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Autore: elaisa    07/11/2008    1 recensioni
Il loro coraggio, che cadeva sul cortile soleggiato come sangue che sgocciolava sul terreno umido – di un rosso ugualmente intenso, ma altrettanto doloroso per l'anima -, non poteva e non doveva essere strumentalizzato, ma stimato e ammirato per la forza che esprimeva.
E la loro forza aveva la sfacciata pretesa di gridare a squarciagola che, sì, loro si amavano e non se ne vergognavano.
[Due amanti legati da catene sottili e indissolubili a una ragazza che, nell'ombra, li osserva e li protegge.]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni tanto mi prende bene aggiornare questo account ormai del tutto abbandonato, cosa che io ho voluto, ma va be', non voglio entrare in determinati particolari proprio adesso che ci troviamo di fronte ad un Signor Evento! XD
Passo alla presentazione della long, che è meglio:
Fagets II è la sottospecie di seguito di Fagets (senza numeri), Questa minilong a tre capitoli è nata ispirandosi a due persone diverse, ma più belle e mitiche delle precedenti due. XD
Grazie a loro di esistere e che Dio li benedica *_* <3

Inoltre, vorrei dire questo:
Fagets II è la mia prima long fiction.
Vi prego di segnare tutto questo come una data storica da ricordare negli annali e nella mia biografia, quando i giovini studieranno questo terzetto di storie come un canzoniere moderno che si ispirava ai canzonieri di Petrarca e Alfieri. XD (No, non direi che si vede molto che devo dare un esame sulla forma canzoniere nei secoli XD Assolutamente no XD)
Buona lettura, se gradite.

