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Autore: Jane_sfairytales    16/12/2014    0 recensioni
Essere rifiutati dall'istante esatto in cui si è venuti al mondo, non è sinonimo di un buon inizio, soprattutto se della vita ci viene precluso qualsiasi piacere. Quando però finalmente Niamh sembra aver trovato il proprio posto in un mondo che non la vuole, coloro che l'hanno rifiutata ritornano a scombussolare il suo equilibrio precario: come potrà affrontare tutto questo? Scopritelo entrando nel suo mondo di ELFI, NANI, UMANI e terrificante MAGIA.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Turn it off!'
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CAPITOLO VIII
Mi lasciai sfuggire un grugnito di dolore, ma continuai ad indossare la mia tenuta da battaglia: giubba e pantaloni aderenti in cuoio nero imbottito nei punti vitali, correlati da stivali alti al ginocchio. Osservandomi allo specchio mi accorsi che i miei capelli, a causa delle direttive di Rosaline, erano cresciuti fino alle spalle e m’avrebbero dato fastidio, quindi mi misi una fascia di cuoio sulla fronte per trattenerli e infine indossai i guanti. Ero indecisa se portare il pugnale nanico donatomi dal mio compagno di battaglie oppure no; ne accarezzavo le gemme dell’impugnatura sovrappensiero, quando mio nonno entrò e mi tolse dall’indecisione.
- Non è concesso portare alcun tipo di armi alla prova. – mi disse con sguardo indulgente.
- Neanche questo? – chiesi estraendo uno stiletto dal mio reggiseno e Jonathan rise.
- No, neanche questo. Vieni bambina, ti accompagnerò io all’arena. Sappi che sono molto fiero di te: sei stata il mio migliore allievo ed uno dei miei migliori combattenti; annientali. – annuii con la stessa serietà. Uscendo dalla stanza mi accorsi che mio fratello era appoggiato allo stipite della sua porta e mi guardava scuotendo la testa a metà tra il divertito e lo sconsolato; inarcai il sopracciglio non capendo e lui mimò il mio gesto nell’estrarre lo stiletto dalla biancheria; scoppiai a ridere.
- Sono contenta che tu sia rilassata Niamh, ciò significa che sei sicura di riuscire a tener alto il nome della mia famiglia? – chiese Cristopher che ci aspettava alla base delle scale, per poi accompagnarci alla carrozza dove già le due donne si erano accomodate. Gli rivolsi un ghigno di superiorità.
- So esattamente cosa significhi onorare il nome di mio nonno, sono già molti anni che lo faccio. – e lo lasciai lì a bocca aperta, salendo in vettura. Sedetti accanto a mia nonna e mio fratello mi si accomodò di fronte facendomi l’occhiolino: ostentava serenità e fiducia, ma riuscivo a leggere la preoccupazione celata nelle profondità dell’azzurro. Guardai il paesaggio scorrere oltre il finestrino e mi lasciai andare chiudendo gli occhi e concentrandomi solo sul suono del mio respiro, svuotandomi da ogni pensiero: potevo percepire perfettamente tutto ciò che mi accadeva intorno, ma non gli permettevo di condizionarmi e rompere il mio equilibrio interiore.
Io farò del mio meglio, non mi risparmierò, e se il mio meglio non sarà abbastanza, allora significa davvero che il mondo degli elfi non fa per me e me ne libererò per sempre. Stranamente, questo pensiero di per sé catastrofico, mi trasmetteva un enorme senso di pace. Chissà come sono i monti Urali o meglio, le caverne scavate nei monti Urali. Pensai riferendomi al regno dei nani. Sorrisi e aprii gli occhi e scoprii che il volto di Louis, come in risposta al mio, s’era disteso e i suoi occhi erano diventati di un azzurro caldo e luminoso. Mi sentii in colpa: se avessi fallito, non avrei più rivisto mio fratello e mi dispiaceva lasciarlo solo in quel mondo ipocrita. Mi intristii nuovamente e lui ci rimase male, ma non mi disse nulla visto che non eravamo soli. Quando finalmente giungemmo al luogo deputato, tutti mi salutarono con parole d’incoraggiamento nel caso della nonna e minacce velate nel caso dei miei “genitori”. Infine rimasero solo Louis e il nonno che mi avrebbe condotta al centro dell’arena per presentarmi ai giudici e agli astanti.
