Anime & Manga > Fairy Tail
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Autore: jaki star    23/12/2014    1 recensioni
Ad ogni persona corrisponde sempre una canzone.
Cosa potrebbe succedere se affiancassimo i meravigliosi capolavori Disney al mondo di Fairy Tail?
Per ogni coppia ed ogni personaggio, una canzone!
Gale - Uno sguardo d'amore
Gerza - Baciala
Gray Fullbuster - Ce la posso fare
Ur ed Ultear - Sei dentro me
Leo ed Aries - Sei un briccone
Lucy Heartphilia - Riflesso
Elfman Strauss - Farò di te un uomo
Lluvia Locksar - Parte del mio mondo
Elfever - Ti vada o no
Gerard Fernandes - Via di qua
Silver & Gray Fullbuster - Lui vive in te
Gale - Storie
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gerard, Lluvia, Natsu
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Gerard Fernandes ~ Via di qua


 
Il sapore ferroso del sangue gli invase la bocca: a fatica il bambino digrignò i denti, alzandosi lentamente sui gomiti.
Lo schiocco secco della frusta giunse violentemente al suo orecchio, mentre un dolore intenso gli pungeva la schiena.

“E questo è solo l’inizio, piccolo bastardo: vedremo se saprai tenere a freno la lingua, d’ora in poi!” la guardia, dopo aver assestato un ultimo calcio al bambino, se ne andò soddisfatta e ghignante.

Gerard si concesse qualche minuto per prendere fiato: con immensa fatica si alzò, barcollando verso l’angolo più buio della cella.
L’aria viziata della prigione era insopportabile ed il ragazzino aveva bisogno disperatamente del vento notturno sulla pelle.

Del vento notturno che soffiava fuori da quella stramaledetta torre.

Nonostante la tenera età, Gerard Fernandes era sempre stato un bambino sveglio: era curioso ed intelligente, il classico piccoletto energico e voglioso di esplorare tutto ciò che lo circondava. Per questo, essere rinchiuso in gabbia era stata la sciagura più grande che potesse essergli capitata nella sua corta vita. Gerard alzò gli occhi pesti e vuoti al soffitto: difatti, dietro una sporgenza di roccia nera, filtrava un timido raggio di luna. Con un immenso sforzo il ragazzino si issò su una sporgenza rocciosa, accostandosi a quella fonte di luce: un piccolo corridoio si stagliava dinnanzi a lui. Senza il minimo timore, Gerard gattonò fino alla fine di quel tunnel: davanti a lui si apriva un terrazzino di pietra, cinque metri per tre, direttamente a contatto con il mondo esterno. Il bambino si trascinò per qualche metro, per poi sdraiarsi stremato: la spossatezza di tutte quelle ore di lavoro gli crollò addosso come un macigno, opprimendo il suo corpo stanco e lacerato. Le iridi verdi del ragazzino incontrarono la luna: brillante e silenziosa, era l’unica testimone del suo dolore.
Da ormai troppo tempo si chiedeva il perché di quella tortura giornaliera: le botte delle guardie, gli spazi stretti della torre, le celle affollate di vecchi e bambini, denutriti e deboli.

“Quanto mi manca la libertà” sussurrò, strofinandosi il braccio sul viso incrostato di sangue e sporcizia: i raggi lunari, argentei fili di ragno, illuminavano il tribale scarlatto che gli decorava il volto.

Solo, in queste mura imprigionato vivo io
E per ore io sto qui a guardarli…


Gerard si trascinò sul bordo del terrazzino, cercando di spingere lo sguardo più lontano che potesse.
I suoi occhi colsero un fermento in un certo punto dell’isola: delle persone, riunite in un grande gruppo, ridevano e ballavano accanto al fuoco.

