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Autore: KikiShadow93    18/12/2014    8 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Piccola Avvertenza: Alluooora, cari pasticcini miei! Dal momento che presto si arriverà alla tanto attesa parte dei massacri, vi dico subito che con questo capitolo, che sarà un pochettino zuccheroso (MI ODIO!), si chiude la grande tragedia. Ci saranno due parti, allineate al centro e con colori diversi (fantasia portami via...) dove ci saranno solo ed esclusivamente i pensieri dei due protagonisti. Poi, quando vedete che tutto è tornato normale, potete stare tranquilli che di boiate non ne faccio più.
Seconda cosa da dire: scordatevi di vedere il principe azzurro. Sì, Marco in questo capitolo dovrà abbassare un po' la cresta se vuole concludere qualcosina (diciamolo chiaramente: quando una donna s'incazza e magari ha pure ragione, anche solo in parte, è bene abbassare la cresta), ma non aspettatevi grandi dichiarazioni d'amore o roba simile. Né da lui, né dagli altri.
Terza cosuccia: mi scuso tantissimo per le troppe descrizioni che troverete. È un mio problema e grande difetto voler descrivere più aspetti possibile dell'ambiente che li circonda, così da far capire al lettore dove si muovono i personaggi, farglielo vedere come lo vedo io - come se ne fossi in grado! -. Lo so, è una rottura per voi, ma spero tanto che non mi lapidiate per questo.
Quarto ed ultimo punto (diciamo pure piccolo spoiler): il prossimo capitolo sembrerà molto carino e tranquillo, ma il finale vi lascerà dimmerda. Almeno è quello che spero!
Ok, ho finito. Buona lettura!

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«Fallo a pezzi! Distruggilo!»
«Ace, dai! Non puoi farti battere così!»
«Quadrato e cerchio! Quadrato e cerchio!»
In quattro ore e quarantatré minuti l'ansia e la paura sono totalmente sparite dai cuori dei pirati, mentre gli impulsi omicidi dei vari mostri si sono totalmente assopiti. Come? Facile: Hidan, il fratello maggiore di Mimì, ha una console con una marea di videogiochi a cui è possibile giocare anche in quattro persone contemporaneamente, oltre ad un maxi-schermo.
Quando Satch ha deciso, assieme alla neo-fidanzatina, di trasferirsi in casa sua per il periodo di permanenza ad Helheimr, è stato immediatamente seguito da alcuni dei suoi uomini che, al contrario suo, non si fidavano per niente di farlo girare da solo per quell'isola. Mimì e Hidan,infatti, sono tra i pochi ad aver deciso autonomamente di costruirsi una casa al limite del villaggio, così da non gravare sul loro Signore. Certo, Fenrir non ha mai cacciato nessuno da casa sua, anzi, è sempre stato il tipo da farli entrare tutti e ospitarli a tempo indeterminato, ma loro hanno preferito avere quel briciolo di privacy che ad Helheimr è una specie di miraggio.
Si tratta di una classica dimora vittoriana, con il tetto spiovente, le finestre georgiane a tutta parete e un portico che circonda l’edificio. Varcando la porta d’ingresso ci si aspetterebbe una casa arredata in stile shabby chic, ma non è così. Le stanze hanno un aspetto decisamente retrò, sia per i mobili dal design classico scelti per i vari ambienti che per l’uso abbondante che si è fatto del legno. Tutto, dai corrimano delle scale alle balaustre, dai pavimenti ai pannelli che rivestono parte delle pareti, è in una calda e meravigliosa sfumatura di ciliegio, che contribuisce a rendere ancor più piacevole l’atmosfera. Il soggiorno principale, che ruota attorno ad un gigantesco caminetto, è ammobiliato in maniera essenziale: ci sono solo due poltrone tappezzate, un tappeto orientale, due divani, un maxi-schermo piatto e un lampadario a candelabro dal “sapore” quasi medievale. Più carica di elementi è invece la sala da pranzo, con tavolo e sedie Chippendale circondati da ampie finestre con vista sul mare. Accanto c’è la cucina, sobria ma attuale, unico ambiente della dimora in cui il parquet di legno lascia spazio ad un pavimento in laminato lucido. Al piano superiore, infine, trovano spazio le due zone notte della casa, le cui stanze sono tutte panoramiche e arredate in stile retrò, con grandi letti dalle strutture in legno.
Quando i pirati sono entrati in questa calda dimora, che per i loro standard può essere tranquillamente paragonata ad una villa di lusso, Hidan li ha gentilmente invitati a giocare ad un videogame spara-tutto e il Comandante ha accettato subito, incuriosito. È bastato davvero poco che la voce si spargesse a macchia d'olio tra i vari pirati e molti altri immortali, che si sono riuniti in quella piccola ma accogliente casa a giocare e urlare incoraggiamenti come se fossero bambini di dieci anni.
All'inizio le due fazioni erano piuttosto distanti, si guardavano in cagnesco e tenevano la guardia alta, ma è bastato che Hidan proponesse una partita due contro due che la situazione si è ribaltata: se all'inizio doveva essere umani contro immortali, in pochi round tutti si sono uniti e hanno cominciato a stringere alleanze per battere altre coppie. Namiur si è alleato con un Incubo, un ragazzetto timido e silenzioso che però ha un talento improponibile con i videogames; Ace si è alleato immediatamente con Kakashi per poter distruggere Satch e Hidan; Fossa si è seduto a tavola con un trio di Windigo che gli hanno gentilmente offerto dei sigari invecchiati; Curiel è stato preso d'assalto da alcuni cuccioli di passaggio, convintissimi di poter finalmente battere i grandi poiché alleati con un artigliere.
In quella piccola casa è scoppiato semplicemente il caos più totale.
Non esistono più pirati, assassini, mostri, uomini o immortali, no: esistono solo un numeroso gruppo di uomini e i loro videogiochi violenti.
Pure Marco è stato trascinato nella mischia, ma ha preferito saggiamente tirarsi fuori da quelle sciocchezze, limitandosi a dare consigli a casaccio e urlare quando lo fanno anche gli altri. In realtà non sa neanche cosa accada di preciso, preso com'è dai propri pensieri, però è consapevole che un minimo di svago può essergli semplicemente utile.
A loro adesso si unisce anche Izo, alle cui gambe stanno attaccati come piovre i pestiferi gemelli. Era uno dei pochi Comandanti ad essere rimasto fuori da quel caos, ma quando la compagna e Akemi lo hanno sbalzato fuori dalla camera di quest'ultima assieme ai gemelli... beh, o questo o le noiosissime chiacchiere di Wulfric, Barbabianca e Fenrir. Sia chiaro, lui non è tanto il tipo da futili chiacchiere e pettegolezzi, ma anche star ad ascoltare racconti di chissà quante vite fa e vedere il suo stimatissimo padre con lo sguardo trasognante mentre ascolta è troppo pure per lui.
«Non ti vedo molto partecipe.» mormora all'orecchio della Fenice seduta vicino alla finestra e con lo sguardo perso nel vuoto, tirandogli una lieve pacca sulla spalla per riportarlo con i piedi per terra. Quando il maggiore si volta a guardarlo gli porge una birra, che Marco accetta volentieri.
«C'eri anche tu su quella spiaggia se non sbaglio.» lancia una veloce occhiata al gruppo di scalmanati intenti a giocare e ad urlare. Gli scappa pure un sorriso nel vedere Ace abbracciare quel matto di Kakashi dopo la loro vittoria schiacciante sulla squadra avversaria.
«Ecco, a proposito di questo...» sorride con l'aria di chi la sa lunga, Izo, appollaiandosi sulla prima sedia che gli capita a tiro e avvicinando il viso a quello di Marco. Si sente una specie di ragazzino in quel momento, che riporta i segretucci che è riuscito a scoprire, ma può anche accettarlo se di mezzo c'è la felicità di un fratello.
«Per Akemi è stato un colpo molto duro. Era convintissima che non te ne fosse mai fregato niente-»
«Ho sempre avuto il sospetto che fosse scema.» lo interrompe Marco, scusandosi silenziosamente quando l'amico lo fulmina con lo sguardo.
«Dicevo: credeva che tu l'avessi sostituita come se non fosse mai contata assolutamente niente, e per questo ha ripiegato sul cane tutto muscoli.»
«E questo dovrebbe farmi sentire meglio?»
Izo sbuffa sonoramente, spalmandosi il palmo della mano sul viso. Ora si rende conto del perché abbia sempre evitato questo genere di situazioni. Alcuni erano arrivati a dire che fosse una specie di asociale insensibile ai problemi dei compagni, ma la verità è che detesta profondamente questo genere di conversazioni. Sperava vivamente di evitarsi discorsi così infantili almeno con Marco, colui che è sempre stato sulla sua lunghezza d'onda, ma se ci pensa un secondo capisce che no, da un uomo ferito ed innamorato non può aspettarsi poi discorsi tanto differenti. Forse li farebbe anche lui se si trovasse nella sua stessa situazione.
«Dovrebbe farti sentire meglio perché è solo la seconda scelta.» risponde pacatamente il Sedicesimo Comandante, accendendosi una sigaretta senza tanti pensieri. Se la situazione fosse stata differente non lo avrebbe fatto per una questione di rispetto, ma dal momento che tutti bevono e fumano come se fossero a casa propria, non vede perché deve trattenersi proprio lui. «Non avrebbe mosso un dito se non avesse saputo di quello che hai fatto a Foodvalten. Quindi, secondo il mio parere, la situazione è ancora a tuo favore. Sempre ammesso che tu voglia perdonarla dopo quello che ha fatto a sua volta, certo.»
Marco non risponde. Guarda fuori dalla finestra e ragiona sulle parole del compagno. Non vuole scervellarsi per capire come abbia fatto a scoprirlo, tanto sa bene anche da solo che da quelle parti hanno tutti la risposta pronta; vuole capire come affrontare quell'argomento con lei, come riuscire ad avvicinarla.
«Non sei un po' grandicello per queste cose?» la voce forte e roca di Freki lo riporta con i piedi per terra in un batter d'occhio.
Volta di scatto la testa, trovandolo con la spalla appoggiata allo stipite della porta, i gemelli che provano ad attirare la sua attenzione e il fratello che gli sorride felice. In quel preciso istante, il joystick impugnato dal rosso diventa incredibilmente interessante.
Potrei spaccarglielo in testa, pensa mentre continua a lanciargli maledizioni di vario genere.
L'antico lupo non lo degna neanche di uno sguardo, limitandosi a buttarsi a peso morto sulle gambe del fratello seduto sulla poltrona verde posizionata nell'angolo. La verità è proprio che a lui non importa niente di Marco! Gli basta che non faccia stronzate e che non vanifichi tutti gli sforzi che ha fatto per tirar su la giovane immortale, poi, per quanto lo riguarda, può fare tutto quello che gli pare.
«Vado a vedere se hanno bisogno di una mano sulla nave.» sbotta sbrigativo, alzandosi di scatto e dirigendosi a grandi falcate verso la porta, venendo ignorato praticamente da tutti. In fondo hanno appena cominciato una nuova partita, mica possono distrarsi!
La Fenice, anziché dirigersi al porto per aiutare i compagni a scaricare le proprie cose come aveva detto, cammina senza meta per le strade di quel villaggio così festoso e maledettamente perfetto. Era convintissimo che sarebbero sbarcati su un'isola piena di scheletri, sangue nei fiumi, carcasse putrefatte sparse ovunque, invece è totalmente l'opposto: tutto è pulito, colorato e vivo.
Con la coda dell'occhio nota, dentro le varie abitazioni, alcuni degli uomini della sua flotta mentre sistemano le proprie cose. Ne La Solitaria erano disponibili “solo” duecento stanze, e quindi solo 400 pirati sono stati ammessi a patto che condividessero le stanze, e nessuno ha osato controbattere quando sono state mostrare loro le camere da letto.
La maggior parte degli uomini, invece, si è dovuta arrangiare ed è stata smistata ovunque ci fosse posto: 363 uomini sono stati piazzati nelle case di coloro che avevano dello spazio in più, mentre molti sono finiti nella Villa delle Anime, situata in un’ampia insenatura soleggiata, dove le camere da letto si sprecano.
È una struttura molto più grande de La Solitaria, fatto che nessuno è ancora riuscito a spiegarsi dal momento che agli spiriti non serve né tanto spazio né la mobilia, e si sviluppa su ben tredici piani, grazie ai quali può ospitare fino a 837 persone. Al piano terra è situata la zona giorno, con un più che ampio salotto con camino, e una moderna cucina super accessoriata; al primo piano si trovano invece le varie zone adibite allo svago e all'istruzione. I piani restanti sono tutte camere da letto con bagni annessi. Infine, c'è una mansarda che completa la proprietà. I mobili antichi, i dipinti e le statue che si trovano all’interno contribuiscono a creare un’atmosfera davvero esclusiva. A questi elementi vanno ad aggiungersi i pavimenti in cotto e marmo, le porte e le decorazioni

