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Autore: SEA_Fangirls    23/12/2014    5 recensioni
La pace che regna tra il Campo Mezzosangue e il Campo Giove è solo apparente. Una nuova profezia arriva ad incrinare l'equilibrio.
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Dal profondo della morte il pericolo arriverà
Per gettare il mondo in una crudele oscurità
Nel mezzo di una guerra persa
Ricorda che il cuore è protetto dalla maggiore forza
Oh Buio, non dimenticare chi sei
Perché il mondo potrebbe finire per un errore degli dei.
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Al Consiglio degli Dei del solstizio d'inverno, Ade dichiara guerra ai suoi fratelli, disposto a sacrificare l'intero mondo, ad annientare l'equilibrio che vige fin dai tempi più antichi, pur di ottenere il potere che reclama. I semidei si troveranno divisi, costretti a seguire le scelte dei propri genitori, costretti a combattere quelli che fino al giorno prima erano amici.
Tuttavia, gli dei non sono la minaccia più grande.
[NO SPOILER BLOOD OF OLYMPUS]
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Jason Grace, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nothing Left To Say


Percy

Fu come uno scoppio in pieno petto. Nella stessa frazione di secondo in cui Ade si vaporizzò nell'ombra, trascinando con sé quelli che erano i suoi amici, Percy scattò in un disperato tentativo di raggiungere la fazione opposta. Si ritrovò ad agguantare l'aria in mezzo al cortile, davanti a tutti, facendo la figura dell'idiota.
Era arrabbiato, frustrato, affranto e anche piuttosto imbarazzato.
Sentì le lacrime pungergli le palpebre. Se non avesse fatto qualcosa sarebbe esploso.
«Non glielo lascerete fare sul serio, vero?» si rivolse ai semidei con voce roca.
I ragazzi si guardavano intorno nervosi. Sembravano un nido di vespe stordito dal fumo ma ancora ronzante, che orbitava intorno alla sua regina.
Reyna stava in piedi perfettamente immobile, in mezzo alla confusione crescente, la bocca semiaperta e gli occhi offuscati dalle lacrime. Fece qualche passo avanti, mentre la folla intorno a lei si apriva al suo passaggio. Si distaccò dalla sua legione. Adesso al centro del piazzale c'erano solo lei e Percy.
«Reyna, andiamo, si tratta di Jason, di Nico, di Frank e Hazel e gli altri! Non puoi startene lì con le mani in mano!» la implorò il figlio di Poseidone. Stava per piangere. Non si ricordava neanche quand'era stata l'ultima volta che aveva pianto. Ma almeno il Campo Giove doveva ascoltarlo. In fondo, due delle persone che aveva nominato erano state pretori, e Jason lo era ancora dopo che, finita la guerra, Frank si era fatto da parte. Durante la battaglia la legione aveva avuto bisogno del valore del figlio di Marte, ma, tornata la pace, per preservarla aveva ancora più bisogno della diplomazia di Jason, che era stato rieletto all'unanimità.
Percy fece un giro su se stesso, guardando negli occhi ogni singolo semidio presente:«Ragazzi, quelli sono i nostri amici! I nostri alleati, i nostri compagni di battaglia! Romani, quello che è stato appena maledetto è il vostro pretore!».
Un mormorio di dissenso si diffuse tra i legionari. Reyna scosse la testa, incapace di parlare, mentre il sangue continuava a defluire dalle sue guance, rendendola pallida come un cadavere. Si sforzava di apparire fiera e orgogliosa, ma era solo atterrita e incredula. Si stava sacrificando di nuovo, per i suoi soldati. Percy s’immaginò che, quando anni prima aveva sostenuto il cielo, doveva aver avuto lo stesso sguardo: quello di chi ha un disperato bisogno di un altro paio di spalle per sopportare un peso troppo grande per uno solo.
Gli venne in mente un piano.
Si stupì della velocità con cui lo aveva formulato, ma si stupì ancor di più per non averci pensato prima. Perché per metterlo in atto al meglio avrebbe avuto bisogno di Jason e dei due campi al completo. Se non fosse stato così stupido sarebbe riuscito ad evitare un macello. Poteva comunque provare a salvare il salvabile. Per farlo, però, doveva portare Reyna dalla sua parte.
Si dette una calmata e cercò di rispolverare le sue scarse doti di oratore. Provò a richiamare il silenzio, ma in vano. Nessuno lo ascoltava. Stava precipitando tutto nel caos come qualche ora prima.
