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Autore: Aurelia major    08/11/2008    1 recensioni
“Avevo tutto e a molto altro avrei potuto aspirare ancora… sarebbe bastato un cenno e la mia vita sarebbe stata completamente diversa… ma io scelsi di non scegliere, ed è qui che comincia la mia storia.” Spin-off da “Ipotesi per un ritratto a colori”, chi era Alexandra van der Post prima di diventare Siddharta?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alexandra van der Post con un gesto fluido, tipico della sua natura, si fece largo tra i passeggeri che ingombravano il corridoio dell’aereo per accomodarsi al suo posto. Operazione questa un po’ difficoltosa a dire il vero, in quanto, data la stazza, interamente sviluppata in altezza che non nella mole, più che sedersi, si appollaiò sul sedile assegnatole.
Dovette dimenarsi un po’ nel tentativo di trovare una posizione non troppo scomoda e, quando infine sembrò riuscirci, anche se solo parzialmente, con la massima disinvoltura si accese una sigaretta ignorando l’occhiata di disapprovazione del suo vicino, che probabilmente la riteneva troppo giovane per fumare. 
Prese ad aspirare ed  inspirare con voluttà anche se s’era accigliata un tantino. Già, probabilmente era stato un grosso errore voler fare di testa sua e declinare la proposta di giungere a destinazione tramite un aereo privato della compagnia, ma ormai c’era e doveva fare buon viso a cattivo gioco. Del resto, a parte qualche piccolezza, la classe turistica dopotutto non era poi tanto male e, visto che aveva fortemente insistito nel voler viaggiare come una studentessa qualsiasi, ora non le restava che attaccarsi al tram. Bel paradosso, non era affatto avvezza a quanto normalmente veniva definito comune, né si riteneva tale.
Riuscirò mai ad abituarmici? Pensò perplessa mentre il passeggero alle sue spalle dava l’ennesimo, ed irritante, spintone al suo seggiolino. Chiuse gli occhi allo scopo di rilassarsi, ma, non appena percepì che una certa distensione stava per essere raggiunta, all'istante da dietro si avviò un cicaleccio ininterrotto.
Ma perché, si chiese seccata, la gente continua a parlare anche quando non ce n’è affatto bisogno?
L’aereo cominciò a rullare sulla pista e quando decollò lei, anche se avrebbe voluto pensare a tutt’altro, non riuscì ad evitare il corso di quelle che ultimamente erano diventate le sue ossessive meditazioni. D’altronde poteva tornarle utile tentare d’immaginarsi proiettata nel futuro che l’attendeva, ché tutto quanto l’aspettava già dall’indomani era un’incognita e, ad essere onesta, non riponeva residue illusioni sull’immediato avvenire.
E come avrebbe potuto, visto che il Conte, dopo aver appreso del suo ennesimo bando, di punto in bianco, l’aveva praticamente costretta ad andare a vivere nella stessa città d’una persona che fortemente detestava, cioè suo padre? Forse le aveva giocato quel tiro per punirla della seconda espulsione cui incorreva, oppure, cosa di cui si persuadeva ogni giorno di più, questo era il risultato delle sue rimostranze riguardo alla maggiore libertà che richiedeva.
Suo nonno era un tortuoso infatti e, intanto che con una mano dava, con l’altra toglieva. Per cui sì, le aveva graziosamente concesso d’avere una certa autonomia, per modo di dire, ma il dazio consisteva nello stare in prossimità di suo padre, avendo l’implicita proibizione ad incontrarlo.
E bontà sua che lo vedeva come un castigo! Per la verità non smaniava affatto all’idea di questo possibile ricongiungimento, anzi, se si soffermava a riflettere sul tipo di relazione, anzi non rapporto, intercorrente tra loro, la prospettiva l’allettava meno che mai. Poiché quando il pensiero di suo padre la sfiorava, cosa non molto ricorrente, in primis le veniva in mente che non era neanche nata e già era uscito dalla sua vita; dopodiché non poteva far a meno d’interrogarsi sul frettoloso divorzio consumato dai suoi dopo appena sei mesi di matrimonio; per poi  finire a rimuginare sul fatto che, malgrado fosse la sua unica figlia, il suo amorevole babbo non aveva mai fatto nulla per incontrarla. Buon dio, aveva quasi diciotto anni e quello non s’era preso neppure la briga di vedere che faccia avesse, che razza di persona fosse diventata o se fosse in salute piuttosto che storpia!
D’altronde lei stessa non che se ne fosse interessata più di tanto, a parte una foto intravista una sola volta, prima che sua madre la strappasse ed incenerisse, con un gesto teatrale che la diceva lunga, nel fuoco.
D’allora Sarah si era rifiutata di rispondere a qualsiasi domanda in merito e, man a mano che passavano gli anni e che lei realizzava appieno la valenza dell’insofferenza materna contrapposta all’indifferenza paterna, aveva cominciato a rifiutare a priori ogni cosa avesse a che fare con il suo papà.