“Cosa staranno mai facendo?” si chiese, troppo stanco per mettersi seduto: il suo udito sviluppato avvertì delle vibrazioni nell’aria.
“Musica. Un banchetto notturno, una festa” le parole gli uscirono inconsapevolmente dalle labbra, monocordi.
“Sembrano divertirsi” constatò, mentre, dopo aver raggruppato quante più energie possibili, si alzava in piedi: completamente scalzo si mosse sullo spiazzo in roccia, non badando alle piccole pietre che gli graffiavano la pelle.

E’ tutta la vita che li osservo da quassù,
Per sentirmi un po' vicino a loro…


“Vorrei davvero sapere se è così esaltante come dicono, partecipare a quelle feste: certamente, meglio che stare qui” con un pezzo di pietra picchiettò sul pavimento di roccia, fino a riuscire a tracciare una linea bianca “Sarebbe davvero bello poter essere di nuovo felici e liberi: è da talmente tanto tempo che sono qui, che ho dimenticato perfino cosa voglia dire provare delle sensazioni simili”.

Sdraiandosi a pancia in giù, continuò a tracciare delle linee sul pavimento: dopo mezz’ora buona di lavoro, Gerard poté ammirare il frutto del suo operato.

“Bè, almeno così mi sentirò meno solo” commentò, osservando le figure sul pavimento.

Potrei disegnar le loro facce,
Ma per loro non esisterò mai…


Aveva disegnato la piazza di un villaggio, con tanta gente felice che passeggiava allegramente sotto il sole mattutino.
Osservando bene, Gerard poté quasi illudersi di avvertire la melodia delle risate della gente, il profumo del pane appena sfornato, le grida del mercato e la voce dei paesani. Per un istante, Gerard poté illudersi di essere tornato a casa.
Ma la verità, era che si trovare solo in quell'inferno.


“Vediamo se dopo questa bella dose di legnate avrai ancora voglia di provare a fuggire, cane bastardo” la guardia scaraventò a terra il ragazzino, solo malvagità nelle parole appena pronunciate.

Gerard non si mosse: restò silenzioso, con la lunga frangia a coprirgli gli occhi. Di fronte al suo silenzio, la guardia si limitò a sbattere la porta e ad andarsene. Probabilmente lo credeva morto. E, in effetti, c’era andato vicino.
Respirando lentamente, provò a muovere le dita: almeno quelle non erano rotte. Con lentezza si portò le mani al viso: avvertiva il sangue colare dalle narici, dalle labbra, da qualsiasi parte del suo corpo gonfio e livido di botte.
Era passato un mese, eppure a lui sembrava d’esser lì da un’eternità. Si trascinò fino all’angolo della cella, dove lo aspettava una piccola ciotola: dopo aver sputato un paio di volte contro la parete, bevve avidamente l’acqua che aveva a disposizione. Dato che aveva mangiato poco prima di essere trovato e pestato, l’acqua si mescolò al cibo assunto in precedenza, donandogli abbastanza energia da permettergli di alzarsi in ginocchio: reggendosi sulle gambe malferme ed appoggiandosi alla parete, si issò fino alla sporgenza nascosta nel muro, per poi strisciare pietosamente fino al suo “rifugio segreto”.

Io mi chiedo sempre che emozione mai sarà
Stare un giorno là con loro…


Un’altra linea bianca si aggiunse a quelle già presenti sul pavimento: giorno dopo giorno, Gerard Fernandes stava arricchendo il suo murales. Sempre più persone si affollavano nella piazza, sempre più uccelli volavano nel cielo aperto, sempre più palpitazioni raggiungevano il suo cuore voglioso di libertà.

“Bè, che dire: sono un vero artista…” una smorfia simile ad un sorriso gli solcò il volto “… Però tutta questa roba è confinata nella mia testa”.

Sollevandosi sui talloni, il ragazzino portò l’attenzione nello spiazzo vicino alla torre: i padroni della Torre del Paradiso avevano costruito una cittadella ai piedi della costruzione, dove le famiglie delle guardie e le guardie stesse potevano vivere in serenità.

