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Autore: Giorgia Alfonso    17/12/2014    2 recensioni
"Lontano dagli occhi lontano dal cuore", un motto che potrebbe confermare Gemma Brizzi. Passare dalla piena felicità ad una voragine di sentimenti cupi, contrastanti e senso di perdita, ma non volersi arrendere nemmeno per un secondo. Nemmeno per un attimo di riposo. Eppure, colui che l'ha spinta dentro quel buco nero è l'uomo che un tempo avrebbe considerato la sua stessa vita. Tanti sacrifici buttati in aria, tanti viaggi affrontati solo per lui. E quel fato diabolico che sembra volerle dare un'altra possibilità, un'ultima partenza, un ultimo arrivo, un ultimo viaggio, un'ultima occasione ... per riprendersi quell'amore apparentemente perduto.
Seoul, la grande città coreana che di primo acchitò la spaventò tanto, giungendo lì per una vacanza che, in teoria, doveva essere semplice relax. Invece si era rivelata una manna ... per lo meno inizialmente. Ora invece, tornare a calpestare quel suolo potrebbe portarla alla rovina più completa o ad un nuovo inizio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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21 Capitolo
 
 
 
 
Un completo blu petrolio dalle leggere linee grigio topo. La giacca scollata, ma chiusa in vita per lasciar trasparire gli indumenti sottostanti, ovvero un gilet del medesimo colore, sopra ad un capo di cotone semplicemente bianco dal profondo scollo tondo.  I capelli talmente scuri da sembrare neri, pettinati di lato, ma senza l’effetto gel a volte indesiderato, lasciati invece leggermente ondulati, accuratamente spettinati. Per completare, mocassini neri dalla forma casual ai piedi.
Quell’uomo stava attendendo impazientemente qualcuno, muovendosi annoiatamente a destra e a sinistra in quella che si poteva anche definire l’entrata del parco. Guardò quasi spazientito il suo orologio, notando che la ragazza era in ritardo di dieci minuti. Non era il tipo da sopportare i ritardi, non tanto per la snervante attesa, quanto per la maleducazione insita in quel gesto. Certo, bisognava lasciare un dubbio in favore al ritardatario, a volte sono forze esterne a mettere i bastoni fra le ruote, quell’attesa forse non era dovuta ad una reale volontà della persona.
Si fermò colto da una supposizione: «Non è che per caso si è sbagliata?» Si interrogò ad alta voce, quando l’unica da mettere sotto inquisizione era Gemma. Essendo straniera avrebbe potuto anche commettere un piccolo errore, scambiando il nome di un posto per un altro, ma ci ripensò, perché alla fin fine: quanti posti della capitale avevano un nome similare alla Buk Forest of the dream1 di Seoul? O per lo meno, la sera prima avevano pattuito al telefono di vedersi lì:
«Quindi si tratta di … lavoro, giusto?» Si era fatto confermare Song Rok. «Non è che mi disturbi per niente?»
«Ma certo che no!», aveva risposto immediatamente Gemma, senza esitare. «Mi serve ancora il tuo aiuto! Dobbiamo mostrarci insieme. So dove trovarlo e … purtroppo non sarà da solo.» L’ultima frase suonò molto grave.
Ma il direttore doveva chiarire alcune cose: «Primo punto: ne sei certa?»
«Certissima.»
«Okay, allora secondo punto: sei una veggente?» la sua risposta lo incuriosì ulteriormente. «Hai le prove di quel che dici? E se sì, come fai ad averle?»
Sentì Gemma sospirare prima della confessione: «Ha sbagliato a mandarmi un messaggio. Diceva ad una tizia che si dovevano incontrare alla foresta dei sogni di Seoul alle tre.» Spiegò per bene, così da risparmiarsi ulteriore tempo, dandogli subito le indicazione del luogo designato.
Song Rok si trovava al teatro, nel momento stesso delle prove, l’ambiente era gremito di attori impegnati nelle loro scene, oltre ai nuovi studenti che cercavano di imparare qualcosa dai loro maestri. Perciò si spostò in una stanza più silenziosa, continuando la conversazione telefonica. «Dunque, terzo punto e questa è una mia curiosità. Scusa se te lo chiedo, non sarà molto gentile per una signora, ma per una volta immagino che non morirò … », lasciò una breve pausa. «Sei stupida? Non capisci che in questo modo farai comprendere il tuo bluff a quel ragazzo? Lui si sarà certamente accorto dell’errore, anzi arriva un quarto punto: e se fosse proprio un modo per metterti alla prova?»
