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Autore: JulesBerry    19/12/2014    1 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata
 

'Cos my family don't seem so familiar
And my enemies all know my name
And when you hear me tap on your window
You better get on your knees and pray
Panic is on the way

Le lancette dell’orologio continuavano a ticchettare, segnando i secondi, i minuti, le ore che passavano, ma per Margaret il tempo era come se si fosse fermato, come se non avesse alcuna intenzione di scorrere. Seduta al tavolo della cucina della Tana, tormentava con sguardo assente una ciocca di capelli che, ribelle, era sfuggita al controllo dell’elastico che teneva ferma una lunga treccia, mentre il suo viso diveniva più pallido ad ogni istante. Non riusciva a pensare a niente, se non a quanto avrebbe voluto essere con Fred in quel momento, e a quanto detestasse rimanere esclusa dalle faccende dell’Ordine. Non avere notizie l’angosciava, così come il ricordo di quella stupida discussione avuta con suo marito quello stesso pomeriggio. Perché avevano litigato?, si chiedeva, e mai come in quell’occasione avrebbe desiderato tornare indietro anche solo di poche ore.

< Non ti sei ancora ripresa del tutto, Meg! Non è il caso che tu affronti la missione, correresti solo un rischio inutile! > aveva provato a convincerla Fred, incredibilmente calmo nonostante la crescente irritazione. A quel punto, Margaret si era portata le mani ai capelli e aveva sospirato.
< Sono passati due mesi e mezzo dal parto, sto benissimo, te lo assicuro. Adesso, per favore, la smetti con questa tua smania di proteggermi?! >
< “Smania di proteggerti”?! Dici sul serio?! Lo faccio per il tuo bene! > aveva sbottato lui, gli occhi sgranati a causa dell’indignazione, chiedendosi perché sua moglie dovesse ostinarsi per forza a non capire.
< Fred, faccio parte dell’Ordine tanto quanto ne fai parte tu, ho il diritto e soprattutto il dovere di rendermi utile, non credi?! > aveva alzato il tono di voce Margaret, camminando su e giù per la sala da pranzo.
< Santo cielo, Margaret! Perché devi essere sempre così testarda?! > anche Fred aveva iniziato ad urlare, sbattendo con forza un pugno sulla superficie legnosa del tavolo.


Una carezza sul viso da parte di Molly Weasley la ridestò dai suoi pensieri, e istintivamente volse gli occhi alla finestra che dava sul giardino, pregando di vedere arrivare qualcuno. Purtroppo, le sue aspettative vennero ancora deluse: fuori, regnava la calma. D’altro canto, Alexander iniziò a piangere, ma Ginny fu più veloce di Meg a prenderlo in braccio e a cullarlo nel tentativo di calmarlo. La più grande delle due ragazze, d’altra parte, continuava a torcersi le mani, nervosa, cercando di non dare troppa attenzione al senso di nausea che le attanagliava lo stomaco. Si sentiva tremendamente in colpa per quello che era successo quello stesso pomeriggio, ma al tempo stesso avrebbe desiderato essere lì con gli altri, pronta ad intervenire nel caso ce ne fosse stato di bisogno. Odiava sentirsi impotente, sapere di non poter fare nulla, se non attendere delle risposte che mai arrivavano, o sperare di poter tirare presto quel tanto agognato quanto mai inafferrabile sospiro di sollievo.
Guardò sua suocera, pallida almeno quanto lei, che cercava disperatamente qualcosa fuori posto da mettere in ordine pur di non restare con le mani in mano, e dunque sola con i suoi pensieri; e poi guardò sua cognata, che stava riversando tutte le sue attenzioni sull’adorato nipotino, ma che non riusciva a nascondere l’evidente preoccupazione, come testimoniava il piede che batteva sul pavimento.
Margaret si alzò e prese a camminare per la stanza, irrequieta, facendo dei lunghi e forzati respiri, poiché sembrava che i suoi polmoni non riuscissero più a trarne di spontanei. Improvvisamente, però, un rumore proveniente dall’esterno ruppe l’apparente e più che mai falsa quiete, facendo scattare le teste delle tre donne alla porta di ingresso. Meg si diresse spedita verso il giardino, ma ciò che trovò fu soltanto una lattina arrugginita: la Passaporta, ma non le due persone che avrebbero dovuto prenderla.
< Dovrebbe essere quella di Ron e Tonks > commentò Ginny con voce inespressiva, mentre sua madre, annuendo lentamente, le prendeva Alexander, ormai addormentatosi, dalle braccia, dirigendosi nuovamente dentro casa. La giovane e Margaret, invece, rimasero fuori, attendendo in silenzio.

