il mio corpo affinché continuassimo quella lenta danza che avevamo inconsapevolmente iniziato, sulle note di una canzone romantica.
“Come mai ci hai messo un po’ ad arrivare?”, gli domandai, posando la guancia sulla sua spalla. La sua replica fu irrilevante perché, non appena posi l’interrogativo trovai anche la risposta. I miei occhi intercettarono una serie di microscopiche macchioline di sangue all’altezza del primo bottone della camicetta bianca. Sollevai il capo da quella comoda posizione – quasi scontrandomi con il suo mento- in modo da guardarlo negli occhi.
“Sono stato a caccia.”
“Lo vedo”, mormorai, cercando di non far ricadere l’attenzione sulle macchie vermiglio.
“Che c’è? Perché hai quell’espressione contrita?”, mi domandò, ma dal tono di voce intuii conoscesse la risposta, eppure, il suo era un intento a far scatenare una reazione in me. Voleva vedere –ancora una volta- fin dove fossi disposta a spingermi pur di vivere affianco a lui. Io deglutii, annuendo.
-“Mi sembra che ci fossimo già chiariti su questo punto, no? Devo nutrirmi perché altrimenti non potrei essere a contatto con tutti questi umani senza desiderare di attaccarmi al loro collo. Tu non sai che significa sentirsi la gola bruciare, il palato prosciugarsi e ardere di sete.”
“Certo, come potrei saperlo”, mi affrettai a rispondere, accavallandomi quasi alle sue parole.
“Era un uomo”, mi spiegò dopo qualche secondo di silenzio e qualche giravolta intorno alle altre coppie, -“ma non aveva speranza. Un barbone, Emily. Non avrebbe resistito altre due notti, nelle sue condizioni. Il mio intento non era uccidere nessuno, solo bere un po’ del suo sangue – quel tanto che bastava per considerarmi appagato- ma se non l’avessi ucciso sarebbe andato in contro a qualcosa di più atroce.”
Strinsi le dita intorno alla sua giaccia e capii il suo discorso, tanto che non mi risultò difficile sorridergli e annuire.
“Non devi giustificarti, lo sai.”
“E’ quello che mi dici sempre, ma poi la tua espressione è così eloquente che non posso ignorarla.”
“E allora perdonami. Però, ti prego, non roviniamoci la vigilia. Baciami.”
L’ultima parola uscì dalla mia bocca in un suono duro, che sapeva di ordine. Lui sorrise mostrandomi i denti e ci fermammo nella frenesia per un lungo, sentito, bacio. Solo dopo esserci distaccati si sciolse da me, afferrandomi un polso.
“Visto che hai già il giaccone, tanto vale approfittare”, mi parve che disse a bassa a voce, mentre la musica superava le sue parole. Mi lasciai condurre fuori dalla sala, proprio sul palco di legno, davanti alla schiera di alberi in cui si era nascosta la Williams. Rabbrividii per un istante e poi William mi fece sedere accanto a lui, sulle scalinate.
“Si può sapere che hai in mente?”, chiesi, non sapendo se ridere o tremare. Lui annuì rovistando con una mano all’interno della sua giacca.
In un attimo ecco che mi porse una scatolina rettangolare di velluto, ampia e poco spessa. Sentii il freddo dell’aria addentrarsi nella mia bocca spalancata.
“E’ la vigilia e domani è il tuo compleanno. Questo è per te”, puntualizzò, poggiandomi il dono sul palmo.
“Io non ho potuto comprarti nulla”, sussurrai, cercando di mimetizzare con un sorriso l’enorme disagio che avvertivo. William scrollò le spalle e m’incitò ad aprire il regalo. Sospirai e sollevai il coperchietto blu.
Incastonato in un sacchetto del medesimo colore dell’involucro, c’era un delizioso bracciale di caucciù con una lastra argentata su cui risplendeva una scritta, al centro. Dovetti piegarmi verso il riflesso della luce per far rischiarare la dedica incisa con un carattere complesso ed elegante.