Incredibile come un unico gesto della mano di Reyna bastò a mettere a tacere il tumulto. Anche se era sua amica, Percy non poteva far a meno di essere intimorito da quella ragazza così potente. Il figlio di Poseidone si schiarì la voce e iniziò il discorso, sicuro che non avrebbe trovato le parole giuste:«Semidei, ascoltatemi. Noi tutti siamo compagni d'armi, siamo amici, fratelli. Non possiamo lasciare che gli dei ci dividano, non proprio adesso che ci siamo riuniti e viviamo in pace! Per quanto ognuno di noi possa essere forte e invincibile non è nulla senza gli altri! Non permettiamo che ci rendano nemici, non permettiamo che ci facciano uccidere a vicenda di nuovo! La pace si è ristabilita adesso: non permettiamo che venga distrutta di nuovo! Magari non possiamo fare niente per fermare i nostri genitori, ma se anche riuscissimo a fare la minima differenza, possiamo farlo solo restando uniti! Campo Giove e Campo Mezzosangue, ancora una volta!».
Nell'istante che seguì le sue parole non successe nulla e Percy ebbe paura di aver combinato un disastro. Poi, un timido applauso partì dalle mani di Leo e, di persona in persona, si estese a tutta la folla. In circa trenta secondi le voci dei semidei si erano condensate in un'unica grande ovazione, come non ne vedeva dalla volta in cui lui stesso aveva sconfitto il gigante Polibote, a Nuova Roma. Le guance di Percy si distesero in un sorriso, e sfoderò Vortice dalla tasca, tendendola in alto come in attesa di dare un segnale alle sue truppe, mentre il bronzo celeste brillava di luce propria nell'aria pesante e grigia.
Fin quando una risatina amaramente sarcastica non interruppe l'idillio. Solo lui sembrava averla riconosciuta tra la confusione, probabilmente perché quel timbro gli era più familiare persino del suo.
Annabeth stava raggiungendo il centro del cortile. Reyna, che sembrava essersi ripresa dallo shock quel tanto che bastava per respirare normalmente, la guardò confusa. Percy abbassò il braccio perplesso. Il clamore dei giovani scemò come una radio a cui viene abbassato il volume.
Annabeth guardò torva il punto in cui Ade si era dileguato e attaccò:«L'utopia de "l'unione fa la forza" vi alletta davvero così tanto?».
«Annabeth, che cavolo vuoi fare?».
«Non vi rendete conto di come stanno le cose?». La figlia di Atena continuò imperterrita, ignorando completamente il suo fidanzato. «Credete che unire i campi porterà qualcosa di buono? La verità è che noi dipendiamo dagli dei. E se i nostri genitori decidono che dobbiamo scannarci, essere compagni di schieramento faciliterà loro le cose!».
«Così non aiuti!» la rimbeccò Percy risentito. Non capiva perché si comportasse in quel modo davanti a tutti, perché ci tenesse così tanto a dividere ciò che lui stava strenuamente cercando di unire.
«Apri bene le orecchie, Testa d'Alghe. Magari ascolta chi ha pensato a cosa dire prima di dar fiato alla bocca». Poi tornò a rivolgersi ai semidei:«Non c'è modo di opporsi, stavolta. Le urla degli dei che vi hanno paralizzato neanche un'ora fa ne sono la prova. In guerra non esistono amici: esistono solo alleati. Il conflitto tra dei è inevitabile, ma se ci coalizziamo rischiamo anche una guerra civile tra campo e campo, o peggio, tra semidio e semidio, come un anno fa».
Percy rimase interdetto. Non era da Annabeth essere così cinica, fredda e pessimista, ma era da Annabeth avere ragione. E accidenti, doveva ammettere che ce l'aveva. Aveva anche approfondite argomentazioni degne di un dibattito in Senato. Ok, voleva dire che Percy avrebbe puntato sul ricatto morale:«Forse in guerra non esisteranno amici, ma non possiamo buttare al vento i legami che abbiamo con gli altri solo perché sono in uno schieramento diverso dal nostro. Andiamo, tutti avete un amico che ha scelto di unirsi ad Ade, oggi. Ma non credo che voi lo odiate per questo. Magari siete arrabbiati con lui, ma penso che comunque vogliate aiutarlo».
«Perché dovremmo impegnarci ad aiutare dei traditori?» replicò Annabeth secca.
«Come li hai chiamati, scusa?».
«Puoi negare che siano dei voltafaccia? La Dodicesima Legione Fulminata dipende direttamente da Zeus, quindi i Romani che hanno scelto di unirsi ad Ade sono disertori. Anche se noi Greci siamo un po' meno compatti, non mi sembra che ai semidei che ci hanno voltato le spalle sia importato molto del Campo Mezzosangue, anche se ha offerto loro rifugio e protezione. Tradimento dell'ospitalità. Non so da voi, Reyna, ma per noi è uno dei crimini più gravi che si possano commettere». 
