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Autore: Melian    15/12/2014    0 recensioni
«Mike, credo che – togliendo le superstizioni, le leggende e tutto il resto – i fatti ci dicano una sola cosa, un'unica verità.», esordì con voce bassa e tremolante di eccitazione.
«No, Allie, ti prego, non vorrai davvero dirmi che...», la implorò Michael.
Allison era sognante: «Mike, già vedo il titolo del nostro reportage in prima pagina: “Il Serial Killer Vampiro colpisce ancora”.»
[Quarta classificata e vincitrice del "Premio Atmosfera" al contest "Left Behind – storie di ruggine e abbandono” indetto da Tsunade e InoChan sul forum di EFP]
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO II: UN ARTICOLO DA PRIMA PAGINA

La domenica mattina di Allison trascorse veloce, forse fin troppo. Seduta alla scrivania della sua stanza, la ragazza era stata impegnata a correggere le bozze di alcuni articoli per il Daily York, il giornale per il quale lavorava come redattrice. Fu un lavoro monotono, ma che Allison aveva dovuto fare, nonostante si annoiasse e, spesso, si distraesse.
Più che correggere le notizie, infatti, lei adorava scovarle e scriverle; trovava ben poco stimolante un lavoro di editing, ma dovette portarlo a termine con una forte dose di buona volontà. Si era preparata un pranzo veloce e poi si era concessa un paio d’ore di lettura per ultimare il libro giallo che aveva preso in biblioteca due giorni prima. Poi ancora lavoro. Peccato che, ad un certo punto, la lavatrice avesse deciso di rompersi e che, quindi, ruscelli d'acqua avessero invaso il bagno, costringendo la ragazza ad armarsi di pazienza e stracci.
Allison, esausta, guardò l’orologio sul monitor del suo laptop: erano le 20:33. Stiracchiandosi, decise di fare una passeggiata: ne aveva decisamente bisogno.
Le strade di York erano ancora poco affollate ed era piacevole passeggiare tra i negozi che, seppur chiusi, offrivano delle splendide vetrine da osservare. Allison guardava gli oggetti in esposizione non troppo interessata: molti di quegli oggetti erano superflui, altri non poteva permetterseli.
«A quanto pare, Cappuccetto Rosso è stata fortuna e non ha più incontrato il lupo cattivo.»
Allison sussultò e si riscosse dai propri pensieri; si accorse che qualcuno era fermo proprio dietro di lei: poteva vederne il pallido riflesso nella vetrina. Ci mise poco a capire chi fosse il suo interlocutore, tanto che sorrise piacevolmente sorpresa.
«Compari sempre così all’improvviso?»
Il ragazzo, le mani infilate nelle tasche di una giacca nera, sembrò pensarci su e poi si strinse nelle spalle. «Potrei citarti la battuta di un noto romanzo fantasy a proposito della puntualità degli Stregoni.»
«Quello era “Il Signore degli Anelli” e tu non mi sembri Gandalf, a dire il vero. Però non mi sembra che, in questo momento, io abbia bisogno di aiuto, per fortuna.», ribatté Allison senza riuscire a trattenere una mezza risata di divertimento.
«Tu non puoi fare a meno di me da quando mi hai incontrato.», rispose Andrew con una disarmante faccia tosta e una buona dose di ironia.
«Che fai, cerchi di abbordarmi?», domandò Allison con una punta di ilarità.
«Chi, io? Sei fuori strada: io sono un cavaliere.», insistette Andrew.
«Prima che tu te la dia di nuovo a gambe, cavaliere, sarà meglio che mi presenti: Allison Bishop, giornalista per diletto e vocazione. Ora dovresti davvero permettermi di offrirti quel caffè... o un tè o qualsiasi altra cosa tu abbia voglia di bere, naturalmente.».
Allison iniziò a parlare a raffica, tanto che Andrew non ebbe il tempo di replicare fino a quando sollevò la mano in un gesto repentino.
«Ehi, ehi, calma! Sei davvero... loquace.», commentò il Vampiro con un accenno di sorriso più indulgente. «D'accordo, andiamo. Ho il sospetto che non riuscirò a liberarmi di te, altrimenti.»
«Io non mi accontento mai di un no. Che razza di giornalista potrei mai essere, se mi arrendessi al primo rifiuto?», gli chiese retorica la ragazza e, quindi, fece un cenno verso il fondo della strada, incamminandosi: «Vieni, Charlie's è proprio all'angolo. Hanno il miglior caffè della città e le torte più saporite. Ah, non ho capito come ti chiami...»
«Andrew.», sussurrò il Vampiro e la seguì con espressione concentrata. Si stava chiedendo come avrebbe potuto farle capire che non era il caffè, quello che aveva voglia di bere.

