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Autore: indiceindaco    19/12/2014    5 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
Capitoli:
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XXIX. Farewell
 
“Il tuo nome ignoro. Il tuo profilo non ricordo.
Le tue parole dimenticai.
Era mattina, nebbia, era Dicembre,
Quando ti trovai e ti persi.
Sogno o rammento?
 
Non so. Era mattina e la nebbia
Nascondeva quello che c'era e quello che pensavo
Come un falso estremo rifugio
In nessuna parte del quale io stavo.
Sogno, prolisso e intero,
 
Ma, se tra i tasti la tua mano vagasse,
Così, spogliata dell'esser tua, io so
Che forse potrei trovare
Tra quello che non ho potuto incontrare
Quello che non troverò.”
 
Fernando Pessoa
 
 
Un paio di gocce sfuggivano al palmo chiuso attorno ad una lama d’argento, imbrattando lievemente con quel colore feroce, l’oggetto casualmente adagiato sul pavimento, o così poteva sembrare.
Non seppe dire cosa innescò il processo, ma qualcosa gli fece intuire che doveva essere il contatto tra il proprio sangue e quell’oggettino minuto ai suoi pedi: improvvisamente, una musica sommessa, si sprigionò nella stanza, come il profumo di un tempo ormai dimenticato. Alzò lo sguardo, interrogativo, verso la presenza rassicurante al suo fianco. L’altro si limitò a poggiare una mano sulla sua spalla ed alzare il mento, in direzione dello specchio.
C’era un pianoforte, delle mani bambine, ossute e candide, che stridevano col nero delle alterazioni dei tasti, che sembravano invisibili sui tasti pallidi. Lì tra un si bemolle ed un do diesis, il movimento di quelle piccole dita tenaci si disperdeva, divenendo appendice stessa delle corde del piano che venivano pizzicate, tormentate, in quel momento, mentre raccontavano una storia di cui non si poteva indovinare una fine. La musica si faceva più distinguibile, una melodia placida, lenta, docile, aveva il retrogusto di braccia materne che cullano dopo un incubo nella notte, eppure l’odore della solitudine, il rumore del silenzio. Sullo specchio, le mani di un bambino, su quei tasti, a suonare qualcosa di così intenso, così adulto: la colonna sonora dell’assenza. Agli angoli degli suoi stessi occhi, non sapeva dirsi come potesse essere successo, si abbandonarono rivoli salati. Era la più bella e straziante melodia avesse mai sentito, e trovava ingiusto che tutto quel dolore potesse essere trasposto su un pentagramma, e che quell’insieme di note potesse essere letto ed eseguito da un bambino. Era ingiusto non riuscire a cogliere lo sguardo del piccolo pianista, riuscire almeno ad indovinare la sua concentrazione nella perfetta esecuzione, poter almeno sperare non stesse a sua volta piangendo. Non poteva vederlo, ma sapeva che quel bambino sarebbe diventato l’uomo che amava, sembrava riuscirne a riconoscere le manine, giovani e decise su quei tasti. Un uomo ruvido, scontroso, figlio del niente, colmo di concavità e convessità taglienti, svezzato dal seno materno per essere nutrito da una vendetta che bruciava sotto la pelle, un uomo con un obiettivo che faceva rabbrividire. Eppure Draco, finalmente, lo vedeva per ciò che era stato: un bambino abbandonato, al quale era stata rinnegata la possibilità di un’infanzia felice, di una qualsiasi infanzia. Sapeva che in quel ragazzo era seppellita quell’armonia di suoni, proprio quella che era udibile adesso, quella che era diventata il suo regalo, una parte che lui non aveva osato mostrare a nessuno. Lasciò scivolare le lacrime, poi si voltò e strinse quel ragazzo a sé, prima che diventasse definitivamente uomo, che abbandonasse il sogno di quella melodia, prima che il ricordo svanisse, racchiuso di nuovo nel suo regalo.
Quando poi la melodia sfumò, e l’aria si fece statica di silenzio, Draco frugò nei suoi occhi, e non poté far a meno di ammutolire la sua richiesta:
-Vorrei la suonassi ancora, adesso.
Theodore si scostò bruscamente, guardandolo senza vederlo, lo sguardo oltre la sua spalla, alla sua immagine riflessa, alla superficie che poco prima aveva spolverato la sua infanzia.
- Non posso. Non suono da allora. Non suonerò più.
 