Gemma quasi lo interruppe: «Anche tu con questa storia. No! Yon U non è il tipo! Senza contare che vuole allontanarmi, non scoprire la verità su noi due. E sono quasi certa che non si sia accorto di avermi mandato quel primo messaggio. Non sono stupida, pensi che non lo abbia pensato anche io a quell’evenienza?» Sbuffò infastidita, « certo che lo pensi.»
Le sue labbra presero la piega di un sorriso tremendamente scanzonato e annuì. Logicamente la ragazza non poté notarlo. «Certo l’ho pensato. Ma spiegami un’altra cosa … cosa vuol dire “primo messaggio”? Ce ne sono stati altri?» Quando una risposta fatica ad arrivare significa che si sta nascondendo qualcosa. «Voi due vi sentite ancora?»
Lei alzò le spalle, «è importate?» Chiese vaga, sentendosi in trappola.
«Sono il tuo partner in questa recita e se vuoi che la messa in scena venga bene … sì! E’ importante. Perché ti scrive anc-»
«Non ci scriviamo affatto!» Lo fermò sul nascere. «Mi ha inviato due messaggi, okay? Il primo per errore e qualche giorno dopo un messaggio che non c’entrava nulla con lo sbaglio precedente, ed è proprio questo a farmi comprendere che non se ne sia reso conto!» Altri dettagli li tenne per sé.
«D’accordo, d’accordo!» Portò le dita alla fronte, premendo in mezzo alle sopracciglia. Sentiva il capo pesante e una fitta sopra gli occhi. «Sono affari tuoi e devo tornare al mio lavoro! Dato che so dove, dimmi quando e l’ora!»
Ed eccolo lì, ad attendere un’italiana in quindici minuti di ritardo.
 
****
 
Sembra di stare in una qualunque giostra di un Luna Park, anzi peggio, bisognava togliere la particolarità del divertimento che solitamente offrono quegli ambienti. Ma salire su un autobus coreano è un’ebrezza che bisogna provare una volta nella vita.
Appena entrati non si fa ora ad adocchiare un posto da sedere, in verità non fai in tempo quasi nemmeno a salire quei due dannati scalini, che subito l’autista parte in quarta, senza evitare cadute accidentali tra i passeggeri. Qualcuno dice che le città asiatiche siano molto caotiche e frettolose, beh i bus rappresentano a pieno quel pensiero. Non aspettano che il cliente si sia accomodato, o per lo meno che si sia agganciato a qualche palo, per evitare danni fisici, no! Non hanno tempo e così pestano quell’acceleratore come se non ci fosse un domani, ma è spesso il freno a rivelarsi il male peggiore.
Gemma Brizzi cercò di passare la sua t-money card in fretta sull’apposito aggeggio elettronico, aggrappandosi poi alla prima maniglia penzolante disponibile, facendo quasi una mezza giravoltola alla partenza del mezzo. Per fortuna non era l’ultima dell’interminabile fila di pendolari. La sua tattica era: per poter prendere posto prima degli altri o anche solo per potersi stabile bene e prepararsi all’impatto dell’accelerazione, si deve salire per primi. Di certo l’autista non può ripartire con un pezzo di clientela ancora fuori in coda. Nel momento in cui viene attivata la leva della chiusura delle porte invece, reggetevi forte e si salvi chi può!
Stava controllando l’orario sul cellulare, quando l’ajeossi alla guida frenò di colpo di fronte ad un semaforo rosso. Gemma fece comunque qualche passo alla sua sinistra, andando a calpestare malamente la persona accanto. «Chwesonghabnida», si scusò immediatamente.
«Aniyo, kwenchanhayo. Keokjeonghajimaseyo.» “Non si preoccupi sto bene” fu la risposta dell’anziano vestito da alpinista.
Tornò a puntare i piedi, muovendo le gambe, sporgendosi dal lato opposto rispetto al mezzo per mantenere l’equilibrio. Una giostra di un Luna Park o una sorta di simulazione di barca a vela, in effetti si potrebbe citare diverse similitudini.
Un altro trucco, se non si è abituati a quel tipo di trasporto, era quello di trovare in fretta un posto da sedere logicamente. Magari davanti, sapendo però che vi sono quelli riservati alle donne incinta e altri tanti invece agli anziani. Chiaramente se il mezzo è quasi del tutto vuoto ci si può accomodare anche nei sedili “speciali”, ma se entra una vecchina bisogna gentilmente lasciarle il posto. Beh, questa parte del galateo dovrebbero insegnarla in ogni scuola di ogni paese di questo mondo.