- Signore, può concedermi un istante da solo con sua nipote? – chiese mio fratello al severo guerriero che acconsentì nonostante la richiesta lo avesse colto di sorpresa. Quando fummo soli, Louis mi strinse le spalle e mi puntò con i suoi limpidi occhi azzurri.
- Qualunque cosa accada, sarai sempre mia sorella. – poi mi sorrise scaltro e un lampo attraversò il suo sguardo – Puoi fare tutto ciò che ti pare, ma non c’è nulla che mi indurrà a mollarti, hai capito? – gli sorrisi sinceramente, quasi ridendo nonostante la tensione.
- Certo che sei cocciuto. –
- Anche tu, è per questo che mi piaci. – e, con un ultimo occhiolino, mi lasciò al mio destino. Trassi un profondo respiro ed attraversai una porta di legno assieme a mio nonno. Mi ritrovai in un ampio spiazzo d’erba sui cui tre lati sorgevano degli spalti, mentre dietro di me c’erano altre porta da cui si sarebbero materializzate le mie prove. Jonathan mi presentò fornendo i miei natali e i livelli d’educazione da lui impartitomi, ma ad un certo punto fu interrotto da un elfo giurato dagli occhi grigio-verdi e i capelli castano molto scuro, quasi neri. Lo osservai attentamente e mi accorsi che non era più alto di un metro e ottantacinque, questo significava che poteva essere…
- Non ha importanza, resta comunque una mezzosangue e la valuteremo come tale. La sua presenza non è più richiesta Jonathan. La prova può cominciare. – mio nonno sbiancò e si inchinò rapidamente, mi strinse forte la spalla per farmi forza, ma il suo viso turbato non mi aiutò e mi ritrovai sola ed impaurita al centro di quell’arena, sotto lo sguardo inquisitorio di quelle persone che erano riuscite a smuovere anche il mio imperturbabile parente. Scrutai la folla e vidi una tale diffidenza nei loro occhi da poter quasi essere odio, anzi, l’elfo che aveva parlato prima mi scrutava così intensamente che ebbi paura stesse per mandarmi un incantesimo d’incenerimento. Sconsolata, mi voltai verso le porte alle mie spalle e tirai un respiro profondo; quando dai meandri di legno balzarono fuori due enormi e magnifici lupi grigi, sorrisi rincuorata: se il loro mettermi in difficoltà si limitava a farmi fronteggiare animali selvatici, non avrei avuto problemi. Mi acquattai finendo quasi a quattro zampe e mossi il naso come per annusare l’aria; rimasi immobile e stabilii un contatto visivo col maschio alfa che si avvicinò per primo: era un esemplare stupendo, dagli splendidi occhi dorati. Scoprì le zanne e mi ringhiò piano come avvertimento, ma quando capì che non costituivo un pericolo, si approssimò di più e annusò il mio odore; rassicurato si allontanò sferzando l’aria con la folta coda ed il suo compagno al seguito. Io mi rialzai e presi a correre assieme a loro superandoli ben presto: i due animali iniziarono ad inseguirmi e a giocare con me, fino a placcarmi a terra, provando a mordermi simulando una lotta; alla fine mi arresi a mi leccarono tutta la faccia facendomi ridere per il solletico.