Tutto ad un tratto invece, a coronamento d’una serie d’eventi uno più increscioso ed assurdo  dell’altro, chissà se per una coincidenza, o se per un preciso volere del Conte, e conoscendolo protendeva decisamente verso questa ipotesi, ora stava per diventare concittadina di suo padre. Prospettiva singolare, visto che costui sarebbe dovuto essere una guida e un esempio, ma che  difatti era semplicemente un estraneo, un nome inizialmente pronunciato con curiosità e poi, in  definitiva, con odio sempre più crescente.
Per fortuna non c’era necessità di averci contatti, anzi l’esatto contrario, il che ben si accordava con  gl’intenti e il pensiero del Conte Roelf van der Post, decano della famiglia, suo tutore, amato e  temuto nonno. Forse in quel momento era  solo lui, l’autoritas che da sempre aveva regolato la sua  vita, ad  essere l’unico punto fermo che le restasse, poiché, dal momento in cui sarebbe scesa da  quell’aereo, la sua vita avrebbe avuto una svolta determinante verso un’indipendenza troppo a lungo agognata.
Ché non sarebbe stata più oppressa dai docenti del collegio che fin lì l’avevano limitata, finalmente  avrebbe potuto emanciparsi, anche se non del tutto purtroppo, dalle soffocanti tradizioni e dalle  rigide forme impostale dalla posizione del suo casato, cui la rendevano una delle ultime  aristocratiche di Germania e dunque soggetta a determinati protocolli in auge ormai solo nelle rappresentazioni da operetta. Ché neppure le cosiddette famiglie regnanti, vuoi quella inglese o quella monegasca, con tutti gli sputtanamenti e corna che si facevano tra loro e che regolarmente venivano riportate sui giornali, si sognavano si sottostare a certe convenzioni retrive.
Ma il Conte non transigeva, né lei era Lady D, quindi le toccava di sottostare a quell’educazione di stampo prussiano, anche se quella parziale autonomia concessale era decisamente nello stile che spettava ad una van der Post.  Il che voleva dire che avrebbe frequentato un prestigioso liceo, che  come domicilio avrebbe avuto un appartamento sito in un antico palazzo ottocentesco nel centro storico della città, oltre al fatto che per il suo mantenimento il Conte aveva corrisposto un cospicuo appannaggio mensile.
Davvero niente male come inizio, non sembrava affatto una penitenza sotto questi allettanti punti, eppure la percepiva come tale, altrimenti, perché tra tanti luoghi mandarla dove prima o poi avrebbe potuto imbattersi in suo padre? Senza contare che, se aveva strepitato tanto, era proprio perché avrebbe voluto condurre un’esistenza meno pomposa, più appartata, lontana da quell’esteriorità che ultimamente aveva preso a pesarle tanto e che, a volte e sempre più frequentemente,  temeva di non poter reggere ancora a lungo.
Inoltre c’era un altro dato che non deponeva a favore di tutta questa situazione. Una nuova scuola infatti significava pure che avrebbe dovuto socializzare e, per la verità, era decisamente restia a fare  nuove amicizie. Le bastava la sua vecchia amica Claudia Contro, da sempre sua granitica e  infaticabile oppositrice, il resto rasentava lo zero assoluto.
Amici? Per la verità poco le interessava intrecciare legami di cameratismo con quanti avrebbe incontrato sulla sua strada, giacché il suo sentirsi diversa rispetto a loro aveva una valenza che poco aveva a che fare con il classismo inculcatole fin dalla prima infanzia. Di fatto, in fondo, lei  era il risultato del connubio tra ovaie ariane e lombi italici, quindi la sua ritrosia era dovuta più che altro alla radicata consapevolezza di non poter essere assolutamente in sintonia con chicchessia. No, per scuotere la sua naturale riluttanza, era convinta sarebbe dovuto occorrere un individuo speciale, una persona talmente sopra le righe e paradossale, così ai suoi estremi, da poterla scuotere da ciò che era l’ordinario andazzo. E, per trovare una simile perla nel letamaio, necessitava una fortuna che  non riteneva possedere, giacché tutta quanto la somma dei suoi legami personali fin lì era stata un vero calvario.
Beh certo, c’era anche una punta di snobismo nel suo ragionamento, ma pensava fosse poco e giustificabile, del resto, essendo l’unica erede di un patrimonio immenso e di un titolo nobiliare  perpetratosi per secoli, pensava fosse quantomeno inevitabile. Anche perché non si trattava soltanto di questo e sarebbe stata  ingiusta verso sé stessa se l’avesse pensato, ché Alexandra riteneva di conoscersi abbastanza bene ed era fortemente persuasa che un simile atteggiamento scaturisse soprattutto dal radicato disgusto che le suscitavano gli stupidi e i mediocri, i quali, ahimè, risultavano essere la maggioranza assoluta della popolazione.
In tutti i modi questo non era  il momento, né il luogo, per dibattere su questo fatto. Ce ne sarebbe stato d’avanzo di tempo per farlo, quindi relegò il problema e, sporgendo la testa verso l’oblò, si rese  conto che ci mancava poco per giungere a destinazione. E lei? Quando sarebbe giunta alle considerazioni finali? 