Ma ciò che sicuramente conquiste della Villa delle Anime, oltre ai suoi bizzarri abitanti, è l’enorme giardino che la circonda: circa 1300 metri quadri di prati, alberi da frutto, piante e fiori mantenuti in ottime condizioni.
Al contrario di quanto potevano aspettarsi, i vari fantasmi si sono dimostrati curiosi e più o meno gentili nei loro confronti, mostrando una flessibilità incredibile. Hanno cominciato subito a tempestarli di domande, a mostrare loro la magnifica abitazione che gli è stata donata, a deliziarli con canzoni, poesie e spuntini così buoni da farli quasi cantare. Dire che i pirati di Barbabianca sono estremamente felici di poter trascorrere una vacanza del genere, è dire davvero poco.
Momoko, che si è dovuta prendere in casa ben tre pirati, sta dando l'acqua alle piante di marijuana piantate vicino alla porta d'ingresso. È spensierata come sempre, totalmente in pace con il mondo intero, tanto da canticchiare a bocca chiusa un motivetto allegro e far volteggiare sulla testa il suo immancabile ombrello tutto pizzi e merletti. Quando si accorge della presenza cupa del Primo Comandante, non riesce proprio a tenere a freno la lingua.
«Cosa ti turba?» cinguetta osservandolo ad occhi sgranati, non riuscendo a capire cosa possa esserci di così brutto da guastarti l'umore. Per lei è sempre tutto allegro, calmo e bello.
«Non sono affari che ti riguardano.» non vorrebbe essere scortese con una donna che, di fatto, si è semplicemente preoccupata per lui, ma non riesce proprio a trattenersi. È talmente agitato dentro da non poter proprio essere cordiale.
«Ok.» risponde semplicemente la licantropa, sorridendogli allegra e tornando a dedicarsi alle sue specialissime piantine. «Mi è stato riferito di dire a tutti i Comandanti di recarsi nella sala da pranzo de La Solitaria questa sera. Il nostro Signore ha organizzato un grande banchetto per voi.» cinguetta sovrappensiero, annusando a pieni polmoni la fragranza che tanto ama «Alle otto in punto, mi raccomando.»
Marco annuisce appena, riprendendo subito dopo a camminare.
Non ha voglia di mangiare.
Non ha voglia di fare un bel niente.
Si butta a sedere sotto l'ombra di una grossa quercia e lì rimane. Osserva tutto ciò che lo circonda, ascolta i rumori che aleggiano in aria assieme ai mille odori che provengono dalle varie abitazioni. Voltando un poco la testa di lato, scorge le figure di Silly e Eusebio, lo strano tipo mostruoso che li ha accolti al porto, mentre scortano alcuni zombie verso la loro abitazione.
Sospira forte e poggia la nuca sulla dura corteccia dell'albero. Si sente pesante, abbattuto...

Da quando ho scoperto che eri ancora viva grazie a quel video maledetto, non ho fatto altro che immaginarmi il nostro incontro. A volte pensavo che ci saremmo battuti, che ci saremmo insultati. A volte pensavo che saremmo passati sopra a qualsiasi cosa e ci saremmo semplicemente abbracciati in silenzio, e così saremmo rimasti. Ma mi sono sbagliato...
Tu mi hai guardato. Mi hai guardato e hai voltato il tuo brutto muso peloso verso gli altri, saltando e latrando come- aspetta! A cosa ti aveva paragonata quel ragazzetto con i capelli rossicci? Ad una cuccioletta da salotto. In un altro momento avrei riso a questa battuta, ma adesso non ci riesco.
Mi sei mancata da impazzire, non riuscivo a toglierti dalla mia mente neanche se m'impegnavo a farlo... e tu non mi hai neanche considerato. La cosa peggiore, forse, è che malgrado questo, io non voglio altro che tu torni indietro, che torni ad essere mia.
Perché sei dovuta andare via? Avremmo potuto affrontare tutta questa storia insieme. E non intendo solo io e te, no: Halta avrebbe ribaltato le montagne per far capire a tutti come stavano davvero le cose, per difenderti; Ace... beh, Ace avrebbe fatto molto peggio di così! Lui avrebbe scatenato una guerra, lo sai. Lo stesso vale per Satch! Sai bene che ti avrebbe protetta, arrivando anche a battersi per te.
Allora perché sei scappata quella notte? Perché ti sei arresa e ci hai abbandonati? Perché mi hai lasciato solo? Saresti dovuta rimanere, lasciare che io ti proteggessi, ma non hai voluto darmi neanche questa possibilità. Hai preferito darla a quell'idiota che ti gira sempre attorno. Ma sai cosa? Non ce l'ho veramente con te per questo. No, io ce l'ho con me stesso, perché senza te intorno non riesco più a stare in piedi. Mi sono spezzato come un ramoscello, e non sono più riuscito a tirarmi su. Credevo che queste stronzate succedessero solo nei romanzetti rosa che di tanto in tanto leggevi, a quei bravi cavalieri dalle splendenti armature che perdono la testa per la bella e dolce principessa. Invece è successo anche a me, uno dei peggiori pirati in circolazione, che ha perso la testa per una psicotica e violenta principessa dall'animo dannato. Mi hai ridotto ad un fantoccio con i tuoi occhioni di ghiaccio. Spero che tu ne sia felice, mocciosa.
Cosa devo fare per farti tornare da me? Possiamo riuscire a farlo funzionare di nuovo, credimi! Guarda Satch e Mimì! Guardali e dimmi perché per noi dovrebbe essere diverso. Lei è immortale come te, cammina su questa terra da millenni, si nutre di sangue... e per lui non ci sono problemi. Pensi che per me ce ne sarebbero? Credimi, ti sbagli.
Lasciati avvicinare, ti prego. Lasciati avvicinare e guardami negli occhi, lascia che ti dica come stanno le cose, lasciami spiegare e lasciami provare.
Tu mi vuoi ancora. Lo so, ne sono sicuro, e per quanto questo mi spaventi a morte, sono pronto a rimettermi in gioco per te e a tentare il tutto per tutto. Torniamo indietro, riprendiamo da dove abbiamo interrotto. Se mi dai una possibilità, una sola, posso amarti nel modo giusto, credimi.
Sai cosa succederà, altrimenti? Che tu sceglierai uno dei tanti, io continuerò a saltare di letto in letto e, alla fine, rimpiangeremo per sempre ciò che non ci siamo detti. E sappiamo entrambi che il tuo per sempre sarà molto più lungo del mio.

Un sorriso gli increspa appena le labbra. Succede ogni volta che ricorda che lei vivrà per sempre. Una parte di lui è rincuorata da quest'idea, dal momento che sa bene che nessuno sarà mai capace di farle davvero del male, ma dall'altra lo fa impazzire: se per caso dovesse riprenderlo con sé, se dovesse riuscire a mettere da parte il suo maledetto orgoglio, un giorno la farà soffrire di nuovo. Quando ci pensa, però, si ricorda anche di chi è Akemi, di quanto sia forte senza saperlo, di quanto il suo spirito sia capace di sopportare il dolore, di inglobarlo e neutralizzarlo.
Anche adesso, con la luce accecante che lo costringe a coprirsi gli occhi con la mano, si ritrova a pensare a chi lei sia davvero.