Quante volte Andrew aveva affascinato le sue giovani vittime prima di morderle? Il signore di York amministrava molto bene il potere ipnotico degli antichi Vampiri, quella forza psichica che riusciva a scardinare le difese dei mortali e spezzarne la volontà, assoggettandoli ai propri capricci.
Mordere: quel pensiero attraversò la mente di Andrew come una lama che affondava sempre più nella sua coscienza e richiedeva il suo tributo di sangue. La Sete, quel bisogno ancestrale, si accese in lui come un incendio, torcendogli le viscere e ogni singola vena.
Deglutì. Il profumo del sangue umano era come il canto di una sirena, quello di Allison – così familiare – era ancora più potente. Quante volte aveva bevuto da lei, mentre dormiva? C'era qualcosa di assurdamente perverso in quello che stava facendo adesso: fingere di non conoscerla, fingere di essere un ragazzo qualsiasi, fingere che il sangue di lei non esercitasse quel distorto fascino... fingere.
Provò l’impulso di mordere Allison, mentre la osservava tra le volute del fumo che saliva dalla tazza di tè che lei stringeva tra le dita, seduta ad uno dei tavoli della caffetteria affollata.
No, non l’avrebbe uccisa, le avrebbe solo succhiato il sangue che gli bastava per placarsi. Aveva tutto il diritto di prendersi ciò che gli spettava, dopotutto. Bastava che allungasse la mano e facesse leva sul proprio charme sovrannaturale: la ragazza non si sarebbe opposta e, agli occhi di tutti gli altri umani, il loro abbraccio sarebbe parso solo lo scambio di una effusione passionale.
Andrew scosse la testa, scacciò quel pensiero. Tentò di domarsi, ma la sua Sete lo faceva ardere di desiderio. Aveva bisogno di bere, un bisogno disperato. Ma no, non voleva toccare Allison: un barlume di ragione nella sua mente ottenebrata gli suggeriva di stare calmo. Se l’avesse aggredita, sarebbe stata la fine.
Le sorrise, garbato, celando il cupo abisso che lo rodeva dietro modi affabili e una buona conversazione.
Quella notte, però, qualcuno sarebbe morto, immolato alla sua fame.