Partendo si era lasciata alle spalle un contesto familiare che, una volta tanto, aveva avuto il potere di stupirla, ché incredibilmente, alla notizia della sua espulsione da Le Rosembourg, non  c’erano state  tutte le reazioni prevedibili. Sua madre, naturalmente, era diventata una furia e, tanto aveva urlato, che sul serio aveva temuto le venisse un coccolone da un momento all’altro. Fortunatamente Sarah era molto più coriacea di qualsiasi arrabbiatura, il che si era tradotto in un sermone furibondo   punteggiato da recriminazioni e minacce nient’affatto velate.
“E’ la seconda scuola da cui ti fai cacciare!”
L’aveva accusata fulminandola con un cipiglio tremendo. “Che cosa stai cercando di dimostrare eh? Dove credi d’arrivare comportandoti in questo modo?” Aveva concluso aspettandosi da lei una spiegazione esauriente, ma siccome Alexandra aveva il fondatissimo sospetto che, seppure avesse tentato di spiegarglielo una mezza dozzina di volte, sua madre non sarebbe mai stata in grado di capire, si era limitata ad alzare le spalle con indifferenza. Cosa che aveva definitivamente seppellito qualsiasi speranza di dialogo, anche perché Sarah, esasperata dal suo gesto di chiusura, aveva girato i tacchi e se n’era andata sbattendo pesantemente la porta. Probabilmente per andare a manifestare il suo biasimo alle orecchie paterne, nella certezza che lui fosse il solo che potesse darle una raddrizzata.
Convinzione che lei Alexandra condivideva ampiamente, tant’è che si era aspettata una dura lezione del Conte. Già si figurava la scena, come ouverture il solito, lunghissimo, discorso sull’onore della famiglia, che con il  suo gesto sconsiderato aveva compromesso. Dopodiché le avrebbe illustrato cosa c’era  d’aspettarsi da lei come unica depositaria del prosieguo della discendenza dei van der Post, e per finire, che quella  sarebbe stata l’ultima volta che le permetteva di toccare il fondo, poiché,  d’ora innanzi, le avrebbe reso la vita  estremamente dura.
Il che,  avrebbe aggiunto mentre sceglieva il frustino adatto al tavolo dove li teneva in bell’ordine, non perché gradisse impartirle punizioni, quanto al fine di farle intendere appieno, e una  volta  per  tutte,  come  avrebbe dovuto comportarsi un’aristocratica.
Dopodiché, senza ulteriori indugi né sollecitazioni da parte dell’uomo,  si sarebbe chinata a novanta gradi e suo nonno le avrebbe somministrato una bella reprimenda a base di scudisciate, ché anche quella era una tradizione di famiglia.
Invece, con suo immenso stupore, Roelf non l’aveva convocata in biblioteca, stanza che solitamente aveva la stessa funzione del prato davanti alla Bastiglia, né l’aveva sottoposta ad altre umiliazioni.  
In verità il Conte, com’ebbe a confidare a sua figlia, mentre questa continuava a concionare sul comportamento impossibile della ragazza,  non si era meravigliato troppo di quel che era successo.
“Me l’aspettavo da un pezzo.” L’aveva interrotta secco innanzi alla velata accusa di star giustificandola. “Alexandra è rimasta a Le Rosembourg quasi quattro anni. Un vero record, considerata la sua irrequietezza.” Aveva aggiunto imperscrutabile mentre Sarah, attonita, con  livore  mal  represso, aveva replicato:
“Sei sempre stato esigente con lei, molto più che con me, il che è tutto dire! Ci hai modellato entrambe su di un modello di rigore e, ora che dovresti riprenderla più che duramente, la giustifichi?”
“So quel che faccio.”  Con piglio autoritario, irritato dalla palese impertinenza, nonché continua opposizione di sua figlia, repentino l’aveva messa duramente al suo posto. 
“Conosco tua figlia meglio di te Sarah e, anche se capita raramente da queste parti, non ci vuol poi tutto questo acume per accorgersi della sua insofferenza. E’ stufa, irrequieta. Certo, per palesarlo non  aveva bisogno di spandere i denti di un suo professore sul pavimento, e per questo atto la censurerò  senz’altro. Ma per il resto credo di poterla, se  non  giustificare, almeno  capire.”
Detto ciò aveva fatto una pausa per riflettere, come se ancora volesse ponderare sulla  decisione che già da tempo aveva preso. Risoluzione della quale non aveva ritenuto opportuno mettere a parte Sarah e non tanto per il peso ininfluente che esercitava sull’educazione di sua figlia,  quanto per problemi  puramente logistici. Infatti questa viveva ad Hannover e solo in occasione delle feste comandate, o quando un evento importante si profilava, la famiglia si riuniva. Per questo motivo
Roelf riteneva che fosse del tutto inutile perder tempo in lunghe discussioni telefoniche, meglio esser pratici e comunicarle il tutto vis a vis.
“Spesso mi sono chiesto come assicurare, al di là di ogni dubbio, alla nostra stirpe un futuro illimitato. Di conseguenza, altrettanto di frequente mi sono interrogato su ciò che è meglio per Alexandra. E’ nelle sue mani infatti la continuità di tutto quanto i nostri avi hanno significato, ed io stesso rappresento.”
