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Autore: Luna_R    23/12/2014    0 recensioni
La finestra era aperta alle spalle del suo aguzzino, riuscì a scorgere dal limbo della sofferenza, una striscia del mare di Odessa e fu felice di morire guardando per l'ultima volta, qualcosa che le ricordasse casa sua.
Era sciocco pensarci.
Era sciocco non provare una parvenza di paura.
Era sciocco patriottismo e vana speranza di essere appartenuta veramente a qualcosa.
I suoi genitori l'avevano venduta. Così, tutto era cominciato. E così, tutto stava per finire.
Era sciocco, sì.
Era sciocco avere diciassette anni e trovarsi sul punto di morte.
"Dì le tue ultime preghiere."
Udì, prima che il boato di uno sparo, risucchiò la sua vita in un secondo.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Elena. Capitolo 1.



Le luci al neon le attraversarono le pupille scintillando negli occhi bistrati di nero fumo.

C'era il ghiaccio eppure il fuoco in quegli occhi, azzurri come un cielo al mattino, caldi come la fiamma.

Il corpo sinuoso scivolava sul palo da lap dance di uno squallido locale della Brianza, mentre la musica assordante dalle casse, si confondeva in un cocktail di stordimento e alcool in tutta la sala; c'era pienone, come tutti i venerdì quella era la serata di punta di una settimana a fasi alterne. Gli uomini si sentivano più rilassati, manger con la ventiquattro ore poggiata ai piedi dei tavoli come i ragazzini con gli zaini a scuola, operai con inguardabili camicie dal doppio colletto. Tutti con il medesimo scopo; sesso. Con gli occhi, con la bocca o il resto.. non faceva differenza.

E non la faceva nemmeno per lei, ballerina sul palco e intrattenitrice dietro le quinte.

Era la ragazza più in voga del Paradise, una vera bellezza in forme bombastiche, che madre natura le aveva abbondantemente conferito e con la quale si dimenava, sbattendo le ciglia folte sul viso angelico. Era la più bella e lo sapeva, non tentava nemmeno più di nasconderlo vestita -o meglio, svestita- di striminziti completini intimi -quando non volavano via dopo lo show- e il sorriso cinico, che le sporcava le labbra carnose.

Provava un senso di delirio e onnipotenza, così stagliata in alto, flessuosa al ritmo di musica forte; quegli occhi addosso la mandavano in estasi, ma non era certo un'esibizionista, una che aveva scelto quella vita per il puro piacere del sesso -una ninfomane per farla breve- bensì, come quasi la metà delle donne che calcavo quel palco e le stanze barocche del club, quella vita le era caduta addosso nel momento peggiore della sua vita, quando tutto sembrava perduto e d'improvviso si apre una porta oltre il buio; vi si era gettata, consapelvolmente, per vivere, sopravvivere.

Perchè al mondo c'era davvero qualcosa di peggiore e distruttivo, che sculettare su un palco in guepiere o vendersi ad ogni sorta di uomo; quella cosa.. era la morte. E lei voleva disperatamente vivere. Vivere.

Era approdata al Paradise sette anni prima, con un'identità che non era la sua e minorenne.. per una che decide di cambiare nazione, vita e trovarsi un'occupazione; alla stazione di Ancona aveva fatto la conoscenza di un tale di professione manager, amico di Marcello proprietario del club, che vedendola vagare con una valigia di quelle uscite da un film degli anni cinquanta, con la scusa di aiutarla, l'aveva abbordata riempiendola di complimenti.

"Ti te see proprio bonn", le aveva detto.

Lei aveva scosso la testa e con una pronuncia dell'est aveva storpiato una risposta. "Engleesh." English.

Così l'uomo le aveva parlato in inglese fino al piazzale della stazione e poi ancora fino alla macchina -convincedola che una con il corpo come il suo poteva ambire nel lavorare in televisione e che l'avrebbe indirizzata lui in un posto dove stare fin tanto che non le avrebbe procurato qualche provino- ma al solo pensiero di finire in una televisione nazionale e forse europea, era inorridita voltando completazione direzione. L'uomo l'aveva raggiunta chidendole scusa, che forse le stava mettendo troppa pressione. "Hai gli occhi tanto belli. Mi ricordi mia sorella. E' morta di leucemia quando era piccola; sognava di fare l'etoile. Sai cos'è no?" Si era giustificato.

Sì che lo sapeva. Era una ballerina, ad Odessa. Prima che i suoi genitori si trasformassero negli orchi di tutte le fiabe, l'avevano fatta studiare, ballare persino, educata secondo gli usi e le arti ucraine per poi diventare donna.