Altro tattica: meglio non andare a sedersi in fondo! In caso di sovrappopolazione del bus, si rischia di rimanere incastrati. Qualche volte le era pure successo e aveva assistito anche a scene incredibili. Questo accadeva specialmente negli orari d’entrata o uscita dal lavoro, ma anche in metropolitana si poteva assistere ad una farcitura abbondante del mezzo pubblico. Pericolosamente abbondante, tanto da chiedersi: ma tutti infilati là dentro, pressati come sardine, respireranno? E se succede un incidente?
L’importante è non fare tardi al lavoro, certo.
In autobus forse è pure peggio, in quanto la stabilità è ancor più limitata rispetto alla metropolitana ed uscire dagli ultimi posti può rivelarsi realmente un affare di stato. Tutti si pressano fino all’ultimo centimetro a loro disposizione, se potessero, probabilmente si siederebbero in braccio agli altri passeggeri, pur di far spazio ai folli che cercano di entrare in un mezzo già fin troppo sovraccaricato. Nel corridoio insomma, a volte finisce col non esserci più nemmeno un lembo di spazio, perfino di fronte alle porte d’uscita.
Ora, immaginatevi la scena: gente che in fondo non riesce ad avanzare per poter scendere dal mezzo, perché impedita dalla presenza di altrettante persone.
Per fortuna in quel momento Gemma non si trovava in una situazione simile, anche se di posti a sedere … nemmeno l’ombra. Scese dal mezzo non appena si fermò quasi di fronte all’entrata della Buk Seoul Forest. La testa vorticava un tantino, ma non ci fece caso, ormai era abituata.
Cercò di individuare immediatamente il suo accompagnatore. Avanzò di qualche passo scrutando l’orizzonte, notando l’uomo di fronte alle fontanelle, dove dei bambini stavano giocando e cercando di bagnarsi contrariamente alle raccomandazioni delle loro madri. Non era di certo il periodo più adatto per farsi un bagnetto, anche se quel giorno il sole picchiava più del normale e faceva dunque caldo. Molte persone, lì nei paraggi, indossavano le maniche corte infatti.
Il direttore Im stava sorridendo in quel momento, godendosi lo spettacolo di quei bimbetti e le loro espressioni divertite, felici. Li osservava quasi rapito, come si osserva un bel film o una diapositiva di passati ricordi. Gli occhi gli si erano chiusi a fessure fine da quanto rideva, un’espressione molto dolce e sincera. Delle rughette comparivano all’angolo dei suoi occhi mandorlati, quando di solito invece la pelle era ben distesa.
Gemma sorrise leggermente a sua volta, poi sospirò prima di avvicinarsi, proprio mentre un bambino di corsa, urtò le lunghe gambe dello strano spettatore. Il piccolo cadde di sedere e Mr Im si accinse immediatamente ad aiutarlo, accovacciandosi e rialzandolo da terra.
 «Aigoo kkoma … kwenchanha?2» Gli mostrò un caldo sorriso, al quale il bimbetto ricambiò, prima di annuire e tornare a correre con i suoi amichetti. Song Rok successivamente sollevò il volto verso la donna in arrivo e si alzò. «Finalmente!» Esclamò mentre si spolverava con le mani i pantaloni.
«Scusa, colpa del traffico.»
Controllò l’orologio:  «Abbiamo ancora più di mezz’ora», poi osservò la giovane, chiedendo: «cosa vuoi che facciamo mentre aspettiamo?»
Lo sguardo dell’italiana si corrucciò. «Stiamo qui.»
«Qui? Visitiamo il posto! E’ inutile aspettare in questo punto.» Propose diversamente.
«Sai quanto è grande la foresta Buk? L’unico modo di beccarli è stare qui.»
Mr Im le mostrò un ghigno di derisione, « ed è qui che dimostri l’assurdità del piano di oggi!» Schioccò le dita compiaciuto della sua arguzia, « ti ricordo che questo non è l’unico punto da cui poter entrare nel parco e proprio perché la Buk kkum e seup è immensa, è poco credibile pensare di poter fare una caccia al tesoro …» sbatté gli occhi riflessivo, sussurrano: «… un tesoro pure senza valore!» Logicamente intendeva l’ex fidanzato di Gemma.