***

1- Fantasia




Estrasse una sigaretta dal pacchetto e la tenne tra i denti, mentre cercava l'accendino nella tasca dei jeans; lo fece scattare e incendiò il tabacco, aspirando voluttuosamente il fumo e lasciandolo fuoriuscire dalle labbra con aria compiaciuta.
I suoi occhi vagarono per il cortile e lei afferrò la consapevolezza di non essere da sola come credeva, bensì in compagnia di due ragazzi che sedevano in disparte sul muretto, al riparo di una colonna.
Uno sedeva tranquillo, con lo sguardo fisso davanti a sé con fare pensoso, mentre l'altro, tenendo una fotocamera in mano, lo guardava attraverso l'obbiettivo della stessa, muovendola per trovare l'angolazione giusta per scattare una foto.
Sapeva cos'erano, perché li aveva visti percorrere le strade per mano e scambiarsi effusioni nelle pause tra una lezione e l'altra: gay, li chiamava il mondo. Per lei erano peccato e dannazione, desiderio e perversione, lussuria che pulsava nello stomaco e tra le gambe.
La mandassero pure all'Inferno per aver desiderato di averli entrambi, insieme; per aver pensato di giacere con loro nell'aborto di un sentimento e nella profanazione della sua manifestazione più alta.
Loro non la notarono e lei ne approfittò per guardarli meglio, soffermandosi ad osservare i movimenti del ragazzo che teneva la macchina fotografica tra le dita; i suoi occhi si fissarono in quelli del giovane, tanto concentrati da non rendersi nemmeno conto di avere un pubblico in quel suo lavoro apparentemente inutile.
Fu il suo sguardo a colpirla, facendole quasi cadere la sigaretta dalle dita: era intenso, profondo, profuso di un sentimento talmente intenso che poteva percepirlo anche lei, dalla sua posizione di mero spettatore seduto in un posto scadente della platea del teatro.
Il suo compagno, che si era apparentemente disinteressato alle sue operazioni, si voltò di tre quarti e gli sorrise, un sorriso così caldo e accogliente che per un istante le incrinò il cuore. Il fotografo gli sorrise di rimando attraverso l'obbiettivo della fotocamera e soltanto allora scattò.
La tenerezza minacciò di schiacciarla sotto un blocco di cemento pesante e devastante, e lei si ritirò al riparo di una colonna, nascondendo l'espressione dolorosa che aveva assunto il suo viso; aspirò l'ultima boccata dalla sigaretta e spense il mozzicone nel posacenere, rilasciando il fumo con un sospiro pesante. Sentiva cose che non aveva il diritto di sentire, lo sapeva, ma non riusciva a scacciare da sé quella tenerezza che le era scaturita nel petto e che le aveva gonfiato gli occhi di lacrime; era più forte di lei, di ogni sua volontà prestabilita, persino del sogno erotico che era diventato il fulcro dei suoi pensieri negli ultimi istanti.
Davanti alla palpabile intensità dei sentimenti di quei ragazzi considerati dal mondo come persone invertite, mentalmente disabili, sospirò di nuovo e si rimproverò per quello che aveva appena fatto: aveva spiato qualcosa che non poteva capire, guardandola con occhi che ammiccavano a qualcos'altro di preesistente nella sua mente, qualcos'altro a cui pensava ogni notte, nel buio della sua camera.
Aveva bramato un mondo in cui non sarebbe mai potuta entrare.
Si sporse un poco per osservare di nuovo i due giovani che parlavano tra loro, mentre guardavano insieme le fotografie scattate sulla fotocamera digitale, e in quel momento realizzò che lei, che nell'amore sincero non credeva più, che aveva perso ogni fiducia nel crederci ancora, finalmente aveva trovato un motivo per tornare a sperare.
E quel motivo gliel'avevano dato uno sguardo intenso e un sorriso dolce, entrambi carichi di parole non dette; gliel'aveva dato un ragazzo cui piaceva la fotografia, che aveva portato la sua macchina fotografica per immortalare un istante passato insieme al suo compagno, imprimendolo nella memoria e conservandolo per sempre; gliel'aveva dato una tenerezza derivata da un sorriso scambiato attraverso un piccolo schermo, che, come una maschera calata sul volto per celare le verità, si faceva tramite di sentimenti inespressi, ma palpabili e sacri. Infine, quel motivo per sperare ancora che anche per lei potesse esistere qualcuno che la guardasse così intensamente, che le sorridesse con quell'amorevole e delicata dolcezza, gliel'avevano dato due ragazzi che il mondo non voleva, che ripudiava e trattava come persone scomode in una società fatta di perbenisti, due compagni che si erano scelti con la consapevolezza che, forse, nessuno li avrebbe approvati e trattati da persone normali.
Il loro coraggio, che cadeva sul cortile soleggiato come sangue che sgocciolava sul terreno umido – di un rosso ugualmente intenso, ma altrettanto doloroso per l'anima -, non poteva e non doveva essere strumentalizzato, ma stimato e ammirato per la forza che esprimeva.
E la loro forza aveva la sfacciata pretesa di gridare a squarciagola che, sì, loro si amavano e non se ne vergognavano.
Per l'ultima volta, lei sospirò, scostandosi dalla colonna per avviarsi di nuovo in classe e raggiungere le sue amicizie – completamente inconsapevoli di quel tumulto nell'anima che l'aveva sconvolta. Per un'ultima volta, del tutto involontariamente, i suoi occhi tornarono sui due ragazzi, ora stretti in un abbraccio giocoso.
Distolse lo sguardo immediatamente e rientrò.
Nel cuore il dolore violento dovuto alla tenerezza, negli occhi l'amara consapevolezza d'aver rubato ancora una volta un attimo di complicità che non le apparteneva e che avrebbe dovuto restare tra il giovane fotografo e il suo compagno.

Perché l'amore, anche se incompreso, è pur sempre un amore.



***

Titolo ispirato a "Faget" dei KoRn.
Storia protetta da svariate licenze che vi prego di leggere attentamente nel caso in cui vi venga in mente di prendere anche solo una virgola da questo testo qui.
Mi trovate anche su Last Quarter
  
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