Poi era arrivato un inverno freddo e anche la fame. Suo padre, banchiere con la fissa degli investimenti, aveva perso tutto quello che c'era da perdere e non solo; aveva stretto accordi con i più malfamati esponenti della Solncevskaja bratva o brigata del sole e quando questi si erano visti derubati dei loro introiti, in un agguato d'avvertimento avevano colpito a fucilate sua madre costringendola su una sedia a rotelle per il resto della vita.

Il messaggio era chiaro, ma suo padre quei soldi non li aveva e si era trasformato giorno dopo giorno in un uomo orrendo, spietato, cinico; una sera, la sera più buia di tutta la sua esistenza, in un bordello fuori città fra fiumi di vodka e mani vincenti di poker, aveva avuto la fortuna di accattivarsi e stringere un patto con uno dei figli di un boss maggiore, promettendogli la sua unica figlia come sposa e la totale disponibilità in tutto ciò che riguardava i suoi traffici illeciti. Il matrimonio gli avrebbe concesso l'intoccabilità e il risanamento dei debiti, l'alleanza gli permetteva di vivere.

Sua madre non si oppose, se è questo che vi state chiedendo; ombra della donna forte che era stata si lasciò annientare dalla sua invalidità chiudendosi a riccio e in un silenzio profondo. Non fiatò nemmeno quando a quindici anni, la vide percorrere il ballatoio della loro casa nel quartiere popolare dove erano finiti dopo la perdita dei soldi, in un abito da sposa troppo sensuale e sfarzoso per una ragazzina di quella età. Se ne era stata zitta, in quello sguardo assente e velato privo di lacrime per quella figlia incontro all'ignoto e rubata all'età in cui le ragazzine devono vivere i primi batticuore con i loro coetanei e non sposarsi con delinquenti più grandi.

E non devono essere vendute, perché questo era accaduto.

Il giorno del matrimonio Alexsander Barajev, figlio di Mikhael Barajev detto anche “il ribaltabileladro della legge dell'organizacija si presentò a casa sua nel pieno dei preparativi, con l'equivalente del suo peso in chili d'oro stipato in borse di finissima pelle scura; le aveva gettate ai piedi di suo padre a cui erano brillati gli occhi alla sola vista, per poi farsi strada con prepotenza, fino alla stanza dove alcune cugine la stavano aiutando a prepararsi.

Una di queste scattò in avanti, coprendola alla sua vista me egli la scaraventò in angolo con un malrovescio.

Da oggi in poi tu sarai mia. E farai esattamente tutto ciò che è in tuo potere per obbedirmi.

L'aveva poi guardata, con occhi bramosi indugiando sul collo latteo e il solco fra i seni strizzato in un bustino velato che lasciava ben poco spazio all'immaginazione e alla pudicizia.

Spero ti piaccia.” Aveva riposto lei, addolcendo la paura di quell'irruenza, con voce tenue e ingenua.

Mi piace di più quando mi viene risposto sì ad una domanda.“ Poi aveva fatto cenno ad uno scagnozzo di avvicinarsi facendosi porgere un astuccio di pesante velluto rosso. “Manca ancora qualcosa. Devi risaltare, devi essere la creatura più bella che Odessa abbia mai avuto; tutti dovranno guardarti, uomini e donne senza alcuna distinzione, ti invidieranno desiderando essere al tuo posto.”

Deglutì, quando le sue mani le circondarono il collo con una cascata di gocce di diamanti incastonati in un collier pesante quanto la sua testa e il fiato morì sulle labbra, quando con quelle stesse mani la tirò verso la sua bocca, tirandole i capelli.

Ricordava ancora quella lingua spugnosa sbatterle contro i denti, la saliva che si accumulava e lui che la baciava senza castità e pudore per quel pubblico che avevano intorno, con le mani che vagano nella gonna ampia del vestito e s'insinuavano nel corpetto, intorno al seno. Era il suo primo bacio. Si sentì morire e si sentì in trappola.

Quello, fu l'inizio della fine.

Ed anche l'ultima volta che vide sua madre la muta e suo padre, l'orco.



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Con una spaccata che lasciava ben poco spazio all'immaginazione, chiuse il numero della serata.

Le banconote svolazzavano dall'alto e sulla sua testa come i lustrini che erano piombati dal soffitto.