«Ti ho sentito!» Brontolò infatti qualcuno.
Buk, la foresta dei sogni, è uno dei migliori e più vasti parchi di Seoul, situato esattamente nel distretto Gangbuk. Non si tratta solo di un’attrazione turistica, ma è anche un posto semplice e comodo creato per i cittadini coreani. L’entrata è gratuita per chiunque e si possono portare anche gli animali, per delle passeggiate in famiglia, delle corse in solitaria, per delle giornate di studio all’aperto ....
Entrando si poteva già ammirare la grandezza della “foresta”, oltre ai due edifici laterali, tra cui, di fronte alla struttura squadrata e grigia, forse un po’ troppo triste per il tema complessivo, vi era la grande piazzola delle fontanelle. Dai fori che apparivano nel cemento a terra, uscivano getti d’acqua di potenza diversa a seconda del momento. Un punto molto amato dai bambini, soprattutto d’estate.
«Comunque sappi che ci servirà non poca fortuna per trovare il tuo ex. Stando qui però non l’avremo di certo! Ci conviene entrare e dare un’occhiata, sperando.» Parlò Song Rok.
Lei annuì, ufficialmente convinta. «E cercando.»
«Cercare sì, ma sperando in un incontro però.» Si dimostrò puntiglioso. La guardò con espressione di sufficienza, una maschera che spesso indossava. Forse nemmeno lui era a conoscenza delle sue mille espressioni. «Direi che dovremo comportarci come se fossimo ad un appuntamento.»
Quella proposta lasciò spiazzata la ragazza, che domandò: «E’ una sorta di tattica per …» gesticolò con le mani, chiedendo il dissenso di quel suo sospetto.
Ed è quello che ricevette: «Rallenta la tua strana fantasia. Ma è anche vero che se continuiamo a discutere così, come spiegherai il nostro comportamento, in caso trovassimo quei due? Meglio far finta di essere ad un’uscita galante. Non dico di tenerci per mano tutto il tempo, lungi da me farlo, ma per lo meno passeggiamo tranquillamente. Che ne dici?» Non le lasciò il tempo di rispondere, perché con la sua bella mano afferrò quella che aveva detto di non voler tenere per tutto il pomeriggio. «E visto che ci siamo …», si spostò, facendole fare una mezza giravolta su se stessa, per costringerla a seguirlo, «… è il caso di provare a divertirsi almeno un po’, no?» Una domanda che in verità voleva essere un’affermazione, o una richiesta. «In fin dei conti questo è un bellissimo posto.»
«Lo so bene. »
Quando anche  Gemma cominciò a camminare spontaneamente dalla sua parte, Song Rok lasciò la presa e infilò le mani nelle tasche.
«Ci sono già stata una volta.»
Oltrepassando la facciata, si entrava nel vivo di sentieri in sabbiolina, niente cemento, interrotti dagli appezzamenti di prato ben colto, illuminati dai raggi solari, che non venivano ostacolati dai rami degli alberi, presenti solo ai lati di quegli spazi sempre verdi. Dalla discesa si poteva ammirare il complesso sottostante, poco lontano da lì: una caffetteria dal nome tutto italiano e in pieno tema con il luogo: “La Foresta”. Ma sia Gemma sia Song Rok per un momento lo ignorarono.
«Lo hai visitato con delle amiche o …» Si dimostrò improvvisamente curioso.
«Con lui.»
«Allora ti susciterà tristi ricordi tornarci.» Ipotizzò Mr Im, continuando ad osservarla di profilo. Aveva ancora le mani infilate nelle tasche e non si poteva avvertire nulla di particolare osservandoli, semplici amici, ma per lo meno stavano passeggiando l’uno accanto all’altra tranquillamente. Lo sguardo di lui si spostò all’ambiente circostante, osservando le poche persone presenti quel pomeriggio. «Qui ci si viene spesso con la propria metà in fondo. C’è chi porta a spasso il cane, chi viene a dare da mangiare ai cervi, chi cerca posti più appartati, chi legge un libro sul prato», allungò il braccio indicando una giovane coppia alla loro sinistra, distesi sul prato soleggiante, lei appoggiata al petto del suo lui, intenti a leggere insieme un fumetto.
Gemma scosse la testa. «Li invidio. Io non ho mai fatto nulla di tutto ciò», ammise sconsolata.
«Oppure c’è chi fa sport », gesticolò con il capo verso la scena di due ragazzi che si stavano lanciando un freesby. «O vanno in qualche caffetteria, come quella appena passata. A proposito, il nome “foresta” è italiano giusto?»