“Fin…fino”, lessi concentrandomi, -“fino alla fine…”
“Del tempo”, completammo io e William, all’unisono. Mi voltai a guardarlo, sinceramente commossa. Lui aveva poggiando il volto sulle mani, le braccia sostenute dalle ginocchia piegate e mi sorrideva sornione, consapevole di avermi spiazzata.
“Ti piace?”
“Io lo adoro, William Delacour”, risposi, guardandolo dritto negli occhi.
Rise sommessamente, avvicinandosi.
“Lascia che te lo metta.”
Prese il mio polso scostando la manica del giaccone e con un gesto secco e delicato riuscì ad allacciarmi il bracciale.
“Speravo ti sarebbe piaciuto. E’ stata un cosa ricercata”, mormorò tutto compiaciuto. Accarezzai il regalo, senza nemmeno smettere di mirarlo.
“Questa frase”, dissi, -“me la ripeti molto spesso, Will.”
Volsi la mia attenzione sul suo viso e notai immediatamente l’intensità che si era appena impadronita dei suoi occhi.
“Non è solo una frase. E’ molto di più”, rispose, abbassando il tono di voce.
“E’ molto di più…”, ripetei, corrugando la fronte.
“E’ una promessa. Perché io ti starò accanto fino alla fine, Emily”, mi spiegò solenne, prendendomi le mani. Non l’avevo mai visto con un’espressione tanto intensa e tanto appassionata.
“Anche io.”
“Ma io intendo qualunque sia la fine”, sembrò redarguirmi, -“sia che tu, un giorno, sceglierai di trasformarti e allora sarà solo la fine del mondo a dividerci, sia che tu decida di non mutare la tua condizione e allora…”
“E allora sarà solo la mia –di fine- a separarci.”
“Le promesse di un vampiro non sono come quelle di voi umani”, sghignazzò alzando un sopracciglio, -“una promessa viene presa molto seriamente per questioni di rispetto, di parola ed onore. Soprattutto una promessa come questa che ti sto facendo io.”
-“Vorrei ricordarti che per metà sei umano”, lo canzonai, liberando le mie mani dalle sue per punzecchiarlo. Lui rise, ricambiando le spinte.
“Touché! Ma per le cose che mi fanno comodo preferisco pensarla da vampiro, d’accordo?”
“D’accordo. E, quindi, per quanto possa valere io ti starò sempre vicina, William. Te lo prometto.”
Lui tornò nuovamente serio – una serietà placida, appagata – e mi baciò in una maniera tanto dolce quanto urgente.
“Emily”, pronunciò il mio nome sfiorando le mie labbra con le sue.
“Emily…oddio!”
Non era stata la voce di William, questa volta. Io e lui sobbalzammo distaccandoci di scatto e, quando ci voltammo, ecco che vedemmo Nicole sulla soglia della vetrata. Aveva una mano sulla bocca e il volto in una maschera di mortificazione, segno che non si era resa conto che ero in compagnia di William. Infatti balbettò:
“Scusate, okay? Non sapev…cioè, non mi sembrava che tu, che voi fosse qui. Dovrei mettermi gli occhiali, a quanto pare”, sforzò una risata nel dire l’ultima frase. Fece per andarsene ma William le fece cenno di attendere e, issandosi in piedi, annunciò:
“Stavamo giusto pensando di rientrare. Non vogliamo mica fare i solitari con un clima di festa così piacevole alle spalle.”
Guardai Nicole.
“Ah, certamente. Allora vi consiglio di entrare perché stanno per terminare i dolci e sono buonissimi. E c’è uno che sta facendo il, mh, giocoliere con le bocce della coca-cola”, cinguettò apparendo già più rilassata ai miei occhi anche se, non appena ci sfoderò un gran sorriso, tornò dentro con fin troppa foga.
William aiutò ad alzarmi.
“Perché dobbiamo entrare? Non ti andava più di fare i solitari?”, mi lagnai, simulando uno sbuffo infastidito.