***

La strada era praticamente deserta, se si escludeva un camioncino tutto sporco e con la targa coperta – forse ad arte – da uno spesso strato di fango, fermo nel vicolo accanto alla banca centrale di York e rigorosamente coi fari spenti.
Nell’abitacolo del conducente, un uomo stempiato e vestito sciattamente attendeva con aria preoccupata e impaziente. Fumava una sigaretta e soffiava il fumo fuori del finestrino, frammisto a qualche colpo di tosse tipico di quei fumatori incalliti con i polmoni guastati. Guardò nel vicolo con circospezione, anche se la pistola che portava alla cintola gli conferiva una certa sicurezza. Aspirò l’ultima boccata di fumo e buttò via il mozzicone con noncuranza.
«Ma quanto ci mettono?»
Frank avrebbe preferito passare quella notte nel suo letto, piuttosto che a fare il palo per una rapina, e sperava di poter rientrare a casa ad un orario non troppo indecente, anche se non c'era nessuno ad aspettarlo, a parte la confezione di birra in frigo. Poggiò un braccio sulla portiera e frugò nelle proprio tasche, prendendo il pacchetto di Light Blue, ma non trovò l'accendino.
«Ha da accendere?»
A Frank per poco non venne un infarto: il suo campo visivo era appena stato occupato da una figura di cui non riusciva a vedere la faccia. Istintivamente, portò la mano alla cintola, sulla pistola e la impugnò, tenendola bassa.
«No, amico. E levati dai piedi, non è serata.», tagliò Frank aggressivo e diffidente.
Fissò il ragazzo che si era appena chinato: vestito troppo bene e dai modi troppo circospetti.
«Sarai mica uno sbirro? Ma io non mi faccio fregare, piuttosto mollo quei due imbecilli lì dentro, ti faccio saltare la testa e me ne vado.»
Frank estrasse la pistola e la puntò dritta contro l'uomo che, nonostante tutto, gli sorrideva serafico. «Che cazzo ti ridi? Fammi vedere le mani, stronzo!», pretese e scese rapidamente dal furgone, tenendo la pistola puntata contro l'uomo che, però, sollevò le mani e gli sorrise beffardo.
«Ti consiglio di non farlo... amico.»
Frank caricò il colpo in canna e tenne il dito sul grilletto. Si avvicinò all'uomo e lo afferrò per il bavero della giacca, sbattendolo contro il cofano pieno di bozzi del furgone. La lamiera emanava calore e si poteva sentire il rumore borbottante del motore acceso.
Andrew stette al gioco e si lasciò perquisire senza opporre resistenza. Poteva sentire le brutali, avide e tozze mani di Frank tastargli le tasche e avvertì persino il respiro che sapeva di alcool contro la nuca.
«Non sei uno sbirro, ma sembri uno con i soldi. Magari a casa mammina ti aspetta e pagherebbe per riaverti intero, mh? Forza, sali! Verrai con me e i miei compari.», asserì Frank con un ghigno soddisfatto. Smosse la pistola, indicando il furgone, e ingiunse: «Muoviti o ti sparo alle gambe.»
«Ti ripeto, non farlo. Rendiamoci le cose più semplici e meno dolorose.», propose Andrew pacificamente.
Fissò l'uomo che lo minacciava con uno scintillio sadico nello sguardo, come se si divertisse in quel gioco dove faceva la parte della preda. Avanzò con uno scatto verso Frank e quello, allora, indietreggiò e sparò, senza mirare con esattezza, colto alla sprovvista.
Il rumore dello sparo riecheggiò lungo tutto il vicolo e, lontano, qualche cane riprese l'eco con un lungo latrato.
Andrew rimase immobile, quasi stupito da quella reazione improvvisa. Abbassò lo sguardo: la sua spalla sinistra era stata ferita e il proiettile era rimasto incastrato nella carne, un rivolo di sangue colava sui vestiti strappati. Tuttavia, non fece una piega, né si esibì in un gemito o un'espressione preoccupata. Nulla, aveva incassato il corpo senza alcuna reazione.
Frank rimase impietrito e sgranò gli occhi; la mano che stringeva la pistola tremò visibilmente. Guardava con un crescendo di stupore, orrore e raccapriccio la carne in cui la pallottola era penetrata contrarsi e il sangue, scuro e denso, colare. Un attimo dopo, la pallottola venne risputata fuori dal corpo di Andrew e cadde a terra con un tintinnio. Quando Frank tornò a fissare la spalla del suo antagonista, non trovò assolutamente nulla, nessuna traccia del foro, né del sangue, niente.
«Chi sei?! Cosa cazzo sei?!», urlò, incurante del fatto che i suoi complici fossero in una banca a tentare di scassinare il caveau.
Indietreggiò terrorizzato e stava per sparare tutto il caricatore addosso all'abominio che aveva davanti, quando si rese conto che era troppo tardi: il Vampiro lo afferrò per il collo, sollevandolo come se fosse stato un fuscello.
Frank annaspò, alla disperata ricerca d’aria: il suo volto divenne paonazzo, i piedi scalciarono, le pupille si dilatarono e tutti i capillari nei suoi occhi sembrarono sul punto di rompersi, gli occhi stessi minacciarono di schizzargli dalle orbite. Sentì le vene del collo pulsare dolorosamente, poi tutto divenne sfocato, i suoni sommessi e indistinti, le immagini si dissolsero un esplosione di bianco, il ronzare del sangue si fece nelle sue tempie sempre più lieve.
«Ti avevo avvertito.»
Fu l'ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi, prima che denti acuminati affondassero nella sua gola, raggiungendo la giugulare esterna. Venne il dolore, acuto, sordo, selvaggio, uno spasmo che gli attraversò tutto il corpo. Poi il nulla.
Andrew stringeva la sua preda in un abbraccio micidiale, fu sicuro di sentire le ossa spezzarsi sotto la sua presa, ma non riusciva a staccarsi da quella fonte di cibo e dal piacere che lo squassava.
Il silenzio venne improvvisamente spezzato dall'allarme della banca che suonava all'impazzata e dalle voci roche di due uomini che si precipitavano fuori dall'edificio.
«Andiamo, presto! Dov'è quell'idiota? Doveva tenere il furgone in moto!»
Uno dei rapinatori si guardò attorno ed Andrew lasciò cadere bruscamente il cadavere della sua preda che si afflosciò come una vescica di bue svuotata.
Lontano, l'eco delle sirene delle volanti della polizia squarciava l'aria con il loro profondo lamento.
Il Vampiro dovette lasciare il corpo lì, in bella mostra, con i segni del suo passaggio sulla gola squarciata, e darsi alla fuga: richiamando a sé i poteri che il Sangue Oscuro gli conferiva, si arrampicò sul muro del palazzo adiacente la banca e saltò sul tetto, appiattendosi nel buio.
I due manigoldi urlarono di raccapriccio quando scoprirono il corpo esanime del loro complice, mentre la polizia si radunava e circondava la banca, tagliando loro ogni via di fuga.
«Dannazione!», sibilò Andrew con un ringhio di frustrazione.
Aveva appena commesso un gravissimo errore.
 