Gemma si voltò verso il direttore dei due complessi, non nascondendo la sua sorpresa. «Come hai fatto a capirlo?»
L’espressione dell’uomo era colma di ovvietà, «siccome lavoro a teatro, qualche parolina di italiano la conosco, te l’ho detto.»
Il loro dialogo venne interrotto bruscamente da una Gemma spaventata. Una libellula planò sopra le loro teste e lei di scatto si lanciò addosso al suo partner di recita, soffocando un urletto. Si aggrappò alla sua giacca, tenendo premuta la fonte sul petto di quella persona.
 «Cos’era?» Chiese con voce allarmata.
Song Rok a sua volta l’aveva afferrata per le spalle, un tantino preso contropiede dall’attacco. Per inciso, non dell’insetto, ma della donna. «Solo … una libellula.» Avvisò con voce piena di incomprensione.
Gemma sollevò la testa dal suo nascondiglio, controllando l’aria intorno. «Era una cavalletta!» Obbiettò la spaventata, allentando però un po’ la presa delle mani.
«No. Qui è pieno di libellule, guarda tu stessa.»
In effetti sembrava non mentirle affatto. Lì intorno pullulava di libellule dai mille colori. Sollevò lo sguardo verso il volto di Song Rok, osservandone le sopracciglia folte impennate tanto da rivelarne l’aria interrogativa. Lo lasciò del tutto, indietreggiando come se fosse stata improvvisamente elettrizzata da quel contatto. Perfino l’equilibrio di Song Rok vacillò a causa della fuga impetuosa di Gemma.
Lasciò che lo spazio abbondasse tra di loro, come poco prima della sua fuga di fronte ad un insettino da niente. Ma un’altra libellula si impennò e lei la schivò appena, urlando e allungando un braccio verso il suo precedente rifugio. Questa volta però afferrò l’avambraccio dell’uomo stringendo forte.
Song Rok abbassò lo sguardo su quella presa, sollevando solo una sopracciglia. «Temi pure le libellule allora!»
«Non proprio», i suoi occhi si spostavano inquieti verso l’alto, seguendo gli insetti volanti sopra le loro teste, «sono simpatiche e carine ma solo se mi stanno ben distanti.»
Il coreano trattenne una risata, «spostiamoci in un punto dove ci sono meno insetti.» Pronunciò, tornando ad incamminarsi, strappando il proprio braccio gentilmente da quella prese forse un po’ troppo opprimente. Gemma corse subito al suo fianco, ancora guardinga. «Dunque? Cosa eravate venuti a fare qui? Non mi dirai cose che normalmente si evitano in pubblico!» E sogghignò brevemente.
Lei lo guardò perplessa, «figuriamoci! Nella terra in cui anche un bacio può infastidire.»
«Esagerata!» Lo sguardo di Song Rok rare volte si posava sulla giovane, preferendo guardare di fronte a sé mentre chiacchierava amichevolmente.
«Esagerata io? Vuoi una prova? Prova a baciarmi e vedrai se non compare una vecchina a caso a prenderci a borsettate in testa.» La sua era stata una provocazione grossolana e giocosa, nulla di serio, ma lui si fermò all’istante, guardandola pensieroso. A sua volta anche Gemma si bloccò, attendendo di parare una mossa falsa.
Im Song Rok le si avvicinò con un solo, veloce, scattante passo. Tanto per sottolineare la lunghezza delle sue gambe, in confronto alla ragazza italiana che in quel momento, lo stava fissando negli occhi da una brevissima distanza. «Non … sfidarmi!» Proferì a voce bassa, facendola risuonare ancor più grave del solito ed entrando direttamente nel cervello della donna di fronte, che momentaneamente non riuscì a far altro che sbattere le palpebre, confusa. In quell’istante quello sguardo appariva troppo minaccioso e sornione per potersi fidare di lui, quasi non lo riconosceva più.
Gemma tornò velocemente in sé e, con uno scatto simile a quello dell’uomo, indietreggiò, facendo anche scattare la risata fragorosa e buffamente cavernicola di lui. «Ribadisco che sei esagerata!» Disse tra una risata e l’altra.
