1. SABATO 25 NOVEMBRE
Il semaforo era rosso. Doveva
fermarsi per forza.
Stava lì, in
attesa che il semaforo pedonale diventasse verde, in modo da poter raggiungere
la stazione.
Le lunghe
gambe fasciate da jeans aderenti, il busto coperto da una camicia bianca, e
sopra un maglioncino nero con lo scollo a V,
ballerine nere con un ricamo bianco.
Aveva iniziato a vestirsi in modo
rigido ed austero, “da grande”, nel momento in cui era stata strappata
brutalmente dal mondo delle favole per essere catapultata nel mondo degli
adulti. Dove esiste la morte.
Il volto
seminascosto dal ciuffo nero, che oscillava scombinandosi per colpa della
corrente prodotta dalle macchine in corsa.
Il viso imbronciato, gli occhi
azzurri persi nel vuoto, i bianchi denti che mordevano il carnoso labbro
inferiore.
Finalmente il fiume di macchine
finì, ma non venne ancora verde. Camilla non attraversò: lei rispettava sempre
le regole. Quelle che le sembravano giuste, ovvio.
Giunse in stazione, alla corsia dove
sarebbe arrivato l’autobus, nello stesso posto dove, nell’ultimo anno e mezzo,
sin incontrava con il suo ragazzo, prima e dopo scuola.
Ma quel
giorno…
Prese a mordersi il labbro ancora
più forte: doveva impedire ai ricordi di affiorare.
Ma non
poteva fare a meno di pensarci.
Nell’mp3 aveva
impostata la riproduzione casuale. Partì una canzone, quella canzone
che lui le aveva dedicato ancora nei primi mesi della loro relazione.
“…e nessuno è solo se anche di notte ha chi non dorme per
pensare a lui…”
Una lacrima scese
dai suoi grandi occhi tristi, seguita da un’altra, e un’altra ancora.
Ora lei era sola: non c’era più
nessuno che né di giorno né tanto meno di notte stava sveglio a pensare a lei.
Non c’era più nessuno perché il suo
Enrico, il suo amato Enrico si era addormentato. Per
sempre. Lasciandola da sola alla mercé del mondo.