***


C'era il rumore di acqua corrente, ne era sicura. Poteva sentirne il suono amplificato dalle altissime volte del soffitto. Acqua corrente all'interno di un edificio? Com'era possibile? Eppure c'era.
Allison camminava sull'erba a piedi nudi, tremando per il freddo della rugiada sotto le piante e per il piacere che quella sensazione riusciva a provocarle. Sì, c'era un piccolo torrente pieno di sassi che correva sotto ad un ponticello di pietra che saliva nel cuore di una navata immersa nel buio e circondata da due ali di colonne altissime. In fondo c'era l'abside su cui si aprivano due fila di finestre bifore imponenti: era da lì che penetrava la fievole luce della luna che aveva appena fatto capolino nel cielo.
Poi, all'improvviso, la cattedrale si riempì e una lunga fila di frati con i cappucci tirati sul capo, salmodiando, attraversò la navata e, dietro di loro, il vescovo vestito di sfarzosi paramenti sacri si avviava, tra il fumo dell'inceso, verso un sarcofago di marmo dal coperchio scolpito nelle sembianze di un cavaliere. Qualcuno doveva essere morto molto giovane: quello era un funerale.
La cattedrale era colma di fiori e il loro profumo rendeva l'aria più pesante. Innumerevoli fiammelle di candele si smossero alla sottile corrente che penetrava dalle finestre. La litania in latino dei frati riecheggiava tra le mura. Una giovane donna, vestita di broccato nero e con il volto nascosto dietro ad un velo di pizzo, strava immobile con le mani giunte sul ventre accanto alla tomba vuota: nel sarcofago non era deposto alcun corpo, ma il coperchio venne ugualmente posto e sigillato.
Allison osservava la scena come se fosse un fantasma fluttuante sulle teste del corteo funebre e avvertì un profondo malessere, una nausea che la costrinse a scappare, a fuggire volando oltre il soffitto della cattedrale circondata da un tappeto di rose selvatiche.

Il rumore insistente della sveglia fece destare Allison di malumore. La ragazza allungò una mano da sotto le lenzuola, cercò tastoni l’orologio digitale e lo spense. Aprì un occhio, poi l’altro, e la luce solare l’abbagliò.
Allison mugolò assonnata in viva protesta, ma dopo un paio di minuti in cui procrastinava l'inevitabile, riemerse dalle coperte. Si sentiva stanca morta e aveva uno spiacevole ricordo del sogno da cui era emersa solo poco fa, una sensazione claustrofobica, e cercò di scacciare quel ricordo in tutti i modi.
Andò in cucina e si preparò una colazione leggera: non aveva molta fame. Dopo una doccia veloce, si vestì e uscì. Prese il solito autobus che la portò in ufficio.
Lavorava al Daily York da oltre sei mesi, ma non era ancora riuscita ad ottenere un incarico importante, uno di quelli che per un giornalista significherebbe conquistarsi la prima pagina. Si chiese se quel giorno fosse la volta buona, anche se era molto decisa a procacciarsi qualche succulento scoop in un modo o nell'altro. Non era un tipo arrendevole e, anche se il mondo del giornalismo era pieno di squali, non aveva intenzione di fare la fine del pesciolino rosso. Aveva studiato e al college era stata sempre tra le più motivate, non poteva sprecare l'occasione che aveva al Daily York.
“Altro che stagista, a breve avrò il mio ufficio con tanto di targhetta con il mio nome appiccicata sulla porta, me lo sento.”, pensò con una ventata di ottimismo.
Quando entrò in ufficio, ebbe appena il tempo di posare la borsa sulla sua scrivania, che il direttore la mandò a chiamare.
Allison bussò alla porta dell'ufficio del direttore con un entusiasmo palpabile: forse quella poteva essere davvero la sua grande occasione.
«Voleva vedermi?»
Paul Sisley, un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e i baffi ben curati, sollevò il viso dai fogli che stava visionando ed indicò la poltroncina alla ragazza.
«Sì, si accomodi.»
Quando Allison si fu seduta, Sisley riprese a parlare: «Lei è l’ultimo acquisto del nostro giornale e, fino ad ora, non ha avuto che incarichi di poco conto da svolgere, dico bene?»
Allison annuì, e dalla sua espressione trasparì l’insoddisfazione.
Sisley congiunse la punta delle dita e osservò la ragazza, poi fece un sorriso franco.
«Voglio darle fiducia. Si è presentata in questa redazione con ottime credenziali e credo che abbia già preso abbastanza confidenza con il nostro modo di lavorare. Da oggi, lei sarà la nostra nuova inviata in prova. Le assegnerò un primo incarico per vagliare le sue capacità sul campo. Si ricordi: questa è un'occasione che non è data a tutte le nuove leve ed è la prova della grande fiducia che voglio riporle in lei. Se la sente?»
Allison cercò di non far trasparire la meraviglia e l'eccitazione, a favore di un tono pacato e professionale: «E Furlan? Dovrò lavorare con lui o...?»
«Furlan è all’estero, quindi sarà un lavoro tutto suo. Può disporre come preferisce per il reporter che verrà con lei. Voglio un servizio completo sull’omicidio e sulla rapina alla banca centrale e, se farà un buon lavoro, sarà promossa definitivamente.», spiegò Sisley.
Allison non rispose subito, rimase seduta ancora nella poltroncina di pelle nera, quasi cercasse di capire dov'era la fregatura.
«Non vorrà restare una redattrice per sempre, vero?», domandò Sisley mentre la osservava con aria indulgente, vagamente divertita.
«Certo che no!»
«Allora, si muova, signorina Bishop!», la incoraggiò Paul Sisley, tornando alle carte che stava leggendo con un mezzo sorriso divertito.
«Sì, signore! Signor sì, signore!», rispose la ragazza scattando in piedi.