Sei una stronza, una paranoica violenta sempre incazzata col mondo, che gode nel far del male al prossimo e... per Dio, mi mandi fuori di testa! Non sei come le altre con cui sono stato: tu non bevi le mie stronzate, non ti fai mettere i piedi in testa e non abbassi la cresta! Tu mi fai il cazziatone e mi tieni a bada come nessuno al mondo è mai riuscito a fare.
Lo vuoi capire che ti voglio al mio fianco, sempre? Ti voglio così come sei, stronza, impulsiva e assetata di sangue, con il mascara colato, i capelli legati in una coda arruffata e il moccolo sulla punta della lingua.
E ti voglio soprattutto perché tu sei una guerriera! Adesso ti avranno pure convinta di essere una maledetta principessina, ma io so che non è così: tu sei una fottuta guerriera, una vera e propria spaccaculi!
Anche se dovesse essere l'ultima cosa che faccio, giuro che ti aspetterò. Non mi sono mai arreso davanti a niente, quindi non lo farò neanche adesso. Perché per quanto sei incredibilmente sbagliata, per quanto tu sia maldestra, violenta e volgare, sei comunque quella giusta, quella per cui vale la pena dannarsi.



Quando un paio d'ore prima Halta e Izo sono entrati nella camera di Akemi, il piccolo e timido Filippo è scappato come un razzo a nascondersi sotto al letto. Dopo essere stato picchiato e maltrattato sin dalla nascita dai suoi fratelli, tende sempre a nascondersi nel vedere un estraneo. Quando Izo, carico di pazienza e buone intenzioni, ha provato ad afferrarlo per toglierlo dal suo nascondiglio, il povero cucciolo si è pure visto costretto a mordergli la mano pur di allontanarlo. È stato quindi necessario l'intervento di quella che ormai è diventata a tutti gli effetti sua madre, che l'ha convinto con dei bocconcini di carne ad uscire e farsi avvicinare.
Adesso, pur restando in stato di allerta, si lascia accarezzare sulla testolina piumata di un tenue marrincino dalle mani sorprendente delicate di Halta, seguendo sempre con lo sguardo i movimenti della madre che si sta accorciando e tingendo i capelli.
Halta, acciambellata sul comodo ed enorme letto della sorella, ascolta distrattamente ciò che le viene pazientemente raccontato della permanenza sull'isola, escogitando nel mentre un piano diabolico per fargliela pagare. Perché avrà pure salvato Satch da morte certa e smascherato un vile traditore, e per questo non gliene sarà mai abbastanza grata, ma l'ha comunque abbandonata, e per questo dovrà vendicarsi. Non sa ancora né come né quando, ma sa che succederà.
Mentre architetta la vendetta e si dedica a coccolare il piccolo batuffolo di pelo e piume marroncine, lascia pure vagare lo sguardo per la bizzarra stanza della sorella.
Akemi, infatti, l'ha arredata completamente in modo eccentrico e fantasioso, creandola esattamente come la voleva. Non c'è neanche da dire che la madre è stata oltremodo felice di poter finalmente viziare la figlia come sognava di far dal momento in cui si è resa conto di averla in grembo.
In perfetto stile Moulin Rouge, questa camera ha un'atmosfera maliziosa e particolarmente intima: le pareti color porpora, arredi sontuosi e molto eccentrici che mescolano gli stili più diversi, dal burlesque al gotico; i mobili alternano elementi di ispirazioni asiatica a sedie zebrate, tappeti rossi e tanti altri oggetti stravaganti, come l'enorme letto a baldacchino in legno massiccio con tendaggi neri richiamano il mondo della notte e divertenti giochi erotici.
Su una parete, proprio dietro al pianoforte nero a coda che Killian le sta pazientemente insegnando a suonare, ci sono degli infissi con vetri colorati, simili alle vetrate delle cattedrali. Infine delle particolari decorazioni rendono completa l'atmosfera: candelieri e luci soffuse, drappi e specchi antichizzati e delle tele con cornici dorate alle pareti.
Con questo veloce e sorprendente colpo di testa, Akemi ha voluto stupire tutti quanti e cancellare totalmente l'immagine di dolce principessina che continuavano a provare a cucirle addosso.
«Filo? Vieni qui, bisogna limare gli artigli.»
Il piccolo grifone si alza di scatto e si lancia in un goffo galoppo verso la madre, saltando subito tra le sue braccia quando questa le allarga in un chiaro invito. Se sapesse già parlare, non farebbe altro che ripeterle quanto le vuole bene, ringraziandola per avergli salvato la vita. Le direbbe anche che detesta che gli limi gli artigli, ma è consapevole che quando si aggrappa alle persone può essere doloroso. Gli unici a non fare mai una piega sono i suoi piccoli e folli zii adottivi.
«Ora che ci penso...» afferma di colpo Halta, mettendosi a sedere sul letto con le gambe incrociate e puntando lo sguardo sulla ragazza «Non mi hai ancora detto per bene com'è la situazione con Freki. Capisco non volerlo dire chiaramente a Izo, però neanche a me?»
«Ahhh, la solidarietà maschile! Forse è addirittura più forte di quella femminile.»
«Bella considerazione, sì, ma ora rispondi alla mia domanda.» la rimprovera prontamente la Comandante, incrociando le braccia al petto in attesa di una risposta soddisfacente.
Anche quando c'era Izo ne hanno parlato, com'era inevitabile che accadesse, ma la giovane Lothbrook è stata ben attenta a parlare solo dei loro amplessi o dei loro allenamenti. Avrà pure detto che l'ha preso come “ragazzo di ripiego”, ma non ha mai detto se effettivamente è legata a lui o meno.
Akemi sospira frustrata, abbandonando pure la presa sulle zampine di Filippo, che in modo sorprendentemente silenzioso sguscia via e torna a rintanarsi sotto al letto.
«Non so che dirti, Halta.» risponde con tono rattristato «Sto bene con Freki. È irascibile, violento, stronzo, e chi più ne ha più ne metta, però... ha pure un lato... non tenero, sarebbe sbagliato come aggettivo. Direi più che altro... non so. Protettivo forse.»
«Quindi state insieme solo perché ti fa sentire protetta?»
«So proteggermi benissimo anche da sola.» soffia irritata la minore, scostandosi una ciocca di capelli ribelli da davanti agli occhi. «E comunque non stiamo insieme» mormora subito dopo, quasi in uno sbuffo «C'è una buona intesa, soprattutto dal punto di vista sessuale, ma non siamo fatti per stare insieme.»
«Capito.» afferma con un sorrisetto malandrino Halta, già pronta a riferire a Marco quest'ultima scoperta. Non è mai stata una spiona, e la sua vendetta non consiste certo nel rivelare a Marco che è ancora sul mercato, però sa che deve farlo se vuole evitare di vedere ancora un immenso mare di dolore negli occhi dell'amico. Perché lei non è stupida: per quanto Marco sia un bravo attore, lei si è perfettamente resa conto che sta soffrendo come un dannato da mesi.
«Non farne parola con nessuno, Halta, o ti mangio un rene.» la minaccia prontamente Akemi, alzandosi in piedi per poi mettersi subito carponi sul pavimento per convincere Filippo ad uscire dal suo sicurissimo nascondiglio.
«Perché proprio un rene?» non ha paura Halta, per niente; tuttalpiù è curiosa di capire perché abbia scelto proprio quell'organo.
«Perché senza il cuore moriresti.» le sorride malignamente, Akemi, notando l'espressione incerta sul volto della compagna. Abbassa di nuovo lo sguardo, puntando gli occhi glaciali sulla figura appallottolata del cucciolo: le lunghe orecchie piumate sono praticamente attaccate alla testa, in parte sepolta sotto un'ala, e il corpicino magro dal manto morbido è quasi completamente appallottolato su sé stesso.
«Non opporre resistenza.» afferma di punto in bianco, lanciando una fugace occhiata all'amica.
«A chi dici, scusa?»
Akemi ghigna di nuovo, tendendo l'orecchio per captare i rumori esterni. Rumori di passi, tanti passi. Passi che generalmente sono leggeri come il battito d'ali di una farfalla, mentre adesso sono pesanti come una mandria di rinoceronti ubriachi.
«Tre... due... uno...»
La porta viene spalancata di colpo e fanno il loro chiassoso ingresso Mimì, stufa delle interminabili partite del compagno, Jena, anch'essa privata del suo giocattolino sessuale, e Dana, che pur di allontanarsi un poco dai figli più piccoli ha accettato questa missione.
«Alza il culetto! Su, su!» urla allegra Mimì, trottando verso la Comandante e afferrandola senza tante cerimonie per i polsi. Non le ci vuole poi molto per sollevarla e trascinarla verso le amiche, non dal momento che si è appena nutrita e le sue forze sono al massimo.
«Lasciatemi subito!» si dimena come meglio può Halta, scalciando e dimenando le braccia, provando in tutti i modi a colpire le tre immortali che stanno minacciosamente tirando fuori metri da sartoria e le accostano vicino al pallido viso diverse tonalità di stoffa.
«Akemi, aiutami! Dille di fermarsi!»
«Ti conosco Halta. Tu dirai a Marco quello che io ho detto a te, ed è inutile che lo neghi.» afferma con tono calmo, coccolando dolcemente il suo piccolo pargoletto piumato. «Questa è la tua punizione.» aggiunge infine, sorridendole malandrina.
Le tre belle forze della natura riescono senza difficoltà a trascinare fuori dalla stanza la piratessa, più che convinte a darle un aspetto quanto più decente possibile per la cena che dovrà affrontare quella sera. Anche questa volta non lo fanno perché fissate con questo genere di cose o per ostentare una non indifferente ricchezza, ma per il semplice fatto che in tantissimi anni di vita hanno sviluppato delle abitudini dettate dall'alta società in cui hanno vissuti per secoli.
«E così siamo rimasti noi due, mh?»
Il piccolo grifone, finalmente uscito dal nascondiglio, alza la testolina su di lei, guardandola con i suoi occhietti verde smeraldo. Di tutta quella conversazione non ha capito poi molto. Non ha idea di chi sia questo Marco, né cosa quegli strani individui abbiano a che fare con la sua mamma, ma non gli importa poi molto. L'unica cosa che importa per lui, è che la sua mamma non lo lasci mai.
«Dici che lo devo affrontare, Pippo?» gli domanda con voce dolce, carezzandogli la pelliccia scura che gli ricopre il dorso snello.
Volta la testa di lato, osservando il panorama. Un brivido le corre lungo la spina dorsale alla vista di quell'infinita distesa d'acqua cristallina, e nel suo cuore si scatena una tempesta.
Non sa se mettersi in gioco di nuovo, abbandonare tutto quello per cui ha faticosamente lottato e tornare alle origini, o se rimanere dov'è e rinunciare a coloro che l'hanno allevata con amore e pazienza. Ma soprattutto non sa cosa fare con Marco. Ogni volta che ripensa a lui, al suo sguardo duro, ricorda involontariamente tutti i loro momenti, i sorrisi che le regalava di tanto in tanto, le prese in giro e i dispetti. Se li ricorda, e ogni volta sta malissimo.

