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Autore: _Ametista_    15/12/2014    0 recensioni
A volte si fa di tutto per riavere le persone che si amano.
Ma Ashira, figlia di uno scriba, è talmente affezionata al padre che, quando esso muore assassinato, lei parte a cercarlo per riaverlo e vendicare il suo nome.
La coraggiosa ragazza compirà un mirabolante viaggio verso un posto in cui nessun egizio era mai, realmente, arrivato...
S'incroceranno i destini di una giovane e coraggiosa figlia di scriba, una svampita figlia di visir (con un'inaspettata storia alle spalle), uno schiavo che sogna ribellione e libertà, un figlio degli dei, un gatto che cerca se stesso e un'insolita creatura...
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Antichità
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L’idea più folle di tutte
Correte gambe, correte. Non vi fermate. Su! Via! Mio padre è in pericolo.
I pensieri che si susseguono nella mia mente sono frettolosi, ansiosi.
Ansimo per paura e per fatica.
A piedi scalzi, sgattaiolo accanto ad ogni canna e betulla. L’erba mi punge i piedi come migliaia di piccoli aghi.
-Papà! Papà!- chiamo forte, disperatamente, la voce corrotta da un pianto che sto cercando di reprimere.
-Ashira!-
A sentire la voce maschile, le mie viscere sembrano sprofondare.
E’ lui! E’ vivo!  Penso allietata, e senza pensarci su due volte mi fiondo nella direzione del richiamo. Ma appena vedo che mi viene incontro il sollievo soccombe.         E’ Anchesenaphy. Le mani sporche di sangue rosso cupo, un’espressione falsamente dispiaciuta dipinta in viso, la camminata lenta e tranquilla come se le sue mani fossero sporche di semplice argilla.
-Dov’è mio padre?- mormoro a fior di labbra, gli occhi pesanti di lacrime. 
-Lui…E’ andato da Osiride. Un ippopotamo lo ha azzannato. Mi spiace, Ashira. Vado ad avvertire le guardie di Ramses- poi mi supera, senza dire  nient’altro.
Il mento trema sommessamente, la tristezza spinge sulla gola come un coltello caldo.
Grosse gocce calde scorrono sulle guance ed entrano nelle labbra, facendomi assaggiare il loro sapore salato.
-NO!- sbraito, e corro per trovare la salma di mio padre, lui non è morto, non può esserlo! Gli voglio troppo bene, era troppo intelligente per andarsene!
Il controllo è scivolato dal mio corpo, singhiozzo senza contegno e mordo le labbra fino a farmele sanguinare.
-Papà! Papà! Papà!- continuo a chiamare piantando le unghie nei tronchi candidi delle betulle ed estirpandone la corteggia.
Avvisto il baluginare di uno dei bracciali d’oro di mio padre. 
Lo raggiungo e ciò che vedo mi fa gemere.
Il corpo di mio padre, inerme, galleggia nelle acque colorate di rosso.   
Ha il volto disteso e inespressivo, bianco come marmo; gli occhi, aperti e vitrei, fissano il cielo. Sul suo petto sono impressi dei segni ancora sanguinanti: morsi d’ippopotamo. O forse…
Afferro il suo braccio inerme, orribilmente freddo, e trascino il suo corpo a riva, vincendo il disgusto e la repulsione. Esamino le ferite: troppo strette per essere causate da un accidentale morso d’ippopotamo. Queste sono fenditure da pugnale.
Anchesenaphy. Che bastardo! E’ stato lui.
La rabbia, cieca, suggerisce di trovare il visir e conficcargli una freccia nella testa.
La razionalità, invece, mi dice che la mia vendetta non sarà affatto violenta. Io non voglio diventare come lui, dopotutto. Non voglio essere un’assassina.                  
-Darwishi!- l’urlo straziante di mia madre squassa la radura come un boato. Qualche ibis vola via dagli albero con un fruscio.
La donna si affianca a me, inginocchiata vicino a papà. Prende il suo viso fra le mani e si dispera; “Mànuk e Darwishi, la coppia preferita di Hathor” li chiamavano.
Erano sempre stati assieme. Si erano amati nel bene e nel male. Ma la morte rovina tutto. Anchesenaphy ha distrutto la nostra famiglia.
Appena arriva, seguito da qualche guardia crucciata, il furore m’investe e poco manca che scocchi una freccia addosso all’uomo.
-BASTARDO! FRATELLO DI SETH, INSULSO ASSASSINO! SEI IL PEGGIOR UOMO CHE ABBIA MAI SOLCATO IL SUOLO! MUORI! – poi, rivolgendomi alle guardie allibite dalle mie urla -E’ STATO LUI! RINCHIUDETELO, FATELO SOCCOMBERE!!!-
Tutti mi guardano annichiliti. Sto ansimando di rabbia, di paura, di tristezza.
Dagli alberi spuntano Shabti e un ragazzo ameno dai capelli castani, gli occhi di un profondo azzurro, la pelle chiara: è uno schiavo, lo intuisco dai capelli lerci e il malconcio gonnellino che indossa. Ma ciò non minuisce la sua bellezza.
-Ashira, ma sei matta ad urlare così? Hai fatto prendere un colpo a tutti!- esclama senza guardare il corpo di mio padre. Che ingenua. E’ ancora una bambina stupida e insulsa.
Lo schiavo le lancia un’occhiataccia di rimprovero.
-MA SEI SCIOCCA O COSA?! Guarda- indico mio padre, steso a terra.
-E’ morto, stupida è morto! Guardalo, non respira più! Ti ci vuole un disegnino per fartelo capire?!-
Shabti lacrima. Ha sempre avuto il pianto facile.
-E’ stato tuo padre, ingenua- proseguo poi.
-Io? Ma Ashira, cosa vai a pensare!- si giustifica Anchesenaphy. Si legge una nota di preoccupazione nel suo tono.
-E’ drammatizzata, dopotutto è appena morto suo padre. Se ci lasciaste chiarire le cose…-
-CHIARIRCI?! CHIARIRCI!? TU SEI UN ASSASSINO, ECCO LA COSA CHIARA!!- il mio urlo interrompe le parole del visir.
-Ashira…- mugola mia madre, prendendomi la mano. Mi tolgo dalla sua presa, dolcemente.
Un’idea mi si sta facendo largo nella mente. E’ folle, la più folle di tutte.
Ed è molto probabile che non funzioni. Ma, per riavere mio padre, potrei fare qualsiasi cosa.
Balzo nelle acque gelide del Nilo e nuoto alla riva opposta. Bagnata fradicia, scappo nel bosco lasciandomi tutti alle spalle.
Mio padre, lo zio Anchesenaphy, mia madre, Shabti, lo schiavo bello…
Ma, soprattutto, il mio mondo.
 
   
 
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