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Autore: nafasa    10/11/2008    1 recensioni
Rimasi paralizzato. Ero in trappola. Tenni fissi gli occhi nel punto in cui avevo visto qualcosa, con la mente che valutava frenetica le possibilità di fuga e i muscoli rigidi, pronti a scattare. Ma feci un balzo in piedi, quando dall’ombra emerse la cosa più strana che avessi mai visto. “Quo vadis, gnat?”
Genere: Malinconico, Fantasy, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEI

La prima giornata con la ragazza sirena fu abbastanza deludente. Io ero davvero contento. Me ne stavo andando, scappavo dalle difficoltà verso qualcosa di più facile, lasciando indietro la mia famiglia, la mia vita. Ma questi pensieri da senso di colpa non mi passavano per la mente quel pomeriggio di inizio estate, fantasticavo sulle peripezie che avrei vissuto, come quelle descritte nei libri di mio fratello. Cinque per l’esattezza. Due di Salgari e tre di Verne. Erano gli unici libri che avevo mai letto e li sapevo quasi a memoria. Pensavo di andare verso una di quelle magnifiche avventure mentre camminavo sul marciapiede sconnesso con passo saltellante, ma ben presto mi accorsi che non sarebbe stato così. Come non esistevano gli eroi non esistevano neanche le loro gesta.

Dopo la prima soddisfazione il sorriso di Zabluda era scemato e camminava in posa terribilmente seria, a testa alta e in silenzio.

“Posso chiederti dove stiamo andando adesso?”

“Puoi chiedermelo.”

Aspettai un istante ma era evidente che dovevo proprio chiederglielo per esplicito. Chissà se lo faceva apposta o semplicemente non capiva le sottigliezze della mia lingua.

“Dove stiamo andando?”

“Di là.”

“Grazie! Ma abbiamo una meta?”

Mi guardò un po’ storto.

“Ti ho già detto che qui non c’è magia, dobbiamo trovare un posto dove ce ne sia, e per farlo bisogna uscire da questa città. Andando sempre dritti prima o poi dovremmo farcela.”

Mi dava sui nervi se faceva così. E non era un buon inizio. Così provai a cambiare argomento. Aveva detto che poteva procurare da mangiare per tutti e due, le chiesi come.

“Hai fame?”

Ovvio avevo sempre fame, ma non mi pareva una cosa da dire.

“Un po’”

“Ok, ora ti mostro. Vedi quella panetteria? Slijedi me, seguimi.”

E così feci. Cominciavo a sospettare che il suo metodo non fosse proprio ortodosso. Non volevo rubare ancora. Ma la seguivo. Nella mia stupidità pensavo che volesse semplicemente comprare. Si chiama non voler vedere ciò che sta sotto i nostri occhi.

Entrammo nella panetteria, lasciando Wyvern fuori, lei piccola sicura e coperta di stracci davanti, io alto e a disagio dietro. Tentavo di farmi piccino piccino. Dietro il bancone c’era un uomo sulla cinquantina con dei grandi baffi che ci squadrava dall’alto della sapienza del suo mestiere millenario.

“Chevvolete? Ahò, ma te sei vista come sei conciata? Me spaventi la…”

La voce gli si abbassò e io alzai lo sguardo per vedere cosa stava succedendo. Vidi che era come attonito a fissare Zabluda, ma non capì cosa stesse accadendo fino a quando lei non mi sussurrò: “Prendi un bel po’ di pagnotte e mettile in un sacchetto, non so per quanto riesco a tenerlo così!”

“Ma cosa…”

“Adelante!”

Ubbidii, mi resi conto che stava facendo vedere al panettiere il suo mondo, come aveva fatto con me. Mi sentii in qualche modo tradito, su tutti i fronti, ma presi in fretta il pane finché non mi sentì tirare la manica. Zabluda stava sfoggiando il suo miglior sorriso e si dirigeva verso la porta, tirandomi con lei.

“Grazie a lei e arrivederci!”

Quando ci trovammo fuori continuò a tirarmi per farmi andare più in fretta. Wyvern ci seguiva, i muscoli tesi, come se stesse aspettando qualcosa.

“Ora se ne accorge, ora se ne accorge…”

Un gridò provenne da dietro le nostre spalle.

“Se n’è accorto, corri!”

E io corsi, corsi più forte che potevo, e presto la superai. Accelerai tra una via e l’altra, scartando i pochi passanti, mentre sentivo le voci dietro di me farsi sempre più lontane, fino a che non sparirono del tutto. Alla fine mi fermai in un vicolo che non conoscevo, ansimante. Mi veniva da ridere e non sapevo perché, ero felice, avevo voglia di urlare. Come ci si sente dopo una bella corsa insomma, non tanto lunga da sfiancarti ma abbastanza da darti un po’ di brio, ero gasato. Nonostante ciò comunque mi preoccupavo per Zabluda, avevo paura di averla persa. Ma dopo poco risbucò ansante, col mastino al seguito e sputò “Nuotare è molto più comodo! Qui avete una gamba di troppo!”