- Adesso basta! Signorina, si sta forse prendendo gioco di noi? Non è questo il luogo adatto ai suoi svaghi infantili! Procedete col percorso. – i due animali furono rimessi in libertà  e degli attendenti ricrearono un percorso ad ostacoli ai limiti dell’umano: le distanze erano così ampie che era necessaria un’abilità enorme per saltare da un posto all’altro; gli ostacoli da superare così contorti e irti di lame che solo un vero esperto avrebbe potuto superarli. Inarcai un sopracciglio stupita: ma non era una prova per principianti? Ci doveva esser qualcosa che non andava e doveva dipendere dall’elfo dagli occhi verdi, visto che mi odiava; o semplicemente odiava i mezzosangue in generale. Mi apprestai a salire sulla prima rampa il più velocemente possibile, poiché veniva valutata anche la rapidità d’esecuzione, poi mi slanciai ad afferrare una sbarra e mi sfuggì un gemito di dolore quando tutto il mio peso gravò sulle braccia già provate dalle prestazioni del giorno prima; alla fine mi costrinsi a contrarre gli addominali e, con uno scatto delle anche, saltai con la sbarra alla scanalatura superiore; feci questo per dieci volta e arrivata in cima presi a dondolarmi per acquisire lo slancio necessario a raggiungere il cubo posizionato a quindici metri di distanza. Ci arrivai per un pelo e rischiai di perdere l’equilibrio volando nel vuoto, visto che ero atterrata in bilico sul ciglio. Feci per proseguire ma notai che alcune zone erano più scure di altre; battei il piede su una di queste e non accadde nulla; colpii allora una zona chiara ed una lama lunga mezzo metro comparve dal pavimento; mi affrettai nell’arduo compito di superare quel labirinto. Giunta alla fine, c’era un intricato insieme di fili intrecciati e spunzoni che riconducevano verso terra; quando ebbi terminato l’esercizio, ero fradicia e spossata, ma non avevo riportato neanche un graffio: la delusione del giudice malevolo fu palese, le sue labbra e i suoi occhi divennero bieche fessure.
- Complimenti signorina, visto che siete così brava, direi che possiamo procedere con l’ultima e più importante prova. – pronunciò alcune parole in una lingua strana e il mondo intorno a me mutò, riempiendosi di nebbia densa e cupa; udivo suoni e stridii di svariati animali, ma non vedevo quasi nulla; a poco a poco, iniziai a sprofondare: ero in una palude e mi avevano catapultato direttamente nelle sabbie mobili! Prima che venissi ingabbiata troppo, decisi di cominciare a correre al limite delle mie capacità, ma mi accorsi ben presto che, benché scorgessi dei rami in lontananza, la palude sembrava crescere ad ogni mio passo; ormai ci nuotavo quasi dentro, la melma mi ostruiva il petto. Mi concessi un ultimo sforzo: o riuscivo ad afferrare qualcosa, o sarei morta; slanciai il braccio destro in avanti verso una radice che vedevo in lontananza, finendo anche col volto nel fango: credevo d’esser spacciata, ma poi le mie dita percepirono una superficie solida e mi ci aggrappai come mia ultima ancora di salvezza; tirai con tutte le mie forze e dopo enormi pene, riuscii a sedermi sulle radici di un albero palustre. Ma la tregua durò poco: un insistente ronzio riempì l’aria facendosi sempre più vicino; non mi voltai neanche a guardare, semplicemente ricominciai a correre. Ma la foresta era piena di sabbie mobili e ostacoli, così fui costretta a rallentare e gli insetti mi raggiunsero pungendomi e provocandomi stilettate di dolore: avvertii la mia pelle gonfiarsi, ma la cosa che mi faceva più paura era che potessero infilarsi nelle orecchie o nel naso, così mi sfilai i guanti e mi tappai le orecchie, serrai le mascelle e mi coprii occhi e naso con le mani; non sapevo più dove stavo andando e potevo solo far affidamento sul mio olfatto mezzo ottenebrato. Il mio istinto comunque mi protesse e riuscii a saltare da una radice all’altra senza inciampare. Fu grazie al mio sesto senso che avvertii l’acqua prima ancora di arrivarci; seppi esattamente che non era un piccolo acquitrino ma una distesa enorme e che non avrei potuto evitarla. L’acqua era perfetta per sfuggire agli insetti, ma quali altri diabolici mali si celavano al suo interno? Percepii il terreno farsi molle e saltai quanto più in alto e lontano riuscissi; dopo pochi secondi, il liquido gelido mi penetrò nelle ossa lenendomi le ferite.