Posto questo preambolo il Conte si era avvicinato alla finestra e aveva lasciato che lo sguardo gli spaziasse sui possedimenti della loro avita tenuta. Innanzi a lui si stendeva una vasta distesa di verde, tutte le sfumature e le tonalità di questo colore si affastellavano nel parco fino a confondersi con le prime propaggini della Foresta Nera. La leggenda narrava che nelle vene dei van der Post scorresse il sangue di Arminio e Roelf non sapeva se fosse vero oppure no, pure, ogni volta che guardava quelle selve, sentiva nascere in lui un tumulto potente, quanto mai vago certo, ma forte, d’appartenenza alle sue radici. E non poteva permettere alla sua unica erede di contravvenire alla voce del sangue e della consuetudine. Per cui almeno per stavolta sarebbe stato permissivo, ché giovava di tanto in tanto foderare il pugno di ferro con un guanto di velluto.
“Ho valutato pro e contro di ogni possibile alternativa, e alla fine ritengo che la soluzione sia una ed una sola. Quindi per un certo periodo le consentirò di starsene per conto suo come desidera. Sono persuaso infatti che lontano da me e fuori dalle mura del collegio si evolverà. Sì, sarà un ottimo banco di prova  per capire se sono riuscito a cancellare definitivamente dal suo carattere le tracce delle indoli  mollicce e inutili di suo zio e di suo padre.” 
Aveva concluso deciso esibendo una piccola smorfia di disgusto alla menzione dei due, uno dei quali  era il suo primogenito.
“E voglio che vada in Italia, non è lontana, ma neppure troppo vicina, il che accontenterà le esigenze di entrambe le parti. Là avrà modo di mettere alla prova la sua tempra e, anche se l’idea mi sorride  poco, prima o poi incontrerà Giorgio Malaparte. Ja Sarah, voglio che lo conosca e dalla sua reazione  capirò con certezza se davvero è il successore di cui c’è l’esigenza.”
A questa chiosa Sarah non aveva raccolto la provocazione e aveva replicato calma, come se l’intenzionale accenno al suo ex marito, e peggio ancora a suo fratello, non  l’avessero affatto toccata.
“Se è questo quel che pensi sia opportuno, non mi opporrò. Per quel che varrebbe poi! Avevi deciso da un bel pezzo Domine, oggi hai solo ritenuto dovermene mettere al corrente.” Aveva aggiunto  amara, ben sapendo che non avrebbe potuto far nulla per convincerlo del contrario. “Con Alexandra sembrerebbe tu non abbia mai fallito un colpo e probabilmente t’ascolterà anche stavolta. Che dirti? Forse maturerà davvero nell’indipendenza, staremo a vedere.”
E questo era quanto avevano deliberato il Conte e Mather e ora eccola qui, finalmente disgiunta  dall’atmosfera claustrofobica delle torri medievali del collegio e dalla formale routine di Ranfield Hall.  Si accingeva a calpestare l’italico suolo ed era piena di curiosità, ma anche di tanto scetticismo,  innanzi a quel che l’aspettava. Eppure di una cosa era sicura, andasse come sarebbe dovuta andare, non avrebbe mai ceduto innanzi al suo avversario, chiunque questi fosse.
Cosicché, caricata a dovere la sua determinazione, non appena ebbe ritirato parte del suo bagaglio, il resto sarebbe arrivato poi, impaziente si diede a perlustrare tutto intorno in cerca di Claudia.  Questa invece l’aveva individuata subito e, appena Alexandra varcò i cancelli dell’uscita, le corse  incontro.
Erano entrambe raggianti e, stringendosi felici le mani, incapaci per il momento di articolare alcunché dal senso compiuto, restarono per un bel pezzo in quella posizione.
Del resto, per quanto riguardava Claudia, erano anni che attendeva questo momento, finalmente le era concessa la possibilità di trascorrere un tempo indeterminato in sua compagnia, senza lo spettro  d’una partenza imminente che sciupasse il piacere dei loro incontri.
“Ciao Alekòs.” Riuscì ad articolare infine e, senza neppure provare a resistere alla tentazione,  scombinandole i capelli sulla sommità del capo. “Benvenuta nella terra dei poeti, santi e navigatori. Mi sembri in forma, anche se un po’ dimagrita. Difficile il distacco da Le Rosembourg?”
“Con calma Clà.“ Rispose strizzandole l’occhio complice. “Non mi sembra il caso di parlarne  mentre c’è tanta gente nei paraggi.” Concluse accennando lievemente con la testa verso il padre di Claudia, al quale poi si rivolse con un cordiale: “Salve signor Contro, come va ?”
“Non male Alexandra.” Replicò questi ostentando familiarità, ma sotto, sotto un po’ innervosito. Poiché, d’accordo che la ragazza frequentava da anni la sua casa, ma restava comunque il suo futuro direttore generale, ragion per cui, il confine che divideva la confidenza dalla deferenza, era oltremodo esiguo. Sì certo non c’erano tracce della boria che contraddistingueva il Conte nel suo comportamento, tuttavia, sebbene Alexandra con molta nochalance sorvolasse sul palese, entrambi sapevano benissimo chi stava sopra e chi sotto. Quindi l’uomo badò bene a mantenere entro un certo limite la giovialità con la quale le si rivolgeva.