***
 
“Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla [...] L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. [...] L'importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa!”
 
Fëdor Dostoevskij
 
 
Perché quel ricordo lo inchiodasse lì, in quel momento, Draco non cercò neanche di chiederselo. Guardò la lama del coltello d’argento, che gli restituì il riflesso del suo sguardo, nel quale riuscì ad indovinare un’ombra, lacerata e ridotta a brandelli, un’ombra impossibile da non riconoscere, almeno per lui. Era l’ombra di qualcosa che era stato, che aveva ardentemente cercato di odiare, che portava con sé la sfumatura di ciò che poteva essere, se solo le cose fossero andate diversamente. Una volta, Theodore gli aveva detto che in un'altra vita, probabilmente ci sarebbe stato posto per tutto quello. Ma loro avevano avuto solo quella, e niente avrebbe potuto cambiarlo. Il ricordo di Theodore, conficcato lì da qualche parte, riusciva ancora a torturarlo. Quello che era stato, l’abbozzo di qualcosa di umano, Draco lo aveva scorto pienamente, non poteva essersi ingannato, se lo era ripetuto mille volte. Eppure, guardandolo negli occhi, spesso aveva finito per dirsi che doveva essersi immaginato tutto, che nel corpo di Theodore non c’era posto per nient’altro, null’altro che il sangue versato da vendicare, il sangue di quell’Auror da versare, per poter ripagare tutto ciò che gli era stato rubato. Draco aveva sperato con tutto se stesso, aveva pregato e si era illuso, che potesse finire lì, che una volta vendicata la morte dei propri genitori Theodore sarebbe ritornato quello di sempre. Non lo avrebbe ammesso mai, ma dopo aver ricevuto in dono quello scorcio dell’infanzia di Theo, Draco aveva persino immaginato che, una volta evaporato quell’odio, una volta stroncata la vita dell’assassino della sua esistenza, le mani di quel bambino ormai uomo potessero ancora una volta sfiorare i tasti di un pianoforte ormai contaminato dalla polvere dell'abbandono.
-Malfoy, guarda che possiamo lasciar perdere, sul serio. Non devi…
Come riscosso dal suono di quella voce, Draco alzò lo sguardo, e si ritrovò negli occhi di Potter. Era come se per tutto quel tempo si fosse sentito smarrito, di nuovo e da sempre smarrito, nient’altro che un cieco vagabondo, su una strada che non sapeva neppure di star percorrendo. Ed adesso, improvvisamente vedeva, fin dove lo sguardo riusciva ad arrivare, ma anche oltre, alle spalle dell’orizzonte. Ed era tramite gli occhi di Potter. Non aveva ben chiaro da dove venisse quella consapevolezza, ma sapeva di essersi ritrovato lungo lo sguardo sincero di quel ragazzo, dietro a quelle lenti, e non c’erano ombre dilaniate, ma solo battiti pulsanti nel petto, a ribadirgli la strada da seguire. Non aveva bisogno di alcuna mappa, si rese conto, quella strada poteva arrivare in un unico posto. E quel posto era sulle labbra di Potter, adesso dalla piega preoccupata.
Draco sorrise brevemente, padrone di quell’istante, come non lo era stato di nulla prima d’ora, e impugnò saldamente il coltello, aprì il palmo destro e vi appoggiò la lama fredda, imprimendola con una lieve pressione della mano sinistra. Si ferì, non per farsi del male questa volta, lui che tante volte aveva fatto a pugni con se stesso, lui che si era lasciato sanguinare graffiandosi con i vetri taglienti di sentimenti infranti, si ferì e lo fece cercandosi negli occhi di Potter, ancora una volta, senza esitazioni, perché era giusto.
Un paio di gocce di sangue sfuggivano al bordo della lama, adesso nascosta nel suo palmo chiuso, come una pioggia stanca, Draco lasciò che scivolassero sulla copertina di quel libro senza titolo ai suoi piedi, poi flebile mormorò qualcosa, un frammento di un ricordo anche quello.
Quelle gocce rossastre sulla copertina sfrigolarono per un attimo, fiammelle tremule, fino a scolorirsi, illuminarsi e dissolversi, poi dopo un attimo, in cui sentì distintamente Potter trattenere il fiato, lo specchio, posto poco aldilà del libro, infranse la sua superficie, colorandosi dei ricordi della vita di qualcun altro.
 