Cosa mi hai fatto, Marco? Perché non riesco a cancellare i momenti in cui mi hai ferita e mi hai fatta piangere come una disperata? Perché mi hai cancellata dalla tua vita come se non fossi mai contata assolutamente niente per te?! Spiegami perché, pure dopo avermi pezzato il cuore, averlo ridotto in brandelli e poi calpestato, io non riesco a cancellarti dal mio cuore?! Com'è possibile che, malgrado tutto il male che mi hai fatto, continui a vivere dentro di me?!
Ti odio davvero per quello che mi hai fatto. Ti odio con tutto il mio maledetto cuore!
E odio ancora di più me stessa... ero convinta di essere diventata forte! Pfh, forte dove? Vederti qui sulla mia isola mi ha fatto un male atroce, assai più distruttivo di tutte le mazzate prese da Freki, e tutte le mie certezze sono andate a puttane. Ero convinta di esserci uscita, di averti finalmente segregato in un angolino del mio cuore, lontano da tutto, pure dalla memoria... invece mi sbagliavo.
Tu sei sempre stato lì, pronto a distruggermi di nuovo.

Abbassa lo sguardo, osservando il piccolo che gioca con un pupazzo che gli ha regalato. Marco le aveva promesso, quando aveva scoperto di non poter avere figli, che avrebbe convinto Newgate a farle adottare un bambino e che lui stesso gli avrebbe fatto da padre.
Le sembra un ricordo così lontano e bello che a fatica riesce a credere che sia successo davvero.

Hai sempre detto che hai il massimo rispetto di me, che ci tieni a noi. Allora perché hai fatto tutto questo, Marco? Perché hai rovinato tutto? Io ho le mie colpe, ne sono pienamente consapevole e me ne prendo tutta la colpa ovviamente. Ma tu... tu avrai almeno la decenza di chiedermi scusa? No, certo che no. Tu non chiedi scusa. Sei troppo orgoglioso per farlo.
E io non voglio essere la ragazza dal cuore spezzato, quella che piange e cerca in tutti i modi di farsi consolare da persone a cui, giustamente!, non gliene può fregare di meno.

Si asciuga le lacrime ribelli dalle guance con il dorso della mano e torna a fissare il panorama, incantata dalla bellezza che la circonda: la fitta boscaglia che cinge casa sua che pare essere quasi verde smeraldo, il blu cobalto del mare, il chiarore delle candide spiagge, i vari mostri che passeggiano o volteggiano per aria.

Ora vivo in un posto in cui non avrei mai pensato di poter stare. Sto vivendo in un mondo dove posso essere quello che sono, senza che nessuno mi guardi di traverso o abbia paura di me.
Il mio cuore spezzato si stava lentamente rimarginando. I miei amici mi stavano aiutando egregiamente, seppur con metodi discutibili. Anche se saperlo ti farebbe stare una schifezza, è stato proprio Freki, quello che da piccola mi terrorizzava all'idea che potesse spuntare da sotto al mio letto, a rimettere insieme i pezzi. È stato lui, con i suoi modi bruschi e la sua lingua tagliente, a farmi capire che continuare a martoriarmi non avrebbe portato da nessuna parte. È solo grazie a lui se sono viva e che il mio cuore infranto stava volando via.
Ma... se ti dicessi che adesso questo magnifico posto sembra splendere dal momento in cui sei arrivato? Lo so, non è da me pensare a cose simili ma... beh, è così. 

E se ti dicessi anche che sono terrorizzata all'idea di svegliarmi domani e scoprire che te ne sei già andato? In realtà, anche se non te l'ho mai voluto dire, quest'idea mi ha sempre spaventata: sei un pirata, potresti sparire da un momento all'altro, per una ragione o per un'altra.
Dimmi che rimarrai qui... per favore. Non posso certo prometterti che le cose andranno di nuovo bene, che tra noi tutto tornerà com'era prima... ma tu dammi del tempo. Dammi del maledetto tempo per capire cosa devo fare.

Il Sole tramonta lentamente, pronto a lasciar spazio all'amata notte.
«Vieni Filippo, dobbiamo farci belli.» ordina a bassa voce, quasi stesse parlando più a sé stessa che al grifone.
Prima di allontanarsi dalla finestra per immergersi nella cabina armadio, i suoi occhi si posano involontariamente su qualcuno che sta attraversando il giardino a testa china. Qualcuno con un'assurda capigliatura bionda che lei riconoscerebbe tra mille.
Quando Marco alza lo sguardo, sentendosi osservato, Akemi si nasconde istintivamente dietro al muro tenendosi una mano sul cuore che batte all'impazzata, mentre una nuova lacrima le solca la guancia.

Non abbandonarmi...