“Ben arrivata, spero ti troverai bene qui. Sai, non si vive affatto male da queste parti. Comunque toglimi una curiosità, sei cresciuta d’un altro mezzo metro dall’ultima volta che t’ho vista? Guardati,  sarai perlomeno sul metro e ottanta.”
“Qualcosa in più credo.“ Precisò sperando di smorzare gli ulteriori sviluppi ai quali quel dialogo poteva portare, ma la sua vaghezza non sortì l’effetto voluto, infatti l’uomo partì in quarta. 
“Chissà se mia moglie ti riconosce!“ Esclamò confermando all’istante le supposizioni della sua  interlocutrice e, considerato quanto gliene poteva importare ad Alexandra del parere della signora Contro, va detto a suo beneficio che perlomeno  tentò d’apparire  interessata  a quelle chiacchiere fatue. 
“Sai mia moglie è rimasta talmente colpita dal vostro ultimo dialogo che non fa che parlarmi di te.”
“Immagino, probabilmente avrete passato serate a non far altro.”
Ipotizzò meditabonda fissandolo in maniera talmente convincente che il suo non sembrò affatto un dileggio, ma se la sua faccia di bronzo convinse il padre, impressionò ben poco la figlia, ché Claudia sapeva piuttosto bene cosa normalmente carburava sotto quella chioma angelica e dietro quello sguardo fintamente meditativo, e non voleva che il genitore ne facesse le spese. Già, le ironie di Alexandra, seppur benevole, potevano essere tremende, quindi s’intromise tempestiva nella conversazione e invitò entrambi a darsi una mossa motivando il tutto con ragionevoli fattori.
“Andiamo Alekòs, se tardiamo ancora incapperemo nel traffico del dopo lavoro e, almeno per il momento, credo vorrai risparmiarti un bell’ingorgo a croce uncinata.” L’esortò con un’occhiata quanto mai significativa e ne venne ricambiata da una decisamente divertita, ma consapevole. Tanto che la piantò lì e lasciò all’uomo il monopolio della conversazione mentre attraversavano la tangenziale in direzione della città.
Giunti alla loro meta, una discreta villetta su due piani nella zona residenziale, Alexandra ebbe  appena il tempo di darsi una sommaria rinfrescata, poiché la famiglia al completo l’aspettava per  cenare. L’intera durata del pasto, che di certo non le fece rimpiangere la cucina svizzera, fu punteggiata dalle menate a fuoco incrociato dei coniugi Contro e dagli irritanti infantilismi dei due figli piccoli, lagne a cui non era affatto avvezza ma alle quali, per amor d’educazione e l’affetto che nutriva per Claudia, sorrise blanda per tutto il tempo. Inoltre, se tutto ciò non fosse stato abbastanza, mamma Contro, ad intervalli regolari, prorompeva in esclamazioni del tipo: “Ma come ti sei fatta carina!”, il che stava straziando oltremisura i suoi ormai doloranti timpani.  
Stoicamente sopportò e solo dopo un paio d’ore, che comunque le sembrarono un’eternità, di questa  maratona di cretineria lei e Claudia ebbero l’agio di ritirarsi di sopra. Ripararono nella stanza di  quest’ultima, un  locale ampio, ma completamente  stipato di libri e carte.
Finalmente potevano parlare a tu per tu e per la verità non ne vedeva l’ora, nondimeno Alexandra restava in attesa, poiché non le veniva facile dare l’avvio. Proprio non le riusciva, nonostante si conoscessero da anni e la loro amicizia avesse superato molte prove. Inoltre era da sempre Claudia a nutrire il fuoco dell’affiatamento, alimentandolo a base di domande opportune e, molto spesso, talmente impertinenti, che non si potevano affatto ignorare.
Così si distese supina, incrociando le mani dietro la testa, mentre Claudia le si accomodava  accanto prendendo la posizione del loto. Assunti i rispettivi e soliti atteggiamenti, entrambe tirarono fuori le sigarette e, accostandole alla fiamma dell’unica accendino, per poi inalare soddisfatte la prima boccata, con quel semplice gesto sembrarono sbloccarsi all’unisono e cominciarono a parlare contemporaneamente.
Come un fiume in piena, le parole traboccarono copiose e finalmente poterono dilungarsi nei dettagli, cominciando a riempire quel vuoto che durava da troppo. Conversarono precipitosamente, interrompendosi di continuo, perdendosi in parentesi sul perché e il percome di questo o di quell’argomento marginale, per poi tornare al pretesto che aveva dato origine a quelle divagazioni. Domande su domande s’incrociavano e si accavallavano sulle loro teste e le risposte, a volte sorprendenti, altre previste, alternativamente le facevano ridacchiare o fermarsi per un momento a rifletterci su, per poi riprendersi e sparare la bordata successiva che avrebbe soddisfatto quegli interrogativi che giacevano insoluti da tempo.
A notte fonda, quando ormai tutti, salvo loro, dormivano saporitamente da ore, Claudia tornò dabbasso con una cuccuma di caffè fumante e, piazzandogliene davanti una tazza corretta con un’abbondante dose di brandy, alla fine le pose la questione della quale più le premeva di sapere. Giacché sul fattaccio avvenuto a Montreux, fin lì Alexandra era stata piuttosto reticente.