***
 
“L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale.
Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.
Nomi e parole sono questo.
Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.”
 
Cesare Pavese
 
 
Il diario era aperto adesso, colmo di una grafia minuta ed ordinata, a tratti elegante, qua e là si vedevano tremule sbavature d’inchiostro. Harry, incerto, si avvicinò al pentacolo, dal quale Malfoy era uscito, scostandosi, come concedendogli la possibilità di scrutare lo specchio. Aveva occupato una porzione di spazio e cercava di fingere di non essere lì, con quel suo essere riservato spettatore attonito di qualcosa che non gli apparteneva. Harry inspirò profondamente, facendosi coraggio, e lanciando un ultimo sguardo a Malfoy, che non ricambiò, fissando il proprio sul palmo e sulla piccola ferita ancora aperta. E mentre Malfoy silenzioso se ne stava lì, con tutta la delicatezza di cui fosse capace, Harry si inginocchiò per terra, vicino a quelle pagine adesso fitte di parole, cercando di leggere, ma senza comprendere neppure una parola, troppo distratto dall’aspettativa, dalla trepidazione di quello che avrebbe scoperto. Quando poi la curiosità vinse sulla paura di ciò che avrebbe trovato, Harry alzò lo sguardo sullo specchio, e gli occhi gli vennero lucidi, mentre si apriva in un tremulo sorriso di sollievo:
-Non è niente di malvagio.- gli riuscì di dire, con una voce ancora vacillante,  poi i ricordi su quella superficie, sembrarono rapirlo, facendogli aggrottare le sopracciglia.
Doveva sicuramente trattarsi del dormitorio Grifondoro, eppure c’era qualcosa che non quadrava, la disposizione dei letti era diversa, persino il mobilio sembrava più vissuto. Il comodino a destra del letto accanto alla finestra, ad esempio, sembrava star insieme per miracolo, l’anta quasi penzolante. Ed anche il tappeto a prima vista sembrava bruciacchiato in più punti. Ad un certo punto, qualcosa catturò lo sguardo di Harry, una figura, aveva appena fatto il proprio ingresso nella stanza, provenendo dalla parte destra dello specchio. Poteva essere non più alto di quanto non fosse Harry, i capelli lunghi e scuri, scarmigliati. Ma non riusciva a distinguerne il viso, poiché gli dava le spalle. Il cuore di Harry accelerò impazzito, e non fece in tempo a sperare si potesse trattare di suo padre. Quando poi quella figura si accostò ad uno dei letti per strattonare le tende del baldacchino, sempre dandogli le spalle, Harry vide un giovane Grifondoro seduto nel bel mezzo del letto, il capo chino su un libricino. Ad occhio e croce poteva trattarsi di un sedicenne, ipotizzò Harry, sempre più perplesso.
 
-Che fai rintanato quassù, Moony?
 
Harry non fece in tempo a riconoscere il suono di quella voce, di quell’appellativo, lo scherno, quella nota leggermente indolente, non fece in tempo a sentir gli occhi inumidirsi. Si sentì sprofondare, incurante di essere sotto lo sguardo attento di Malfoy, mentre le proprie labbra sussurravano: Sirius. Il ragazzo seduto sul letto, alzò il capo, e sembrò quasi percorresse spazio e tempo, attraverso lo specchio, e fissasse i suoi occhi in quelli di Harry, come tante volte aveva fatto, come non avrebbe mai più potuto fare.
E fu solo allora, come se non riuscisse a crederci prima di quell’esatto momento, che Harry riconobbe Remus Lupin.
 
 
***
 
“Nella voce, come pure nello sguardo c’erano una dolcezza e una serietà simili a quelli che hanno le persone continuamente concentrate in un’unica opera amata.”
Lev Tolstoj
 
-Fa vedere, dai!
-È roba privata, Pad!
-Alle volte sei davvero infantile…
-Affatto…
-Dovresti smetterla di raccogliere accozzaglia inutile, per farcire quella roba!
 