Passarono altri tre minuti prima che la seconda Passaporta, stavolta una scarpa da tennis, comparisse nel giardino della Tana, ma anche questa non portava con sé nessuno. Meg poté giurare di aver sentito il suo cuore fermarsi: era quella che Fred avrebbe dovuto prendere.
Senza dire una parola, corse verso il bagno di casa, sbattendosi la porta alle spalle e chiudendosi dentro. Aprì il rubinetto e si sciacquò il viso con l’acqua ghiacciata, poggiando poi con forza le mani sul lavabo, mentre il senso di nausea non faceva altro che aumentare a dismisura. L’immagine riflessa allo specchio non sembrava nemmeno la sua, ma quella di una donna stravolta dal terrore e dall’angoscia. Si lasciò cadere contro la parete del bagno, sedendosi sulle fredde mattonelle del pavimento, tenendosi la testa tra le mani e in mezzo alle gambe, mordendosi una mano per impedirsi di urlare. Sentiva di essere invecchiata di almeno dieci anni in sole due ore. Che fine aveva fatto suo marito? Perché non era ancora tornato? Cosa avrebbe dovuto fare lei? Erano tutte domande alle quali non sapeva trovare alcuna risposta.
Provò a trarre dei profondi respiri, ma ad ogni inalazione sentiva come un enorme vuoto lacerarle l’anima. Si sentiva sola, terribilmente sola, ma una parte di lei voleva restare in quella solitudine: nessuna consolazione sarebbe stata possibile.
Provò a rialzarsi più e più volte, assistendo al fallimento di ogni tentativo, ricadendo nuovamente su se stessa e rannicchiandosi ancor di più contro la parete e sul freddo pavimento. L’angoscia l’aveva paralizzata, ma questo atteggiamento non era da lei, e lei lo sapeva. Si stava comportando come una persona debole, e lei non lo era mai stata, ma non aveva scuse. Fred aveva sempre ammirato la donna forte, testarda, coraggiosa che era in lei, e lei adesso che faceva? Si comportava come una stupida ragazzina, si rispose. Ce l’aveva con se stessa, perché avrebbe dovuto mantenere la calma, perché non avrebbe dovuto permettere al panico di impossessarsi di lei. Perché non doveva essere la paura a prevalere su di lei, ma doveva essere lei a dominare sulla paura. Questo era sempre stato il suo imperativo categorico, che, tuttavia, per troppe volte negli ultimi tempi non aveva rispettato, e forse fu proprio la consapevolezza di ciò a darle il coraggio di rialzarsi: era giunto il tempo di ripristinare se stessa.
Si avvicinò nuovamente al lavandino e si sciacquò una seconda volta il viso, e anche stavolta osservò il suo riflesso. Non vide più il ritratto dell’angoscia, ma se stessa, quella vera, ed un paio d’occhi verdi che ardevano di nuovo.
< Sii forte, Margaret > disse alla sua copia allo specchio, per poi darle le spalle e dirigersi fuori dal bagno.

