Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Red Wind    19/12/2014    2 recensioni
Storia vincitrice del "Premio Aturiel" al contest "Bad Obsession"
"-È tardi, lei non dovrebbe andare a casa?- chiese Madaly.
-Forse ha ragione- rispose apatico House, senza muoversi di un millimetro.
-No, resti ancora un po'. La noia fa passare il tempo troppo lentamente-
-Prima mi ricorda che devo andarmene, poi mi chiede di restare. Si decida. Così non so come contraddirla-
-Non glielo stavo ricordando perché lo facesse, una persona che ha un motivo per andare a casa non se ne dimentica. Non c'è nessuno che l'aspetti?-
House sorresse quello sguardo per un attimo.
-Nessuno è venuto a trovarla- ribatté."
Questa fanfiction è immaginata come un episodio di House facente parte della terza stagione, buona lettura! ^^
Storia partecipante ai contest "Bad obsession" di Aturiel e "Il giorno che ha cambiato la mia vita" di Fabi_Fabi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Cameron, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
Capitoli:
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Stepping out of the shell,
now don't you step in my way
Build another wall and
watch it crumble by your side
Coming home – Firelight

 

 

-House, la tua paziente ha avuto delle complicazioni!-
La mente di House si fece subito più attenta.
-Cosa è successo?-
-Non ne ho idea, me l'hanno appena riferito. Se vuoi chiamare i tuoi assistenti fallo da solo, io sono già troppo impegnata!-
La chiamata fu bruscamente interrotta. La Cuddy era già in ospedale? O era ancora lì? House non perse altro tempo a rimuginare, decidendo, spinto dalla curiosità, di andare immediatamente a lavoro.
Sfrecciò sulla sua moto per le strade assolutamente deserte, senza neanche il tempo per ammirare il cielo ancora scuro, ma ben diverso da quello notturno.
Nonostante l'ora l'ospedale era più che affollato. Era davvero strana l'atmosfera che vi si respirava: la gente parlava sottovoce, alcuni dormivano sulle sedie in sala d'aspetto in attesa del loro turno in ambulatorio. House tirò dritto fino all'ascensore, senza prestare attenzione agli sguardi delusi di coloro che credevano fosse venuto a visitarli. Quando giunse nella camera della paziente la trovò con un'infermiera, per fortuna non la stessa che le aveva portato il pranzo il giorno precedente. La mandò via senza troppe smancerie, ordinandole di chiamare i suoi assistenti. Madaly si muoveva in preda al dolore, gli occhi chiusi e un'espressione sofferente. House la scosse, nella speranza che tornasse presente a sé stessa.
-Cosa ti senti?-
-Mi fa male la pancia e...- la donna si interruppe, restando bloccata a bocca aperta.
House fece appena in tempo a scostarsi di qualche passo prima che la paziente vomitasse nel punto in cui si trovava qualche secondo prima.
-Ehi, fai attenzione, mi hai quasi sporcato le scarpe!- disse seccato.
Quando la paziente si fu ripresa, provò a continuare.
-Ho tanto sonno- disse, sdraiandosi.
House la scrollò.
-Sveglia! Che altro hai?-
La paziente lo fissò terrorizzata, fissando qualcosa di diverso alle spalle del medico.
-Via! Se ne vada! Mi lasci in pace!- urlò.
In quel momento arrivò Foreman, che si trovava già in ospedale per il turno in ambulatorio.
-House, che hai fatto?- lo apostrofò, sospettoso, o meglio certo, che avesse fatto qualcosa contro la volontà della poveretta.
-Assolutamente niente! Credo che sia alterazione mentale-
-Me ne occupo io!- decretò facendo allontanare House per fare calmare la paziente.
Il caporeparto zoppicò fino al proprio ufficio per segnare sulla sua lavagna i nuovi sintomi. C'erano migliaia di diagnosi che avrebbe potuto dare, eppure sentiva che qualcosa gli stava sfuggendo. Restò a rimuginare, facendo mulinare il bastone con la mano destra.
Poco dopo nella stanza entrarono gli altri componenti del reparto di diagnostica e si accomodarono, in attesa che House desse qualche istruzione.
-Allora?- chiese Chase dopo un po'.
-Per il momento le ho dato un antidolorifico e un antiemetico. Ha anche la diarrea adesso- informò Foreman -Di cosa può trattarsi?-
House si voltò improvvisamente, come se si fosse accorto solo in quel momento della loro presenza.
-Ci sono un sacco di possibili cause, a partire da una forte influenza-
Cameron stava per controbattere, incredula che una paziente potesse stare così male per una malattia così comune, ma Foreman la interruppe.
-Non sarebbe la prima volta che qualcuno presenta sintomi aggravati per una malattia banale-
-Questo non significa che non possa trattarsi di qualcosa di decisamente più serio- ribatte House.
-Ehi, sei tu che hai appena detto...-
-Ho detto che può essere anche un'influenza, non che lo è sicuramente. Dobbiamo restringere il campo. Cameron, vai a fare l'anamnesi-
-Credevo che l'avessi fatta tu ieri!-
-Io te l'avevo detto che credere porta grandi delusioni- disse sarcastico.
La giovane dottoressa uscì in corridoio rassegnata, ma ritornò dopo qualche minuto.
-Vuole che sia tu a curarla e ad occuparti dell'anamnesi- disse Cameron ad House, a dir poco scioccata.
Eric e Robert apparvero altrettanto stupiti, mentre House si avviò senza dire una parola.
-Chi è quella donna per voler raccontare la sua vita ad House?- chiese Foreman.
-Non ne ho idea, ma posso assicurarti che era piuttosto convinta- rispose l'immunologa.
-Chissà cosa le ha detto ieri pomeriggio- si chiese Chase.