“Non capisco perché loro  e noi no. Perché non possiamo vivere come loro, con loro? Siamo così diversi?” alzandosi in piedi, Gerard passeggiò sull’orlo del terrazzino: guardava il villaggio, guardava le luci che a poco a poco si spegnevano. “Probabilmente stanno andando a dormire. È tardi. I bambini saranno dalle loro mamme e… E dai loro papà e…” il blu s’interruppe bruscamente quando avvertì qualcosa di bagnato sul viso: portò le dita sul tatuaggio, avvertendo quella specie di acqua che lo inumidiva.

Stava piangendo.
Gerard Fernandes, dopo tanto tempo, stava piangendo.
E sbattendo i pugni sulla pietra lasciò che quel pianto trovasse sfogo, mentre il suo animo si sgonfiava dal peso che ogni giorno lo opprimeva.

“Anche io voglio essere libero di tornare a casa!”

Là fuori, che darei non so!
Solo un giorno fuori: so che basterà per ricordare…


Correndo come una gazzella, si lasciava alle spalle la torre: senza distrarsi continuò a correre, nelle vene l’adrenalina della fuga.
Finalmente era fuori da quella dannata prigione.
Finalmente sarebbe tornato a casa.
Mamma e papà lo avrebbero stretto fra le braccia, come i bambini del villaggio: finalmente, sarebbe stato uno di loro.

Fuori, dove tutti vivono…
Che darei, che farei per un giorno via di qua!


Dopo uno schiocco di ossa poco rassicurante, finalmente giunse il silenzio: la guardia urlò qualcosa che Gerard non sentì. Non aveva abbastanza forze per muoversi, per davvero questa volta.
Nemmeno quando il suo aguzzino sparì, ebbe abbastanza energia per aprire gli occhi: lasciò che la pioggia che entrava dalla finestra gli scivolasse addosso, lenendo le sue ferite.

“Io volevo solo… Andarmene di qui. Mi sono fatto spezzare le ossa per nulla. Io volevo essere… Libero”.

Mentre crollava nel buio dell’incoscienza, non si accorse che qualcuno lo stava ascoltando.

Là fuori, in mezzo a tutta quella gente che non sa che fortuna è essere normali
Liberi di andare in ogni luogo giù in città
Senza più bisogno di fuggire


I prigionieri delle altre celle osservarono con stupore Gerard Fernandes che, accompagnato in silenzio dalle guardie, rientrava nella propria prigione: per una volta da quando era lì, non aveva tentato di fuggire.
A tutti pareva strano non udire gli strilli delle guardie od i lamenti del ragazzino per le botte subite: che il piccoletto si fosse arreso all’evidenza?
Un quesito che lasciava l’amaro in bocca.
Gerard si isolò nel suo angolo preferito, con un pezzo di pane secco e la sua ciotola d’acqua: con sguardo nervoso scandagliò i volti degli altri prigionieri.

“Bè, che avete da guardare? Lasciatemi stare!” dopo aver grugnito questo, il giovincello diede la schiena ai presenti, rosicchiando la sua cena.

I carcerati, consci del suo stato d’animo e solidali verso il ragazzino che aveva alimentato la loro speranza per innumerevoli giorni, ubbidirono: Gerard Fernandes aveva bisogno di stare con sé stesso, di realizzare che, probabilmente, cercare di evadere per conquistare la libertà era solo una fiamma destinata ad esinguersi.
Tuttavia, qualcuno non era dello stesso avviso.

Potessi lo farei
Se fossi libero


Sazio e dissetato, il ragazzino tracciava sul muro linee invisibili con le dita, immaginando di poter continuare anche lì il suo tanto adorato murales: tuttavia, la briosità che solitamente lo animava mentre disegnava, aveva lasciato spazio ad una nervosa rassegnazione.
Un sospiro abbandonò le sue labbra.