I grandi occhi occidentali dell’europea divennero fessure pericolose: «No, non sono esagerata e lo sai bene! Anzi, ti dirò di più, nel mio caso è anche peggio, perché sono straniera. Non mi puoi dire di ignorare totalmente la cosa», fece un sospiro, richiamando la pazienza.  «Finché sono due giovani coreani, non sposati, a baciarsi è abbastanza okay, dipende sempre dal modo. Ma se è un coreano e una straniera … apriti cielo! E se costei ha pure occhi chiari come i miei … uuuu … » allargò le palpebre e annuì, intimando il giovane uomo ad immaginare da solo.
«Va bene, va bene. Hai ragione tu … più o meno.» Tornò a passeggiare, seguito sempre da lei. « Siamo conservatori, tradizionalisti. In alcune zone vedere una bella europea accompagnata da uno del posto può far scalpore, è vero. Baciarsi? In luoghi e momenti giusti, senza esagerare, non è poi una sfida tanto pericolosa da affrontare.» La guardò, ma in quel momento Gemma veniva distratta dal panorama. «Vuoi che andiamo a bere qualcosa alla foresta?» Pronunciò quel nome direttamente in italiano, attirando così l’attenzione su di sé. Song Rok sembrava avere una bella pronuncia della lingua italiana, a differenza del suo buffo inglese, ed era strano perché in quel preciso nome vi erano componenti inesistenti nella parlata del suo popolo. La “f” ad esempio, il cui suono non era proprio semplice da pronunciare per un coreano, come la “st”3.
Gemma fissò la struttura a pochi metri da loro: era una sorta di torretta, vi erano delle semplice e larghe scale di legno percorribili per giungere in cima e oltrepassare quella parte del parco. «No, andiamo là!» Indicò il posto e ci si incamminò quasi correndo, ringraziando il cielo di aver optato per delle comode scarpe da ginnastica e non le classiche ballerine.
Ricordava bene quel posto, le era rimasto in mente per fattori molto imponenti: la vastità del luogo, la bellezza, la sensazione di pace che si avvertiva, la bella e tranquilla giornata che aveva trascorso.
Cominciò ad arrampicarsi per quelle scale, sapendo bene cosa avrebbe trovato una volta raggiunta la fine. La vista da lassù fu per lei davvero spettacolare, custodiva ancora le foto che aveva scattato da lassù. Poi, scendendo dalla parte opposta, sarebbe giunta nel recinto dei cervi e in effetti la sua meta era proprio quella.
«Quindi, mi vuoi dire che non provi assolutamente nulla passeggiando da queste parti?» Domandò l’uomo alle sue spalle, qualche metro di distanza. Lei lo ignorò ancora una volta, velocizzando il passo.
Una torretta apparentemente di vetro spiccava tra quelle montagne all’orizzonte, la vegetazione la faceva da padrona in quella zona e da quel punto preciso la modernità della metropoli era ben nascosta. Solo qualche piccolo particolare artificiale ricordava allo spettatore ammaliato, che si trovava in una città e non in mezzo ad un bosco coltivato naturalmente. Una fontana rinfrescava l’area, abbellendo anche lo spettacolo di vie dal terreno color panna, prati dal verde di una tonalità talmente accesa da sembrare finto, quasi lime nei punti in cui il sole lo baciava. Più scure le zone d’ombra, ma mai monotone perché anch’esse di tinte diverse, pigmenti distinti formavano quell’arcobaleno floristico.
«Quella torretta …», pronunciò la ragazza, quando la persona che stava attendendo giunse finalmente in cima. Costui si appoggiò alla balaustra di legno, che la superava in altezza di molto, quando invece a Gemma arrivava fino al petto. «L’amico di Yon U disse che proprio in quel punto avevano girato Iris.»
«Non ho visto il drama.» Rispose appoggiando anche il mento tra le braccia accomodate, osservando a sua volta il panorama mozzafiato. Non sembrava proprio una posa comoda.
Gemma respirò aria pulita e una leggera arietta la rigenerò. «Mi presentò un amico quel giorno e alla fine questo aveva proposto di mostrarmi una particolare zona di Seoul. Non abbiamo passato chissà quali indimenticabili momenti qui io e il mio ex fidanzato, ma ricordo bene questo luogo perché mi ha sorpreso davvero molto.» Sorrise contenta, prima di guardare Song Rok. «Per questo sono felice di essere qui. Anche se non dovessi incontrarlo oggi … non importerebbe, non più. Perché ora mi sento … libera. Sembra che sia destinato a divenire un bel pomeriggio. Questo posto forse ha il potere di rigenerare le persone?» Annuì sicura di ciò che stava dicendo e provando. «Sì! Non importa se non vedrò quel cretino e la sua nuova fidanzatina, alla quale farei volentieri lo scalpo!»