House entrò deciso nella stanza immacolata della paziente.
-Perché ha voluto me?- chiese determinato.
-Certo ieri...-
House la interruppe.
-Perché ha voluto che fossi io ad occuparmi dell'anamnesi?- chiese di nuovo scandendo le parole.
-Perché se per curarmi è necessario sapere tutto di me preferisco che sia solo un medico a conoscere tutta la mia vita- disse evidentemente scocciata da quell'atteggiamento e ancora infastidita per il giorno precedente.
-Non fa una piega, ma sappia che c'è un motivo se avevo mandato Cameron-
-Non fatico a crederci-
-E poi non crederà davvero che io non metta al corrente i miei assistenti dei dati riguardanti il caso-
-Spero ometterà quelli superflui-
-Leggeranno tutta la cartella, probabilmente-
La donna resse lo sguardo del medico, indecisa se fidarsi o meno, poi sospirò.
-Non importa: se vale a salvarmi la vita questo ed altro-
House prese l'apposito modulo e fece alla paziente tutte le domande presenti, Madaly rispose in modo piuttosto esaustivo nonostante apparisse stanca e poco lucida, come si poteva capire dal fatto che restò sdraiata, con gli occhi a tratti chiusi, per tutto il tempo.
-È mai stata all'estero?-
-Sì-
-Quando l'ultima volta?-
-Un paio di anni fa-
-Dove?-
-Europa-
-Qual è il luogo più a sud nel quale si sia mai recata?-
-Sono stata sia in Africa che in Sud America, in gioventù-
-Si è ammalata-
-No-
-Quand'è stata l'ultima volta che ha fatto sesso?-
-Una decina di giorni fa-
Era evidente che Madaly facesse sempre più fatica a concentrarsi, nonostante la buona volontà.
-Quando di preciso?-
-Era Sabato, quindi esattamente 9 giorni fa-
-Con chi?-
-Un tizio conosciuto al bar
-L'ha richiamata?-
-Questo non serve per l'anamnesi- disse la paziente, nonostante tutto abbozzando un sorriso.
-Lo so, era per vedere quanto è lucida-
-Comunque no- disse, sforzandosi di aprire gli occhi per guardare House in faccia.
-Va bene, abbiamo finito- disse House, alzandosi.
-Cosa può essere?-
-Troppe cose- concluse uscendo.
Tornò nell'ufficio, dove gli altri lo stavano aspettando. Lo fissarono tutti come alla ricerca di qualcosa improvvisamente cambiato in lui, la spiegazione al perché avesse deciso avere un contatto con una paziente.
House li ignorò bellamente, per niente voglioso di dare una spiegazione. Lanciò il plico di moduli contenenti le domande fatte alla professoressa Hirely a Cameron, facendolo scivolare sul tavolo.
-Datele antibiotici a largo spettro e anche clorochina e chinina-
Foreman e Chase si scambiarono un'occhiata mentre Cameron era intenta a sfogliare il fascicolo.
-Pensi si tratti di malaria?- chiese Eric.
-No, penso che tra le malattie più probabili ci siano infezioni e malaria-
-Ma qui dice che non è stata recentemente all'estero- intervenne Allison.
-Non sono affatto rari i casi di contagio anche negli USA e i sintomi corrispondono perfettamente-
-Ci sono parecchie controindicazioni- fece notare Foreman, serio -Se si trattasse solo di una banale infezione batterica potremmo causarle complicazioni inutili-
Cameron e Chase fissarono House, come a dare manforte al neurologo. Il caporeparto rifletté un po', ma infine cedette.
-E va bene, cominciate con gli antibiotici a largo spettro, se entro 24 ore non ci saranno miglioramenti aggiungeremo clorochina e chinina- decretò.
-Possiamo fare un prelievo per sapere se ha la malaria nel frattempo- disse Cameron, pur sapendo che House non poteva aver tralasciato un particolare del genere senza un motivo.
-Certo, immagino che tra tre giorni ci servirà a molto sapere se ce l'avesse o no! Non hai visto come sono occupati i laboratori?-
Gli assistenti si convinsero e andarono ad eseguire gli ordini di House senza aggiungere altro.