“Chi voglio prendere in giro? Sicuramente il mio desiderio non bastava. E tutt’ora non basta. Non ha senso fuggire se ogni volta finisco di nuovo qui” affermò quasi stizzosamente, lanciando una piccola pietra nell’altro lato della cella.
Si strinse nei vestiti sudici: iniziava a fare sempre più freddo, la notte.

“E vorresti rinunciare così, ragazzino?”.

All’udire quella voce estranea, Gerard sobbalzò: qualcosa si mosse nel buio della cella.
Possibile che non si fosse mai accorto di non essere solo? Possibile che la cella… Fosse in realtà più grande e profonda di quello che pensava?
Gerard si alzò in piedi, tenendo saldamente una pietra in mano.

“Chi sei?” chiese, avvicinandosi cautamente: uno scintillio bonario illuminò gli occhi del suo coinquilino.

“Tranquillo, ora ti raggiungo”.

In meno di cinque secondi, il ragazzino si trovò di fronte un anziano: era abbastanza alto e scheletrico, con lunga barba e capelli bianchi.

“Ciao, Gerard Fernandes: io sono nonno Rob” si presentò il vecchio, rivolgendogli un sorriso quasi sdentato.

Gerard alzò perplesso un sopracciglio: da quanto tempo era che un simile personaggio viveva con lui?

“Oh. Piacere” rispose, ancora sorpreso: con stanchezza si lasciò cadere al suolo, stufo di tutte quelle novità.
“Mi chiedevo come mai un ragazzino così caparbio potesse già aver rinunciato al suo sogno di libertà” domandò retoricamente il vecchio, avvicinandoglisi: Gerard lo guardò appena, per poi tirare a sé le ginocchia in un abbraccio che ricercava più calore che affetto.
“Ho fallito troppe volte. Non ne vale più la pena” rispose, tenendo lo sguardo basso.
“Vale così poco per te il tuo sogno?” chiese gentilmente il vecchio, evitando accuratamente di guardarlo: quella frase colpì il bambino come una pugnalata in petto.
“Certo che non vale poco!” scattò, alzandosi in piedi “Ma è inutile tentare di evadere: non riusciremo mai” mormorò, dando la schiena a Rob.

Dopo un momento di interminabile silenzio, il vecchio prese di nuovo la parola.

“E dimmi, giovanotto: cosa faresti se fossi fuori di qua?”.

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Gerard sgranò gli occhi.

Là fuori, allegro me ne andrei

“Bè, mi pare qualcosa di ovvio!” esclamò il ragazzino, acquistando improvvisamente energia “Andrei a casa! Andrei dai miei genitori e tornerei al mio villaggio: mi divertirei ad esplorare tutto il bosco, farei tante passeggiate e… E andrei dal panettiere! Si, a fare la spesa e compare i dolci”.

Rob sorrise, quasi stupendosi dell’euforia del giovane: un tenero calore gli infiammava le guance pallide, gli occhi brillanti mentre narrava tutte quelle fantasie.

“Guarda, nonno Rob: guarda cosa voglio fare!” ed agilmente Gerard si arrampicò sulla roccia, entrando nel tunnel segreto.

Rob lo seguì sorridente, lieto di essere riuscito a conquistare l’attenzione del piccoletto.

Senza muri: fuori, come ogni uomo fa!
E poi salire fuori!


Il blu respirò a pieni polmoni l’aria della notte, lasciando che il vento freddo gli muovesse i capelli sporchi.

“Vedi nonno Rob? È questo quello che voglio! Voglio essere libero, voglio potermi muovere in un mosto molto più vasto della nostra cella e…” all’improvviso gli occhi verdi del ragazzino persero vivacità, così come il suo tono di voce “… E poter essere come loro”.

Lentamente si abbassò, indicando la sua opera d’arte: a causa della pioggia, i disegni del ragazzino si erano in parte sbavati, rovinando il murales che gli era costato così tanta fatica.