A me venne in mente qualche battutaccia degna di mio fratello del tipo “Io ne ho due di troppo.” E così mi misi a ridere come uno scemo, mentre lei non capiva la mia follia e mi guardava incuriosita, sbocconcellando un pezzo di pane. Decidemmo di continuare a camminare poiché era più prudente allontanarsi ancora un po’. Per farvela breve camminammo fino a sera e parlammo delle nostre vite precedenti. Al tramonto intorno a noi cominciarono ad esserci degli spazi aperti, con qualche albero rachitico; le case si facevano più rade e non incontravamo quasi nessuno, così decidemmo di aver camminato a sufficienza e cominciammo a cercare un posto per la notte. 

Eravamo distrutti per esser stati tutto il giorno sotto il sole, soprattutto lei che aveva delle inquietanti occhiaie che si allargavano sempre più. Beveva in continuazione e si bagnava il viso, maledicendo la secchezza della terra. Il sole era già sotto la linea dell’orizzonte quando trovammo ciò che faceva al caso nostro: era un vecchio rudere per metà invaso dai rovi e per metà coperto da un tetto pericolante. Pregammo che non decidesse che quella era la notte buona per staccarsi e ammassammo in un angolo delle erbacce secche, a mo di giaciglio. 

Stava cominciando a fare freddo senza sole e non capivo come avesse fatto senza la mia coperta ma lei sosteneva che il suo cane bastava e avanzava. Oltretutto nel suo mondo non le conoscevano. Vivendo loro in fondo al mare e non in superficie la temperatura dell’acqua era costante, così erano entrati in simbiosi con alcune alghe che li proteggevano sempre, crescendo sulle loro squame. 

Da come lei descriveva le sirene non dovevano essere proprio delle bellezze, intese nel senso umano del termine. Erano squamose, grassocce e avevano delle membrane tra le braccia e il corpo. Io pensavo di aver visto ragazze bellissime ma sembrava che il suo sguardo non trasmettesse immagini reali, ma idee. I suoi occhi mi avevano detto “sirene” e io le avevo immaginate come volevo. O questa era per lo meno la conclusione a cui eravamo giunti. Il che significava che anche se vi fossero stati stendardi sulla nave avrebbero potuto essere frutto della mia immaginazione e così via. Insomma per vedere quello che succedeva davvero, con tutti i suoi dettagli, bisognava conoscere Moore almeno un minimo. Era una sorta di sigillo di sicurezza. Il che significava che sapendo l’aspetto delle sirene non avrei mai più potuto vedere in lei delle ragazze nude e prosperose, nonché molto disponibili.

Feci un minuto di silenzio, come un lutto per le mie bellezze perdute, poi mi tolsi le scarpe e mi distesi nella paglia, tirandomi addosso la coperta. Zabluda si accoccolò abbracciata alla sua macchina da guerra poco distante. Potevo sentire il suo respiro sottile comparato a quello pesante di Wyvern.

“ Ti manca tanto Moore eh?”

“ Si… qui è troppo… secco. Non so come farò quando troverò il Capo, vorrà dire che dovrò restare qui per sempre, non rivedrò più casa mia…”

Non emise suoni tangibili, ma avevo la brutta sensazione che stesse piangendo. Allungai una mano verso di lei alla cieca, dato il buio che ormai ci circondava. Sussultò ma non disse niente. Avevo la mano su un tessuto che assomigliava a lana molto grossa. Sorrisi, non l’avevo mai visto quel lembo. Cominciai ad accarezzarla piano, come fosse un gatto, istintivamente.

“Che fai?”

Ritirai subito la mano.

“Non lo so, ti consolavo… ‘notte”

E mi girai dall’altra parte, come per chiudere lì quello spiacevole inconveniente. Che cosa imbranata. Mi si chiudevano gli occhi.

“Liron? Thank you di avermi accompagnata. Non avevo bisogno di una guida.”

Mi sorpresi lievemente, ma non ci pensai perché ero a pezzi e mi addormentai subito.

 

 

 

 

 

 

 

Beh? Chi dice qualcosina alla povera nafasa che brama commenti? =D

 

 

Per la mia fida recensionista anil13:

le mie storie sono sempre un po’ scure e malinconiche, mi affascina di più immaginare le cose cupe che non quelle allegre. Liron non è depresso. È il suo stato d’animo medio. Semplicemente tra le facce da indossare la mattina sceglie quella meno faticosa. Si crogiola nella sua apatia e ci gode.

Comunque io non lo so bene il croato, mia madre lo sa, io prendo solo qualche parola dal dizionario sulla mensola del salotto. ^_^’

  
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