«Michael!», chiamò Allison, mentre – lasciato l'ufficio di Sisley – raccattava dalla propria scrivania la borsa e l'impermeabile e si avviava verso gli ascensori.
«Mike, dove sei? Ho bisogno di te.»
Michael stava camminando lungo il corridoio con un bicchiere cartonato pieno di caffè fumante in mano; si era appena lasciato alle spalle i distributori automatici e stava soffiando sulla bevanda, prima di berne un sorso. Aveva gli occhiali appannati dal vapore e se li sistemò sul naso con un gesto veloce delle dita, quando incrociò Allison.
«Oh, Allie, che succede? Sei di fretta?»
«Prendi la macchina fotografica e vieni con me! Ti spiegherò tutto strada facendo. Per ora ti dico solo che abbiamo un lavoro.», gli spiegò gongolante la ragazza.
«Come?», Mike sgranò gli occhi per la sorpresa e per poco non rovesciò il caffè che abbandonò sulla scrivania, mentre si metteva a tracolla la borsa con l'attrezzatura.
«Sisley vuole un servizio sulla rapina alla banca, dove ci è scappato il morto. Ha promesso ricchi premi e cotillon.»
Mike s’illuminò, sorridendo come se avesse vinto alla lotteria. Si passò una mano tra i capelli di un bel rosso, come se volesse raccapezzarsi meglio e assicurò: «Faremo un servizio da prima pagina.»

Sul luogo del delitto, Allison e Michael cercarono in tutti i modi di ottenere il maggior numero di informazioni possibili sull'accaduto: la scena del crimine era stata isolata dagli esperti della scientifica e un paio di poliziotti erano rimasti come piantoni per evitare che qualcuno inquinasse le prove.
I particolari dell'accaduto di quella notte venivano elargiti col contagocce: i due reporter riuscirono a sapere che i rapinatori erano in tre, uno dei quali morto e gli altri due catturati dopo un breve inseguimento e qualche pallottola vacante. Sul decesso di uno dei criminali le forze dell'ordine si ostinavano a mantenere il più assoluto riserbo, ma i due giornalisti riuscirono a cogliere il nome del medico legale che aveva preso il corpo in custodia e avrebbe dovuto eseguire l'autopsia. Ottennero persino delle foto risalenti alla notte del delitto, null'altro che alcuni fermo immagine delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza che avevano ripreso strani movimenti nella strada: erano di pessima qualità per poter davvero offrire dei dettagli inoppugnabili, eppure Allison – per un momento fugace – fu certa di aver già visto da qualche parte l'uomo di profilo e in giacca scura che si avvicinava al furgone parcheggiato usato dai rapinatori.
«Che facciamo, torniamo in redazione?», chiese Michael un po' pensieroso, mentre cercavano di riordinare le idee.
«Volevo provare ad avere qualche anteprima sull'autopsia, a dire il vero. Ma come facciamo ad entrare nell'Istituto di Medicina Legale?», rispose Allison scontenta.
Mike fece roteare gli occhi e cavò il cellulare dalla tasca della giacca. Con il pollice scorse i nomi nella rubrica e poi premette il tasto per la chiamata.
«Che fai?», gli domandò Allison che rimase a fissarlo, interdetta.
Michael le fece il sorriso di chi sa il fatto suo e le confidò, sibillino: «Ho un amico che lavora proprio all'obitorio e mi deve un favore.»
Qualche minuto dopo erano sul retro dell'Istituto di Medicina Legale a parlare con uno dei dipendenti: un giovane specializzando in medicina che fumava una sigaretta nella sua divisa blu.
«Mike, questo è il massimo che sono riuscito a fare. Sono copie dei referti medici degli ultimi omicidi irrisolti dell'intera contea. Se qualcuno mi becca a passare questi documenti riservati alla stampa, posso dire addio alla carriera e prepararmi anche anche a vestire d'arancione nella prigione di stato. Quindi, sul serio, fai attenzione: è roba che scotta.», disse il medico, rifilando una cartelletta al reporter e tirando avidamente dalla sigaretta, prima di gettare la cicca fumante lontano.
«Sta' tranquillo, Chris: non ho intenzione di farti finire nei guai.», lo rassicurò Michael con un sorriso ampio.
«Un giornalista non rivela le sue fonti, puoi starne certo. Faremo in modo che nell'articolo non ci sia alcun riferimento a te.», aggiunse Allison in tono energico.
Chris fece un mugugno e la fissò di rimando, poco convinto: «A-ha, certo.», mormorò e poi puntò l'indice contro Michael: «Con questo simo pari, Mike. Ora è meglio se torno al lavoro.»
«Ci vediamo giovedì alla partita, Chris. Grazie ancora!», lo salutò Michael e consegnò l'intero incarto ad Allison, tornando alla propria auto, premendo un tastino del telecomando per aprirla.
Allison salì a bordo e sfogliò avidamente tutti i referti: era entusiasta.
«Qui ci sono casi irrisolti di mesi e mesi, Mike! Particolari che non sono mai stati divulgati Accidenti, è oro puro. Si può sapere che favore ti doveva quello?»
Mike mise in moto e fece marcia indietro, attento ad evitare le auto in transito. La guardò di sbieco, mentre finiva la manovra e imboccava la direzione corretta.
«L'ho beccato ad un festino con delle escort e lui è fidanzatissimo con la figlia di un finanziere. Splendide foto, davvero splendide...», le spiegò, insinuante.
Allison rise e scosse il capo: «Sei veramente pessimo!»

«Ti rendi conto? Quello di questa notte è l’ennesimo caso del genere a York, ma la polizia non ha mai scoperto niente, né il medico legale ha saputo dare delle spiegazioni valide a proposito di queste morti.», mormorò Allison, sparpagliando ancora di più tutto il plico di fogli sulla scrivania della redazione che aveva occupato assieme a Michael.
«E ci credo: ogni tanto spuntano cadaveri dissanguati, non è mica una cosa normale. Quante volte hai sentito parlare di gente morta in questo modo? Intendo, morti dove il sangue non si sa che fine abbia fatto, svuotati come potrei svuotare io una lattina di birra il sabato sera.», ribatté Mike con aria corrucciata, mentre dava una scorsa alle foto dei cadaveri, spesso classificati come sconosciuti.
«Mike, abbiamo a che fare con un serial killer, altro che furto.», realizzò Allison, fissando l'amico intensamente.
Michael rimase interdetto. Non rispose subito, ma tenne d'occhio una ragazza che stava passando proprio lì accanto con un paio di cartelline plastificate tra le mani e, quindi, si accostò maggiormente ad Allison, sussurrandole: «Un serial killer? E la polizia non ha avvisato nessuno? Se fossero sulle tracce di un assassino simile, si sarebbe scoperto da un pezzo. Credo semplicemente che abbiano accantonato questi casi, pensandoli strani, ma slegati l'uno all'altro. In effetti, sono cadaveri trovati in punti della città diversissimi l'uno dall'altro e ad intervalli di tempo irregolari, persone di vari ceti sociali,ma molto spesso poveracci, barboni, delinquenti, prostitute... insomma, gli invisibili delle periferie che sembra non abbiano niente in comune dalle ricerche che abbiamo fatto fino ad ora. »
«Beh, noi allora indagheremo come se fossero casi legati tra loro.», propose Allison, come se fosse cosa ovvia. Quindi diede un'occhiata al monitor del computer e chiese: «Come va lì?»
«Ho lanciato la ricerca da un po', agganciandomi al sito della biblioteca e usando diverse parole-chiave. Se ci saranno similitudini con vecchi casi, lo sapremo presto. Ormai le biblioteche hanno informatizzato tutto.», replicò Michael, ma non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase.
Un pop-up lampeggiante, infatti, lo avvisò che il motore di ricerca aveva appena terminato di spulciare tutto l'archivio.
«Allie, guarda qua! Ci sono più di un centinaio di voci che corrispondono ai criteri di ricerca. Roba che risale a...» Michael si interruppe e avvicinò con uno scatto il viso al monitor, socchiudendo gli occhi, quasi non fosse sicuro di quello che aveva appena letto: «Medioevo, Rinascimento, antichità... si tratta di manoscritti, lettere, testimonianze e un mucchio di altri documenti. Incredibile!»
Allison osservò avidamente l'incredibile mole di informazioni che avevano trovato: diari provenienti da abbazie di tutta Europa, referti medici, semplici lettere d’epoca, manoscritti di demonologia e magia, testi esoterici e un gran mole di romanzi e opere di fantasia. Tutto rimandava, ossessivamente, ad una sola parola ricorrente in ogni link.
Ciò che più aveva colpito la giornalista, però, erano le pagine del diario di un medico tra cui spiccava una vecchia lettera rovinata dal tempo: era un'immagine digitalizzata ma che, tuttavia, conservava il fascino della carta ingiallita e screpolata, le evidenti pieghe di un foglio chiuso in quattro parti e l'inchiostro nero sbiadito in alcuni punti.

“E’ spaventoso. Mio Dio! Mio Dio! Quella donna era morta. Morta, vi dico! Io stesso ho constatato il decesso, dovuto ad una consistente perdita di sangue. Una cosa, devo ammetterla, inspiegabile ai miei occhi di medico. La ragazza non presentava nessuna ferita, tranne due segni sul collo: due fori bianchi e smangiati che sembravano dovuti al morso di un qualche animale, magari un cane.
Ora non so più cosa pensare. Mio Dio! Quella donna, che doveva essere morta, ha rapito un bambino e lo ha trascinato nel cimitero, mentre io e altri uomini la inseguivamo. Povero bambino! Quella cosa, che non poteva essere umana, lo stava mordendo al collo. Capite? Stava bevendo il sangue di quella creatura innocente. Si comportava come quei pipistrelli che succhiano il sangue degli animali, come un vampiro!”