Le parole rimbombarono nel salotto, mentre Draco percepiva il respiro di Potter spezzarsi e infrangersi, come in attesa. Con la coda dell’occhio poté distinguere la superficie dello specchio incresparsi nuovamente, e sebbene non credeva fosse possibile, sentì il cuore di Potter compiere una capriola, mentre trasaliva, come risentito, perché privato di quell’istante.
 
-Cosa stai scrivendo, adesso?
 
Il tono, che si imprimeva tra le pareti, era quello della curiosità istintiva, adolescente, essenziale. Draco non aveva mai immaginato che la voce del cugino potesse essere così diversa, così sconsiderata, allegra, leggera. Se si fosse sporto un poco, se si fosse avvicinato a Potter, adesso completamente dedito alle immagini che si rincorrevano nello specchio, anche lui avrebbe potuto conoscere il volto di quella spensieratezza, quel sapore gioviale e allo stesso sempre sacro, avrebbe potuto spiare le immagini di un giovane Sirius che cercava di sfilare il diario dalle mani di un giovane Remus, che a sua volta si dibatteva per impedirglielo, ma senza provarci neppure.  
 
-Una storia…
-La conosco?
-Eccome!
-Leggimela!
-Non posso, la stiamo vivendo.
 
Finalmente Draco guardò apertamente il viso di Potter, rapito da quelle parole, che entrambi avevano appena ascoltato. L’espressione dell’altro era contratta nell’amarezza, gli occhi erano lucidi, screziati da una malinconia immemore. Draco non ebbe il tempo di assorbire quel lato, così ben celato, di Potter, che l’espressione si rifece limpida, specchio della superficie che cambiava di nuovo. Come il riflesso cambiava, così i colori negli occhi di Potter, come fosse lui adesso la superficie riflettente.
Le sopracciglia scure di Potter si aggrottarono per un istante, per poi distendersi dolcemente, come riconoscendo qualcosa, qualcuno.
Draco fece un passo avanti, prima ancora di potersi rendere conto di averla data vinta alla propria curiosità, quel tanto che bastasse a fargli sbirciare dentro a quel ricordo, prima che svanisse.
Quattro ragazzi erano placidamente addormentati, erano talmente diversi l’uno dall’altro eppure sembravano sognare tutti la medesima cosa, in un enorme letto sgangherato, dalle lenzuola scure di polvere e di umidità. Solo i volti di Lupin e Black erano visibili, alla luce di un camino che non faceva parte della scena, ma che si percepiva crepitare. Lungo la guancia di Lupin vi era una ferita obliqua, ancora fresca, sporca di sangue rappreso, che fece rabbrividire Draco osservandola. Poi Lupin aprì gli occhi, pigramente, e guardò oltre la propria spalla, sbirciando dietro di sé un Black profondamente addormentato, con la bocca semi aperta. Draco lo vide sorridere di una dolcezza estenuante, che faceva male. Poi Lupin si sporse, tendendosi lentamente, raggiungendo la bacchetta, sul pavimento poco distante. Appellò il diario e una piuma, scrisse qualcosa, velocemente. Rilesse ciò che aveva scritto, con poca convinzione, poi impugnò saldamente la piuma, e ferì la carta, con un sorriso radioso. Sbirciò di nuovo Black, dietro di sé, scrisse qualcosa, e poi ripose tutto sotto al letto, immergendo quell’istante nella polvere. Prima che Draco portasse lo sguardo sulle pagine del diario, quello lasciato sul pavimento di Potter di fronte allo specchio, vide distintamente un braccio di Black allacciarsi alla vita di Lupin, nel sonno.
La pagina corrispondente a quel ricordo, Draco lo vide chiaramente, subito dopo, riportava, al centro:
 
Ancora qui. Ancora noi. Nonostante tutto, resistiamo.
 
***
 
“Riuscire a sorridere di tutti i piccoli fastidi e inconvenienti quotidiani sarebbe già l’anticamera della felicità.”
 
Giovanni Soriano
 
-Finisci quel tema di Pozioni e andiamo a letto, o domani farai storie…come sempre.
-Tu l’hai già finito, eh? Mi faresti dare un’occhiata?
-Questo non è Pozioni!
 