Scese al pianterreno, da un lato sperando che qualcuno fosse ritornato dalla missione, dall’altro immaginando di ritrovare la stessa quiete angosciosa ed angosciante di poco prima. Si rese conto di quanto la sua mente avesse sbagliato nel momento esatto in cui ebbe posato il piede sull’ultimissimo gradino. La casa non era più immersa in quel silenzio assordante di una mezz’ora prima, e sebbene vi fosse pur sempre una certa e relativa calma, ella capì fin da subito che doveva esserci qualcosa che non andava.
Il suo presentimento trovò conferma quando, entrando in salotto, ciò che mai avrebbe voluto vedere in vita sua le si parò di fronte agli occhi: George, il suo George, il suo migliore amico da un’intera esistenza, era disteso sul divano, svenuto e con il volto ricoperto di sangue. Margaret sentì le vene del suo corpo raggelarsi.
Meccanicamente i suoi piedi mossero diversi passi in direzione del sofà su cui era sdraiato suo cognato, fino a quando le gambe non cedettero e lei non cadde in ginocchio accanto a lui. La sua mano destra ne prese una del ragazzo, stringendola forte, mentre l’altra prese ad accarezzargli il volto ed i capelli, incurante del sangue che le sporcava le dita, soffermandosi su quel foro presente dove fino a quello stesso pomeriggio Meg era sicura, certa, vi fosse un orecchio. Che ne era stato?
< Oh George, tesoro… > sussurrò lei, meravigliandosi che, nonostante tutto, la sua voce suonasse perfettamente ferma e sicura, mentre dentro di lei la sua anima era nel più totale trambusto. Continuò a carezzargli i ciuffi di capelli rossi, pensando che avrebbe volentieri continuato a compiere lo stesso gesto ripetitivo per ore, dal momento che la priorità assoluta, in quell’istante, era prendersi cura di George, indifeso ed inerme di fronte a lei ed a tutti loro. Cercava di mettere tutta se stessa e tutta la sua concentrazione in quel semplice gesto, in quanto pareva essere l’unica cosa capace di tenere impegnata la sua mente, che altrimenti sarebbe corsa immediatamente a Fred ed alla preoccupazione asfissiante di non sapere dove fosse. Era così assorta da non rendersi nemmeno conto della presenza di Molly, Ginny e di Harry nella stanza.
Ben presto, però, una mano le afferrò il braccio con forza, costringendola ad alzarsi e distogliendola dal suo intento: era la mano di Lupin, che l’aveva spinta dal lato opposto del salotto, non lasciandola più andare e, se ciò fosse stato possibile, rafforzando ancor di più la presa. La giovane lo guardò con tanto d’occhi, sollevando entrambe le sopracciglia.
< Remus, anch’io sono contenta di vederti vivo e vegeto, ma mi sembra un po’ esagerata come reazione, tu che ne pensi? Ah, per la cronaca, mi stai bloccando la circolazione sanguigna > fece Margaret, non riuscendo a trattenersi, ma l’uomo non sembrò darle ascolto, tenendola ancora stretta per un braccio.
< Cosa dissi a Margaret Stevens nell’estate del 1995, poco prima che lei ritornasse in Inghilterra? > ordinò Lupin, inchiodandola con lo sguardo, gelido. Lei cercò di divincolarsi con uno strattone.
< Tu sei impazzito! Mio marito è lì fuori e tu pensi che io possa avervi traditi! Tu sei uscito fuori di testa, cazzo! > si lamentò lei, indignata, non sortendo alcun effetto nel suo interlocutore.
< Le parole esatte, Margaret > insistette lui, al che ella fu costretta a rispondere, sebbene con non poca riluttanza.
< “Non possiamo quasi più fidarci neanche di noi stessi”. Sei contento, adesso?! >
< Sollevato è la parola giusta. Perdonami, ma ho dovuto farlo. Qualcuno ci ha traditi, sapevano del trasferimento. Ti ho fatto male? > disse Lupin, liberandole il braccio e conducendola in cucina, dove Hagrid era sprofondato su una sedia.
< Mi hai quasi amputato un arto, nulla di cui preoccuparsi eccessivamente, ma grazie > fece Meg, dando un’occhiata all’orologio. < Come facevano a sapere che avremmo trasferito Harry stanotte? > continuò, cercando invano di ignorare il ticchettio che scandiva lentamente i secondi, ricordandole che Fred non era lì.
< È quello che mi domando da quando sono arrivato >.
< Come… Come si è conciato così? > chiese Meg dopo un istante di silenzio. Lo sguardo di Lupin si fece ancora più grave.
< Sectumsempra… è stato Piton > rispose lui, e a quel punto Margaret non poté più sopportare oltre. Scattò in direzione del giardino, e la porta di ingresso avrebbe provocato un gran frastuono se Lupin non avesse deciso di seguire la giovane, evitando che quella sbattesse.
< Maggie, che cosa vuoi fare?! > le urlò, accelerando il passo per raggiungerla. Lei si voltò, furente e con gli occhi ridotti a fessure.
< Vado a cercare quel lurido verme che ha ridotto così il mio migliore amico, è il minimo che possa fare, non credi?! > ribatté la ragazza, sciogliendo la treccia e raccogliendo i capelli in una coda. Nella sua testa c’era spazio per un unico pensiero: vendicare George. Adesso che sapeva chi fosse il responsabile di ciò che era accaduto comprese che non avrebbe avuto pace fino a quando non l’avesse avuto tra le mani. Era accecata dall’odio e dall’apprensione, e quando Lupin le poggiò le mani sulle spalle con quel fare paternalistico che tanto mal sopportava, fu molto vicina a scagliargli contro una fattura che di sicuro avrebbe ricordato per tutta la vita.
< Meg, calmati, ti prego. È assolutamente inutile > cercò di convincerla, ottenendo il risultato opposto.
< Anche la vita di un ragazzo di diciannove anni è inutile?! > urlò Margaret, mentre le lacrime iniziavano a riempirle gli occhi.
< George è vivo, Meg! È ferito gravemente, ma è vivo, non devi dimenticarlo! >
< Ma poteva morire! Quella maledizione poteva ucciderlo, per poco non lo ha preso in piena faccia, ci hai pensato a questo? Ed io, misericordia, dovrei rimanere a guardare, senza far niente, mentre mio fratello è mezzo morto su un fottuto divano e senza un… senza un orecchio, cazzo, ancora non ci credo! Come diavolo faccio a mantenere la calma?! > sbottò Meg, in un crescendo che rese la sua voce così acuta da essere abbastanza vicina a diventare un ultrasuono. Lupin la abbracciò, accarezzandole la schiena e sospirando, sconfortato.
< Hai ragione, Meg… eccome se ne hai. Ma adesso ascoltami: George starà bene, si riprenderà… Sì, rimarrà senza un orecchio, ma almeno è vivo, e la cosa migliore che tu possa fare adesso per lui è tornare dentro e stargli accanto. Vendicarlo sarebbe inutile, ormai è successo… e non credo che riusciresti a trovare Piton così facilmente, soprattutto stanotte >.
< E Fred… dove sarà finito? Sono così in pena per lui… >
< Arriverà, abbi fede. Adesso torna da tuo figlio e da tuo cognato, hanno bisogno di te più di chiunque altro. Rimarrò io qui ad aspettare, tu vai… > le sussurrò lui, tenendola stretta qualche secondo in più prima di lasciarla andare, riflettendo inconsciamente su quanto fosse dannatamente simile a Gloria. In questo brevissimo lasso di tempo, Margaret comprese che lei e Lupin erano più vicini di quanto avesse immaginato fino a quel momento: entrambi avevano una famiglia, entrambi attendevano più o meno pazientemente e con infinita apprensione il ritorno di qualcuno, e lei sapeva che quell’uomo era in ansia per Tonks almeno quanto lei lo era per Fred.