William mi diede una pacca sulla spalla prima di rispondere e raggiungere la vetrata.
“Quando Nicole è nei paraggi avverto il suo terrore nei miei confronti in una maniera che mi diverte e insospettisce al tempo stesso”, mi confessò pensante, -“è amica tua ed è per questo che voglio far placare il suo disagio mostrandomi più umano possibile. Andiamo? Ci sono dei dolci che ci attendono, come hai sentito.”
Non mi ero resa conto di esser rimasta a bocca aperta fin quando non deglutii rumorosamente e con fatica. William ignorava il fatto che Nicole avesse scoperto tutto da sola, per sbaglio, spiando sua madre e che io avevo aggiunto la mia testimonianza, confermando ciò che aveva visto.
Avvertii un’ondata di vergogna così palpabile in tutto il mio essere che barcollai, davvero mortificata. Tuttavia la mia mano sì unì alla sua e, lanciando una breve occhiata alle mie spalle, mi allontanai dal nostro mondo per riunirmi a quello degli altri.





La mattina successiva procedevo a passo svelto sui marciapiedi scivolosi di Londra, sfregando una mano sul naso arrossato dal freddo, ignorando con tutta me stessa la paura di poter essere braccata da quei tre. Il sole era sepolto e un manto grigio di nuvole si estendeva su tutto il cielo, rapendo i colori della città offuscandone persino i ricordi. Arrivai alla stazione in netto anticipo; comunque sia decisi di attraversare il tunnel al neon e aspettare Rebecca Williams seduta su una delle panchine di ferro. Mi misi seduta osservando le poche persone presenti che si guardavano intorno con aria assonnata. Una bambina si sedette accanto a me, mentre sua madre le diceva di andarci piano con il nuovo giocattolo che teneva –e sbatteva- sulle mani. Solo in quell’istante mi resi conto che era il giorno del mio compleanno. Reclinai il capo all’indietro appoggiando la testa contro il muro per lasciarmi cullare dai ricordi dei miei compleanni passati…. Fin quando non avvertii una presenza di fronte a me. Staccai il capo con talmente tanto impeto che pensai di essermi graffiata la nuca e, se prima avevo ancora gli occhi appiccicaticci per via del sonno, ora non c’erano dubbi che mi ero data una bella svegliata. La Williams trasalì come se fossi stata io a spaventarla.
-“Non l’avevo sentita arrivare, che spavento”, esordii con un sorriso, alzandomi per salutarla. Lei mi strinse in un fugace abbraccio. Era avvolta in un cappotto verde acqua e sotto di quello doveva indossare una gonna, anche piuttosto corta, perché le sue lunghe gambe erano scoperte al dispetto del gelo.
“Per un attimo ho pensato stessi dormendo. E’ molto presto rispetto all’orario concordato: da quanto mi aspetti?”
“In realtà non da molto.”
Rebecca annuì e si sedette accanto a me.
-“Ora potrebbe dirmi che cosa ci facciamo qui? Sembra un incontro segreto”, mormorai, presa ad osservare il suo volto. Sì, perché c’era qualcosa, nella sua espressione, di insolitamente drammatico. Non riuscii a capire se quella sensazione era dovuta dal mio stato d’animo in tensione o se fosse il vero o, ancora, se fosse colpa di quelle maledette luci al neon sopra le nostre teste.
-“Perché questo è un incontro segreto. Se non fossi stata certa dell’assenza di Jennifer Delacour non ti avrei mai esposto a questo pericolo. Sono a conoscenza delle regole dell’istituto. Nessuno ti ha visto vero?” Ripensai a quanto ronfavano le mie vecchie compagne di stanza quando ero in bagno a prepararmi e, a parte Jamie che era incollata al lavandino del bagno (a lamentarsi della notte trascorsa a tossire e vomitare) ero certa che nessuno avesse fatto caso al mio andirivieni.
“No. Nessuno”, quindi risposi con un sospiro.