 
Harry sorrideva leggermente divertito da quel quadretto, così diverso dai precedenti, così simile a come aveva sempre immaginato dovesse essere allora. Non capiva ancora dove potassero quei ricordi, ma non sembrava importargli, mentre sentiva le pagine del diario scorrere spontaneamente ogni volta che l’immagine nello specchio variava, riusciva solo a sperare non finisse troppo presto. Vide Malfoy leggermente più vicino, incuriosito da quello che stava accadendo, lo guardò in viso e gli dedicò un sorriso conciliante.
-Mio padre, Remus, Sirius e Minus erano molto uniti ai tempi della scuola. Stavano sempre insieme.- ricordò con calore, la voce come un sussurro, tremante vittima dell’emozione. Fece un cenno impercettibile verso Malfoy, facendogli intendere di avvicinarsi, di star concedendogli il permesso di partecipare a quella stessa intimità, condividendola con lui.
Malfoy, silenziosamente, lo raggiunse, all’interno della sezione aurea del pentacolo, cercando di non invadere più del dovuto quello spazio talmente ridotto che riuscivano a starci con difficoltà. Harry riportò lo sguardo sullo specchio, giusto in tempo, prima che l’immagine cambiasse di nuovo. Erano spalla contro spalla adesso e non seppe spiegarsi perché, ma sentire la presenza di Malfoy, la sua esistenza così addossata alla sua, lo rassicurava. Forse perché, sebbene cercasse di ignorarlo, conosceva già l’epilogo di quella storia.
Vide un Sirius giusto un po’ più adulto, un accenno di barba sulla sua faccia un po’ più spigolosa, la solita espressione incurante, mentre faceva spallucce nella sua maglia scura, leggera. Si trovava nella sua stanza, lì a Grimmauld Place 12, adesso, ed il naso era leggermente arricciato. Remus, accanto a lui, come non potesse trovarsi altrove, faceva vagare lo sguardo lungo le pareti, perplesso.
 
-Era questa l’idea di cui mi avevi parlato?
 
Harry vide tra le mani di Remus il diario, e schiuse le labbra, alzando le sopracciglia, colto da un’illuminazione. Sirius doveva aver proposto a Remus di nascondere il diario lì, lì dove poi Hermione lo aveva ritrovato. Doveva sicuramente essere così. Ma quel che Harry non si spiegava era il perché. Remus abbandonò il diario tra gli scaffali della libreria. Sirius si portò l’indice alle labbra, mentre si sentivano dei rumori, provenire dal piano inferiore.
 
-Faremmo bene a smaterializzarci prima che…
-Che l’allegra famiglia si accorga che sono stato qui. Andiamo.
-E dovremmo anche trovare una scusa decente…sai, per James.
 
Il cuore di Harry si rattrappì, e dimenticò di pulsare per un attimo. Ebbe come l’impressione che per tutto quel tempo, non avrebbe dovuto intrufolarsi in quei ricordi, scavare così a fondo. Sirius e Remus avevano nascosto qualcosa al loro migliore amico, a James, Prongs, suo padre. La verità era qualcosa che non era appartenuta neanche a suo padre, forse nemmeno lui aveva il diritto di andare oltre. Forse sarebbe stato meglio non sapere. Chiuse gli occhi per un istante, e quando sentì improvvisamente la mano di Malfoy sulla sua, trasalì. Si aspettò che l’altro dicesse qualcosa, ma non lo fece, semplicemente, lasciò il palmo sul dorso della sua mano, e in silenzio sembrò sussurrargli che andava tutto bene.
Poi l’immagine cambiò di nuovo, repentina questa volta.
 
***
 
“Questa è la cosa peggiore, secondo me.
Quando il segreto rimane chiuso dentro non per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare.”
Stephen King
 
-Lo lasceremo lì, il tuo prezioso diario. E tra dieci anni lo rileggeremo, insieme, d’accordo?
-Dieci anni, allora.
-Dieci anni.
-Qualunque cosa accada?
-Qualunque cosa accada.
 