Rientrò in casa, e una volta in cucina si avvicinò al box nel quale avevano sistemato Alexander, che adesso le rivolgeva quel sorriso sdentato che tanto amava e che aveva il potere di alleviare qualsiasi dispiacere. Sollevò un istante il bambino e gli posò un bacio sulla testolina rossa, per poi dirigersi in salotto ad accertarsi delle condizioni di suo cognato.
< Si è ripreso? > domandò a Ginny, la prima persona nella quale si imbatté una volta entrata nella stanza. Questa fece un segno di diniego con il capo, al che Margaret si avvicinò al divano sul quale era disteso George e, dopo aver accarezzato nuovamente i capelli del ragazzo, aiutò la suocera, nonché madrina, a curare la ferita. Sapeva perfettamente di non essere abbastanza brava con queste cose, anche in virtù del fatto che la visione del sangue le aveva sempre suscitato un certo (forte) disgusto, e quindi non poté che sorprendersi di essere ancora in piedi e per lo più stabile sulle sue gambe. Si disse che probabilmente l’esperienza del parto era stata utile a superare questa sorta di fobia, e nell’immediato i suoi pensieri furono tutti rivolti ad Abigail, che invece sembrava avesse un talento innato per queste cose.
Poteva tranquillamente ricordare alcuni di quei pomeriggi di almeno tredici anni prima, quando erano bambine e la sua bionda cugina, all’apparenza amorevole nei suoi vestitini color pastello, sadicamente si divertiva a dissezionare rospi, lucertole e poveri animaletti vari, mentre Margaret, be’… lei restava nel suo angolino a vomitare serenamente.
Queste immagini inquietanti della sua infanzia le passarono di fronte agli occhi mentre con estrema calma e cura fasciava la testa di George, rendendosi conto però di quanto fosse relativamente sbagliato che fosse lei a fare tutto questo e non proprio Abigail, che in quel preciso istante si trovava da qualche parte a Belfast, in Irlanda, all’oscuro di tutto, ignara di ciò che era appena accaduto al suo “raggio di sole”, come lei stessa lo aveva appellato in una delle lettere che gli aveva inviato in quelle prime settimane di assenza. Lettere alle quali George, fino a quel momento, non aveva ancora risposto.
Meg fu distolta dai suoi pensieri da un rumore che, proveniente dal giardino, le fece saltare il cuore in gola.
< Fa’ che sia… > iniziò in un sussurro, ma la voce di Harry, rientrato dal cortile, mandò in frantumi le sue già poche speranze.
< Hermione e Kingsley > annunciò, evitando, Meg pensò di proposito, lo sguardo proprio di quest’ultima, che cercò con tutte le sue forze di mascherare la delusione che minacciava di dipingerlesi in volto. Adesso non le importava di vedere arrivare nessuno se non suo marito, e sebbene si sentisse un po’ egoista, non poteva fare a meno di sperare che il prossimo a varcare quella soglia fosse Fred, sano e salvo e finalmente al sicuro.

Tornò ad occuparsi di George, ancora privo di conoscenza, ma un improvviso trambusto, che questa volta arrivava dalla cucina, la costrinse a svestire nuovamente gli “abiti” provvisori da infermiera che così poco le si addicevano per prestare attenzione a ciò che stava avendo luogo a pochi metri da lei.
< Ti dimostrerò chi sono, Kingsley, solo dopo aver visto mio figlio! Adesso fatti indietro, se ci tieni alla pelle!1 > urlò la voce adirata di Arthur Weasley, che immediatamente si fece largo in salotto, seguito a ruota da Fred, pallido ma fortunatamente illeso. Margaret sentì scoppiarle il cuore, trovandosi molto prossima a piangere per il sollievo.
Non aveva mai provato prima di allora il peso di tutta quell’angoscia addosso: l’angoscia dell’attesa, di non sapere dove siano le persone che ami, della consapevolezza di trovarti nell’assurda condizione di non poter fare assolutamente nulla se non sperare ed avere fede, ma difficilmente e quasi mai questo può bastare.
Senza accorgersene si ritrovò stretta nell’abbraccio di suo marito, un abbraccio che ebbe il potere di sciogliere il nodo che le stringeva la gola e di far dissolvere il peso che le gravava sullo stomaco, ma durò poco: una frazione infinitesimale di secondo, probabilmente, dal momento che, come era giusto che fosse, Fred si approssimò immediatamente al sofà, osservando senza parole e con enorme preoccupazione il gemello. Questi, però, finalmente iniziò a dar segni di vita, aprendo lentamente gli occhi, forse disturbato dal rumore.
“Però, che tempismo…” pensò istintivamente Meg, mentre un mezzo sorriso si andava formando lentamente sulle sue labbra. Un moto di improvvisa felicità le riscaldò le viscere, e quasi non ebbe un mancamento a causa di tutte quelle forti emozioni provate in così poco tempo, tanto che fu costretta ad allontanarsi e a dirigersi in cortile, dove si fermò a respirare per diversi minuti l’aria fresca di quella strana notte d’estate, fino a quando i lamenti di Alexander dalla cucina non la costrinsero a rientrare.