Aprii gli occhi e sbiancai: un enorme squalo bianco nuotava velocissimo nella mia direzione; le mie bolle perdevano pus e sangue e la bestia era fatalmente attratta. Non provai a risalire perché comunque non avevo scampo e mi spinsi verso il fondo del lago per ritrovarmi sotto la bestia: sapevo esattamente cosa dovevo fare per sopravvivere, anche se odiavo attuarlo. Quando le sue fauci furono pronte a piombare sulla mia testa dall’alto, scattai in avanti e colpii il petto del bestione con un pugno talmente forte da sfondarglielo, afferrai il cuore e glielo strappai. L’animale ebbe un ultimo sussulto e poi mi crollò addosso vittima della forza di gravità; era enorme e il suo peso mi spinse sul fondo del lago ancorandomi lì. Ci misi un po’ a liberarmi di lui e quando ci riuscii, avevo finito la mia riserva d’ossigeno e la superficie sembrava lontanissima; chiusi gli occhi che ormai piangevano mischiando acqua salata ad altra acqua salata e digrignai i denti battendomi con tutte le mie forze per vivere: non riuscivo neanche più a pensare, ma il mio istinto di sopravvivenza continuava a spingere le braccia una avanti all’altra. Quando emersi fu come uscire da un incubo e mi sollevai fino al busto prima di capire d’esser arrivata; inspirai a pieni polmoni, ma non potei godermi il momento poiché l’adrenalina innescatasi con la paura mi riscosse spingendomi a muovermi verso la riva. Man mano che mi avvicinavo però, i miei pensieri si schiarirono e cominciai a valutare cosa mi avrebbe atteso una volta uscita: non ne avevo idea e la prospettiva mi terrorizzava; smisi di nuotare per un istante e pensai di lasciarmi andare.
Non ne vale la pena. Pensai sentendo in un sol momento tutti i miei dolori e la mia stanchezza, ma non erano i problemi fisici a destabilizzarmi, quanto lo sfinimento mentale: se anche avessi superato quella dannata selezione, avrei dovuto continuare a combattere ogni singolo giorno della mia vita in quella società che mi odiava, ed io ero un’immortale. Avrei voluto arrendermi, sul serio, ma l’acqua aveva il colore degli occhi di mio nonno e di Louis. Loro ci sarebbero rimasti male se mi fossi data per vinta.
Lascia quel dannatissimo lago ringhiando e mettendomi in posizione di difesa, pronta a fronteggiare qualsiasi cosa mi si fosse presentata davanti, ma il mondo tornò a cambiare e tutto divenne bianco. Il mio cuore perse un battito e mi sentii gelare.
No, non può essere: come fanno a saperlo? Non possono! Indietreggiai terrorizzata iniziando ad ansimare, finché non mi appiattii contro una parete: non avevo vie di fuga. Una porta, prima invisibile, si aprì facendo entrare un uomo interamente vestito di bianco: si intravedevano solo gli occhi, di un gelido ed impenetrabile grigio-verde. Affondai le unghie nel muro dietro di me spezzandomele e facendomi ancora più male, certa che però non sarebbe stato niente in confronto al trattamento che mi avrebbe riservato quell’essere. Cercai la frusta, o la spada, o qualsiasi altro strumento di tortura ma non ne trovai; mi chiesi quale sarebbe stato il mio supplizio, ma una stilettata di dolore al cervello fugò ogni mio dubbio: voleva impossessarsi della mia mente. Mi rannicchiai su me stessa come un riccio in fase difensiva, ma l’attacco si fece sempre più forte e io mi sforzai di non pensare a niente eccetto il bianco del pavimento asettico innanzi a me. Sentii i suoi passi avvicinarsi. Cominciai a piangere. Il sibilo della frusta. Non mi importava, davvero, ma lui colpì la mia schiena e la mia mente nello stesso istante, con tutta la potenza e la crudeltà possibili: lanciai un urlo belluino e inarcai la schiena ringhiando forte, i denti scoperti in segno di minaccia, mentre lo guardavo con odio.