La figlia di Bellona aveva lo sguardo perso, come se cercasse di elaborare pian piano tutte le possibili sfaccettature della vicenda e di prendere la decisione più giusta per il suo esercito.
«Non deve per forza essere così. Non possiamo perdere la speranza di riportare la pace. Magari se solo tu...» Percy non riuscì a finire la frase.
Reyna si volse di scatto e la Legione si mise automaticamente sull'attenti:«Se qualche altro vigliacco vuole disertare, che abbandoni le fila immediatamente. Ci uniremo a Zeus. Chiunque tradisca la causa del Re degli dei, da ora in poi subirà una punizione esemplare. Adesso, chi vuole andarsene se ne vada, lasci qui le sue armi e non faccia più ritorno».
Percy vide dieci o quindici pilum cadere a terra, seguiti da altrettanti gladi. Dakota lanciò di lato il suo scudo, si strappò il distintivo da centurione e si confuse tra i Greci, scuotendo la testa.
Altri come Ottaviano se ne restarono in prima fila a guardare i disertori con aria altera e superba, stringendo convulsamente le armi.
Sul volto di Annabeth si dipinse un'espressione a metà tra il compiaciuto e l'amareggiato. Poi, anche lei se ne andò, ancheggiando come qualcuno che ha appena fatto strike al bowling e tenendo lo sguardo basso.
Percy rimase lì, imbambolato, cercando di assimilare ciò che era appena successo. Si scosse improvvisamente e inseguì Annabeth, barcollando. Quando la raggiunse le afferrò il polso. Lei sussurrò due parole:«Non qui».
Camminarono fino ad un angolo appartato del giardino del palazzo, quasi al limitare con il boschetto. Si sedettero su una fontana secca e Annabeth si guardò intorno nervosa, poi cominciò per prima a parlare:«Mi... mi dispiace di aver dato dei traditori a Jason, Hazel e gli altri. Cercherò di aiutarli, proprio come farai tu. Credimi, vorrei la pace più di qualsiasi cosa, ma questo era l'unico modo».
«L'unico modo per fare cosa?» chiese asciuttamente Percy.
«L'unico modo per dissuadervi. Per indirizzarvi sulla strada migliore per tutti. Rischiavamo troppo».
«Hai cercato di plagiare gli altri. E ci sei pure riuscita!».
«Non ho plagiato nessuno. Ho solo esposto la situazione per come stava. Gli dei ci vogliono divisi e finché non capiamo come si evolveranno gli eventi la cosa migliore da fare è dare retta a loro. Lo capisci questo, Percy?».
«No. Io non lo capisco. Siamo la loro arma, ma se ci perdono con cosa possono combattere? Se noi piantiamo a terra le spade e ci rifiutiamo di ucciderci l'un l'altro, come manderanno avanti questa guerra assurda?».
«Ti costringeranno. Hai visto che cosa fece Crono con Luke. Se un titano può arrivare a fare cose del genere, figuriamoci un dio. Ho paura. Ho tanta paura per tutti noi. Un'alleanza di semidei, allo stato attuale delle cose, sarebbe una pazzia».
«Mentre suppongo che l'unica strada ovvia sia quella di schierarsi con Zeus».
Annabeth alzò gli occhi al cielo:«Non crederai ancora all'innocenza di Ade! E' stato lui a dichiarare guerra all'Olimpo!».
«Di certo non credo all'innocenza di uno che maledice il proprio figlio».
«Beh, tecnicamente Jason è figlio di Giove...».
«Al diavolo! Visto che temi tanto gli dei, con che criterio ti stai mettendo contro uno di loro senza sapere neanche se quella dannata profezia parla di lui! Potrebbe coinvolgere qualche altro dio inquietante come Ecate o Thanatos, potrebbe anche non riferirsi affatto a un dio! Ma no, dato che ha insultato tua madre e Luke preferisci prendere posizione senza motivo, preferisci buttare all'aria l'unica occasione di pace che avevamo e dire che è meglio stare l'uno contro l'altro! Ma cosa ti salta in mente?».
«Percy... mi stai facendo male». Solo allora il figlio di Poseidone si accorse di aver urlato tutto il tempo e di stare stringendo il polso di Annabeth talmente forte da avere le nocche bianche. Mollò il braccio della sua ragazza, sentendosi in colpa.
La guardò e si accorse che i suoi occhi si erano riempiti di lacrime:«Tu non mi seguirai, vero?».