Andò dritta al box e prese in braccio suo figlio per stringerlo forte a sé e cullarlo tra le sue braccia.
< Shh, amore. Papà è tornato > sussurrò al bambino, percependo al tempo stesso una mano familiare scioglierle ed accarezzarle i capelli.
< E non è mai stato così felice di vedervi come questa notte > disse dolcemente Fred, cingendole la vita, al che lei si voltò e poggiò il viso contro il suo petto, lasciandosi stringere.
< Sono state le ore più lunghe della mia vita… Ho pensato al peggio più di una volta > confessò Meg, lottando contro le lacrime che rischiavano di uscire.
< Ho pensato a te continuamente, al litigio di questo pomeriggio, e mi sono sentito così in colpa… Io odio litigare con te, e non perché alla fine riesci sempre ad ottenere la ragione anche quando non ne hai, ma perché mi lascia un grande peso dentro. Continuavo a ripetermi: “e se succedesse qualcosa e l’ultima cosa che abbiamo fatto fosse stata avere una discussione?”. È stato snervante. Penso che dovremmo smetterla di perdere tempo litigando e che dovremmo impiegare quello così recuperato per fare l’amore, non trovi anche tu, Pasticcino? > fece Fred, sorridendo tra i capelli di sua moglie, che sbuffò divertita.
< Ma non ti basta mai, eh? Direi che ne facciamo parecchio anche concedendoci qualche bella e sana discussione ogni tanto, o sbaglio? > puntualizzò Meg, facendolo sorridere ancor più apertamente.
< Che ci vuoi fare, sarò pure diventato papà, ma non dimenticare che ho ancora gli ormoni di un ventenne! >
< E probabilmente continuerai ad averli anche quando sarai un affascinante quarantenne con la pancetta e la barbetta… e lo sai quanto mi piace la barba, fa tanto “bello e dannato”! > commentò lei, iniziando a ridere come non faceva da diversi giorni e coinvolgendo anche lui, che per contro la strinse ancor di più a sé.
< Dovresti stare con tuo fratello, è lui adesso che ha più bisogno di te > riprese Margaret, stavolta seria, sciogliendo l’abbraccio e posando un Alexander ormai addormentato nel box. Fred sollevò un sopracciglio e la osservò con quella che lui stesso aveva denominato “espressione alla Stevens”.
< Non credo che qualcuno che abbia impellente bisogno di me mi dica: “va’ da lei, idiota, o anche tu ti ritroverai ben presto senza un orecchio”. Tu che dici? >
< Dico che entrambi dovremmo stare con lui, adesso > concluse Meg, prendendolo per mano e conducendolo in salotto, dove George li stava aspettando sfoggiando un sorrisino dispettoso.
< Ma guarda un po’ chi c’è! L’adorabile infermierina! > commentò il ragazzo, ghignando, al che la cognata si tinse di viola.
< E tu come fai a saperlo?! > chiese lei, contrariata, osservando l’indice dell’amico indicare la sua maglietta.
< Sei sporca di sangue, proprio lì >. Meg fu dunque costretta a guardare la macchia di sangue stampata sulla sua t-shirt, ricordandosi solo in quel momento di aver lavato le mani ma non il resto, sforzandosi di ricacciare indietro il puntualissimo conato di vomito suscitato dal disgusto per quella visione.
< Taci > si lamentò, sedendosi per terra accanto al divano e continuando, < Questa è la prima ed ultimissima volta che rimango fuori da una missione. Punto primo, perché faccio parte dell’Ordine tanto quanto voi; punto secondo, perché voglio tenervi d’occhio, dal momento che pare abbiate bisogno di una baby-sitter! Non vi ho sotto controllo per poche ore, e che succede? Uno perde un orecchio e l’altro viene quasi dato per disperso! >
< Ci sono altri punti? Due mi sembrano pochi > fece Fred, sedendosi accanto a lei ed iniziando a giocare con una ciocca dei suoi capelli. La ragazza parve pensarci un attimo e poi riprese.
< Sì, ce n’è un altro. So che non c’entra niente, ma puzzate come due capre giapponesi che hanno appena terminato la maratona di New York! >
< La mara-che?! > chiesero all’unisono i due ragazzi, ma lei si limitò a sorridere, così George si sollevò ancor di più e le puntò un dito contro.
< Punto quarto, sei simpatica e comprensiva come un’orticaria nelle parti basse il 31 dicembre. Sai com’è, orticaria a capodanno, orticaria tutto l’anno >.
< Ti voglio bene, George > gli disse lei, stringendogli entrambe le mani.
< Oh, mia piccola, dolce orticaria, ti voglio bene anch’io > rispose George, e poco dopo tutti e tre iniziarono a ridere, lasciando andar via tutta la tensione di quella interminabile giornata.
Risero di cuore per nessuna ragione in particolare, ma semplicemente per il piacere di farlo, fino a quando, però, non furono interrotti dai passi di Arthur e Molly Weasley che entravano in salotto, seguiti da tutti gli altri, sui cui volti si leggevano espressioni che non permettevano fraintendimenti.
< Cos’è successo? > chiese Fred, intuendo che qualcosa non andava.
< Malocchio. Morto1 > rispose gravemente il signor Weasley, e d’un tratto i sorrisi scomparvero dai volti dei tre.
< Non è possibile > sussurrò Meg, perché, in effetti, com’era potuto accadere che Malocchio Moody fosse morto? Era impossibile, inaccettabile che questa fosse la verità, eppure ogni cosa sembrava dare una conferma a quelle parole. Malocchio non era arrivato, non era lì con loro. Ron, Tonks, Bill e Fleur erano tornati, lui no. Dopo Silente, anche Moody li aveva lasciati, e loro si erano ritrovati, di nuovo, maledettamente impreparati a questo.
< A Malocchio1 > brindarono tutti, prima che Lupin e Bill andassero via per cercare il corpo del caduto. Meg si alzò, stanca, e porse la mano a Fred affinché questi potesse imitarla. Si diressero nella vecchia camera dei gemelli, dove sarebbero rimasti per quella notte: sarebbero tornati a casa l’indomani, con più calma.