Gregory stava riflettendo, fissando la sua lavagna, quando nel suo ufficio irruppe la Cuddy.
-Le stanze dell'ospedale sono tutte occupate, ci serve momentaneamente il tuo ufficio- decretò, mentre teneva la porta aperta affinché gli infermieri potessero entrare con un letto, sul quale giaceva un uomo di mezza età in preda ad un attacco di tosse.
-Non puoi fare questo! Ho bisogno del mio ufficio per lavorare!-
-Tu hai solo bisogno di un posto dove pensare, quest'uomo ha bisogno di una stanza dove dormire. Vai in bagno, alcuni lo chiamano pensatoio- soggiunse, uscendo.
House la raggiunse.
-Cuddy! Io sto cercando di salvare la vita di una paziente e tu mi togli l'ufficio?- urlò.
-Io sto cercando di salvare la vita di centinaia di pazienti e tu non mi vuoi dare una stanza?- ribatte a tono.
-I tuoi pazienti non rischiano di morire-
-Di quello che ti pare, ma questa volta non l'avrai vinta!- concluse la Cuddy salendo le scale, in modo che House non la potesse seguire.
Il caporeparto la guardò andare via imprecando sottovoce, poi tornò nel suo ex ufficio, si infilò in tasca la pallina da tennis, si trascinò dietro la lavagna e raggiunse la camera della paziente, il luogo più tranquillo che gli fosse venuto in mente e anche ampio abbastanza per consultarsi con i suoi assistenti. La paziente si destò all'istante sentendo il fracasso della lavagna che strisciava sul pavimento.
-Mi hanno requisito l'ufficio, quindi per il momento questo sarà il nostro quartier generale. Se hai qualcosa da ridire vai pure dalla Cuddy- disse brusco, tornando a piazzarsi davanti alla lavagna.
La donna lo guardò curiosa, aspettandosi qualcosa di più di un uomo immobile. Dopo un po' House tirò fuori il Vicodin e ne prese una pillola.
-Crede che potrei averlo anch'io?- chiese Madaly indicando il farmaco nella mano del medico.
House ci pensò su un attimo, poi si avvicinò e porse anche a lei una pastiglia.
-Grazie. Sa una cosa? Voglio sapere quanto è debole-
-Cosa?- chiese House, chiedendosi cosa le stesse passando per la testa.
-La debolezza delle persone sta nel modo in cui reagiscono al dolore. Lei ha reagito male, ma non so a cosa, non so fino a che punto la si possa giustificare-
-Io non chiedo nessuna giustificazione e mi sembra di averle già detto che non ho intenzione di raccontarle la mia vita privata-
-Lei è ossessionato dal suo lavoro, non è vero? Dicono che sia un genio e ho visto il modo in cui studiava la lavagna con i sintomi, prima. Non è un semplice lavoro, è la sua vita. Ecco perché non ha fretta di tornare a casa. Lei desidera scoprire cos'ho, sopra ogni altra cosa. È questo che vuole, no? Beh, se lei non mi dice perché è diventato così io le impedirò di curarmi- sparò tutto di un fiato la donna.
House la fissò, cercando di leggere i suoi pensieri.
-Non lo farebbe mai. Non metterebbe a repentaglio la sua vita per una sciocchezza simile, non lei- rispose.
-Ha ragione, non lo farei, ma niente mi impedisce di farmi trasferire in un altro ospedale-
-Non troverebbe un medico bravo quanto me-
-Sicuramente uno più modesto. La sua bravura potrebbe non servirmi affatto. Quante possibilità ci sono che si tratti di una malattia rara o difficile da diagnosticare? Per ora potrebbe trattarsi anche solo di un'influenza e il mondo è pieno di bravi medici in grado di curare il 99% delle malattie, lei mi servirebbe solo nell'1% dei casi-
-È disposta a correre questo rischio?-
-Assolutamente. Lei trova qualcosa di interessante nel mio caso, anche se non so cosa. Forse semplicemente si annoia e preferisce curare me che le centinaia di malati di influenza, ma sono certa che da quando ha accettato questo caso farà di tutto per portarlo a termine-
-Ha idea di quanti malati ho curato contro la loro volontà?-
-Non fatico a immaginarlo, ma io non sono ancora così grave, non le sarà affatto facile. Non farebbe prima a dirmi quello che voglio?-
-Non so quale sia la sua colpa, ma sono certo che non può permettersi di giudicarmi-
-Non intendo farlo, voglio solo sapere quanto è debole, la debolezza non è una colpa- disse, poi aggiunse -E lei non ha paura dei giudizi altrui, ma solo di essere troppo esposto-
House si sedette.
-Neanche lei mi ha detto tutta la verità. Nessuno lo fa-
-Si sbaglia- rispose semplicemente.
Seguì un lungo silenzio, in cui House fissò il vuoto davanti a sé, mentre Madaly scrutò il medico.
-Io odio perdere, cambi tattica se vuole saperlo davvero- decretò Gregory, testardo come sempre.
-Ritiro la mia offerta, resterò in questo ospedale, ma parlare non ha mai fatto male a nessuno. Se sarà fortunato, poi, l'unica testimone del fatto che lei sia un essere umano morirà tra breve- concluse, sorridendo.
-No. Non è affatto brava a convincere la gente. È stato divertente sentire le sue proposte, quello che era disposta a offrire, ma non ho mai pensato di dirle qualcosa su di me- disse alla fine, rivelando il bluff -E ora, se non vuole morire davvero, mi lasci lavorare- concluse tornando alla sua lavagna.
Madaly strinse i pugni, infuriata per essere stata presa in giro ancora una volta, poi, dando le spalle ad House, tornò a dormire.