Im Song Rok si voltò verso di lei, posando una guancia alle braccia congiunte sopra la balaustra. Le sorrise serenamente. «Ti senti meglio rispetto a qualche settimana fa, vero?» Ma si alzò serio in volto, quando notò l’improvviso rabbuiarsi della giovane. «Lasciamo perdere! Andiamo a vedere i cervi?»
Gemma non se lo fece ripetere due volte, correndo giù per le scale, dall’altra parte del piccolo colle, dove l’ombra della leggera gobba del terreno regalava una zona meno soleggiata, perfetta per rinfrescarsi.
Corse per quel sentiero, raggiungendo la recinzione fatta di maglia di ferro. C’era un gruppo sostenuto di cervi e li di fronte, erano presenti una giovane madre e il suo bambino di forse quattro o cinque anni. Si era imbambolato a guardare quei maestosi animali, e avvicinandosi, anche Gemma comprese perché l’attenzione del bimbetto era stata completamente rapita: accovacciato proprio lì di fronte, vi era un cucciolo di cervo.
Si inginocchiò vicino al piccolo coreano, «Yebbeojo?», chiese al piccolo se era carino quel cosino raggomitolato su se stesso.
Tanto carino quanto il cucciolo umano che in quel momento la stava fissando curioso. «Ne4», pronunciò un indeciso sì alla straniera, con una vocina melodiosa, «yebbeoyo.4», anche sua madre sorrise, prima di chiamare il suo pargoletto, dargli la mano e continuare la loro passeggiata.
Come se il cerbiatto si fosse avvicinato alla rete appositamente per farsi osservare dal piccolo umano, appena questo si allontanò, anche l’animaletto si sollevò in quelle sue esili zampette, tornando dalla madre a pochi metri di distanza. Gemma invece si alzò sbuffando.
«L’ultima volta che sono venuta non c’erano tanti cervi e soprattutto non c’erano cuccioli.» Brontolò all’unica persona ormai presente oltre a lei.
«Che sia la stagione?» Proferì Song Rok togliendosi la giacca avanzando. «Oggi tra l’altra fa un po’ troppo caldo per il mese autunnale», infilò l’indumento sotto braccio. Portava una maglietta a maniche corte, bianca, coperta appena da un gilet della medesima stoffa della giacca: blu petrolio con righe nere verticali e orizzontali, formando grossi quadrati.
Gemma stava spostando intanto l’attenzione da una parte all’altra, pensando ad un modo per far avvicinare gli animali nel recinto. Notò all’interno della loro area la paglia posta in un apposita mangiatoria e vicino a questa, vi era un foro nella rete ed era abbastanza grande per poter far passare non una ma due braccia. Si avvicinò in quell’esatto punto, accovacciandosi e provando ad infilare l’arto. Si allungò cercando si sfilare qualche stelo. Appoggiò interamente la guancia alla grata per potersi spingere ancora più dentro.
«Gemma non credo sia permesso.» Fece notare Song Rok.
«Voglio solo un po’ di mangime per farli avvicinare.» Riferì lei.
«Se ti vedono-»
Lo interruppe: «Allora fai la guardia!» Mosse il braccio, sfiorando appena il vegetale. «Non mi arresteranno mica per aver tentato di dar da mangiare ai cervi!»
Lui si voltò per controllare che nessuno si stesse avvicinando. «Lascia perdere! Hai il braccio troppo corto.» La intimò voltando appena lo sguardo.
«Ci sono quasi, ci sono quasi. Tu stai lì e fai da palo!» Ma in realtà non riusciva proprio a far altro che sfiorare le punte dei lunghi filamenti erbosi.
Song Rok sospirò spazientito, muovendosi sul posto indeciso prima di raggiungere Gemma. La ragazza avvertì qualcosa sopra di lei e una leggera ombra calò intorno. Song Rok le aveva posato la giacca a quadri in testa e si era accovacciato vicino. Un braccio le fiorò la guancia e si protese in avanti. Cingendole praticamente le spalle, il coreano si aggrappò alla recinzione, le dita della bella mano si infilarono tra la maglia di ferro, all’altezza del volto di Gemma. Costei si irrigidì immediatamente, fissando le vene in tensione di quell’arto, le dita affusolate e la serie di bracciali di cuoio, filo e stoffa che erano allacciati ad un polso graziosamente snello. Sentì sfiorare il braccio destro, controllando vide che anche Song Rock era entrato nella recinzione e il suo arto superiore, certamente più lungo, stava protendendo verso quegli steli, agganciandone già qualcuno.