Se fino a poche ore prima erano tutti sovreccitati dai recenti eventi, mentre adesso sono tutti quanti nervosi. Nessuno ha detto loro come ci si comporta ad un banchetto tra immortali. Fossero poi immortali “comuni”... no! Tutta la famiglia reale al completo, con tanto di fedeli Beta al fianco. Mimì si è praticamente imbucata, usando la scusa che il suo fidanzato – e Dio solo sa quanto ama ribadirlo – è invitato e che, di conseguenza, deve esserci anche lei.
È stata proprio lei a radunarli tutti nell'enorme atrio, luogo che esprime nella sua ricchezza il successo politico, economico e artistico dei tre Sovrani. Lì li ha radunati, non senza qualche difficoltà, e poi è sparita, lasciandoli in compagnia di Wulfric e Sakura. Il primo è elegantissimo nel suo smoking grigio scuro mentre la compagna indossa un abito argento lamè con un'abbondante scollatura. La lunga chioma bionda è sciolta in onde, e sulle labbra c'è giusto un filo di rosso corallo.
«Rimarrai molto soddisfatto, Sedicesimo Comandante.» dichiara sogghignando Wulfric, tenendo sempre ben stretta a sé la bionda vampira. Non è mai stato un tipo romantico lui. Anzi, è sempre stato un grandissimo bastardo, ma in lei c'è qualcosa che gli impone di regolarsi, di cacciare fuori quel lato umano, che era già assopito ai tempi in cui il suo cuore batteva.
«Abbiamo sequestrato la tua compagna, Izo. Abbiamo fatto un ottimo lavoro.» spiega Sakura, con un dolce sorriso a rincuorarlo. Vorrebbe tanto tirare un cazzotto a Wulfric per essersi lasciato scappare un commento simile, ma alla fine sa bene che non lo fa con cattiveria. Se fosse voluto essere cattivo, non si sarebbe limitato a parlare.
«Ecco a voi, la meravigliosa Comandante della Dodicesima Flotta!» annuncia a pieni polmoni Mimì, sedendosi sulla ringhiera delle scale e lasciandosi scivolare giù con grazia. Generalmente lo fa bendata assieme a Kakashi, e vince chi riesce a farsi più male.
Halta, che non si era mai vergognata tanto in vita sua, allunga un poco la testa da dietro il muro che usa come riparo, sospirando abbattuta quando vede tutti i Comandanti e il capitano ad aspettarla.
Me la pagherete... tutte quante!, pensa stringendo con forza i pugni, decidendo infine di uscire allo scoperto. Non senza una notevole fatica, le varie immortali sono riuscite a farle indossare un abito nude con scollo a V, abbellito da strass e fiori stampati, il tutto accompagnato da un paio di stivaletti bassi del medesimo colore. Poco sono riuscite a fare con i suoi capelli, dovendo infine accontentarsi di averli pettinati all'indietro.
Izo guarda la compagna scendere le scale con la bocca lievemente dischiusa e gli occhi spalancati. Aveva sì intuito che per le donne presenti ad Helheimr mostrarsi sempre al massimo della forma è quasi una fissazione, ma non aveva immaginato che avrebbero messo le loro mani curate e laccate sulla sua ragazza.
Halta, imbarazzatissima, arriva in mezzo a loro con la testa china e le braccia incrociate al petto. Li odia tutti, dal primo all'ultimo, e lo sguardo che Izo le rivolge, così sconvolto e allo stesso tempo eccitato, la imbarazza a tal punto che le temperature che Ace può raggiungere col suo potere sono niente se paragonate alle sue.
«Andiamo, biscottini!» cinguetta allegra Mimì, roteando su sé stessa per la felicità di essere finalmente tutti riuniti, sorprendendo alcuni dei presenti: come si fa a volteggiare e saltellare su dei tacchi vertiginosi come quelli?!
Con quel gesto, però, fa inevitabilmente alzare la gonna del suo vestitino, di un tessuto cangiante effetto metal, scatenando immediatamente le battutine di Wulfric. Passa infatti dal darle dell'impedita cronica ad altri insulti nella sua lingua, che pure lei capisce a stento.
«Buonasera.»
Ad attenderli in fondo a quell'enorme sala c'è Astrid, supersexy in bianco, nel vecchio stile Anwend, con un make up luminoso e chioma da vamp tutta di lato, per non distrarre dalla generosa scollatura.
«Spero che abbiate appetito.» sorride cordialmente e fa loro gesto di seguirla.
Malgrado abbiano già visto i corridoi principali de La Solitaria, nessun pirata rimane immune allo splendore che lo circonda. Affreschi, statue, stucchi, mobili e armi di una bellezza accecante li circondano completamente, facendogli quasi girare la testa.
«Blamenco!» l'urlo acuto di Bjorn risuona per tutto il maniero, facendoli voltare di scatto. Il diretto interessato si abbassa leggermente per poter prendere in braccio in piccolo ed eccentrico principino, vestito di tutto punto con jeans scuri, camicetta bianca e giacca blu scuro, con i capelli tirati indietro con chissà quanto gel.
«Dopo giochi con noi?» urla contento in ragazzino, sistemandosi come meglio può tra le braccia del pirata. Malgrado i genitori si siano raccomandati almeno una ventina di volte di non dar fastidio e di non essere invadenti, i due cucciolotti non vogliono far altro che stare svegli tutta la notte per giocare con quegli eccentrici uomini.
«Prima si mangia, poi si gioca!» risponde con allegria il Comandante, senza mai mollare la presa sul marmocchio che, divenuto improvvisamente docile, poggia la testa sulla sua spalla e si lascia condurre senza storie nella sala da pranzo, dove già bivaccano gli altri.
«Buonasera.» saluta educatamente Fenrir, mentre Týr, al suo fianco, grugnisce un saluto incomprensibile per chiunque. L'amicizia tra il fratello e il l'Imperatore, infatti, continua a dargli fastidio. Se possibile è più fastidiosa quella che il palo d'argento che gli piantarono senza tante cerimonie nel cuore mesi addietro.
«Prego, sedetevi dove preferite.» afferma sorridendo allegro Fenrir, lasciando un posto alla sua sinistra per l'uomo con cui ha instaurato una tiepida amicizia.
Barbabianca si sente stranamente onorato di essere entrato nelle grazie di un simile individuo. Non perché se fosse stato diversamente si sarebbero scontrati, gli sarebbe andato bene anche così, ma perché è la prima persona da troppo tempo con cui può parlare seriamente e di tutto. Oltretutto, poi, è pure una creatura squisitamente educata, al contrario di quello che uno si può aspettare.
Alla sua destra si siede Freki, suo Beta da quando ha abbracciato l'immortalità e, di conseguenza, una specie di ombra per lui.
Týr si è messo a capotavola dall'altra parte, con al suo fianco Wulfric e, suo malgrado, Sakura.
I gemelli, seppur a malincuore, si sono seduti tra Freki e Killian, che ha al suo fianco la sua adorata Astrid. I due bambini adorano i grandi Beta, ma avrebbero preferito continuare a giocare con i pirati.
Tra Floki e la Freki è rimasto uno spazio vuoto, che ben presto verrà occupato dalla ritardataria di turno.
Akemi infatti ancora non si è fatta vedere. È confusa, spaventata, non ha la minima idea di cosa deve fare, di cosa deve dire. Non vuole passare la serata a fissare il piatto con il cuore che batte all'impazzata, ma sa che non presentandosi peggiorerebbe la già difficile situazione e farebbe pure la figura della sciocca, cosa che non può più permettersi.
Dopo aver atteso per qualche minuto dietro la porta, con la testa appoggiata contro la parete, finalmente si fa coraggio ed entra, ignorando volutamente gli sguardi dei presenti. Indossa un top con scollo a cuore, abbinato a un paio di pantaloni ampi, che nascondono in parte gli alti trochetti neri e i loro ricami dorati. Le labbra sono dipinte di un marroncino chiaro, mentre sugli occhi c'è un pesante strato di nero per metterli in risalto; dal collo pendono svariate catenine dorate, alla quale sono appesi dei piccoli ciondoli simbolici. I capelli, adesso nuovamente di un solo colore, sono stati tagliati alle scapole e leggermente cotonati.
«Tata! Tata! Qui! Qui!» urla contento Floki, sbracciandosi quasi fino a staccarsi le braccia pur di indicarle il posto vuoto al suo fianco, che viene velocemente occupato con sua somma felicità.
Marco, malgrado ci stia provando con tutto sé stesso, non riesce assolutamente a staccarle gli occhi di dosso. La guarda e si convince sempre di più che sia tutto sbagliato, che lei dovrebbe essere al suo fianco come un tempo. Perché la loro sarà stata pure una relazione breve, ma è stata così intensa da lasciare un segno indelebile nel cuore della Fenice.
«Rilassati, stai bene.»
Marco ha sentito chiaramente quella frase uscire dalle labbra di Freki, e ora inevitabilmente guarda lui. Lo guarda con la sua camicia blu scuro che pare essere fatta su misura per lui; guarda i suoi capelli ribelli scendergli morbidi sul collo e sulla fronte; ma soprattutto guarda il sorriso complice e malizioso che rivolge ad Akemi.
Continua a fissarli in cagnesco per almeno dieci minuti, non ascoltando neanche una parola che viene detta dai suoi compagni. Non sente neanche la forte risata di suo padre. Niente. Assolutamente niente. Vede e sente solo loro due, intenti a bisticciare come bambini e a fare dispetti ai gemelli, che riescono sempre a difendersi egregiamente. Si ridesta solo quando gli viene messo davanti il piatto con gli antipasti.
I presenti si accorgono senza alcuna fatica che le portate sono assai diverse: carne al sangue per i licantropi, bocconcini di sangue solidificato per i vampiri e vari assaggi di pesce per loro. Da una parte sono disgustati nel vedere come godano nell'assaporare il sangue, turbandosi quando i loro occhi si accendono e rivelano la loro natura demoniaca quando le loro papille gustative entrano in contatto con la carne umana, ma anche questa volta decidono saggiamente di passare sopra a tutto quanto. Non vogliono sapere a chi appartenevano i pezzi di carne che, portata dopo portata, vengono loro serviti, da quali vene proviene il sangue che Týr e Wulfric scolano avidamente dai calici di cristallo. Non vogliono sapere assolutamente niente. L'unico che si è espresso al riguardo è stato Ace, suggerendo loro di fare scorte di Marines e mangiare quelli, suscitando delle lievi risate da parte dei presenti e un flebile “Chi ti dice che non lo siano?” da parte di Wulfric.
Quando giungono finalmente al dolce, quasi tre ore dopo, anche i più grandi mangiatori sono sul punto di scoppiare. Gli hanno dato così tanto che per poco i loro stomaci non esplodevano come petardi, ma hanno sempre continuato a mangiare a causa dei mille sapori deliziosi che possono gustare una volta tanto.
«Questa me la dovete spiegare!» la voce acuta e furiosa di Freya arriva alle loro orecchie come una secchiata d'acqua. Erano sicuri che non si sarebbe mai azzardata a venire dopo la schiacciante sconfitta di quella mattina, quindi non hanno neanche perso tempo nel dirle che non era gradita.
Entra nella sala come una furia, fasciata in un micro-vestito a stampa di pitone blu e azzurro, con degli altissimi tacchi a spillo neri, i capelli d'oro acconciati in grossi e voluminosi boccoli ondeggiano ad ogni passo. Punta di colpo i piedi a terra e fissa i presenti uno ad uno con l'unico occhio superstite di quell'inquietante color oro, lasciando pure le candide zanne in bella mostra.
«Credevo che fosse chiaro che non sei la benvenuta, Freya.» la sfotte Týr, con il solito sorriso sghembo ad increspargli le labbra.
Dopo quell'affermazione, che ha strappato un lieve sorriso a tutti, la situazione esplode in un secondo: Freya ringhia con tutta la rabbia che ha in corpo, portando così sulla difensiva i pirati, e un coltello vola preciso nella sua spalla.
La lupa si porta velocemente una mano sulla ferita, piegandosi leggermente in avanti ed imponendosi di non urlare, e Floki scatta in piedi sul tavolo mostrandole i denti, ringhiando con una forza tale da far impallidire pure i due antichi Beta, che lo fissano come se fosse un'allucinazione.
«Sparisci!» ringhia con voce profonda e gutturale, facendo scattare in piedi il padre.
«Floki, ma che ti prende?!» urla la madre, scattando in piedi a sua volta.
I presenti guardano allibiti la scena, arrivando velocemente alla conclusione che questo, al contrario di tutti gli altri eventi a cui hanno assistito, non è normale.
«Mi ha fatto arrabbiare.» risponde in un ringhio il piccolo principe, rinfoderando gli artigli neri che si era precedentemente piantato a sangue nei palmi delle manine.
Fenrir, che stupido di certo non è, si muove il più velocemente possibile per afferrare alle spalle il bambino. Lo solleva dal tavolo e lo porta a terra, inginocchiandosi davanti a lei e fissandolo con insistenza negli occhi, e il cuore perde qualche battito.
«Fenrir?» lo richiama incerta Astrid, azzardando un paio di passi verso di loro.
Pure Akemi è spaventata. Non potrebbe assolutamente sopportare che qualcosa di brutto abbattesse i suoi giovani e vivaci fratellini. Non potrebbe sopportare di vederli spezzarsi da un momento all'altro. Non potrebbe sopportare di separarsene per sempre.
«Bjorn, vieni qui.» ordina secco l'Imperatore, afferrando saldamente per una spalla il figlio. «Ci riesci pure tu?» il piccino guarda per un attimo il fratello e poi annuisce confuso, concentrandosi per qualche secondo per riuscire in quella che, per loro, è ancora una specie d'impresa.
La situazione si è congelata: nessuno si muove di un millimetro, nessuno osa chiedere cosa abbiano i due ragazzini, neanche i familiari.
Quando però Fenrir abbassa la testa con fare sconsolato e ridacchia con aria quasi isterica, tutti tirano un sospiro di sollievo. In fondo nessun padre riderebbe di fronte al figlio malato, no?
«Ora capisco perché gli altri novellini girano sempre intorno a questi due diavoli.» si alza in piedi e spettina amorevolmente i ragazzini che ancora non capiscono cosa hanno fatto di tanto sconvolgente, voltandosi solamente quando vengono richiamati dalla voce tremante della madre.
I vari immortali seduti al tavolo rimangono totalmente shockati da quello che vedono: i loro occhi, i loro bellissimi occhi cobalto, adesso sono screziati di rosso. Per essere più precisi, l'occhio sinistro di Bjorn è già per ¾ rosso, mentre quello destro di Floki solo per metà.
«Porca puttana...» mormora Týr, portandosi una mano davanti alla bocca per provare, inutilmente, a mascherare lo sgomento.
«Che hanno?» tuona Barbabianca che ormai ha preso in simpatia i due piccoli folli che lo chiamano nonno. Se avessero bisogno di qualcosa, sarebbe già in prima linea per aiutarli. Si fa così in famiglia, no?
Fenrir scoppia a ridere di gusto, passandosi entrambe le mani tra i capelli. Gli occhi dei presenti sono tutti puntati su di lui, pure quelli dei gemelli, ancora ignari di quale sia il motivo di tanto sconcerto.
«Sono due Alfa Naturali!» esclama contento, afferrando i figli da dietro le gambe e caricandoseli in spalla, fiero come non credeva di poter essere in vita sua. Fino a quel momento, l'unico Alfa Naturale è stato solo lui.
«Cos'è un Alfa Naturale?» mormora Vista all'orecchio di Mimì, ignorando deliberatamente il fatto che stesse bevendo una lunga sorsata di sangue ancora caldo.
«I licantropi, più di qualsiasi altra creatura immortale, seguono una gerarchia molto rigira: c'è l'Alfa, che guida tutto il branco; il Beta, braccio destro dell'Alfa, che prende alcune decisioni in sua assenza; i Gamma, che sono il resto del branco, e l'Omega, ovvero lo sfigato di turno che serve per tenere la tensione nel branco sotto controllo.» spiega brevemente, accavallando le gambe sinuose «Si diventa Beta solo per decisione dell'Alfa, mentre per diventare Alfa ci sono tre modi: o combatti con gli altri contendenti all'interno del branco, o ti stacchi dal tuo precedente branco e te ne crei uno per i fatti tuoi, o, cosa rarissima, ci nasci.»