Il giorno seguente i medici constatarono che gli antibiotici non avevano dato alcun miglioramento, nel frattempo l'emergenza influenzale era stata smaltita, l'ospedale era tornato pressoché alla normalità e House aveva riavuto il suo ufficio. Sotto insistenza degli assistenti aspettarono ancora a somministrare la cura per la malaria, finché, quel pomeriggio, i laboratori non accettarono di fare l'analisi del sangue, ora che avevano finalmente smaltito i precedenti compiti. House mandò Chase e Foreman a perquisire la casa della paziente, mentre Cameron ebbe il compito di fare l'esame del sangue alla paziente. La donna continuava a peggiorare: gli occhi scavati, il viso pallido e il dimagrimento rapido non lasciavano dubbi. Madaly stava dormendo quando la dottoressa entrò e non si accorse di nulla. Allison la scrollò piano per farla svegliare, ma nonostante questo ci volle un po' perché tornasse presente a sé stessa.
-È lei...- disse quando la riconobbe.
-Finalmente è finita l'emergenza per l'influenza, i laboratori sono di nuovo operativi: possiamo farle le analisi- disse Cameron, che si trovava all'altra sponda del letto.
La donna sospirò, sollevata, ma anche stanca, mentre l'immunologa preparava la siringa. Quando ebbe prelevato il sangue raccomandò alla paziente di tenere il cotone premuto sul braccio per qualche minuto, poi uscì per portare subito la provetta al laboratorio.