Draco vide i due ragazzi, adesso diciottenni, ipotizzò, in un bel giardino curato, colmo di rose. Sbirciò Potter, che aveva nuovamente aggrottato le sopracciglia, l’ombra di un timore sconosciuto sul fondo delle pupille.
Sirius, nello specchio, sorrise e si allontanò, dirigendosi come verso i muti spettatori, ma una mano di Remus lo trattenne, agguantandolo per il bordo della maglia.
 
-Vorrei parlarne a James.
-Non è il momento, Moony. Ma lo faremo, te lo prometto.
-Ti ha detto il perché di questo incontro, così all’improvviso?
-No, ha solo detto che era urgente. E che Silente aveva bisogno di parlargli.
-Sbrighiamoci, allora.
 
Draco si accigliò, perplesso, come se gli mancasse un pezzo per risolvere i puzzle. Sapeva ben poco di Lupin e Black, certo, eppure gli sembrava dal loro tono, che la serietà richiesta dalla situazione fosse immotivata, come se non appartenesse a nessuno dei due. Cosa poteva essere successo? C’era qualcosa che non tornava. Guardò Potter e sentì un dolore sordo alla bocca dello stomaco. Il verde di quegli occhi era nuovamente lucido, e Draco sapeva che stava per liquefarsi, lo percepiva chiaramente. Qualcosa, come un ingranaggio, tornò al suo posto e Draco capì. Così, incapace di dire qualsiasi cosa, strinse la propria presa sulla mano di Potter.
 
***
“Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.”
Wislawa Szymborska
 
C’era sangue, e corpi, pesanti, senza vita, nella scena seguente. Harry deglutì a vuoto, sentendo salire la nausea. Si sentivano urla, angoscianti, disperate, che rimbombavano come un’eco. Lampi di luce si susseguivano dentro lo specchio. Harry riconobbe i volti di persone che aveva conosciuto e conosceva, ed altri che odiava riconoscere: Moody, i genitori di Neville, Bellatrix Lestrange, Molly. Alcuni erano volti di uomini che erano stati dimenticati, altri erano volti familiari, nomi che si susseguivano nella sua mente. E si susseguivano immagini grottesche, macabre, le maschere dei Mangiamorte, Dissennatori, Licantropi, turbini di polvere, macchie scure di sangue rappreso, mosche su cadaveri senza volto, la guerra. Morte.
Distolse lo sguardo, incapace di sopportare oltre, e chinò il capo, stringendo le dita fino a farsi sbiancare le nocche. Malfoy, inginocchiato accanto a lui, aveva smesso di respirare e sembrava tremare impercettibilmente. Harry guardò la mano di Malfoy stretta sulla propria, e immaginò non potesse essere da nessun’altra parte, si chiese persino dove fosse stata per tutto quel tempo. Quando Harry si arrampicò sul suo volto, per studiarne l’espressione, vide le labbra contratte, gli occhi socchiusi, una rabbia rassegnata impregnava le sue ciglia chiare. Sullo specchio, un paio di occhi gemelli di quelli del Malfoy al suo fianco, li scrutava, senza vederli, come impassibili, nascosti oltre una maschera candida.
Era la guerra, Harry aveva finto di dimenticare cosa significasse, ma quelle immagini, quei ricordi erano feroci, artigliavano dolori sopiti, traumi nascosti, con impeto spazzavano via quella sorta di normalità. Era brutale. Ma proprio quando la scena stava per inasprirsi, poco prima di sentir rimbombare tra quelle mura l’ennesima maledizione senza perdono, lo specchio si increspò di nuovo.
 
-Shhh…Tornerò, te lo prometto. Non faccio l’eroe, faccio ciò che è giusto. Li depisteremo, funzionerà. Farà male, ma tornerò. Tieni il mio diario. Leggilo, farà meno male.
-È questo che ci rimane? Delle righe scritte su una pagina?
-No, è questo che ci rimane, e dobbiamo lottare per mantenerlo.
 