Era mezzanotte. Riusciva a sentire l'orologio della torre nella cittadina in lontananza nonostante la bolgia da eccitazione e gli epiteti con la quale gli uomini affamati le chiedevano di restare.

Qualcuno di loro sarebbe stato accontentato, ma per scoprirlo doveva rivestirsi e attendere al bancone che fioccassero le proposte; spesso non erano nemmeno considerabili per il suo standard, ma ormai riusciva a capire cosa cercava davvero un uomo da quell'incontro, con un solo sguardo.

C'erano state notti costosissime passate a parlare e notti in cui aveva regalato una passione sfrenata.

Quello era l'aspetto più seccante del lavoro.

Vestire i panni di manager di se stessa, giocando a rimpiattino con perfetti sconosciuti.

Ma ogni notte era diversa dall'altra e questo eccitava e nutriva la curiosità più di quanto non riusciva a fare il pensiero di scopare a comando. Di certo non aveva una vita noiosa.

E avrebbe preferito pernsarlo ancora a lungo, di avere una vita di cui parlare, perchè quella sera i suoi incubi peggiori, la raggiunsero.



«Elena c'è un tizio che ti cerca.»


Una ragazza del club attirò la sua attenzione entrando in camerino; si faceva chiamare Mercedes, ma i più l'avevano ribattezzata "War Machine" e questo lasciava ben intendere sulle sue prestazioni. Aveva una sensualissima voce roca e quella sera agitava un collare che le scendeva sul seno scoperto.

«Chi è?»

«Non lo ha detto. E' sul retro che chiede di una ragazza con una tua foto in mano.»

«Gli hai detto che sono quì?» Domandò schiva, sulla difensiva.

«Con chi pensi di parlare, bella?» Rispose quella in tono scherzoso ma duro; afferrò il frustino dalla sua consolle ed Elena pensò che obbiettivamente il sadomaso era una pratica che le si addiceva. «Non si tradiscono i segreti delle sorelle.»

La ridicola storia della sorellanza, già pensò.

Una cazzata da cameratismo che non sopportava, dopo aver visto colleghe scannarsi a colpi di stiletto per denaro o favori. Nel club vigeva una sola regola universale applicabile a chiunque di loro volesse farne parte; vendere il prodotto, non importava come o secondo quale propria etica o morale, bisognava produrre introiti e che questi venissero dai drink fatti scorrere a fiume o dalle prestazioni private non importava, il guadagno si doveva vedere.

E non si parlava certo di spiccioli.

Marcello una volta in un delirio da coca l'aveva accompagnata in uno scantinato di cui ignorava persino l'esistenza, quasi pregandola, di aiutarlo a smazzettare, aveva detto; difronte alla montagna di denaro che se ne stava accatastata in mucchi su di un tavolo, capì alla svelta il significato della parola. Marcello la obbligò a non ripeterla mai più.

Quel giorno capì che di lei si fidava e che l'avrebbe protetta, anche se la rivoltella sul tavolo sulla quale era posata la sua mano nervosa mentre muoveva frenetica la sua sui soldi, le faceva credere qualsiasi cosa.

Il giro di affari intorno al sesso era una cosa quantificabile certo, ma che faceva tremare i polsi, lo sapeva bene.

E sebbene fosse una favorita, era perfettamente a conoscenza della regola suprema e che non doveva dimenticarsene mai.

Se non eri nella scala dei più forti te ne andavi, semplice.

E non poteva permettersi questo lusso.

«Grazie!» Le urlò dietro Mercedes agitando ancora il collare.

Se ne era andata via sbattendo la porta e non l'aveva nemmeno ringraziata. «Ekaterina.» Pronunciò dal nulla.

Si fermò, il sangue via via più lento, a ghiacciarle la pelle. «Ha detto che ti chiami così. Bel nome, cazzo!»

Scosse il capo, voltandosi. Gli occhi ardevano. «Mi chiamo Elena.»

Quella capì e sorrise maliziosa. «Certo.»


Il club aveva delle stanze per le prestazioni private di ogni tipo e fantasia; orgie, scambi di coppia, sesso sadomaso, lesbo, gay non perchè si volessero fare delle distinzioni, ma perchè ognuna era creata ad arte per far si che l'esperienza, così Marcello solerte chiamare le porcate, risultasse indimenticabile ma anche amabile e goduriosa nello svolgerla. Non era quindi difficile trovare svariato materiale per ogni esperienza ma anche stile per ogni ambiente; essenziale, quasi primitivo per il sadomaso, soffuso e tenebroso per gli scambi di coppia fino ad arrivare al buio più totale e ad ogni sorta di divano o letto, in quella per le orgie.