Passò qualche minuto prima che il cerca-persone di House suonasse. Quando raggiunse la stanza della paziente la trovò piuttosto preoccupata.
-Che c'è?- chiese fermandosi sulla soglia.
Madaly in tutta risposta spostò il cotone dalla piccola lesione al braccio, permettendogli di vedere il sangue che continuava a fuoriuscire.
-Da quanto è così?-
-Almeno dieci minuti-
Il diagnosta non perse altro tempo e uscì dalla stanza alla massima velocità consentitagli dalla sua gamba. Passando davanti all'infermiera, le ordinò di occuparsi della paziente, stando attenta al contagio.
-Che cosa significa?- domando la paziente atterrita, senza ottenere risposta.
House raggiunse Cameron proprio quando questi stava per aprire la provetta ed analizzarne il contenuto al microscopio. Le prese un polso.
-L'emorragia non si arresta-
Allison corrugò la fronte, rimanendo a bocca aperta.
-Ebola- disse incredula.
House annuì, prendendole la provetta.
-Che fai? C'è grave pericolo di contagio!- lo mise in guardia Cameron.
-Dobbiamo fare il test E.L.I.S.A. al più presto-
-Siamo stati a contatto con il virus, dobbiamo prima di tutto farci trattare. Se non tieni alla tua vita fai pure, ma non ti permetterò di mettere a rischio quella di tutti i pazienti e i medici dell'ospedale-
-Di che stai parlando? Io non farei mai una cosa così irresponsabile- disse House enfatizzando, poi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Nel corridoio incontrarono gli altri due assistenti, che stavano per andare a casa della paziente, e, quando questi stavano per avvicinarsi, Cameron li bloccò.
-Non avvicinatevi! La paziente potrebbe avere l'ebola- disse la donna.
-Siete stati contagiati?- chiese scioccato Chase.-Stiamo andando a fare la profilassi. Mettetevi i guanti e portate questa al laboratorio per il test E.L.I.S.A.- ordinò House porgendo la provetta a Robert.
Il medico si attrezzò e obbedì.
-Tu vai a controllare la paziente- aggiunse poi, rivolto a Foreman.