No, no, no! La mancanza di concentrazione gli permise di penetrare nella mia testa e scrutare tutti i miei pensieri e ricordi, sfogliandoli crudelmente e sconvolgendoli tutti mandandomi in confusione. Mi presi il capo tra le mani premendo forte, per cacciarlo, ma non ci riuscii: stava riportando a galla cose terribili che volevo dimenticare. Desiderai che andasse via con tutta me stessa, lo desiderai così intensamente che percepii una scarica d’energia percuotermi e poi più nulla, come se il mondo intorno a me fosse scomparso; continuai a restare rannicchiata, a piangere tutto il mio dolore, sentendo solo quello e null’altro.
I suoni ci misero un po’ a raggiungermi, prima come un brusio lontano ed indistinto, poi sempre più forti ed alti. C’era una voce in particolare, che riuscì a farsi strada nella mia mente: era acuta, bella, ma tremendamente acuta, tendente all’isteria.
- Cosa le avete fatto! Lasciatemi passare! – un ringhio così potente e feroce accompagnò queste parole, che aprii mollemente gli occhi per vedere chi lo avesse emesso, e scoprii il caos che regnava attorno a me: il pubblico si stava rivoltando, i miei nonni redarguivano i giudici che ribattevano alteri e Louis quasi sbranava due attendenti che gli impedivano di venirmi incontro; gli feci un piccolo cenno con la mano e lui si bloccò all’istante, guardandomi per metà sollevato e per metà preoccupato. Mi alzai stancamente in piedi, divaricando un po’ le gambe per esser più salda e guardai i giudici: mi sentivo il cadavere di me stessa. Vedendomi dritta, tutti si zittirono all’istante.
- La prova è conclusa? – l’elfo che mi odiava annuì –Verdetto? –
- Idoneo. – rispose con quanto più veleno potesse mettere nella voce. Il pubblico fece per acclamare ma io parlai di nuovo. – Posso andare? –
- Sì. – chinai brevemente il capo ed uscii dall’arena come un automa, concentrandomi solo sul compito fisico di mettere un piede davanti all’altro; non mi fermai ad aspettare nessuno una volta uscita, perché non volevo vedere nessuno, e presi la strada di casa attraverso i boschi, avanzando lentamente e senza forze. Quando giunsi alla tenuta, continuai ad ignorare tutti e mi rinchiusi in camera mia, stendendomi sul letto in posizione fetale, a guardare gli alberi attraverso la finestra spalancata.
Ad un certo punto sul balcone comparve Louis, stava per dire qualcosa di spiritoso visto che sorrideva, ma incrociando il mio sguardo l’allegria gli morì in gola: i miei occhi erano vuoti, come anche la mia anima. Si accucciò di fronte a me osservandomi con i suoi luminosi occhi azzurri, ma neanche la bellezza del mio colore preferito riuscì a smuovermi e lui lo capì: non c’era nulla da festeggiare, m’aveva persa di nuovo. Una lacrima amara sfuggì al suo controllo mentre mi accarezzava dolcemente la guancia destra. Mi baciò delicatamente la fronte e mi lanciò uno sguardo intenso: “quando sarai pronta, saprai dove trovarmi”; poi mi volse le spalle e sparì da dove era venuto.
Spazio d'autrice.
Cari lettori,
la storia di come Niamh e Louis si sono conosciuti, e di come le loro vite si siano legate insieme per molto tempo a venire, si conclude qui. Della loro vita alla "scuola per elfi", si parlerà in un'altra storia, che sto già scrivendo, ma che, essendo piuttosto costruita, necessita di un bel po' di tempo per elaborazione e stesura finale. Tutto ciò per dirvi che non so quando tornerò a pubblicare: spero che l'attesa non si riveli troppo lunga, ad ogni modo, ogni tanto controllate la serie TURN IT OFF cui queste avventure appartengono.
Mi auguro che la storia non vi abbia deluso e che vorrete continuare a seguirne i risvolti nella prossima/e. In futuro compariranno tutti e 5 i One Direction, con ruoli davvero inusuali ed oserei dire inaspettati.
Per ora vedrò di dedicarmi a qualche OS.
Buone feste a tutti voi, con affetto, Jane.
  
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