Il tutto era collocato al primo piano; un intero piano dedicato alle fantasie.

Poi c'era il secondo, gli uffici in cui operavano Marcello e la sua squadra.

Il terzo e il quarto, le camere private delle ragazze.

Lei abitava nella sua stanza, nel senso che era una vera e propria casa.

Entrare nelle grazie del capo le era valsa quella che a tutti gli effetti era una vera e propria suite; era successo molto prima della camera dei soldi, in verità l'uomo si era fatto intenerire dai suoi occhi puliti non appena l'aveva vista arrivare, sulla station vagon del manager. Minorenne, sicuramente vergine, scappata da chissà quale cazzo di paese dell'est martoriato dalla fame -lo aveva sentito dire all'altro- si merita la stanza più confortevole che ho per quello che le lascierò fare.

Il manager si era fatto una grossa risata proponendogli di lasciare fare prima a lui qualcosina, ma quello lo aveva mandato a cagare e lei ne fu felice perchè era brutto e grasso.

Anche se lei.. non era vergine.

Ma questa storia la tenne lontana da quel mondo per tutto un anno, fino alla maturità, Marcello le aveva insegnato a fare drink e lavorava al bar nelle sere delle esibizioni; quando intuì il giro di guadagno che c'era dietro gli spogliarelli si propose per prima. Il resto, fu una naturale conseguenza del lavoro.

Ma non era la sete di denaro a muovere il suo corpo. Non quella che starete pensando, almeno.

I soldi erano un mezzo per comprare il silenzio.

E il silenzio era tutto ciò che le serviva. A qualsiasi prezzo.


C'era davvero un uomo sul retro, a fare domande.

Si morse il labbro, squadrando la figura dal parapetto della finestra sul corridoio degli uffici; bassa statura, un cappello di lana calato su capelli corti e quella foto fra le mani. Era immobile e fumava una sigaretta muovendo solo gli occhi a destra e sinistra su qualsiasi movimento fortuito.

Per una frazione di secondo alzò il capo; Elena arretrò in fretta con il cuore a mille in gola. Cazzo, pensò.

Salì automaticamente tutte le rampe di scale fino alla sua stanza dove vi si chiuse dentro, a doppia mandata più chiavistello. Qualcuno bussò alla porta poco dopo.

Impossibile, pensò afferrando il taglia carte da un cassetto in salotto.

Sfilò lo spioncino. Era Marcello.

Aprì ma lasciò che entrasse da solo per portarsi ancora alla finestra.

«Chi è quel tipo che sta facendo domande, lo conosci?»

In certe situazioni l'uomo aveva il pieno possesso del controllo; ed era impensabile il contrario, visto il flusso di uomini al quale di certo non chiedeva un referto psicologico per entrare nel club. In questo si faceva scudo con la sorveglianza, ragazzi prestati dalle scuole di arti marziali per lo più o di boxe.

«Non lo so. Ma ha una mia foto, dicono.»

«Sei tu, ma non lo sei veramente.» Le rispose criptico. «Non ho nessuna Ekaterina Murjel fra le mie fila.» Si avvicinò, guardando giù. Non c'era più, se n'era andato. «Dico ai ragazzi di non farlo avvicinare una seconda volta, ma tu prima o poi mi devi raccontare da chi stai scappando.»

«Dalla fame.» Gli rispose dura.

«La fame non ha gambe per camminare.»

E capì di non avere più una copertura. Credeva di avere gli occhi spalancati, addirittura terrorizzati ma li tenne fermi in quelli di Marcello, senza indugiare. «Non puoi buttarmi fuori da quì, ti convengo più di quanto tu convieni a me.»

«Questo è vero. Oggi. Ma domani potrei trovare una Elena che mi costa meno e non da noie.»

«Puoi trovare tutte le Elena che vuoi, ma nessuna Elena sarei io.» Ribattè, sicura.

Marcello si passò la lingua sul labbro, avvicinandola a se con forza; non erano mai stati tanto vicini prima di allora.

La portò con se vicino alla porta, che chiuse con un calcio, per poi spingerla delicatamente contro.

«Marcello..» Borbottò quando vide avvicinare la bocca alla sua. «Niente sesso con il capo.»

L'uomo scosse il capo come fosse stordito da quelle parole; si allontanò di scatto, quasi vergognandosi.

«Io..» E sembrò piccolo, piccolo e vunerabile. «Non voglio rogne. Chiunque sia, tienilo lontano da quì.»