«Loro due lo sono, no? Non è normale che lo siano anche i figli?» domanda con una certa ovvietà Satch, indicando con un cenno del capo i due Sovrani che abbracciano i piccoli e forti eredi.
«Non è assolutamente una cosa ereditaria.» risponde sorridendogli Mimì.
«Neanche la licantropia, se è per questo.» li interrompe voce di Killian, adesso vicino alla finestra ad osservare quasi con malinconia la festa che si sta svolgendo alla Villa delle Anime. «Solo un licantropo maschio può trasmettere il gene puro. Per farla breve: due licantropi generano un licantropo; un licantropo e una donna umana generano anche stavolta un licantopo; ma una licantropa e un essere umano, non genereranno mai un lupo mannaro.»
«E quindi cosa nasce? Un umano più forte?» domanda incuriosito Ace, voltandosi verso quel ragazzo che un tempo avrebbe ammazzato a mani nude e che adesso invece trova vagamente simpatico.
«No.» risponde secco, voltandosi finalmente verso di loro «Un coyote mannaro.»
«Un tempo erano molto numerosi, si riproducevano a macchia d'olio.» aggiunge con vago interesse Týr, facendo ondeggiare distrattamente il liquido scarlatto contenuto nel suo calice. «Purtroppo per loro, però, il mondo non è abbastanza grande per tutti, e loro non sono sufficientemente forti da poter affrontare un lupo mannaro.»
Sorride con aria meschina, Týr, facendo intendere loro che non è stata solo opera dei lupi cattivi se quella specie è sull'orlo dell'estinzione, ma nessuno ha voglia di mettersi a discutere con lui. È stata una giornata sin troppo piena pure per loro, non riuscirebbero a sopportare i suoi rigiri di parole e le sue assurdità.
«Mio Signore, con tutto il rispetto...» comincia Freki, alzandosi piano dal suo posto e sorridendo con aria beffarda al suo Sire «Qui è un mortorio.»
Fenrir gli sorride appena, lanciandogli letteralmente addosso il piccolo Bjorn che viene subito afferrato, neanche fosse un pupazzo. Però la cosa sembra divertirlo, quindi neanche Astrid dice niente.
«Se avete voglia di fare un po' di baldoria, vi consiglio vivamente di seguirmi.» suggerisce con tono affabile l'Imperatore, ricevendo in risposta un boato d'approvazione. Pure Barbabianca, assai provato dalla dura giornata, si alza e li segue, curioso di vedere se i festini su quell'isola di pazzi sono devastanti come li descriveva Týr.
Lo seguono tutti velocemente per i lunghi e sontuosi corridoi, per il magnifico giardino illuminato dai brillanti raggi lunari, fino alla tetra foresta. Ad ogni passo verso la Villa delle Anime, luogo fissato per la festa, sentono la musica salire, entrargli dentro e scuotere le loro casse toraciche. Alcuni si domandano come facciano creature con un udito sensibile come il loro a sopportare un tale fracasso, altri invece si domandando se i compagni stanno bene o se sono diventati la portata principale del loro banchetto. Perché, si sa: fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.
Sentono delle risate quasi malate provenire dalla loro destra, e neanche pochi secondi dopo vedono spuntare dal fitto della vegetazione Ed e Ginevra che si tengono per mano. Del sangue ancora caldo e denso cola dalle loro labbra, mentre i loro occhi dorati fiammeggiano nell'oscurità.
«Non temete, non hanno mangiato i vostri amici.» borbotta Týr, indifferente come sempre.
Freki, con un braccio attorno alle spalle di Akemi, continua a camminare come se niente fosse, attirato da quel rumore assordante e dall'odore di sangue, alcol e sesso che sente chiaramente. È come una melodia per lui, la più dolce e ammaliante di tutte, e niente riuscirebbe a trattenerlo in quel momento.
Quando dopo qualche minuto finalmente i pirati escono dalla boscaglia e si ritrovano davanti alla Villa, sentono come se il cuore improvvisamente si bloccasse e un nuovo mondo si aprisse davanti ai loro occhi: tutti si muovono, il caos regna sovrano come se si trovassero in battaglia; c'è chi si sfida per potersi aggiudicare una gamba umana, chi balla mezzo nudo sulle balaustre, chi beve il sangue dei propri compagni per sballarsi ancora di più.
Caos e perversione.
Pure gli uomini dell'Imperatore Bianco si danno alla pazza gioia, bevendo, urlando, ballando e scopando con qualsiasi creatura di sesso femminile disponibile. I loro freni inibitori sono andati a puttane nel momento esatto in cui la musica è stata accesa e le casse hanno cominciato a pompare a tutto volume.
Quando Týr parte, gettandosi in mezzo alla mischia e afferrando le sue vampire, pure il resto del gruppo si sblocca: la ragione viene momentaneamente accantonata per lasciar spazio all'euforia, gli alcolici vengono passati di mano in mano come offerte di pace in chiesa. I più folli decidono di assaggiare il sangue dei più sballati, ritrovandosi a loro volta immersi in trip allucinanti che mai avrebbero pensato di provare.
Le ore sembrano minuti per loro. Niente ha più senso, nessuno vuole fermarsi. Solo il sorgere del Sole li calmerà e incatenerà di nuovo il loro lato oscuro, permettendo alla ragione di tornare a splendere. Ma adesso il Sole non c'è. Mancano ancora un paio d'ore alla sua comparsa, e loro hanno intenzione di godersi quello sballo fino alla fine.
Fenrir e Astrid ballano insieme. Sono sesso allo stato puro quando si muovo, quando le mani grandi e forti del lupo sfiorano quella pelle morbida, quando i fianchi rotondi della Sovrana ondeggiano lentamente.
Vista ha deciso di bruciare la sua anima nel girone dei lussuriosi, lasciandocisi trascinare in una camera da Jena e Cassandra, una Banshee amica sua dai meravigliosi capelli rosso fuoco e un culo che parla.
Namiur è stato afferrato e trascinato via da una ninfa, e da un paio d'ore di lui non c'è più traccia.
Ace ha invece deciso di darsi totalmente all'alcol, ritrovandosi in poche ore in uno stato così imbarazzante da venire addirittura snobbato dalle femmine, anche quelle più spinte come le vampire di Týr.
Barbabianca, ormai molto più che alticcio, continua a tenere sotto tiro i propri figli intenti ad autodistruggersi, ridendo come un folle ogni volta che qualcuno di loro fa l'ennesima figura di merda. Come, per fare un esempio, Speed Jill che viene sbalzato contro un albero da Arista per essersi preso troppe libertà con Momoko.
L'unico che non si diverte e che rimane sempre fermo in un angolo è Marco. Lui non può ballare, non può divertirsi, non quando la sua donna – perché è sua, e fine della discussione – balla e si diverte assieme a Killian, Freki o Hidan. Non può ridere spensierato quando questi tre demoni la fanno volteggiare, la stringono e le offrono da bere. Non può abbordare una di quelle puttane in calore quando la baciano sulle guance e si strusciano lascivamente su di lei. E non può smettere di fissarla, dal momento che anche lei lo fissa.
È proprio per questo motivo che Akemi, pur di cercare un riparo, corre dentro la Villa e si butta a sedere su uno dei comodi divani del salone assieme ai gemelli, che cominciano a parlarle a raffica, mostrandole anche i piccoli dinosauri che Killian ha intagliato per loro e proponendole di giocarci insieme. Ma lei non riesce neanche a sentirli. Non sente neanche la musica assordante che li circonda. Non sente e non vede niente, se non lo sguardo di Marco fisso su di lei.
Ha provato a fissarlo a sua volta per intimargli di smetterla. Ha provato a ballare con i suoi amici davanti a lui per fargli rabbia, suggerendogli ancora di smetterla. Ha provato tutto quello che le è venuto in mente, ma niente è servito.
Anche adesso le è andato dietro e continua ad osservarla dall'altra parte della grande stanza in cui si è rifugiata con i fratelli e sembra che per niente al mondo abbia intenzione di smettere.
«Vado un momento a darmi una rinfrescata, ok? Torno tra poco.» li liquida velocemente e corre subito via, ignorando i loro richiami.
Non riesce più a stare in quella maledetta stanza, a quella maledetta festa. Non riesce a sopportare il suo odore che per dispetto riesce ad arrivarle alle narici malgrado a sopraffarlo ce ne siano un migliaio. Non riesce più a trattenere le lacrime che da quella mattina cercano in tutti i modi di liberarsi.
Marco, accerchiato dai compagni, si allontana senza dire niente, consapevole che quella è probabilmente l'unica volta in cui riuscirà a beccarla da sola per poterla affrontare. In fondo tutti sono alla festa e tutti sono ubriachi, troppo per poter badare all'ennesimo sbalzo d'umore della loro piccola principessa.
Le corre dietro a rotta di collo, raggiungendola dopo un paio di minuti.
Se pensi di potermi seminare, hai sbagliato di grosso!, pensa stizzito mentre aumenta il passo per poterla raggiungere. Il cuore gli fa una capriola nel petto quando finalmente si volta a guardarlo negli occhi. Ma non ha intenzione di farsi rabbonire da quegli occhioni dolci e pieni di lacrime, proprio no. Chiarirà quella situazione una volta per tutte, così da potersi finalmente mettere il cuore in pace.
«Akemi!» le urla dietro, ricominciando a correre quando la ragazza si sfila maldestramente le scarpe alte e comincia di nuovo a correre, raggiungendo una velocità che davvero non si immaginava.
«Lasciami in pace!»
Non le ci vuole poi molto per riuscire a sparire dal suo campo visivo. È decisamente più veloce e, al contrario suo, conosce perfettamente ogni centimetro di quell'isola. Ma Marco aveva preso in considerazione anche questo, ed è per questa ragione che decide di passare immediatamente al contrattacco: le fiamme blu lo avvolgono totalmente e il suo corpo si trasforma in un batter d'occhio, assumendo la forma di un'affusolata e regale fenice blu.
Spicca subito il volo e la cerca dall'alto, riuscendo a scorgere la sua chioma nera che sfreccia in mezzo al cortile della villa.
Mossa stupida rallentare, carina!
Batte con forza le grosse ali e in breve tempo riesce a raggiungere la finestra della sua stanza. Per sua enorme fortuna, cosa che in realtà gli dà pure da pensare, la trova aperta e, neanche a farlo a posta, Akemi sta entrando proprio in quel momento.
La giovane immortale si blocca come una statua nel vederlo volare dentro la sua stanza. Era convinta di essere riuscita a seminarlo, ed è ancora più convinta di aver chiuso la finestra prima di lasciare la stanza. Fiutando per un attimo l'aria, però, sente chiaramente l'odore freddo e dolce del padre.
Questa me la paghi, stronzetto!, pensa stringendo con forza i pugni e decidendosi finalmente ad affrontare il Comandante.
«Voglio stare da sola!» gli urla contro la prima scemenza che le passa per la testa, battendo un piede a terra come una bambina capricciosa.
Marco rimane fermo al suo posto, mettendosi le mani nelle tasche e abbassando per un brevissimo istante la testa. Sa bene che Akemi preferisce aggirare gli ostacoli e lasciarseli alle spalle anziché affrontarli direttamente e che per questo adesso reagirà solo ed esclusivamente nella maniera peggiore, quindi si impone di mantenere il più possibile la calma.
«Volevo sapere se stai bene.» butta lì con voce neutra, osservandola con attenzione.
«No! Non sto per niente bene! Ok?! Sei soddisfatto?! Io. Non sto. Bene!» urla furiosa, portandosi le mani tra i capelli e camminando nervosamente per la stanza, sbattendo pure lo stinco contro lo spigolo del tavolino, cosa che le fa scappare una sonora bestemmia. «E smettila di guardarmi!» urla subito dopo alzando gli occhi su Marco, che a stento trattiene un sorriso di fronte alla sua solita sbadataggine.
Marco la guarda afflitto, annientato dal desiderio di abbracciarla che però è costretto a sopprimere. «Io non ti guardo.» mormora semplicemente, pur essendo consapevole che mentire con lei è totalmente inutile.
«Tu non fai altro che guardarmi!» sibila furiosa, puntandogli contro un dito con fare accusatorio. «Freki potrebbe essere un buon partito per me, sai?! Lui non ha paura di me, di quello che sono o quello che posso fare! E a me piace Freki, mi diverto quando sono con lui!» aggiunge velenosa, assottigliando lo sguardo e fissandolo con quanto più astio può, mentre il suo cuore sanguina «Ma non posso respirare se tu mi guardi in quel modo, NON POSSO RESPIRARE
Tra loro regna un silenzio assordante, di quelli che ti distruggono, ti spezzano completamente. Ma Marco non ha alcuna intenzione di mollare, di lasciare che quel maledetto silenzio li separi per sempre. Perché lui deve provare a giocarsi tutte le proprie carte, ne va del suo futuro e lo sa.
«Credi che lo faccia a posta? Credi che non preferirei stare in mezzo ai miei fratelli e divertirmi? Che non preferirei non soffrire come un cane per una donna che non fa altro che rendermi impossibile tutto quello che faccio?!» la sua voce è calma, rabbiosa e triste. Avanza di qualche passo, continuando a sostenere il suo sguardo adesso indeciso e sofferente. «Io farei qualsiasi cosa per non guardarti più... ma non posso.» ammette infine, arrivando a pochi passi da lei.
Allunga titubante una mano verso il suo viso, sfiorandolo piano, e a quel punto sa che ha vinto.
La tira piano verso di sé, catturando finalmente le sue labbra in quel tanto sospirato bacio che avrebbe voluto dargli non appena l'aveva vista sulla spiaggia.
E Akemi non vorrebbe cedere. Non vorrebbe lasciarsi andare, stringersi tra le sue braccia e ricambiare il bacio. Non vorrebbe lasciarsi toccare all'indietro, non vorrebbe lasciarlo armeggiare con la cerniera del suo vestito, ma proprio non riesce a resistere. Il desiderio malato di averlo è talmente forte e violento da annientare totalmente la sua volontà. Ma un piccolo intoppo la costringe a fermarlo, bloccandogli le mani e allontanandolo di pochi centimetri.
«Aspetta, aspetta...» mormora a corto di fiato, scostandosi con imbarazzo una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Marco si scosta velocemente, come se si fosse ustionato, più imbarazzato che dopo il loro primo bacio. Era convinto che andasse bene, che lo volesse quanto lo voleva lui, ma evidentemente si sbagliava.
«Sì, scusa... hai- hai ragione. Forse sarebbe meglio parlare, dopo tutto quello che è successo...» si passa nervosamente una mano dietro al collo, tenendo la testa china per la vergogna.
«Veramente mi si sono incastrati i capelli alla collana.» ammette la corvina, sorridendogli timidamente. Si sente esattamente come i primissimi tempi in cui si frequentavano, quando non aveva idea di dove mettere le mani o cosa dire, e la cosa riesce sorprendentemente a strapparle un sorriso divertito. «Ma se vuoi parlare, non c'è problema.» aggiunge dopo qualche secondo di silenzio, scrollando le spalle non appena è riuscita a togliersi quella fastidiosa collana che per tutta la sera le ha strappato i capelli.
Annuisce appena Marco, vagamente indeciso su cosa fare e cosa no. Poi semplicemente se ne frega, mormorando un appena comprensibile “come no” e l'afferra per la vita per baciarla di nuovo, stavolta con ancora più trasporto.
Sanno di non aver risolto assolutamente niente, di non aver minimamente affrontato quello spinoso argomento che li porterà a scannarsi di nuovo, ma a nessuno dei due importa.
Ci sono solo loro adesso. Nient'altro.