Fred sistemò Alex nella culla, ma Meg prese piuma e pergamena e si acciambellò sul pavimento, iniziando a scrivere sotto lo sguardo stupito del marito.
< A chi scrivi? > le domandò, curioso, immaginando però la risposta.
< Abbie > disse difatti la giovane, grattandosi il mento con la piuma.
< Non fare troppo tardi, sei distrutta > fece lui con dolcezza, ricevendo in cambio un sorriso.
Margaret continuò a scrivere per una decina di minuti; non appena ebbe finito, imbustò la lettera e scrisse l’indirizzo, poi la poggiò sul davanzale della finestra.
< Domani mattina ricordami di spedirla, Purè di patate > disse Meg tra uno sbadiglio e l’altro, infilandosi a letto e stringendosi a lui. Questi la guardò negli occhi e le stampò un bacio sulle labbra.
< È dopo giornate e dopo notizie come queste che penso… no, lasciamo perdere. Promettimi soltanto che, qualunque cosa accada, non ti dimenticherai mai che ti amo, intesi? >
< Intesi. E lo stesso vale per me, lo sai. Buonanotte amore > sussurrò Meg, baciandolo e subito dopo poggiando la testa e la mano destra su di lui.
< Buonanotte anche a te, dolcezza > rispose Fred, tenendola stretta a sé. Poco dopo, si addormentarono, e per ogni pensiero e problema ci sarebbe stato tempo l’indomani.

 
***

Ottery St. Catchpole, 27.07.1997

Abigail, tesoro mio,
Meraviglioso, splendido fiore, come stai? Come puoi ben intuire, ti scrivo dalla cara collina di Ottery St. Catchpole, ma non dalla casa dei miei genitori: siamo giusto accanto, alla Tana, dove passeremo la notte, o almeno quello che ne resta. Poco cambia, però, dato che ti sarai chiesta perché siamo qui e non nella nostra tranquilla dimora sulla costa del Devonshire.
Purtroppo, non posso darti le spiegazioni che meriteresti, ma in quanto membro dell’Ordine avrai saputo di ciò che andava fatto questa sera. Sono successe tante, troppe cose, e ritengo di dover essere io ad informarti prima che possa farlo qualcun altro (anche se credo che il diretto interessato non ne abbia così tanta voglia). Immagino ti sia seduta, e ti invito a rimanerlo per un po’.
George è rimasto ferito nella missione. Non starò qui a raccontarti i dettagli (avremo modo di parlarne una volta che sarai tornata, spero presto), ma ha perso un orecchio. Sì, sono seria, non ti sto prendendo in giro. Proprio così, un orecchio. Ha perso molto sangue, ed è rimasto privo di conoscenza per diverso tempo, ma fortunatamente si è risvegliato. Credo che domani potremo portarlo con noi a casa, dove mi occuperò io di lui, e quando io e Fred saremo a lavoro ci sarà comunque Willow… povera creatura, sarà in ansia per noi non vedendoci tornare.
Fred sta bene, anche se ho più volte pensato al peggio, ma sai bene che l’ansia può giocare brutti scherzi. Vorrei davvero dirti come mi sono sentita in quegli istanti, ma non ce la faccio. È stata una prova di forza interiore estenuante che preferirei con tutto il cuore non ripetere, ma comprendo bene che siamo ancora soltanto all’inizio di questo terribile incubo.
Ti ho già detto che sono tornata a lavoro una decina di giorni fa… oh Gail, si respira già un’aria così diversa… Non che non me lo aspettassi, ma è stato così scombussolante ritrovarmi catapultata in quella realtà così cambiata ed avvertire quel sentore di imminente panico aleggiare nell’aria.
E tu, piuttosto? Come procedono i corsi?
Comunque, mia cara, per concludere voglio parlare di qualcosa di infinitamente più bello. Ieri pomeriggio i miei genitori sono venuti a trovarci (a trovare il loro amatissimo nipotino, in effetti) e mia madre mi ha raccontato che giusto quella mattina tua madre le aveva accennato che tuo fratello John e Anastasia hanno intenzione di sposarsi il prossimo gennaio! Tu ovviamente lo saprai, ma volevo esprimerti tutta la mia felicità di fronte a questa splendida notizia. È confortante vedere come un po’ d’amore riesca ancora a resistere e a manifestarsi… John e Anastasia, io ho sposato Fred, tu stai con George, tra cinque giorni mio cognato Bill sposerà Fleur, e poi Cassandra e Frank, quei due imbranati… Non so, penso solo che siano cose che alleviano almeno un po’ tutti questi dispiaceri.
Adesso devo proprio andare, è stata una giornata fin troppo lunga ed io sono esausta.
Spero di ricevere presto tue notizie, incrociando le dita affinché tu possa tornare presto.
Ci manchi, Abbie.
Un abbraccio, tesoro. Ti voglio bene, sempre.