«Potresti essere tu a seguire me, una volta tanto. Hai detto che ci tieni alla pace, e mio padre la desidera. Combatterà per la pace».
Annabeth scosse la testa:«E' un dio, Percy. Vuole il potere, come tutti gli altri. Cerca di mettere l'Olimpo in debito con lui, come fece sconfiggendo Tifone».
Per un attimo Percy la guardò talmente male che lei s’impaurì. Avrebbe voluto risponderle con qualcosa di terribilmente sarcastico, ma non ebbe neanche il tempo di pensarci. In un lampo rosso e un turbinio di foglie e rametti, Rachel si materializzò davanti a loro, spettinata e ansimante. Si rassettò e, dopo aver lanciato un'occhiata divertita ai due, disse:«Scusatemi se vi ho interrotto, ma vi giuro che ho quasi fatto a botte con Ottaviano».
Percy roteò gli occhi:«Che ha fatto stavolta, quell'idiota?».
«Beh, prima di parlarvi di cos'ha fatto lui forse dovrei raccontarvi dei sogni...».
Annabeth la fulminò con lo sguardo:«Quali sogni?».
Rachel deglutì a vuoto, evidentemente messa a disagio dagli improvvisi modi bruschi della figlia di Atena.
«Io, ecco... ormai è qualche notte, anzi, diverse notti che faccio questi sogni. Fino a ora erano state scene d’imprese passate, soprattutto riguardanti il Campo Giove, per cui non ne capivo l'utilità. L'unico particolare strano era che, a mostrarmi queste cose, era un ragazzo, che poi ho scoperto essere Ottaviano. E, parlandone con lui, ho scoperto che la modalità dei nostri sogni era la stessa, solo che lui vedeva il Campo Mezzosangue e a mostrarglielo ero io. Quello di stanotte però... è stato il primo e unico sogno che abbiamo condiviso».
La faccia perplessa di Percy e quella perentoria di Annabeth la incitarono a continuare:«In realtà non è che mi abbia rivelato molto. Era tutto completamente buio. Ma era come se l'oscurità fosse viva e... sembrava che mi stesse uccidendo, dissipando la mia vita come acqua che evapora».
L'inquietante descrizione di quel sogno assurdo fece rabbrividire Percy. Invece Annabeth si accigliò ancora di più:«Perché non ce l'hai detto prima?».
«E' bastato che Apollo leggesse la profezia per scatenare una guerra tra dei. Figurati che cosa sarebbe successo se ne avessi parlato! Il panico generale! Dovevamo risolve la questione con Ottaviano, ma lui si è barricato dietro alla sua decisione di schierarsi con Zeus, mi ha chiamata traditrice e mi ha minacciata di trapassarmi con il gladio».
«Come dargli torto» borbottò Annabeth.
«Vuoi smetterla?» la rimbeccò Percy. Poi si rivolse a Rachel:«Tu che cosa hai fatto allora?».
«Niente. Gli ho tirato un calcio nei gioielli, l'ho lasciato a strillare come una donnicciola e sono venuta dritta da voi».
Il ragazzo dovette trattenere una risata per la nonchalance con cui Rachel aveva trattato la questione di quella testa di rapa di Ottaviano. Annabeth fissava l’Oracolo come per cercare di disintegrarla, ma non risparmiava occhiate dardeggianti neanche a lui. Per un attimo gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, all’ impresa nel Labirinto.
Fu Annabeth a ricominciare improvvisamente a parlare:«Penso che non ci siano più dubbi, a questo punto. I sogni di Rachel mi sembrano molto chiari».
«Annabeth, è stato un sogno solo. Una volta. Rachel non ha neanche visto Ade. Era solo buio».
«Oh, allora il fatto che questo sogno di così poco conto sia stato fatto ieri notte, un giorno prima che venisse pronunciata quella dannata profezia, che esplodesse tutto questo casino e che Ade si macchiasse di tradimento verso l’Olimpo è solo una curiosa coincidenza?».
«Non dico questo. È sicuro che c’entri con tutto questo, viste anche le analogie con la profezia, ma potrebbe non riguardare Ade».
«Naturalmente il margine di errore c’è. Ma di quanto posso sbagliarmi? Non me la sento di rischiare di fallire, neanche se significa averti contro. Puoi fare quello che ti pare, non m’importa. Anche se non penso che sceglierai davvero di essermi nemico».
«Non ti importa? Bene, allora lasciami perdere! Non sai vedere oltre te stessa e la tua opinione, neanche quando in ballo ci sono persone che dici di amare! