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Autore: jaeda_    15/12/2014    0 recensioni
Vivere non è mai stato facile per nessuno. Cercare la nostra casa, la nostra ragione di vita, era il nostro scopo. Lo scopo di tutti quanti noi. Sempre insieme. Sempre legati. Sempre incasinati.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leon.

Quando, per tutto il pomeriggio, aspettavo l’e-mail di risposta di Celine, non pensavo di andar in contro ad una storia del genere. Mi ha sempre raccontato di aver avuto un infanzia difficile e dei problemi economici, ma non credevo fino a questo punto. Non ho mai voluto andare troppo infondo alla questione; d’altronde so cosa significa avere frammenti di passato che desidereresti cancellare più di ogni altra cosa.
Ai miei occhi, lei è sempre apparsa come una giovane donna forte e sicura di sé. Forse bisognosa d’amore, ma, infondo, chi non lo è? Non penso di poterla capire al cento percento, ma so che, in questo momento, ha bisogno di me. E non posso permettermi di stare a un oceano di distanza da lei. Non posso permettermi cinque ore di fuso orario e due continenti diversi. Io devo andare da lei. Una ragazza così non merita di portarsi un peso così grande nel cuore. Tutto da sola. No. Devo esserci.

Quant’è vero che mi chiamo Leon, prometto di prendere il primo aereo Buenos Aires – Torino e di restare lì, con lei.

Ian.

«Ti ho fatto le valigie, sapevo che non ti saresti svegliato prima di pranzo. Che tra l’altro mi sono dimenticata di preparare, cazzo.» mi alzai dal letto ancora mezzo rimbambito e già dovevo vedere la mia amabile coinquilina trafficare avanti indietro con tremila cose da fare. «Buongiorno anche a te.» le dissi con la voce ancora impastata dal sonno.

«Cavolo, il pranzo. E ora? Ordiniamo qualcosa? Sushi? O forse è meglio pizza visto che siamo in Italia. Però l’abbiamo già mangiata ieri sera e…» «Frena la lingua biondina, sembri sotto effetto di qualche strana pillola. Sushi è okay. È da tanto che non lo mangiamo.» era divertente vederla impazzire, però. «Okay allora finisco di sistemare poi cerco il numero e chiamo. Poi devo controllare di aver preso tutto e vedere se abbiamo i biglietti e il taxi prenotato.» «Rilassati, faccio io. Tu ordina da mangiare, io faccio il resto. Abbiamo tempo. Sta tranquilla.» la fermai con un abbraccio e fece un sospiro di sollievo. «Stiamo andando a Parigi, ci saranno tutti i tuoi mercatini vintage che ti piacciono tanto. Le luci, la Tour Eiffel.» «La baguette, i croissant. Hai ragione. Mi calmo.» mi sorrise complice portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.

Leon.

Non posso crederci. Più di tredici ore di viaggio e niente. Non ci sono. Sono come spariti. Sarebbero dovuti restare ancora un po’, ma sembra che abbiano cambiato idea. Dannazione. Sono stato due giorni senza rispondere alla sua mail solo per farle una sorpresa e ora questo! Come minimo penserà che sono un codardo che se la dà a gambe alla prima difficoltà. Che stupido.

Ian.

«Ah, Parigi!» Celine prende fiato a pieni polmoni e sospira sognando chissà quale smanceria. «È una settima che siamo qui e ancora hai gli occhi a cuoricino.» ironizzo. «Amo tutto di Parigi; il cibo, l’atmosfera, il modo in cui pronunciano il mio nome. L’adoro.» Sembra non aver ascoltato minimamente quel che le ho detto. «Io non la trovo un granché, pensavo meglio.» «Cosa!?» Ed ecco spezzata la magia. «Dico solo che da come ne parlano, mi aspettavo di più. Invece non sento neanche un po’ di tutta questa magia che dici tu.» cercai di spiegarle. «Questo è perché non hai un cuore, Ian» tirò gli occhi al cielo.

«Hey, e con Leon?» cercai di introdurre un argomento al di fuori della bellezza francese, almeno ne sarei uscito vivo. «Lasciamo perdere.» Tentativo di guadagnare qualche punto a mio favore? Totalmente fallito. Scrollai la testa portando lo sguardo in basso, che sfiga. «Ne vuoi parlare?» «No, sto bene così, grazie – la parte della menefreghista non l’è mai riuscita molto bene. – E poi non ho bisogno di lui» Per un secondo la guardai perplesso. «Ho te! – mi saltò (letteralmente) addosso – grazie grazie grazie per avermi portato prima a Parigi, sono felicissima.» Ricambiai la stretta del suo abbraccio e accennai un sorriso. «Non c’è di che» sussurrai.

 

La luce illuminò il mio petto spoglio, ricalcando ogni suo dettaglio. Il sole parigino scaldava poco e niente, ed il freddo aumentò quando la mia coinquilina spalancò le finestre provocando un rumore insopportabile.

«Buongiorno anche a te!» dissi sarcastico strofinandomi gli occhi come un bambino. «Devo far asciugare i pavimenti. Questo posto è lurido.» La guardai confuso; ieri sera ero talmente stanco che sarei potuto persino andare a dormire in una discarica. Sicuramente la sporcizia non era il primo dei miei pensieri in una domenica mattina. «Sei riuscita a rovinarmi il mio momento preferito della giornata – mi alzai svogliatamente dal letto dirigendomi verso il bagno – della settimana, anzi.» La sentii sbuffare. Mi gettai dell’acqua fresca sul viso per svegliarmi meglio. Osservai per un attimo i miei occhi spenti riflessi nello specchio. Ricordo che mia madre, ogni volta che ero triste, metteva della buona musica di sottofondo e si sedeva sul letto a chiacchierare con me. Mi accarezzava dolcemente i capelli color cenere e con lievi parole mi diceva che era uno spreco vedere degli occhi azzurri, così belli, spenti e vuoti. «Falli vivere. Riempili di emozioni – mi sussurrava – falli essere spensierati come il cielo d’estate e passionali come il mare in tempesta.» Quelle parole erano impresse nella mia mente, associate alla sensazione delle sue mani calde e rassicuranti sul mio viso. Mi profumai delicatamente il collo e tornai in camera. «Dove vai?» mi chiese Celine vedendomi vestire. «Esco, ti lascio pulire in pace» dissi scontroso. «Come vuoi.»

Appena varcai la porta, presi aria a pieni polmoni. Decisi di avventurarmi nel complicato mondo delle metropolitane per poi dirigermi in qualche bar del centro. Le linee francesi sembravano ancora più complicate di quelle londinesi. E ce ne vuole.

Presi la linea principale. Mi accomodai in uno scomodo sedile vicino alla porta e avviai la musica nelle mie cuffiette. Improvvisamente i miei pensieri furono interrotti da una pazza che si era accomodata vicino a me. Sbraitava cose per me incomprensibili al telefono. Quell’ingarbuglio di “r” strane, unito alle sue facce buffe e arrabbiate, mi fecero sorridere. Senza accorgermene mi ritrovai a fissarla divertito. «Qu’est-ce que tu veux?» si rivolse a me, riattaccando la chiamata. «Pardon?» mi prese alla sprovvista. Mi ripeté la domanda, aggiungendo altre parole a caso. «Je ne parle pas français. Sono inglese» la interruppi sempre più divertito. A volte non sapere la lingua locale poteva essere un vantaggio. «Ti ho chiesto che cosa vuoi, perché mi guardi con quella faccia da ebete. Che c’è? Non hai mai visto una ragazza incazzata?» Mi tolsi nuovamente le cuffie, stupito dal suo perfetto inglese. «Altamente incazzata, direi» sorrisi. Lei sospirò sonoramente, cercando di calmarsi. «Se continui così ti verranno le rughe già a vent’anni» ironizzai. «Mi serve una vacanza» affermò con gli occhi sognatori. «Non dirlo a me» sussurrai in modo da farmi sentire appena. «Allora, che ci fa un inglese a Parigi?» come se fosse tanto rara come cosa. «è una lunga storia» tagliai corto. «Ho ancora cinque fermate, se vuoi.» Contai quante fermate avrei dovuto aspettare io. Quattro. Le raccontai velocemente il progetto post liceo, elencando le mete già svolte e quelle prossime. Le si illuminarono gli occhi. «Davvero? Oddio non ci credo. È un’idea geniale. Poi io adoro il Sud America. A dir il vero amo anche l’America, e l’Asia, e l’Europa…» Mi diressi alla porta mentre la strana ragazza viaggiava già con la mente. Ricambiai il suo dolce sorriso. «Se non sapessi che sei pazza, ti direi di unirti a noi» risi, uscendo dalla porta. Lei si alzò subito dopo di me, affacciandosi all’uscita. «Mi chiamo Letitia!» cercò di dirmi mentre la gente l’assaliva. «Ian» le rivolsi uno dei miei sorrisi migliori e feci un piccolo gesto con la mano per salutarla. Gli incontri in metro? Sempre i migliori!

«Scusa per stamattina. Sono nervosa, Leon non si è ancora fatto sentire e ci sto male. Ti posso raggiungere? Possiamo pranzare fuori.» mi mandò un messaggio Celine. Quel Leon mi stava proprio facendo incazzare. «Sta tranquilla, ci vediamo alle 12:30. Ti mando l’indirizzo.» mi affrettai a rispondere. Cercai tra le vecchie e-mail e finalmente trovai quello che stavo cercando. «Ecco!» sussurrai. Ricordavo bene, una volta Cel scrisse a quell’argentino con la mia posta elettronica dato che la sua faceva storie. Non aspetterò a contattarlo.

«Ciao, sono Ian, l’amico di Celine (e tu sei una testa di cazzo, giusto per presentarci tutti quanti). Non ti permetterò di farle del male. Se devi allontanarla almeno abbi il coraggio di rispondere alla sua e-mail, codardo. Ci penserai dopo a scappare dalle situazioni complicate.» chiaro e conciso. Inviai senza pensarci due volte. Non m’importa se è grande e grosso o se è cintura nera a karate, lei non si tocca.

Il solo pensiero di quel vigliacco mi lasciò di malumore, facendomi venire altri vecchi brutti ricordi in testa. Entrai nel primo bar e presi al volo un bicchiere del mio fidato Jack Daniel’s. Forse ne presi due, o tre. Avevo perso il conto e la mia vista non era più tanto lucida. Neanche la mia mente. Non so perché, ma mi sono ritrovato a discutere con un tipo proprio fuori dal locale. Ed era bello spesso. Mi avrebbe mangiato vivo. Lo feci incazzare ancora di più senza neanche rendermene conto, ed in cambio ricevetti un pugno dritto in faccia. L’udito se ne andò e all’improvviso vedetti tutto bianco. Poi, il buio.

Spazio autrice.
Hey guys!
Da questo capitolo potete già iniziare a vedere come, pian piano, il gruppo si allargherà. Ora stiamo conoscendo meglio Leon (moolto lentamente, per ora). 
Letitia, la ragazza francese, entrerà a far parte di questa complicata vacanza?
Continuate a leggere e fatemi sapere cosa ne pensate.
Love,
Nina. x

  
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