 «Non potevi aspettare che sfilassi il braccio?» Gli chiese a quel punto, preoccupata che potesse ferirsi a causa della recinzione usurata. In quel buco ci passavano perfettamente entrambi i loro arti, quello del direttore sopra il suo, ma la maglia di ferro presentava alcuni spuntoni affilati e ben presto il più esposto dei due si ferì per davvero. Velocemente Gemma sfilò il braccio e Song Rok con lei, dopo aver afferrato un buon numero di fili di paglia.
«Ecco», esclamò nel mentre si alzarono, porgendo alla ragazza il mangime per cervi. Però Gemma, che nel frattempo aveva ancora l’elegante giacca sulla testa, era concentrata ad osservare quelle leggere ferite sulla piega del gomito.                                                    
Sollevò solo uno sguardo di rimprovero verso di lui, afferrando poi malamente la paglia. «Sciocco! Guarda il tuo braccio!»
Lui ci buttò giusto un occhio, alzando le spalle. «Non è niente» e si rimpossessò del suo indumento.
«Mi ha pure usata come attaccapanni.» Brontolò appena l’italiana, continuando a guardare quei leggeri graffi. «Hai bisogno di disinfettarti? Alla fine si tratta di ferro-»
«Sono solo graffietti da poco conto e poi sono vaccinato, non succederà nulla.» La interruppe quasi subito, rubandole una parte del fieno, avvicinandosi per prima al recinto.
Così chiusero ogni discorso, impegnati ad attirare il cerbiatto e tutti i suoi simili lì intorno. Ormai un divertito sorriso era apparso nel volto della ragazza, mentre osservava quelle creaturine fare a gara per richiamare le sue attenzioni, ovvero poter rubare porzioni di cibo offerto. Ma quando Gemma si voltò distrattamente verso l’uomo accanto, qualcosa la strappò dalla tenerezza di quelle creature, per attirarla quasi con una forza prepotente: in quell’istante l’espressione dolce, sinceramente gioiosa di Song Rok la sbalordì talmente tanto, che non riuscì a distogliere lo sguardo per un po’. Come se quell’immenso sorriso fosse ricco di sorprese ancora celate e, volenterosa di svelarle, la sua curiosità spronasse i suoi occhi ad incollarsi su quel volto di uomo, dalla profonda ma quasi infantile risata, che cominciò a riempirle la mente. 

1 Buk Seoul Forest of the dream: è una foresta situata nella capitale coreana. Il nome è 북 서울 꿈의슾 "Buk Seoul Kkum e seup", la foresta dei sogni, per altre immagini e altre info vi lascio il post che pubblicai nel mio blog: http://amitywonderlanddream.blogspot.kr/2014/01/la-foresta-dei-sogni-della-capitale.html (blog in cui parlo dei miei viaggi in Corea del sud, con lezioni di lingua, consigli per il viaggio, mete turistiche da visitare e storia personale).
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Aigoo kkoma … kwenchanha?: "Oh, bimbo ... tutto okay?" (아이고~ 꼬마 ... 괜찮아?)
3 L'alfabeto coreano, al contrario di quello Giapponese, è molto più facile e quasi similare al nostro, oltre ad avere meno carattere rispetto a quello nippotino. Vi sono suoni che coincidono con le nostre lettere e altri invece che nella nostra lingua italiana proprio non esistono. Oltre a questo anche a loro manca alcune delle nostre lettere alfabetiche come "f", "v", la "r" e la "l" vengono unite in un unico carattere e il suono cambia a seconda della posizione della consonante e a quello che la segue ecc ... 
4 Ne, yebbeoyo: "sì, carino" (네, 예뻐요)



Chiedo scusa per il ritardo e la minoranza di capitoli pubblicati. Purtroppo come ho risposto a chi lascia la recensione, ho grossi problemi con word ed inoltre ho poco tempo. Questi giorni a Seoul stanno passando in fretta e molto gioiosamente, scoprendomi anche nuovamente un pò turista dopo tanto. Dopo tutti questi anni ormai della capitale coreana ho visto molto, ma ci sono ancora luoghi che si scoprono a distanza di tempo.
Vi lascio con delle foto del luogo descritto in questo post ^ ^ a presto~




 
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