Allison rimase a lungo a fissare quel frammento di corrispondenza e Michael scosse il capo. Lei, però, sembrava aver appena messo a posto tutti i pezzi di un enorme puzzle.
«Mike, credo che – togliendo le superstizioni, le leggende e tutto il resto – i fatti ci dicano una sola cosa, un'unica verità.», esordì con voce bassa e tremolante di eccitazione.
«No, Allie, ti prego, non vorrai davvero dirmi che...», la implorò Michael.
Allison era sognante: «Mike, già vedo il titolo del nostro reportage in prima pagina: “Il Serial Killer Vampiro colpisce ancora”

***

 

«Faccio una pausa. Vado a prendere uno snack. Tu ne vuoi?»
Michael si alzò, stropicciandosi gli occhi arrossati e stiracchiandosi. Ormai erano rimasti solo lui ed Allison in redazione, a parte la ditta di pulizia che stava ripulendo gli uffici; c'era il rumore ronzante e continuo di un aspirapolvere che riecheggiava nel corridoio illuminato dalla luce al neon bianca.

«Sì, grazie. Al cioccolato.», rispose Allison con gli occhi incollati sul monitor del computer. Il suo blocco note era pieno di appunti, ma lei continuava a scorrere le pagine dei documenti.
Michael si allontanò sbadigliando, ma Allison tornò alla lettera che avevano trovato come primissima fonte: l'aveva stampata e, ora che teneva i fogli tra le mani, poteva immaginare la sensazione di stringere l'originale tra le dita, la pergamena ruvida e spessa, di annusare l'odore dell'inchiostro fresco e rabbrividirepensando al sottile grattare della punta di un pennino sulla carta. Quella lettera era una fitta confessione tra un medico e un esperto di occultismo dell'epoca che, probabilmente come il Van Helsing nel “Dracula” di Bram Stoker. Dopotutto, Stoker non si era ispirato, per il suo romanzo, a vecchie leggende, inquietanti avvenimenti e fenomeni inspiegabili?
Allison si sentiva profondamente turbata e si accorse di mangiucchiarsi le unghie mentre era sovra pensiero. Non riusciva a staccare gli occhi da quelle pagine che l'avevano soggiogata e costituivano la spiegazione più ovvia – per quanto straordinaria e angosciante – per le sue condizioni di salute, i vuoti di memoria che si frapponevano tra lei e le ore di dormiveglia e le sensazioni insopprimibili e bislacche che le lasciavano i suoi sogni. Stava covando mille dubbi e infiniti interrogativi, si chiese addirittura più volte se fosse impazzita, eppure sembrava tutto così... ovvio e sensato!
 