Angolo dell'autrice:
Odio profondamente l'OOC di Marco, giuro. Mi sto spremendo per renderlo al meglio, ma alla fine esce sempre maledettamente storpiato. Probabilmente mi esce così perché tutt'ora in famiglia ho una situazione delicata dove due si prendono a cornate come i due protagonisti, e di discorsi del genere ne sento a dozzine. Però, come detto all'inizio, un pochetto doveva abbassare la cresta, così come l'ha abbassata lei. Non crediate però che si sia risolto tutto così eh! Neanche per sogno! La questione tra loro è ancora aperta e tra non molto verrà ripresa, però prima volevo farli riavvicinare così.
Poi, che altro dire? Beh, i gemellini sono Alfa, ovvero delle future macchine da guerra pressoché perfette, e nel sequel lo vedremo eccome. Floki ha pure accoltellato Freya :3 Come si fa a non adorare quel piccolo sociopatico violento?! ;D
Come già detto all'inizio, nel prossimo tornerà Peter... e presto sgancerò la bomba più grossa di tutte! :D
Ok, non dico altro.

Un grazie di tutto cuore a Monkey_D_Alyce, Chie_Haruka, Aliaaara, Nakurami, Yellow Canadair, KURAMA DI SAGITTER, Nakurami, ankoku e Keyea Hanako D Hono, e a tutti coloro che mi seguono :3 Siete dei tesori!

