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Autore: Adeia Di Elferas    16/12/2014    2 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Minchia_di_re]
Dopo la morte del padre e della zia, Pina - già diventata Pino e già sposata con Sara - ha un momento di riflessione in riva al mare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Sono nata io, Pina.'
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~~ Il potere? È questa camurria che hanno tutti in testa? Non lo so... Mio padre fino che ha respirato lo pensava e pensava che quel potere che tanto aveva voluto, alla fine lo aveva guadagnato. Pensava che lo rendesse intoccabile da Dio e dagli uomini.
 Diceva che anche il signoruzzo nostro aveva paura di lui, perchè sapeva di aver bisogno degli uomini che c'avevano il potere. Mi pare che adesso ce l'ha chiesto tutto indietro, il potere che gli aveva dato.
 Diceva che era la cosa più importante, l'unica c'avesse un poco di valore, perchè un uomo che non ha il potere, meno di mulo vale.
 Lui credeva di avercelo tutto, il potere del mondo. Sotto di lui stavano tutti, sopra di lui solo il barone. Eppure io al suo potere non mi sono piegata.
 Adesso i suoi occhi sono morti e spenti come quelli di tutti gli altri morti e adesso è lui che sta nel buio dove a cercato di rinchiudermi. Lui e la zia suora. Loro due, che sembravano i migliori dell'isola e che c'avevano uno sguardo di giudizio per tutti.
 Tutto il potere che mio padre diceva d'avere, tutto quel potere che lo rendeva secondo solo al barone e in grado di dare ordini alla madonnuzza in persona, tutto quel potere ora che fine ha fatto?
 Lancio un sasso nel mare, ma non lo vedo quando tocca l'acqua, ché non c'è luna e tutto è scuro. Tira vento, ma non sento nemmeno i brividi di freddo, non sento niente.
 Oggi, quando l'hanno portato via, dov'era sparito tutto il suo potere? A cosa ci era servito, essersi avvelenato il sangue tutta la vita? A niente. Ha avuto tanta gente alla cerimonia, ma in pochi l'hanno pianto.
 Butto un altro sasso, che vorrei esserci attaccata anche io per sparire per sempre dal mondo, perchè di come mi sento oggi, non posso che vergognarmene. Il groviglio che mi stringe il cuore è confuso, ma non mi fa provare nulla se non confusione. Dovrei sentirmi libera o dovrei sentirmi disperata? A mio padre e alla mia zia suora sono morti, e io non ho neanche fatto nulla a Nicolino, che dicono tutti che è lui che li ha ammazzati.
 Guardo in alto, per vedere se ci sono le stelle, ma nemmeno loro mi vogliono guardare, stanotte. Nemmeno loro mi credono degna di un poco di pazienza. Non sono mai stata quello che gli altri volevano, nemmeno adesso. Dovrei essere la figlia e la nipote affranta, o meglio il figlio e il nipote affranto, che si toglie i capelli a ciuffi con le mani e invece niente.
 Fate bene, stelle, a non volermi. Fate bene.
 Prendo una manciata di sassi e ce li lancio tutti insieme, nel mare, per fargli male e vedere se anche lui adesso prende e scappa da me, lasciandomi sola.
 Il mare non si sposta e quasi mi viene da piangere, perchè lui non mi allontana.
 Chiudo gli occhi, ma davanti vedo i corpi di mio padre e della zia suora, che prendono il sole come due pezzi di pesce messi ad essicare e non ci resisto. Ho i pantaloni e la camicia che si stanno facendo umidi per via del mare, che mi getta contro i suoi spruzzi salati portati dal vento. È come se mi volesse abbracciare, ma io non ho braccia abbastanza forti per ricambiarlo.
 Lui voleva un masculo, che una fimmina è peggio della morte. Alla fine il masculo l'ha avuto, che io come una Viola di Mare mi sono trasformata, ma non per lui. Non per lui. E questo lui non so se l'ha capito. Io sono diventata Pino solo per Sara. Solo per lei.
 Mi sto massaggiando la fronte, come se mi volessi scacciare dalla mente tutti i brutti pensieri di una vita intera, ma è come cercare di cancellare dalla pietra i segno lasciato dallo scalpello: non lo si può fare a mani nude.