“Mi basterebbe… Mi basterebbe anche un solo singolo giorno. Ma io voglio uscire… Uscire di qua. E tornare libero per almeno un paio d’ore” mormorò mogio, la fiamma che poco prima lo aveva animato ormai spenta.
“Oh, piccolo Gerard” sospiro il vecchio Rob, sedendosi accanto a lui “Credi che il tuo destino, come il tuo disegno, sia ormai rovinato, giusto?”.

Gerard annuì a malavoglia: quel vecchio lo stava deprimendo più di quanto già non fosse.

“Ma ti sbagli, Gerard. Il tuo disegno è un po’ rovinato, ma non è interamente distrutto: questo vuol dire che lo puoi "ristrutturare" e farlo diventare più bello di prima. Ci vuole solo… Perseveranza” asserì il vecchio.
“Perseveranza…” il bambino assaporò ogni lettera di quella parola, cercando di assimilarne il vero significato.
“Ragazzino, le speranze ed i desideri vanno coltivati giorno per giorno, nonostante tutti i fallimenti: se rinunci così a quello che vuoi, non sarai mai libero. Quindi: la desideri sul serio questa libertà?” chiese per l’ultima volta il vecchio, osservando il ragazzino.

Solo un giorno in questa vita mia perché, io vivrei
Nulla più chiederei, tanto ormai io saprei cosa c’è fuori di qua!


“Ce la farò”.

La risposta arrivò diretta, chiara e concisa.
Gerard si alzò in piedi, un sorriso luminoso sulle labbra “Mi pare ovvio di non voler trascorrere tutta la mia esistenza in questa schifosa torre”.

Ridendo passeggiò sul bordo del terrazzino, per poi spiccare un balzo ed aggrapparsi agli speroni di roccia che costellavano la parete di quella prigione: sfidando ogni legge si arrampicò, per raggiungere un punto più alto del suo rifugio segreto.

“Dannate guardie e dannata torre: arriverà il giorno in cui me ne andrò via di qua! Mi avete sentito?!” e la risata liberatoria che seguì il grido dei suoi desideri, convinse finalmente l’animo del ragazzo a combattere di nuovo per la tanto agognata libertà.
 
E quando, il giorno dopo, gli occhi di Gerard Fernandes incontrarono per la prima volta quelli di Erza Scarlett, Rob ebbe la certezza assoluta che il ragazzino avrebbe portato fino in fondo il suo ambizioso progetto.
 




Gerard aprì piano gli occhi, mentre un raggio di sola gli scaldava il viso: con estrema lentezza si stiracchiò, sentendo il bisogno di sciogliere i possenti muscoli. Alzandosi dal morbido letto su cui aveva dormito, si diresse in bagno per darsi una sistemata: dopo nemmeno cinque minuti era già pronto e, dopo essersi infilato dei comodi stivali, uscì all’aria aperta, pronto a ricevere il buongiorno da Magnolia.
Il chiasso che già in quelle ore mattutine animava la città non gli diede affatto fastidio: con lentezza camminò per la strada principale, per poi lasciarsi trasportare nella gremita piazza del mercato. Urla di bambini e mercanti affollavano l’aria, mentre la musica di qualche musicista di strada allietava le orecchie sempre attente dei passanti: Gerard sorrise, ammirando quanta pace potesse esserci in un luogo così pieno di gente. Come tutte le mattine, l’aitante giovane si diresse dal fornaio: mentre il profumo del pane appena sfornato gli raggiungeva le narici, acquistò tutto ciò che gli serviva. Salutando cortesemente lasciò il locale, per riprendere la sua placida passeggiata. I passanti non troppo impegnati lo salutavano con gioia: ben tutti sapevano che, sulla sua spalla destra, brillava lo scarlatto tatuaggio della gilda più casinista di Fiore.
Allontanatosi dalla foga del borgo, Gerard si incamminò per una strana silenziosa, giungendo in una distesa d’erba fresca: il cancello in ferro battuto si aprì con un lieve scricchiolio, mentre le lapidi e le croci parvero dargli il benvenuto. Senza alcun timore o simile sentimento, Gerard si diresse spedito verso una tomba ben conosciuta: quando fu nei pressi della meta, non si stupì per niente della bellissima giovane che fissava il marmo bianco decorato dallo stemma di Fairy Tail. Con un sorriso, Gerard si accostò alla donna, circondandone la vita: ella si girò, per niente stupita, lasciando che i lunghi capelli scarlatti le ricadessero morbidi sulle spalle.