Adesso vi lascio con uno special scritto dalla meravigliosa Yellow Canadair!
Un bacione
Kiki~

 

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Yellow Canadair

Due saracinesche.
Di quelle dei negozi, pesanti, grigie, che fanno un gran rumore quando vengono sollevate al mattino e chiuse alla sera. Quelle che sembravano richiedere sforzi sovrumani per essere manovrate, manco fossero state fatte di ghisa.
Portuguese D. Ace è un bel ragazzo, tutto sommato. Un ragazzo in salute, atletico e, per dirla come le nonne, “che mangia”. Eppure in quel momento gli pare che le sue palpebre siano due di quelle saracinesche, fatte di ghisa, impossibili da sollevare persino per un ragazzone come lui. Gli sembra di essere un’anziana e decrepita padrona di negozio davanti al suo esercizio al lunedì mattina: scoraggiato davanti a quel rotolo di metallo che attende di essere mandato verso l’alto con un gran frastuono.
Tunz tunz tunz, il suono ritmato delle percussioni viene dal passato, dalla sera precedente, e ancora risuona nelle sue orecchie.
Ma quanto aveva bevuto? Non è la prima volta che si sveglia con i postumi di una sbronza, eppure ogni volta non manca mai di chiedersi quanto diavolo possa aver bevuto, e ogni tanto cerca anche di figurarsi il suo stomaco, per arrivare a capire se davvero possa contenere tutta la quantità di liquido che gli ha causato quello stato.
Un conato di vomito gli dice che no, non la può contenere.
Si sporge con la testa oltre il letto (o almeno quello su cui stava, che gli pareva essere un letto) e vomita senza pensarci due volte.
«Uff… che schifo» fa una voce in lontananza. Non ha alzato il tono, né sembra effettivamente nauseata, però alle orecchie di Ace arriva come una decina di spilli infilzati nei suoi timpani, confondendosi con quel maledetto tunz tunz.
Deve trovarsi bocconi su un divano, sente lo schienale muovendo di poco la gamba destra. Un divano, benissimo. Sempre meglio della sala di aspetto di un urologo, sita in un pianterreno, dove si era svegliato l’ultima volta (destato da uno strillo della segretaria del dottore venuta ad aprire lo studio. Oh, ma Satch l’aveva pagato quello scherzo, eccome se l’aveva pagato).
Un divano, e poi?
Socchiude gli occhi; il suo vomito gli da un caloroso buongiorno dalla bacinella azzurra che lo contiene.
Una mano gli accarezza leggera i capelli.
«Lo vado a svuotare, non vomitare per terra, mi raccomando» si premura la stessa voce di prima.
Altri spilli infilzati nei suoi timpani, senza pietà.
Il pirata, una volta eliminato quel bouquet di odori assai poco invitante, alza di poco lo sguardo. Si trova in una casa abitata; la stanza è in penombra, le luci filtrano appena dalle tende tirate. Non riesce a ricordare un arredamento simile in nessuno dei luoghi dove è stato… lo stile è completamente diverso. Sembra di stare in una taverna, o a bordo di una nave, o comunque non certo in una di quelle residenze sfarzose dei vampiri amici di Akemi.
Mette a fuoco lentamente alcuni oggetti: le mattonelle quadrate e brune del pavimento, un tavolino basso di legno chiaro davanti a lui, due grandi archi che lasciano intravedere una vecchia cucina. Se potesse girarsi e guardare alle spalle del divano su cui sta, vedrebbe delle mensole piene di libri, e si arrabbierebbe anche notando i dorsi di un paio di loro, tra i più recenti, che sembrano urlare a pieni polmoni il nome dell’ultimo Re dei Pirati.
Dove diavolo è?
«Ecco il tuo amico» la voce. Stavolta è stata un sussurro, e il suo cervello ringrazia calorosamente per la cortesia. La bacinella viene rimessa sotto il suo naso, per terra.
Ace solleva gli occhi sulla figura che gli ha riportato il catino.
Una ragazza. No, non “una ragazza”. L’ha già vista. Si ricorda di lei… chi diavolo è? Come si chiama? È la pazza che ha guardato nei pantaloni del Rosso, come ormai è universalmente nota a bordo della Moby, ma il Comandante pensa che non sarebbe molto carino chiamarla così.

Silly Silva si mette in bilico sulle punte e si accovaccia davanti al naso del ragazzo, guardandolo negli occhi con fare vispo. Sorride davanti allo smarrimento del figlio di Newgate, e notando che sta disperatamente tentando di dire qualcosa, mette la propria lingua dietro gli incisivi superiori, come a suggerire al ragazzo la sibilante iniziale del suo nome.
«Ssssss… Silly!» recita Ace, accompagnato dalla voce della ragazza.
«Ciao!» sussurra lei «Come va? Come sei brutto stamattina!» lo prende in giro.
Nonostante abbia una squadra di operai massicci al lavoro con dei martelli pneumatici nella testa, Ace sorride alla provocazione.
«…male!» risponde.
«Ci credo» conferma la lupa «Eri distrutto, ieri notte. Anzi, era stamattina. Sì, stamattina presto.»
«Come ci sono finito qui?» biascica il pirata. Fosse meno devastato dal mal di testa, si renderebbe conto che la tipetta davanti a lui non indossa i pantaloni, solo un bikini blu. E addosso porta una camicia da uomo che le ha dato Fenrir, dato che ad Astrid non piaceva più (la camicia).
«Ci sei arrivato da solo. Almeno fino alla casa, poi ti ho trascinato dentro io» non è maliziosa, solo immensamente realista.
«Mi hai trascinato… dentro casa?»
Che cosa faceva, lui, alle donne? Le stregava, ecco cosa.
«Sì, stavi provando ad abbordare… e no, non in senso nautico, allora ho pensato volessi stare più comodo.»
«Ti ho…» sta per dire “rimorchiata”.
Silly trilla una risata che risuona come l’atterraggio di un pianoforte lanciato dal sesto piano nella testa del ragazzo.
«No, non me!» spiega la lupa «La mia bicicletta!»
Figura. Di. Merda. Ace non ricorda nulla della sera prima, ma non ha difficoltà ad immaginarsi di aver fatto una stronzata del genere.
«Stavo rientrando dalla festa e ti ho trovato abbracciato alla bici. Le stavi dicendo di non fare la difficile perché… aspetta, me lo sono appuntato!» tira fuori dalla tasca sul petto della camicia un pezzo di carta «“Perché le nostre strade sono destinate ad andare per mare, piccola bimba, e non ha senso opporsi”, o almeno è quello che ho capito»
«Figura di merda…» mormora Ace.
«E non sai quello che hai detto quando ti ho preso di peso e scaraventato sul divano…»
«Non lo voglio sap-»
«“Ehi sexy lady” e mi hai fatto l’occhiolino, eri inquietante “sei più calda del fuoco… e io me ne intendo”» legge con professionalità.
«Sono un coglione…» rantola il ragazzo seppellendosi sotto un cuscino.
«Eri sbronzo» risponde Silly con semplicità «Ti preparo un caffè.»
Da sotto al cuscino arriva uno strano mugolio.
«Anzi, un’aspirina» si corregge la ragazza.

«E vivi qui? Tutta sola?» si stupisce Ace.
Si è ripreso discretamente, e più in fretta di quanto Silly credesse. In fondo è giovane, ed è abituato ad inconvenienti del genere. Adesso è riuscito a mettersi seduto sul divano, l’aspirina sta facendo effetto, e la voce della padrona di casa non è più così traumatica.
Silly è seduta sullo stesso sofà alla sinistra del ragazzo, a poca distanza, beve un cappuccino e ha sciolto la sua treccia, lasciando che le morbide onde dei suoi capelli siano libere e scapigliate.
«Non mi piacciono i palazzi troppo grandi» spiega la ragazza «E qui c’è molta più tranquillità. Nessuno che urla, nessuno che si fa venire crisi isteriche per motivi strani. Se ho voglia di compagnia, sono io ad andare dagli altri. E poi, spesso qui c’è Mimì. O Lilith, ultimamente.»
Ace giocherella con il fermaglio che di solito lega la treccia di Silly. Era azzurro, come il cielo, la stoffa nascondeva l’elastico, e dei fiorellini rossi sono incastrati -chissà come- nella trama azzurra. I suoi pensieri vengono interrotti da un dito che esplora la A del suo tatuaggio. Si volta verso Silly, che si è avvicinata e studia ammaliata il disegno che gli ornava il braccio.
La osserva in silenzio, mentre sembra volersi imprimere nel polpastrello il leggero dislivello tra pelle e inchiostro.
Arrivata alla fine della dolce e curva S e trovandosi a dover percorrere le stanghe della croce che la sbarrava, solleva lo sguardo verso Ace, che ancora la guarda, e che si aspetta la domanda che infatti giunge: «Perché c’è… una esse? Sbarrata?»
Il ragazzo sorride triste, ma non se la prende per l’invadenza della piccola scapestrata. In fondo, anche lui al suo posto avrebbe domandato.
«È per mio fratello… che non c’è più» spiega rattristandosi, strofinandosi il braccio con la mano opposta, e Silly si sente in colpa.
«Mi… mi dispiace…» balbetta.
Il Secondo Comandante rilancia, cercando di alleggerire l’atmosfera: «E visto che siamo in tema di domande, perché tu stai sempre con le gambe di fuori?» dice ghignando malandrino senza tanti giri di parole «Non che rifiuti un bello spettacolo, ma non mi capita tutti i giorni vedere persone svestite così!»
«E meno male, su una nave di Newgate sarebbe abbastanza preoccupante» ribatte la lupa prima di bere sorsate del suo cappuccino.
Ace ridacchia.
«Non me lo sono mai chiesto, sai?» risponde la ragazza dopo averci riflettuto «Per me è naturale che sia così, e basta»
«Potrebbe essere un disturbo possessivo-repulsivo? »
«Un cosa?!»
«Possiedi le tue gambe, ti piacciono, e quindi sei repulsiva verso qualcosa che te le nasconda. »
Si guardano negli occhi per alcuni istanti, assaporando quella scottante e seria verità.
E scoppiano a ridere insieme. 

  
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