 Le onde che si agitano gridano il mio dolore, perchè forse è questo che provo, anche se mi sembra di essere vuota come il guscio di una noce secca. Che c'avevo qualcosa nel petto, prima di vederli morti, ma adesso fatico a ritrovarlo.
 “Pina...?” una voce sottile mi fa voltare di scatto. Nell'oscurità, vedo arrivare a Sara. “Torna a casa...” mi dice, avvicinandosi.
 Il suo profumo mi colpisce e improvvisamente non sento più altro, che anche se so che c'è il mare, io il sale non lo sento più.
 “Pino mi devi chiamare. Se c'è qualcuno...” comincio io, alzandomi.
 “Nessuno c'è. Solo a te venne l'idea di venire sulla spiaggia a quest'ora...” fa Sara, prendendomi la mano nella sua, che è calda, accogliente e non fredda come ghiaccio, non fredda come la mia.
 C'è così buio che a stento vedo il suo volto, ma i suoi capelli, mossi dal vento, sembra che vogliono avvolgermi e io mi ci butto dentro. Mentre la stringo forte a me, ci dico piano nell'orecchio: “Tu meritavi qualcosa di meglio di me, Sara...”
 Mi allontana e per un momento credo che mi dia ragione, che mi dica che fu tutto uno sbaglio, che è meglio che torno alla sottana e a farmi chiamare Pina.
 E invece mi accarezza piano il volto e mi dice: “Meglio di te, per me, nessuno può esserci.” e mi bacia lentamente, così lentamente che credo che non finisca mai e lo vorrei, che non finisse mai...
 Quando si allontana, io ho ancora la testa leggera, ma c'ho quel pensiero che mi assilla e che non riesco a farci niente, così ce lo dico: “Forse dovevo sposare a Ventura, a lui non importava se...” “Cosa stai dicendo?” mi blocca lei, prendendomi il volto tra le mani.
 Non li vedo, i suoi occhi, e vorrei che la luna si illuminasse di colpo e me li lasciasse guardare. “Io se non potevo avere te, a mare mi buttavo.” mi dice, seria come quando la vedo pregare davanti all'altare alla domenica, che tiene le mani giunte e sembra che parla con Dio direttamente al suo orecchio.
 “C'è che io non provo niente, Sara.” le confesso: “Mio padre e la zia suora li hanno trovati morti ammazzati insieme e io non provo niente.” e mentre ancora lo sto dicendo, comincio a piangere, senza riuscire a fermarmi più, come se due fiumi si fossero messi a uscire dai miei occhi stanchi.
 Mi stringe ancora, con una forza che io in lei credevo che non ci fosse, perché mi è sempre sembrata troppo delicata, per avere tanta forza.
 Mi accarezza piano, come farebbe una madre col suo picciriddu che piange, e poi mi bisbiglia: “Non è vero che non provi nulla. Tu provi a così tante cose, che nemmeno te ne rendi conto.”
 Alla fine, non so dire quando, le lacrime finiscono e tiro su col naso, mentre mi stacco da lei, anche se non vorrei farlo: “La salvezza mia sei, Sara.” le dico, asciugandomi le guance con la manica della camicia.
 Non mi risponde, ma mi prende di nuovo per mano e mi porta verso la nostra casa: “Andiamo, adesso. È tardi e domani a lavorare devi andare.” da come le trema la voce, capisco che pure lei stava piangendo.
 Le stringo forte la mano e la seguo senza dire più nulla, perchè non ho più voglia d'aspettare, voglio arrivare in fretta a casa, voglio che ci mettiamo nel nostro letto e la voglio tenere addosso, la voglio sentire su di me, voglio essere una sola cosa con lei, come la prima volta, come ogni volta, come sarà sempre.
 Perché lei è l'unica che vede solo del buono in me e non mi caccia mai.
 Perché lei è l'unica che capisce meglio di me quello che sono e che ho dentro.
 Perché lei per me è come una preghiera che arriva dritta al signoruzzo nostro.
 Perché ogni bacio è come una promessa che sappiamo che non infrangeremo mai.
 Perché lei è la mia salvezza.
   
 
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