Morituri
te salutant.
Decio fissava con trepidazione il cancello davanti
a sé, stringendo spasmodicamente la mano destra attorno all’elsa della sua
spada corta; ogni fibra del suo imponente corpo bramava il momento in cui
avrebbe varcato quella sinistra soglia, mostrando la sua furia omicida al
pubblico in delirio.
Un angolo della bocca si sollevò, disegnando un
amaro ghigno sul suo volto, mentre ricordava il giorno in cui era stato venduto
come schiavo a Timario: erano i tempi in cui credeva che i gladiatori fossero
infime creature, bestie immonde che meritavano di morire come cani e che nulla
avevano in comune con un uomo virtuoso come lui. Il suo primo combattimento
però aveva dimostrato quanto in realtà si fosse sbagliato, poiché dopo
un’iniziale titubanza si era avventato sui nemici con una foga animalesca senza
eguali, affondando la sua lama nelle carni avversarie e uccidendo impietoso
chiunque gli si parasse davanti.
Col passare del tempo, aveva appreso l’arte
dell’intrattenimento così bene da essere divenuto una celebrità dell’arena; durante
ogni scontro non perdeva occasione per mettersi in mostra, calpestando coloro
che cadevano al suolo fino a lasciarli completamente tramortiti o spezzando gli
arti scoperti dei rivali a colpi di scudo. Quei brutali duelli avevano temprato
una vera e propria macchina assassina, capace di compiere le più macabre
nefandezze pur di godere dell’appoggio del popolo; il suono delle acclamazioni
lo eccitava più di ogni altra cosa al mondo, spingendolo a eccedere con la
violenza e a inventare nuovi stratagemmi per stupire il pubblico.
Il gladiatore scosse la testa ripensando a quanto
fosse cambiato, facendo oscillare la cresta che sovrastava l’elmo. Tutto quel
che rimaneva del buon contadino che aveva lottato per la sua terra era la
rabbia e la frustrazione per aver perduto ogni cosa a causa della sua
debolezza: per quanto avesse cercato di opporsi, era stato sconfitto nonché
sbeffeggiato dai soldati imperiali per la sua scarsa forza.
Il peso del disonore gravava ancora sulla sua
anima afflitta ed era proprio questo a tenerlo in vita: sapeva di non potersi
vendicare, tuttavia avrebbe lasciato che quella collera lo dominasse e lo
spronasse a massacrare gli avversari, ripagando quella forza distruttiva col
sangue nemico e con le lodi degli spettatori. Un improvviso rumore metallico lo
riscosse dai suoi pensieri, accendendo i suoi occhi nocciola e facendo vibrare
i suoi muscoli: il cancello si stava aprendo, era giunta l’ora di una nuova
carneficina...