“[...] Ho avuto modo di visitare molti pazienti, negli ultimi mesi. Nella mia carriera non avevo mai avuto l'occasione di confrontarmi con una vasta gamma di sintomi come quelli che ho riscontrato in ognuno di loro, sintomi che – comunque – finivano per somigliarsi e, in molti casi, combaciare perfettamente.
Mi è parso chiaro, dunque, che questi pazienti dovessero aver contratto la medesima malattia.
Prima di tutto, esimio collega, voglio descriverti ciò che ho dovuto combattere con tutte le armi che la moderna scienza medica ci ha messo a disposizione. Che fossero donne o uomini, giovani o vecchi, ho riscontrato, per prima cosa, un notevole e graduale deperimento e di una conseguente estrema debolezza; un colorito pallido, tipico di chi soffre di una grave forma di anemia, anche se mi hanno assicurato che non avessero mai sofferto di questo male in passato. A questo si aggiungeva spesso febbre e, con l'andare del tempo, problemi respiratori.
Consigliai, inizialmente, una dieta adeguata a rimetterli in forze, in modo da aiutare il sangue a rigenerarsi e circolare meglio; ho inoltre raccomandato uno stile di vita salutare, con molte passeggiate all'aria aperta nelle prime ore del mattino e adeguato riposo. Lasciai loro impacchi e infusi di erbe officinali, nella speranza che, con rimedi quanto più naturali possibili, potessero riprendersi.
Nonostante questo, però, quando tornavo a visitare i miei pazienti, scoprivo non solo che non erano migliorati affatto, bensì addirittura peggiorati: era chiaro che un qualche male a me ignoto prosciugava il sangue dal loro corpo, lasciandoli deboli e smunti a languire nei letti. Prescrissi, allora, molte medicine ricostituenti, ma anche in quel caso non ottenni nessun risultato. Dovetti ricorrere ad un metodo ancora in fase di sperimentazione: la trasfusione. Mi convinsi che, se c'era qualcosa che divorava il loro sangue, l'unico modo di salvarli era donarne altro. Anche questo tentativo fallì miseramente.
Via via più preoccupato e abbattuto per non riuscire ad assicurare la guarigione che avevo giurato su Ippocrate di propiziare, mi convinsi che stavo apprestandomi a lottare contro qualcosa di molto più difficile e occulto del previsto che sui miei libri di medicina non trovava riscontro.
I miei cari, poveri pazienti, infatti, nei momenti in cui riuscivano a ritrovare le loro forze, mi raccontavano di strani sogni che li attanagliavano. Erano diversi per ciascuno di loro, ma tutti parlavano di strane e bellissime presenze: inquietanti uomini dagli occhi penetranti, lussuriose donne procaci, persino giovinetti maliziosi: come dei, ninfe e satiri, questi esseri accompagnavano il sonno agitato dei miei pazienti e li lusingavano, li affascinavano e li irretivano, fino a che li mordevano, succhiando loro il sangue, e li trascinavano in un mirabolante caleidoscopio di torbide sensazioni. Al risveglio, non ricordavano nulla della notte appena trascorsa, ma il sogno li ossessionava e si ritrovano spossati e deboli, con la testa dolente e la bocca arsa.
Per scrupolo, quindi, cercai ciò che non avevo mai cercato prima nel visitati e li vidi: segni di morsi, lievissimi, ben rimarginati, ma presenti.
Il mio stupore e la mia paura crebbero, anche se cercai di minimizzare la questione.
Mi ricordo di Angeline: uno splendido giunco dai modi raffinati e i polsi sottili, i capelli ricci e di un bel bruno, gli occhi di uno splendido castano; era l'unica figlia femmina di un mercante di sete, il gioiello della famiglia che i due fratelli avevano più cara di un occhio. Vederla preda di quel delirio dei sensi, di quella febbre che la consumava senza posa e di quella debolezza che ne aveva fiaccato il corpo rendendolo macilento e ossuto, fu straziante. Lo fu ancora di più ascoltare quelli che sembravano vaneggiamenti folli mentre, aggrappata con le unghie alla mia giacca, mi fissava negli occhi con disperazione, pregandomi di crederla.
Credo fu quello che mi spinse a chiedermi se ci fossero davvero forze maligne e invisibili all'opera. Mi rivolsi al prete del paese, un uomo tutto d'un pezzo che aveva ricevuto da Roma il mandato di esorcizzare gli spiriti e scacciare i demoni, operando come il braccio occulto della Chiesa. Fu lui a spiegarmi ciò che io avevo solo osato immaginare nelle mie più torbide fantasie: si trattava di Vampiri. Il borgo era caduto sotto le mire di alcuni di loro, era divenuto il loro terreno di caccia e, quindi, essi si dilettavano ad attrarre le loro vittime nel sonno per nutrirsene. E, se qualcuna di esse era abbastanza ricettiva e rispondeva a quella chiamata, i Vampiri penetravano nelle loro stanze come presenze discrete, predatori micidiali. Poi si intrufolavano nelle loro menti con i propri poteri psichici e ne manipolavano i sogni; gli umani cedevano, lusingati dalle splendide immagini opulenti e misteriose che quelle creature sapevano creare ad arte, e bevevano con avidità il sangue che li manteneva in vita. Sembrava, quindi che nessuno riuscisse a rendersene conto, se non quando diveniva troppo tardi e la morte se li portava via. [...]”

 

Allison quasi si sentì male, preda di una improvvisa nausea e di un senso di vertigine che la costrinse a reggersi il capo tra le mani. Aveva gli stessi sintomi, sintomi che nessun medico si era spiegato e che non era riuscita a combattere: possibile che fosse la preda inconsapevole di un Vampiro? Possibile che esseri del genere esistessero davvero? Lo strano e pericoloso incontro con il barbone era in qualche modo commesso agli omicidi di York su cui stava indagando? E, quindi, se in qualche modo tutto ciò era connesso, per quale coincidenza Andrew si trovava nel vicolo vicino casa sua proprio mentre il barbone l'aveva aggredita e poi sulla scena del delitto alla banca?
Allison si accorse che le tremavano le mani.

 

 

 

________________________

Note dell'autrice:

 

in questo capitolo, finalmente, ho utilizzato i due elementi del pacchetto prescelto: il ragazzo è Michael, mentre la lettera rovinata è quella che i due giornalisti trovano come testimonianza dell'esistenza dei Vampiri nella ricerca via internet.

Per quanto riguarda il prompt “coraggio”, stavolta è associato molto più da vicino ad Allison, che decide di giocarsi il tutto per tutto per avere la sua possibilità come giornalista.

I riferimenti a “Il Signore degli Anelli” e al “Dracula” sono ovviamente un piccolo tributo.
In particolare, il tono della lettera si ispira liberamente allo stile del romanzo di Stoker: mi sembrava piuttosto adatto, date le atmosfere del capitolo.


Alcune espressioni un po' più colorite, nella scena in cui Frank interagisce con Andrew, rispondono semplicemente al bisogno di rendere la situazione in qualche modo realistica. Non amo l'uso di parolacce gratuitamente, ho fatto uno sforzo in nome della verioimiglianza.

 

   
 
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