Tua Maggie


< Un orecchio?! Ha davvero perso un orecchio?! Per le vesti più consunte di Morgana! > esclamò Abigail, sconvolta, leggendo la lettera che quel pomeriggio era stata portata da Lele, il gufo di sua cugina Margaret. La sua compagna di stanza, Savannah, mezza Veela, più nordica di un vichingo, le puntò gli occhi addosso, curiosa.
< Chi è che ha perso un orecchio? >
< Il mio… chiamiamolo ragazzo > rispose, sgomenta, mentre la nuova amica prese a guardarla con apprensione.
< Sta bene, no? >
< Sì, o almeno così dicono… > fece Abigail, continuando a scorrere la lettera e chiedendosi come diavolo fosse potuto accadere. Percepì lo stomaco chiudersi, ma al medesimo tempo la rassicurava sapere che era in buone mani e che si sarebbero tutti presi cura di lui. Certo era, però, che il desiderio malsano di sapere di più era davvero tanto.
Finì di leggere quelle parole scritte sul pezzo di pergamena che teneva in mano, ed il suo volto si aprì in un involontario sorriso una volta giunta alla parte in cui Meg parlava del matrimonio di John. Quando suo fratello glielo aveva detto, diversi giorni prima, era scoppiata in lacrime per la felicità, ed in cuor suo sperò di essere di ritorno in Inghilterra, di lì a gennaio, per poter partecipare al grande evento non da sola, ma con George al suo fianco.
Le mancava, eccome se le mancava, ne erano testimonianza le lettere che gli aveva scritto, piene di amore e nostalgia, lettere che però non avevano ricevuto alcuna risposta. Margaret le raccontò più di una volta di come lui si chiudesse in camera o sul retro del negozio interi pomeriggi, dopo averle ricevute. E allora perché non le rispondeva? Cercava di non darlo a vedere, ma un po’ questo comportamento la faceva stare male. Lei aveva bisogno di lui, così come lui aveva bisogno di lei, e allora per quale assurda ragione si ostinava a tacere?

Abigail prese la borsa con i libri ed uscì dalla stanza, il morale sotto i piedi. Avrebbe scritto a sua cugina dopo la lezione, o durante, dato che avrebbe faticato parecchio a seguirla: la sua mente era totalmente ed irrimediabilmente altrove.
Le avrebbe raccontato del suo stato d’animo, di come non facesse altro che pensare a lui ed ai suoi occhi azzurri ed al suo profumo, e di come, nonostante ciò, i corsi ed i primi esami fossero andati alla grandissima, cosa di cui andava particolarmente orgogliosa, perché nulla poteva fermarla. Abigail Thompson ce la faceva sempre, a prescindere da ogni cosa. E poi avrebbe detto a Meg della “follia Babbana” che aveva fatto, un tatuaggio sopra il seno, incitata da Savannah, che ne aveva uno sul braccio sinistro; le avrebbe detto che finalmente, dopo tanto tempo, sua madre aveva accettato di rifarsi una vita e che adesso aveva un mezzo fidanzato, un certo William Elfman, anche lui vedovo, che sebbene non potesse proprio reggere il confronto con la buon’anima di Matthew Thompson, non era poi così male, ed era anche simpatico; le avrebbe detto che l’Ordine le aveva affidato un lavoro da svolgere, ma anche che per ragioni di sicurezza non avrebbe potuto svelarle i dettagli adesso, per posta. Avrebbero avuto modo di discuterne faccia a faccia prima di quanto potessero immaginare. Infine, le avrebbe chiesto di salutarle tutti, ed in particolare George, e di dirgli che le mancava, che ogni giorno senza di lui durava un’eternità ed era di una pesantezza infinita, e che gli dedicava ogni singolo traguardo che, una volta raggiunto, la avvicinava temporalmente sempre di più al momento in cui avrebbe potuto fiondarsi di nuovo tra le sue braccia.