“Allora teppista, stavolta perché t’hanno buttata fuori?” L’apostrofò riempiendosi la tazza e guardandola significativa.
“Routine.” Fu la replica telegrafica che ne ebbe. In effetti Alexandra stava tentando di prendere tempo, poiché  sapeva che l’altra  avrebbe disapprovato sia i fatti che il ruolo da lei svolto all’interno di questi.
“Davvero Alekòs, la stessa routine della Pileford Accademy?” Replicò soave ghignando. Al che, considerato quanto fosse una vera marpiona l’amica, e soprattutto, ritenendo effettivamente di non avere affatto nulla di cui vergognarsi, si decise a vuotare il sacco.
“Oh no, molto meglio, te l’assicuro. Almeno stavolta mi sono tolta la soddisfazione di suonarle ad un tizio che mi aveva proprio rotto le palle!” Affermò sorniona, soffiando, con un broncio molto ben simulato, uno sbuffo di fumo azzurrino. Poi, soddisfatta del tiraggio della sigaretta, attese la replica dell’altra. 
“Dai dimmi di più, ho la vaga impressione che sia molto peggio di quel che mi sto immaginando.” L’esortò Claudia scuotendo il capo nella pantomima dell’esasperazione. “Ho idea che alla notizia, come minimo, tua madre e il Conte ti avranno fatto ballare la giga.”
“Non più del solito Clà. Però Sarah s’è incazzata così tanto che stava lì, lì per avere una  gravidanza  isterica.”
Affermò con un espressione talmente singolare, un misto tra il costernato e il dubbioso, che Claudia pian piano passò da un blando ghigno ad una risata irrefrenabile. Era difficile resistere ad una sghignazzata come quella e compiaciuta Alexandra se ne lasciò contagiare, tanto che rincarò la dose: “Tutto questo, cara mia, sapendo solo una parte dei fatti. In caso contrario, a quest’ora avresti potuto contemplarmi solo attraverso un vetro divisorio, te l’assicuro.” 
 “Galera?” Ipotizzò porgendole la battuta.
“No, piuttosto il cristallo di una bara a vista!“ Ribatté scatenando l’ennesimo scoppio d’ilarità. Dopo un po’, quando ormai Alexandra si teneva lo stomaco e Claudia i fianchi, contratti da un crampo, alla fine questa, asciugandosi gli occhi, tentò di riportare la conversazione al punto in cui si erano interrotte.
“Coraggio, che hai fatto? Falla finita e dimmelo!”
“D’accordo.” Capitolò conciliante, ben sapendo a cosa sarebbe andata incontro una volta svelato l’altarino. “Ho picchiato Behan, il professore di chimica.”
“Tu cosa?!” Sbottò tornando all’istante seria. Ché se Alekòs aveva fatto una cosa simile, allora la situazione era più grave di quanto se l’era figurata.
“Non cominciare subito con la stura delle recriminazioni.” L’avvertì piccata, non le piaceva affatto l’espressione sgomenta, e parecchio contrariata, che l’altra esibiva. Accidenti, non voleva mica un altro processo alle intenzioni e soprattutto non tollerava che fosse la sua più cara amica a farglielo.
Quindi tentò di spiegarsi in qualche modo: “Sappi che non l’ho steso solo per il gusto di farlo, o  a causa di un diverbio erudito.”
“Chiaramente, su questo non avevo alcun dubbio. Come minimo ti avrà pescata di nuovo fuori dal  collegio a notte fonda e magari in qualche pub, sbaglio?” Chiese scotendo il capo e dandole un  buffetto dietro la testa.
“Sì sbagli, nel caso sarebbe stata una manna, credimi.” Ammise sospirando. “No Clà, stavolta non c’entravo niente con tutto quello che stava accadendo, sì certo, c’ero anch’io al festino che ha dato origine a tutto sto casino, ma la mia partecipazione era limitata. Insomma”, aggiunse consapevole di essere stata poco chiara, “le solite note si erano riunite nella stanza che dividevamo io e Fiona, c’era persino Leila e sai benissimo questo che vuol dire.” Sottolineò scoccandole un’occhiata significativa. “Tant’è c’erano pure un paio d’ochette del primo anno in cerca di emozioni, come se poi noi studentesse anziane fossimo state l’antitesi di tutte le pruderie! Ad ogni modo, stavamo drinkettando a base di vodka, accompagnandola con una robusta dose di maria libanese… che  fai Claudia, ti scandalizzi?” Fece notando che la bocca di quest’ultima che aveva assunto un ovale perfetto, quindi continuò salace, senza darle l’agio di replicare: “Non dovresti sai? Innanzitutto perché era una prassi, ma in special modo perché tutto il corpo amministrativo, docenti e personale, sapeva. Figuriamoci, scoperchiare sto vaso di Pandora non conveniva a nessuno! La principesca retta di fine mese li  avrebbe fatti passare sopra qualsiasi cosa, purtroppo per me però, la sera di cui parlo non poterono proprio ignorare la baraonda che si creò. I problemi cominciarono quando quella debosciata di Leila  e quelle dementi di matricole, completamente sbronze, oltre che strafatte, si misero a giocare a poker  strip. Da lì fu un attimo che Leila saltò addosso alla prima che si trovò a portata di mano. Le altre,   bontà loro, erano talmente alleluia che furono più che appagate dal semplice fatto di starsene lì a  soddisfare i loro impulsi voyeuristici. Quanto a me, che ero l’unica abbastanza sobria, volevo solo buttarle fuori prima che s’aggrovigliassero.”
