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Autore: Uff_san    09/11/2008    2 recensioni
Kanon, ancora una volta. Una versione inconsueta ma forse non impossibile di come potrebbero essere effettivamente andate le cose.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ombre


Aioros era stato convocato dal Pontefice. Non era la prima volta che ciò accadeva, ma non era mai successo che il Santo d’Oro fosse invitato nel tempio del sommo in via non ufficiale.
Non era stupido, Aioros. C’era qualcosa che non andava e ciò doveva restare segreto, perfino all’interno del Santuario.
Così, in silenzio, si diresse verso le sacre aule.
Al momento la Casa che proteggeva era l’ultimo baluardo di difesa per una eventuale invasione. Invasione del tutto impossibile, certo, ma lui prendeva il suo ruolo mortalmente sul serio.
La Decima, l’Undicesima e la Dodicesima Casa stavano attendendo i loro occupanti; c’erano voci sul fatto che essi avessero appena conquistato il proprio diritto e fossero in viaggio per giungere in Grecia: ecco perché egli non si allontanava mai. Certo, stava allenando suo fratello, ma lo faceva tra le mura del Santuario e sempre attento al suo compito principale.
Atena era per lui la luce del sole e il riflesso della luna.
Talvolta sembrava che bastasse invocare la sua presenza perché in cielo le nubi si diradassero; persino il volto del Santo di Sagitter pareva perennemente illuminato dalla luce sacra della sua dèa.
Per questo quella chiamata non gli piaceva affatto: un compito da tenere segreto avrebbe significato impegno, trascurare la protezione della Nona Casa.
L’ultimo baluardo di difesa per una eventuale invasione.
Scacciò però in fretta questo pensiero; il Pontefice, voce di Atena sulla Terra, lo aveva chiamato e se questi avesse richiesto un servigio ciò sarebbe stato solo in nome e a difesa della giustizia.
Rinfrancato dalla consapevolezza di stare svolgendo perciò il proprio dovere, giunse infine di fronte al tempio oltre le dodici Case.
Entrò in silenzio; non venne annunciato, ma sapeva di essere atteso: Shion, il Pontefice, sedeva immobile sul suo scranno, riflettendo chiaramente agli occhi del Santo la luce sacra di Atena Glaucopide.
Il Santo si inginocchiò rispettoso e la voce terrena di Atena cominciò a parlare.
Funerea.

Aioros si stava muovendo lentamente per tornare alla propria Casa.
I suoi occhi, di solito tanto brillanti, erano ora coperti da un’ombra che mai prima d’allora si era affacciata sul suo spirito.
Ripensava a quanto gli era stato detto e rivelato e cercava di capire perché il destino avesse scelto proprio lui per tale compito.
Uno degli onori più grandi dati ai Santi d’Oro era quello di essere a parte dei più intimi segreti dell’ordine cosmico, ed era per questo che egli non aveva chiesto di parlare con la dèa in prima persona: sapeva che si stava per incarnare e che il suo spirito parlava ora per bocca del solo Santuario.
Osservò la statua di Atena che si stagliava in lontananza, coprendo parzialmente il sole ormai morente che si stava inabissando dietro il Tempio.
Per la prima volta la vista di quella sacra effige non gli diede conforto né ispirazione.

Il giovane si ritrovava a riflettere. Il volto una volta conosciuto si confondeva ora con l’ignoto d’una persona per lui foreste, rivelatagli poche ore prima.
Ripensava a Saga, al loro primo incontro. All’apparire tanto divino che lo aveva colpito in quel modo così intenso.
Ed improvvisamente ebbe una grande compassione per il gemello che mai aveva conosciuto.
Un sentimento tanto semplice sorse dai recessi del suo petto per poi colmarlo: Compassione.
Fino a quel momento Aioros non aveva intuito cosa volesse dire gettare ombra (o forse luce) ovunque andasse per il semplice motivo di esistere. Ma ormai, in quelli che si rivelarono più tardi essere gli ultimi fatali mesi del Santo, egli vide alfine suo fratello minore per quel che era, chiedendosi se questi si sarebbe mai lasciato alle spalle il nome che idolatrava, il nome di Sagitter, per trovare un vero compimento in Atena.
E la consapevolezza di cosa dovesse significare vivere adombrato da Saga –Saga il dio, Saga che era adorato dal popolo, Saga al cui passo la folla si apriva- era qualcosa di troppo intenso perché il cuore di Aioros riuscisse a non venirne scosso, dopo essere stato inoltre così provato dalle rivelazioni fattegli.

“Santo di Gemini!”
Lo spettacolo era iniziato, nonostante ciò si scontrasse con ogni più intima fibra di Aioros. E nel momento in cui questi proseguiva col recitare scoprì come fare per sottomettersi alla menzogna e come la fede potesse essere più forte di qualunque altro sentimento. In tutto ciò, infatti, egli aveva fede in Atena.
Ma il dolore, il dolore che sentiva in petto per ogni istante di falsità espresso, per ogni parola non verace, per ogni sorriso ostentato, era reale.
Mai più.
E fu forse per questa consapevolezza piuttosto che per impossibilità che un giorno futuro, lontano più di tredici anni, non comparve con altri Santi per recitare una nuova menzogna davanti al Tempio.
Ma c’era qualcosa che non riusciva a definire con chiarezza in questo gioco di falsità. Qualcosa che non aveva contemplato e che nel momento in cui ne prese coscienza lo colpì come un maglio.
“Nobile Saga, sono arrivato. Non avrai cominciato senza di me, spero.”
“Certo che no, amico mio.”
Aioros era stato ingannato dalla sua stessa menzogna.

Mentre il suo animo, ogni giorno, lottava per non piegarsi alla grettezza che sentiva di commettere, allo stesso tempo il fascino che Saga esercitava su di lui non tardò a radicarsi sempre più in profondità. Il fascino si trasformò in rispetto, e da lì il passo verso una sincera, spassionata amicizia, fu molto breve per Aioros.
Così il Santo si ritrovò ad interpretare una parte molto strana, in cui fingeva di essere ciò che in realtà era davvero.
Per qualche tempo fu tutto davvero confuso: il Bene e il Male per Aioros erano sempre state due entità distinte, separate e facilmente riconoscibili. Ed egli, ovunque andasse e qualsiasi cosa facesse, sentiva di essere espressione vivente della prima di esse, incarnazione della giustizia rappresentata dalla sua dèa. Quando infine gli fu tutto chiaro e riconobbe la verità che trasudava dal suo comportamento, ciò non lo fece sentire meglio, in quanto il senso di colpa veniva raddoppiato dalla consapevolezza di quanto importante fosse per lui la persona ingannata.
E lo strazio che provò qualche mese dopo al riconoscimento della verità, inaspettata quanto terribile, fu per questo tanto più dilaniante.
  
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