“Ne sei sicura?”, rimbeccò la Williams avvicinandosi al mio viso per fare in modo che la guardassi dritta negli occhi. Quel contatto inaspettato fece nascere in me un brivido irrazionale; fu solo allora che iniziai ad agitarmi davvero perché, qualsiasi cosa stesse per accadere, sapevo che valeva tutta la mia angoscia.
“Signorina Williams, la prego, non prolunghi questa conversazione: mi dica che cosa ci facciamo in una stazione, mi dica che mia nonna non c’entra niente in tutto questo.”
Rebecca si voltò, non capii cosa stesse facendo fin quando dalla sua borsa tirò fuori un… pacco?
“Questo te lo manda tua nonna”, spiegò rigirandoselo tra le mani, -“mi ha detto di dirti che devi assolutamente aprirlo –il prima possibile- ma solo dopo esserti assicurata di essere sola. Nessuno, a parte te, dovrà essere a conoscenza del suo contenuto.”
Sbattei ripetutamente le palpebre, come se mi fossi appena ripresa da una sorta di trance, perplessa: che cosa stava accadendo?
“M-mi scusi, non potrebbe spiegarsi meglio? Credo di non aver capito la situazione.”
“Emily, capirai tutto una volta aperto questo. Ora, ti prego, prendilo.”
La Williams mi consegnò il pacco che quasi mi cadde dalle mani perché credevo fosse più pesante di quanto in realtà non lo era. Lo portai vicino all’orecchio e lo scossi; tutto ciò che udii fu il leggero raschiare di un oggetto al suo interno.
-“Ora lascia che io ti dica un mio personale consiglio”, mormorò avvicinandosi ancora di più a me. Le nostra ginocchia si toccarono. Guardandola non mi sembrava di avere davanti la stessa donna che si era occupata di me e che mi aveva condotta al collegio.
-“Ieri sera sono rimasta nell’ombra e non ho potuto fare a meno di vederti in compagnia di William Delacour”, fece una breve pausa senza distaccare gli occhi dai miei, se non fosse stato ridicolo pensai che mi stesse rimproverando con lo sguardo, poi parlò di nuovo,-“e se c’è una cosa che vorrei dirti è quella di allontanarti da lui. Se sei ancora in tempo, con i tuoi sentimenti, allora cerca di tagliarlo fuori dalla tua vita.”
Non riuscii a ribattere, non le trovavo nemmeno sforzandomi, le parole. Rimasi a fissarla con sguardo accigliato, non potendo prendere in considerazione nemmeno lontanamente l’idea di distaccarmi da lui.
“Anzi”, fece ancora, proprio mentre stavo per pensare che forse lei sapeva della natura dei Delacour,-“anche se non sei in tempo, allontanati da William Delacour.”
A quel punto successe una cosa davvero, davvero curiosa.
Il tempo subì un rallentamento, una mutazione nel suo naturale scorrere. Tutto mi parve amplificato e lontano, tanto da sembrare che stessi osservando la scena attraverso un binocolo.
Il fischio del treno annunciò in lontananza il suo imminente arrivo, Rebecca Williams si alzò dicendomi che non poteva perdere questa fermata, accarezzandomi le guance con le sue mani gelide. Poi corse verso i binari e, quando il treno fece il suo ingresso nella galleria, Rebecca Williams si lanciò lasciandosi travolgere.
Le grida dei presenti scandirono di nuovo il tempo, che tornò al suo naturale andamento.







Angolino autrice: Buonasera a tutti! Colgo l'occasione per dirvi che questo sarà l'ultimo capitolo del 2014, per poi tornare nel 2015 con un sacco di rivelazioni. Per cui, vi ringrazio per dedicare del tempo alla mia storia, ringrazio chi l'ha messa tra le preferite/seguite/ricordate e chi ha commentato con preziosi consigli e belle parole.
Vi auguro di passare delle buone feste e... ci si risente a Gennaio! Un bacione!
   
 
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