Concluse con un eloquente gesto della mano, mentre Claudia, per l’ennesima volta, restava a  bocca aperta. Ché più Alekòs andava avanti nel suo racconto, più il suo stupore cresceva. Certo non era una mammoletta, sapeva benissimo che negli internati femminili, come in quelli maschili del resto, simili episodi potevano accadere. Ma da quel che stava sentendo, pareva proprio che Le Rousembourg fosse diventata la novella patria delle adepte di Saffo. Già in passato l’amica aveva accennato a quanto le alunne più grandi fossero attratte da lei, ma si trattava di un discorso fatto quasi un lustro prima, quindi l’aveva ritenuta una faccenda sporadica. Invece così non era, anzi, a quel che aveva appena sentito, era chiaro di quanto si fosse evoluta vieppiù.
Il guaio è, pensò accendendosi l’ennesima sigaretta e guardando furtivamente l’altra, che davvero non so Alekòs come si ponga rispetto alla situazione.
Intanto Alexandra aveva ripreso  a parlare.
“Purtroppo per me non ne ebbi il tempo e proprio in quell’istante entrò Behan. Pare fosse stato attratto dai rumori, e credo proprio che quando spalancò la porta rimase ben poco sorpreso. Sai”, aggiunse grattandosi la testa tentennante, “negli ultimi tempi non è che avessi una buona nomea tra i  professori.”
Detto questo si rabbuiò visibilmente, tanto che Claudia preferì esternare la domanda che aveva sulla punta della lingua fin dall’inizio. 
“Alekòs, sicura che non c’è qualcos’altro che dovresti dirmi?”
“No.” Replicò lapidaria fissandola dritto negli occhi, occhiata che Claudia sostenne col massimo della costanza. “Lì dentro non mi sono scopata nessuna, se è questo che volevi sapere.” Aggiunse sfidandola a dir altro, ma Claudia capì immediatamente che se aveva cara la sua amicizia doveva lasciar cadere l’argomento. Era chiaro che aveva toccato un tasto dolente e che l’amica aveva in merito una coda di paglia grossa così, e proprio per questo era più saggio scegliere la via del silenzio. Quantomeno per il momento.
Alexandra invece, con estrema sollecitudine, riprese le fila del suo discorso, allo scopo, neanche troppo nascosto, di non darle modo di rintuzzarla nuovamente a quel dannato proposito.
“Comunque, quando quel  buzzurro s’introdusse all’interno, urlando come un ossesso, quel che vide fu così inequivocabile che le mie ospiti si diedero istantaneamente alla fuga. E mentre loro fuggivano poppe al vento, ovviamente quel tanghero se la rivalse con me. Mi prese per la collottola e aveva tutta  l’intenzione di schiaffeggiarmi, secondo te che dovevo fare, farmi prendere a ceffoni pur non avendo colpa?”
“Ma neanche per sogno, è ovvio che ipotizzare altre soluzioni sarebbe stato del tutto inutile. Oppure ti ci sarebbe voluto troppo tempo per pensarci.” Replicò Claudia scialando abbondantemente quanto a sarcasmo.
“Avrei voluto vedere te!” Sbottò spazientita per la palese ingiustizia, ma accidenti, che pretendeva? Va bene, aveva sbagliato, ma col senno di poi l’avrebbe rifatto, in quanto sapeva e sentiva di essere comunque nel giusto. Tuttavia tentò di mediare.
“D’accordo, d’accordo, forse non avrei dovuto tirargli il mio miglior destro, magari avrei dovuto almeno provare a spiegarmi prima di fargli saltare entrambi gl’incisivi... Eppure Clà, sai qual’era la cosa più comica?” Chiese d’improvviso sfoderando un sogghigno picaresco al quale era difficile resistere e prendendo a ridacchiare gaia, per poi rispondersi da sé senza attendere l’eventuale replica dell’altra. “Vederlo carponi mentre cercava di recuperarli! Stavo là a ridergli in faccia mentre lui s’affannava tutt’intorno nella sua vana ricerca!”
“Il che certamente non avrà migliorato la tua situazione.”
“Vero, infatti se ne andò incazzato da morire, per tornare dopo poco con  il  preside alle calcagna,  il quale,  davanti a prove  così evidenti, tipo i denti mancanti del suo sottoposto, o i vestiti che quelle imbecilli non s’erano preoccupate di riprendersi, per non parlare delle bottiglie sparse dappertutto, non poté far altro che  espellermi. Inoltre, per soprammercato, puzzavo d’erba peggio d’un boliviano clandestino. Era dispiaciuto però, temo che gli mancheranno le donazioni che ogni anno il Conte gli snocciolava.” Concluse con un’alzata di spalle, quindi si adagiò nuovamente sui cuscini considerando chiuso il confronto. 
“Vedo che la cosa ti diverte.”