Harry sentiva il dolore nella voce rotta di Sirius, sentiva la preoccupazione di Remus, quella sua incertezza sempre mal celata dietro all’autorevolezza delle proprie parole. Poi vide la trasparenza di una lacrima solcare la guancia del suo padrino. E assisté incredulo a quello che seguì: Remus, trattenendo la mano dell’altro sul proprio cuore, si sporse. Poggiò le labbra su quelle di Sirius, in silenzio, in un gesto che suonava familiare, rassicurante, pacifico.
E Harry, incredulo, non riuscì nemmeno a stranirsi, come lo avesse saputo da sempre, come da sempre avesse indovinato quell’ombra negli occhi del proprio padrino, del suo professore di Difesa. Harry lo trovò straziante, ed ingiusto. Era la guerra ed aveva rovinato anche quello. Non riusciva a spiegarsi perché lo riuscisse a trovare naturale persino. Sentì Malfoy lasciarsi sfuggire un verso di disappunto, come non capisse cosa fosse successo, tutto un tratto. Ma Harry, improvvisamente capiva. Sapeva dove aveva già visto quello che stava accadendo, dove avrebbe potuto ritrovare quello sguardo d’intesa tra i due uomini nello specchio, e istintivamente riportò alla mente la foto dei suoi genitori, che sorridenti lo tenevano in braccio, in un pomeriggio di autunno. Sapeva cosa stava succedendo in quella scena. Stava succedendo l’amore. Ecco cosa Sirius e Remus avevano nascosto a James. Ecco il perché di quel diario. Ed Harry si lasciò sfuggire una lacrima, mentre il tempo rallentava e si fermava, cristallizzandosi.
 
***
“Some of us think holding on makes us strong;
But sometimes it is letting go.”
 
Hermann Hesse.
 
Il vetro era buio adesso, vuoto. Si sentiva, il lontananza, il pianto di un bambino. Poi tutto si colorò, ma lievemente, continuando a rimanere in ombra.
 
-Esistono cinque fasi per il dolore… Negazione, rabbia, auto-recriminazione, depressione.
-Hai detto che ce ne sono cinque…Qual è l’ultima?
-L’accettazione.
 
Draco vide Black chinare le spalle, come sconfitto prima ancora di essersi battuto, all’interno di quella stanza angusta. La fiaccola, appesa alla parete, ma non visibile, mandava bagliori sui polsi bloccati da pensanti catene. La voce di Lupin era quanto di più lontano all’umano si potesse immaginare, era rabbia cieca, animalesca e c’era dell’altro, come un retrogusto, forse delusione, rancore.
 
-Cinque fasi del dolore, Sirius. Qualcuno dice siano le cinque fasi per l’elaborazione di un lutto.
 
Draco non aveva mai immaginato una voce potesse suonare così quieta eppure allo stesso tempo avere il colore dell’uragano, non poteva immaginare si potesse essere così freddi e metodici, mentre si andava in pezzi. Lupin, invece, stava seduto compostamente, dando loro le spalle, di fronte a Black. Draco non poteva vedere la sua espressione, ma era abbastanza sicuro che in quel momento remoto, Lupin dovesse aver indossato una maschera d’inconsistenza. Vuoto.
 
-Per primo ho negato, cercando di ignorare l’evidenza: Non Sirius, non può essere stato lui, non l’avrebbe mai fatto.
Poi mi sono arrabbiato. Avrei voluto trovarti, massacrarti… ho persino pensato di ucciderti, sai?
Ma poi mi sono detto che forse, sì, forse era stata colpa mia…mi sono colpevolizzato, anche, pensa, mi sono detto che avrei dovuto fare di più.
E alla fine, mi sono torturato a tal punto da aver perso tutte le lacrime che potevo ancora avere, quelle che mi erano rimaste, quelle che non mi avevi ancora portato via.
E adesso, vengo qui, prima del processo, per dirti… Per dirti che l’ho accettato.   
 
Draco, abbassò lo sguardo sul diario. Un “no” maiuscolo troneggiava al centro della pagina. Potter aveva chiuso gli occhi.
 
-Ho accettato il lutto, Sirius. Tu sei morto.
 
***
 
E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent' anni portati così,
Come si porta un maglione sformato su un paio di jeans;
Come si sente la voglia di vivere
Che scoppia un giorno e non spieghi il perché:
Un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos'è.
 
Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani,
Giorni a chiedersi tutto cos' era, vedersi ogni sera; […]
Quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore. […]
Era tanto potere parlarci, giocare a guardarci, […]
Era facile vivere allora ogni ora,
Chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci,
E ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell' epoca nuova,
Ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova.
Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
Ci sembrava d'avere trovato la chiave segreta del mondo.
 
Non fu facile volersi bene, restare assieme
O pensare d' avere un domani e stare lontani; […]
Un ricordo lucente e durissimo come il diamante
E a ogni passo lasciare portarci via da un'emozione non piena, non colta:
Rivedersi era come rinascere ancora una volta.
 
Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione,
E il peccato fu creder speciale una storia normale.
Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo,
Sembra quasi che ironico scruti e ci guardi ridendo.
E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa;
Siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.
 
"The triangle tingles and the trumpet plays slow"...
 
Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate
Con qualcosa di fragile come le storie passate:
Forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile credo, perché
Ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me...”
 
Francesco Guccini
 
 
Gli sfuggì un singhiozzo dalle labbra, mentre la scena cambiava di nuovo, per rimanere statica. Harry, cacciando via una lacrima col palmo, indolente e libero dalla presa di Malfoy, fece per sfiorare il diario, confuso e turbato dalla mole di quei ricordi, dall’insieme di emozioni che racchiudevano. Avrebbe voluto chiuderlo, nasconderlo, rimetterlo a posto, dimenticarlo. Malfoy, in silenzio, stava ancora al suo fianco, incapace di muovere un muscolo. Ma proprio mentre Harry stava per allontanarsi da lì, le pagine frusciarono ancora, indomite, con forza, fin quasi a ribaltare il diario verso la fine. Lo specchio s’incrinò, quasi infrangendosi, ma prima di esplodere in mille pezzi, Harry distinse due figure adulte, impallidite, sbiadite quasi. Remus e Sirius erano stesi l’uno accanto all’altro, coperti da un lenzuolo immacolato, su un vecchio letto cigolante. Harry lo riconobbe, era quello della soffitta, lì al numero 12, quello in cui Sirius dormiva da quando era tornato laggiù. I due, ignari del tempo che incedeva e passava impietoso sulle loro rispettive cicatrici, stavano abbracciati, come nel ricordo della Stramberga Strillante. Come se nulla fosse mai cambiato o potesse mai anche solo osare di farlo. Harry vide Sirius baciare la spalla di Remus e sussurrare qualcosa al suo orecchio, con l’ombra di quel sorriso da ragazzo incosciente qual era stato, Remus chiuse gli occhi e inspirò profondamente, per poi sorridere, come mai aveva fatto prima di allora, come mai Harry aveva immaginato potesse fare.  
Quando lo specchio infine esplose, Harry non si soffermò nemmeno per un attimo a pensare cosa fosse giusto o sbagliato di quella storia. Riusciva semplicemente a sentirsi grato per aver avuto la possibilità di conoscerla, grato che finalmente, e nonostante tutto, Remus e Sirius avessero trovato anche solo un attimo di pace.
 
 
 
“Ben oltre le idee
Di giusto e di sbagliato
C’è un campo.
 
Ti aspetterò laggiù.”
 
Jalaluddin Rumi.
 
 
 
 
Note:
Calma, Calma e ancora Calma.
Andiamo con ordine: la melodia in cui parlo nel primo “paragrafo” è il Notturno di Chopin, opera 9, numero 2 (https://www.youtube.com/watch?v=9E6b3swbnWg&spfreload=10).
 
Ehm, ebbene, tante care cose! Ok, no… giuro, la tentazione di andar via senza dir nulla è forte,  ma credo di aver  -finalmente- risposto a tante domande ed anche al mistero dei famosi intermezzi. Non sono soddisfatto di ciò che è venuto fuori, ma non ho intenzione di cambiare una virgola, perché questo capitolo è nato prima ancora di tutta la storia. E tale deve rimanere. Amen. Spero apprezziate.
Infine mi scuso se il capitolo è pieno zeppo di citazioni, ma ne avevo bisogno e credo anche voi. Il titolo è preso in prestito da una canzone di Guccini, che ho riportato quasi per intero, e che mi piacerebbe ascoltaste. Detto ciò, grazie come sempre per i commenti, per aver aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate e…abbiate pietà di me.
Buon Natale! 
  
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