“Sapevo saresti arrivato: scusami se non ti ho svegliato ma sei tornato tardi dalla missione, ieri sera” disse la giovane, sorridendo.
“Non ti preoccupare, hai fatto bene: è stata un lavoro più impegnativo del previsto e mi sono preso un po’ troppa libertà nell’ammirare le bellezze di quella fantastica città” rispose il ragazzo, scrollando le spalle.
“E’ strano vedere con quanta scioltezza parli di libertà, ora” ridacchiò Erza, tirando una debole gomitata al fidanzato.

Gerard ammiccò, accarezzando lievemente la tomba “Dopotutto è merito del vecchio Rob se non ho mollato e, probabilmente, se sono qui” sorrise, concedendosi qualche minuto di silenzio.

“Credo che sia felice del fatto che siamo finalmente via da quella prigione” commentò Erza, prendendo per mano il mago.
“Credo sia felice che, indipendentemente da tutto siamo liberi. E felici” asserì Gerard, ricambiando la stretta della ragazza.


E mano nella mano si incamminarono, verso un futuro di cui, finalmente, erano gli unici ed assoluti padroni.





Angolo dell'autrice:

Buongiorno a tutti. Dopo un numero incalcolabile e, soprattutto, imperdonabile di giorni ho finalmente aggiornato.
Confesso che quando ho deciso di sospendere la raccolta, non sapevo che ciò che mi aspettava mi avrebbe strappato per così tanto tempo dalla stesura di questa storia: è stata davvero dura non poter più scrivere per impegni scolastici e non, ma mi sono anche resa conto che la mia ispirazione, dopo qualche tempo, mi aveva completamente abbandonata. Ammetto che ho avuto molta difficoltà ad ingranare di nuovo la marcia: non avevo idee, ma qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo assolutamente partorire qualcosa di decente.
Sempre che il termine "decenza" possa essere associato a questo capitolo.
La canzone, tratta da "Il gobbo di Notredame", mi è sembrata più che adatta ad un piccolo Gerard Fernandes, imprigionato nella Torre del Paradiso e privato della tanto desiderata libertà, tuttavia so benissimo quanto mare ci sia fra "il dire" ed "il fare".
Quindi, mi scuso se questo racconto vi abbia fatto venire la congiuntivite. 
Mi scuso anche per aver inserito un mica tanto lieve accenno di Gerza ma, andiamo: è impossibile non mettere quella coppia da tutte le parti.
Almeno per me.

Ora passiamo alle scuse vere e proprie, prima di annoiarvi troppo con questo angolino, che tanto "ino" non è.

Mi scuso con tutti i lettori, i recensori, TUTTI per questo enorme ritardo.
Mi scuso se ritarderò ancora, mi scuso se non riuscirò ad aggiornare in tempo, mi scuso se vi lascerò ancora in sospeso per tanto tempo.
Mi scuso soprattutto con la fedelissima Fra_tonny99, che non ha mai mancato di supportare me e questa storia, che mi ha sempre aspettata e che spero possa continuare ad essere felice leggendo la raccolta.

Sperando di aver riparato un minimo al mio errore, vi saluto, augurandovi buona lettura e soprattutto facendovi TANTI AUGURI DI BUONE FESTE!
Non festeggiate troppo, mi raccomando.

Un abbraccio forte, 

Jaki Star
  
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