Prese tutte le precauzioni contro il contagio, House e Cameron tornarono nella stanza della paziente, questa volta ben attrezzati di guanti, mascherina e camici appositi. Madaly dormiva e Foreman controllava i monitor, senza trovare nulla di preoccupante.
House si avvicinò subito alla donna e la svegliò.
-Quando hai fatto sesso hai usato il preservativo?- le chiese, senza troppi preamboli.
Madaly si mise seduta prima di rispondere.
-Si, non è mia abitudine fare sesso non protetto con gli sconosciuti, anche se non posso rimanere incinta ci sono altri rischi-
-Tipo contrarre l'ebola- ribatte House.
Madaly rimase scioccata, senza riuscire ad articolare parola per qualche secondo.
-Crede che si tratti di ebola?-
-Stiamo aspettando i risultati, ma non ho dubbi-
La donna sospirò.
-Non sono affatto certa che non ci siano stati “intoppi”- ammise.
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto dopo poco da un gemito della paziente. Un conato di vomito la scosse e un attimo dopo le lenzuola e il pavimento erano cosparsi di sangue.
-Datele i fattori coagulanti prima che muoia dissanguata- decretò House, uscendo.


L'espressione serissima di House quando lesse il risultato del test E.L.I.S.A. avrebbe fatto preoccupare chiunque lo avesse visto. Da solo nel suo ufficio, aveva aperto quella busta solo per una conferma rimanendo invece totalmente spiazzato. Il test, o per maglio dire i test, visto che ne avevano fatti diversi per aver maggior affidabilità, erano tutti negativi. Niente ebola. Chiamò il suo team e mostrò loro il risultato.
-Si saranno sbagliati, quella è senz'altro febbre emorragica da Ebola- decretò Chase.
-Non possono aver sbagliato tutti i test- ribatté Foreman.
-Deve esserci qualcos'altro, c'è qualcosa che non quadra- aggiunse soprappensiero House, fissando la lavagna su cui erano elencati i sintomi.

cefalea
mialgia
tosse
febbre
diarrea
vomito
letargia
alterazioni mentali
emorragie