«Va bene.» Disse ad alta voce per sembrare credibile.

Si spostò per permettergli di passare, quello attraversò l'uscio con un aurea funerea.



Era nei guai.



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L'aria umida della sera le attraversava le narici e bruciava.

Doveva trovare quel maledetto e scoprire chi fosse; dopo quello che era successo, Marcello avrebbe fatto qualsiasi cosa per togliersela da torno, ne era certa; il loro fragile rapporto di fiducia era stato minato dalle pulsione che andava ben oltre, la protezione che si era immaginata.

«Dovevo lasciare che mi baciasse.» Si rimproverò ad alta voce.

Entrò nell'unico pub sulla statale, un pò defilata in cerca di quel maledetto cappello di lana.

Lo trovò sul fondo, ma quello che credeva un uomo, senza l'ingombrante protezione del cappotto, era un corpo allenato da donna che attendeva il suo turno per una birra. Si sentì improvvisamente più forte e incazzata.

Rilassò le spalle e le passò di fianco, stringendole la mano intorno al braccio più forte che poteva.

Quella sobalzò, Elena la trascinò verso i bagni e ci si chiuse dentro.

«Chi cazzo sei?» Rimbrottò, spingendola all'angolo fra il water e la parete fredda.

Non rispose, si tolse il cappello, spettinando dei corti capelli scuri come il carbone. «Perchè fai domande? Cos'è quella foto che hai?» Continuò minacciosa. «Ti ammazzo se non parli!»

«Marishka.» Proferì quella con gli occhi lucidi. «Sono Marishka, non ti ricordi di me?»

D'improvviso gli occhi di Elena si allargarono di spavento ed incredulità.

«La bambina.» Sussurrò, come se quel nome avesse spalancato un abisso. «Come sta la bambina?»

«Cresce ed è forte.. e bella.» Elena non riuscì a trattenersi e i suoi occhi si colmarono di lacrime, la donna allungò una mano verso la sua spalla e quel calore sciolse del tutto il suo cuore in singulti. «Ti ho trovata.» L'abbracciò e la lasciò fare fino a che si calmò.

«Perchè sei qui?» Chiese in tono asciutto, quando fu più calma.

«Sei in pericolo. Lui è sulle tue tracce, pedino ogni sua mossa. Per te, come mi hai chiesto.»

«Non ti ho chiesto questo.» La rabbonì, immaginando il suo viso latteo grigio morte. «Eppure non ti ho mai ringraziata.»

«Ho fatto una promessa, ricordi?» Le sistemò i capelli dietro gli orecchi, accarezzandole il viso come una madre. «Ha degli agganci quì, una persona che gestisce molti soldi con cui parla di mettersi in affari. Non so come abbia fatto ma è saltato fuori il tuo nome in questi giri ed ha subito messo una taglia per chi ti trovasse.»

Elena strinse forte gli occhi, espirando pesantemente. «Immagino siano legati alla prostituzione questi affari.»

«E' questo quello che fai quì?» Azzardò la donna ignorando il suo commento.

«Perlopiù.» Rispose senza candore.

Marishka annuì debolmente, chiaramente sconvolta. «Quel giorno avrei voluto che il cervello saltato in aria, fosse stato suo.»

«Anche io, credimi. Ma è troppo furbo per sporcarsi le mani.» Un ghigno le increspò le labbra, inspirò ancora una volta stringendo la donna per le spalle. «Hai qualche nome? Un riferimento?»

«Non so altro.»

La ragazza annuì. «Adesso è meglio se prendi il primo aereo e te ne vai.» Si frugò nelle tasche del cappotto e vi tirò fuori delle banconote da cento euro che le infilò nella mano gelida.«Probabilmente se tu sei arrivata a me anche lui ci arriverà presto.» Si sfilò frettolosamente la catenina d'oro che aveva appesa al collo e gliela diede. «Penso sempre a lei, questo devi dirle.»

«Lo sa. Mi chiede spesso di te, le dico sempre che tu tornerai a prenderla.»

Elena annuì, ma non rispose, liberò la sicura della porta e fece cenno con il capo di uscire; restò qualche attimo a fissare Marishka mentre s'infilava in un'uscita secondaria per poi coprirsi a sua volta il capo con la sciarpa, guardarsi attorno circospetta e guadagnare l'uscita principale a passo spedito.



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Tre settimane dopo, il Lambro rigettò sulla sponda il cadavere di una donna dai capelli scuri come il carbone.


Fine.


  
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