1: le battute così segnate sono quelle realmente pronunciate dai personaggi nel libro.

Angolo dell’autrice

Toc Toc. Ehm, certo che sono sempre più imperdonabile, eh. Ma comunque... HI GUYS! Ebbene sì, Jules La Ritardataria (penso che da domani obbligherò tutti i miei amici a chiamarmi così) è qui e prima di Natale (e della terribile sessione invernale) per augurarvi buone feste con un nuovo capitolo. :D
Che dire? Come avrete visto mi sono riallacciata alla storia originale con la questione del trasferimento di Harry alla Tana, questione che naturalmente non poteva essere tralasciata. Avrete capito che da questo momento in poi le cose si complicheranno e lo vedrete ancora meglio nel prossimo capitolo, d’altronde stiamo entrando nel vivo della Guerra e di conseguenza non potrà più esserci quella spensieratezza quasi totale dell’altra storia o dei capitoli precedenti a questo (nonostante, comunque, gli spunti per alleggerire il tutto non possono non esserci, stiamo pur sempre parlando di Fred e George e compagnia bella, sappiamo con chi abbiamo a che fare).
Ho preferito focalizzarmi sui pensieri e sullo stato d’animo di Meg, sulle sue reazioni, e devo dire che stranamente, almeno per una volta, mi sento abbastanza soddisfatta, perché penso sia uscito fuori davvero quello che volevo emergesse da questo personaggio in una situazione del genere. Una Margaret inizialmente angosciata che, in un momento di ritrovata lucidità, si ricorda finalmente della vera se stessa e se ne riappropria. Ma non aggiungo altro su questo punto, lascio a voi ulteriori commenti o riflessioni, che mi interessano sempre tantissimo. :)
Poi, non abbiamo assolutamente perso Abigail, che è sempre presente in un modo o nell’altro e non ha alcuna intenzione di abbandonarci.
Scusate per il nome del gufo di Margaret, l’adorabile Lele, so che per un gufo è terribile ma è saltato fuori dopo una serie di improbabili associazioni che non c’entravano niente (il mio cervello mi gioca brutti scherzi qualche volta) e mi è sembrato il minore dei mali, perché fidatevi che le alternative erano infinitamente peggiori (Platone, tanto per citarne una). Ah, ho anche aumentato le dimensioni del carattere... ci stavo perdendo la vista anch'io D: appena possibile provvederò a sistemare anche i capitoli precedenti!
Stavolta per il titolo del capitolo ho deciso di fare un bel salto (abbastanza lungo) nel passato che mi ha portata dritta sino a Seneca, mentre la canzone in apertura è Gas Panic!, piccolo e sottovalutato capolavoro dei miei amatissimi Oasis.
Prima di procedere con i ringraziamenti, vi dico sin da adesso che non potrò pubblicare un nuovo capitolo prima della metà/fine di febbraio, la sessione d’esami è sempre più vicina e ciò che al momento mi attende non è una bella pagina da scrivere ma una spietatissima full immersion nei miei libri/mattoni universitari. :D Ma appena mi libero e prima che inizi il nuovo semestre mi metto sotto e cerco di portare avanti questa storia il più possibile, promesso!   

Bene, adesso posso ringraziare:


Angel_Mary, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares, Perla_Bartolini, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, KariWhite, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, xleez_, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Perla_Bartolini , che l’hanno inserita tra le ricordate;

Angel_Mary e Meissa Antares, che hanno recensito il capitolo precedente.

Che altro dovrei dire? Forse ho già detto troppo, come sempre, ma davvero non so come ringraziarvi. Questa storia (insieme alla prima) va avanti ormai da non so quanto tempo, forse due anni e mezzo, e sapere che da qualche altra parte, chissà dove, qualcuno legge e apprezza e continua a seguirti è davvero qualcosa di bellissimo che ti fa venir voglia di proseguire e scrivere ancora (il problema è che, ahimè, spesso manca il tempo). Non so da quale mostro presente dentro di me venga fuori tutto questo sentimentalismo, ma grazie nuovamente di cuore a tutti.
Come sempre, attendo ansiosamente e con curiosità un vostro parere, sapete che accetto sempre qualsiasi giudizio positivo o negativo che sia e prendo in esame tutti, ma proprio tutti i consigli che ricevo, perché tutto ciò che aiuta a migliorarsi è sempre utile.
Nel frattempo vi faccio i miei migliori auguri di buon Natale e buon anno nuovo, che possa essere migliore per tutti (anche perché, per quanto mi riguarda, ad eccezione di un meraviglioso mese di settembre, questo 2014 può essere riassunto in tre semplicissime parole: mai ‘na gioia).

Love you all, guys. Vi abbraccio forte forte forte!
Jules
   
 
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