Non trovarono assolutamente niente che potesse accomunare tutti quei sintomi a parte l'Ebola. Ripeterono il test e gli assistenti, stanchi e assonnati, tornarono a casa, mentre House resto davanti alla lavagna a giocherellare con la sua pallina da tennis, in attesa dei risultati. Dopo qualche ora scoprì che erano di nuovo negativi.
Impossibile. Era dannatamente impossibile. Sentiva chiaramente la mancanza di un pezzo del puzzle, la scintilla per innescare l'incendio. Il punto di partenza che i meccanismi della sua mente avrebbero trasformato nella soluzione.
Aveva rianalizzato mentalmente tutti i precedenti passaggi, i sintomi, le tempistiche. Aveva rivalutato tutto daccapo come se si fosse trattato di un nuovo caso. Ogni possibilità era stata vagliata dalla sua mente che lavorava febbrilmente nel cuore della notte, alla luce fredda di quella stanza. Non era possibile che si stesse sbagliando, nel suo ragionamento non c'erano errori, come sempre. Era qualcos'altro, qualcosa che non gli permetteva di trovare la soluzione, di raggiungere il suo obbiettivo.
Quella era senz'altro la cosa che gli dava più soddisfazione al mondo. La sensazione a cui non avrebbe mai rinunciato. La sua ossessione, la sua vita. L'unica cosa che avesse, l'unica che gli fosse rimasta. Non riusciva neanche a sfiorare la vittoria, quella volta.
Prese a camminare avanti e indietro nell'ufficio, nonostante non fosse particolarmente comodo con la sua gamba. Che diavolo gli stava prendendo? Perché non trovava il capo di quel groviglio? Il punto debole che stava alla base di tutti i suoi casi non c'era. Tutti mentono. Madaly mentiva su qualcosa, era quella la soluzione? Una persona così razionale avrebbe rischiato la sua vita per evitare di raccontargli qualcosa?
Pessima idea pensare alla donna in quel momento, si rese conto. Si ricordò che stava morendo. Si sentì oppresso da un invisibile premura, un'ansia dalla quale era sempre stato immune. Perché proprio in quel momento, nel quale aveva bisogno di tutta la sua lucidità?
Prese doppia razione di Vicodin, sicuro che avrebbe migliorato la situazione. Si fermò davanti alla lavagna, rilesse per l'ennesima volta i sintomi. Niente. Non significavano niente. La frustrazione di quell'insensato insuccesso lo colse all'improvviso, tramutandosi in rabbia. Un rumoroso colpo del suo bastone fece ribaltare l'odiosa lavagna. Gregory strinse i pugni, cercando di cacciare quella rabbia, come al solito faceva con il dolore. Era ancora più difficile, però. La rabbia aveva un'orribile fretta di uscire, di distruggerlo. Il dolore era calmo, lo uccideva lentamente.
Ancora, gli si parò davanti, nella sua mente, la visione del risultato, dell'obbiettivo. Quell'ospedale era ormai la cosa più vicina ad una casa che gli fosse rimasta, proprio perché era l'unico posto dove non fosse solo un cinico misantropo drogato. Al Plainsboro era una grande medico cinico, misantropo e drogato. Insomma, non c'era paragone. Lì c'erano tutti coloro che lo conoscevano oltre la fama che si era creato a protezione. E soprattutto, quello era l'unico posto dove potesse toccarla: la vittoria. Assaporare la consapevolezza della propria bravura, del proprio talento. Non aveva prezzo, potevano anche chiamarlo narcisista, ma non vi avrebbe mai rinunciato. Riuscire dove nessuno riusciva e, per di più, salvare delle vite. Aveva bisogno di almeno quel successo nella sua vita. Dannazione, in fondo non chiedeva molto: risoluzione di casi e Vicodin.
Gli balenò davanti agli occhi l'immagine di Madaly, di nuovo. Se doveva riflettere sulla paziente tanto vale farlo con un motivo, pensò, e decise di andare da Madaly per darle quella notizia.
La donna come sempre dormiva e dovette svegliarla.
-Non hai l'ebola- sparò a bruciapelo.
Madaly rimase di nuovo sorpresa.
-Cos'è allora?-
-Non ne ho idea-
-Ah-
House si sedette sulla sedia di fianco al letto, appoggiò le mani al bastone e la fronte su quelle.
-Mi sfugge qualcosa. Non esiste una malattia con tutti questi sintomi, ma se ne tolgo uno a caso ci sono troppe possibilità-
-È abituato a vincere sempre, immagino-
House alzò lo sguardo sulla donna.
-Perdo le battaglie, ma ho sempre vinto la guerra. Non ti illudere, non riesco sempre a curare i miei pazienti in tempo, ma almeno scopro cos'hanno prima che muoiano, quasi sempre-
-La tua ossessione è risolvere il mistero-
-Già. Risolverò anche il tuo- concluse allontanandosi.
Non si sarebbe arreso, non ancora perlomeno. Non esiste una malattia che vada contro la logica.
Stava già ricominciando a ragionare febbrilmente, quando, sulla porta, udì Madaly tossire.
Tosse grassa.
Si bloccò, lo sguardo perso nel vuoto.
Si voltò un attimo verso la donna, che lo guardò stranita, e poi quasi corse di nuovo nel suo ufficio.
Madaly ricominciò a sperare.
House frugò sulla sua disordinata scrivania, buttando a terra tutti i fogli che non gli servivano. L'ebola dava tosse secca, non grassa. Infine la trovò: una busta intonsa, mandata dall'ospedale. Conteneva i risultati del tampone che aveva fatto giorni prima a Madaly e del quale in seguito si era completamente dimenticato, visti i nuovi sintomi. Era positivo. Aveva un banale mal di gola. La tosse non c'entrava, era da escludere. Rimise in piedi la lavagna e tirò una riga sul sintomo fasullo. Ogni cosa assunse un significato, i pezzi si incastrarono senza difficoltà, facendo provare ad House di nuovo quell'ebrezza del successo che tanto gli era mancata. Fu come una dose di Vicodin dopo una lunga astinenza. Durò davvero poco quella volta, però. Quando capì di cosa si trattasse tornò allo stato d'animo d'impotenza in cui vegetava poco prima: febbre emorragica di Murburg. Un sinonimo di morte, uno dei tanti.

 

   
 
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