Commentò Claudia pacata. Ché, ascoltando il finale rossiniano di quella sorta di farsa, aveva avuto tutto il tempo di recuperare la presenza di spirito atta a tentare di farla ragionare. In verità era preoccupata, quella storia presentava alcuni punti oscuri che l’amica non  s’era peritata di chiarirle. Oppure era solo un’impressione la sua? In ogni caso era meglio cercare di  darle un monito che potesse moderare il suo temperamento in futuro, giacché nella loro comune  scuola non poteva mica combinare un altro casino simile.
“Sai Alekòs, mi chiedo quando ti deciderai a piantarla, forse ti è sfuggito sorella, ma a breve sarai maggiorenne. Ma vedo che l’idea di cominciare a mettere la testa a  posto neanche ti sfiora!”  
“Che palle Clà! In fondo non è la prima volta che finisco in strada, quindi fammi la cortesia, le filippiche lasciale ad altri.” L’esortò tentando di minimizzare. Non aveva affatto voglia di tornarci su e un conto era doverne discutere e giustificarsi con la famiglia, ben altro essere costretta a farlo con colei la quale aveva sperato avessero potuto riderne e basta. 
“E’ proprio per questo che te lo dico.” Fece accorata ravvisando l’aria chiaramente delusa dell’altra. Accidenti, non voleva essere molesta e neppure bacchettona, per cui provò a spiegarsi con più calma. “Onestamente è un po’ di tempo che faccio fatica a capirti. Sei strana e di conseguenza mi tocca andare a tentoni, spesso sbagliando.”
“Ipocrita e mendace!” La sfotté sollevata dal fatto che quella sorta di paternale non era dovuta al biasimo, bensì all’affetto. “Come se negli anni m’avessi considerata nient’altro che normale! Su, vecchia mia, molla l’osso, sai benissimo che non sono stata mai un modello di tranquillità, quindi perché non spegni quell’accidenti di luce e vediamo di farci qualche ora di sonno?”
“Okay.” Capitolò smorzando l’interruttore e ficcandosi a letto. Ma non resistette che qualche minuto.
“Alekòs?”
“Uffa!”
“C’è ancora una cosa che vorrei dirti.”
“Dai.”
“Mi raccomando, quando farai il tuo ingresso nella nostra scuola cerca di non farti classificare subito  per quel che appari  e non sei.”
“Che cavolo vorresti dire con quell’appari?”
Improvvisamente la stanza si rischiarò a giorno mentre Alexandra balzava dal suo letto a quello dell’amica. Con due dita le arpionò l’orecchio ed esclamò:  “Dì un po’ non starai mica pensando ancora a quello? Sul serio credi che me ne vada in giro ad  importunare le verginelle?!”
“Me l’hai detto tu prima che non godi di una reputazione troppo buona.” Rispose ilare accalappiandole il naso nella medesima morsa e, mentre erano strette in quella sorta di scherzoso abbraccio, si risolse a dirle quel che prima non aveva azzardato.
“Vorrei solo darti una mano idiota! E visto che ci siamo, parliamone. Se non ti va di raccontarmi di quel che stai combinando mi sta bene, ma sappi che la tua apparenza  può risultare equivoca e, ad una pettegola o un pettegolo, che sono pure peggio, non ci vuol nulla ad appiccicarti addosso un etichetta indelebile che tuo nonno ti farebbe scontare con le pene dell’inferno.”
“Cazzo come sei sollecita Clà!” Esclamò mollandole l’orecchio per farle una cravatta astringente. Scherzava, ma neppure tanto. “E chi m’insegnerebbe a diventare un compito modello di femminilità, tu forse? Nel caso sembrerei comunque un gufo occhialuto e molto intellettuale di sinistra!”
Claudia sogghignò enigmatica al paragone, ma soprattutto all’indirizzo di sé stessa, ché aveva colto perfettamente nel centro. E per il momento si disse che poteva bastare, in fin dei conti non era  necessario stuzzicarla più del dovuto. Sì, più in là avrebbe avuto modo di appurare se in qualche  modo le sue apprensioni fossero fondate. Quindi smorzò notevolmente i toni, facendole intendere  d’aver  frainteso  completamente.
“ Ehi tonta, l’apparenza alla quale mi riferisco è quella da tossica. Sei magra da far paura e pallida peggio di una salma, io lo so che non sei un’eroinomane, tanto meno un’anoressica fissata, ma nel nostro liceo potrebbero pensarlo in molti. Per cui, fatti un favore: almeno per i primi mesi evita di cacciarti nei guai o in situazioni anomale, intesi?  Fuori di lì fai quel che ti pare, fuma, bevi, sniffa, menati con i camionisti, vestiti sadomaso, scippa le vecchiette, tocca il sedere ai passanti, bestemmia, insomma  fai quel che più t’aggrada, ma fuori ti prego.”
“D’accordo rompicoglioni, proverò ad ascoltarti. Però ricordati una cosa, sono le grane che vengono a me e non il contrario. E poi, chi me lo dice che nel tuo convitto di sante e beatificati non ci sia  qualcuno che si comporta peggio di me? Vero che in certe situazioni agisco come se fossi fuori di  testa, ma non esagerare, non sono mica il diavolo.”
“Ah no eh? Staremo a vedere.”


   
 
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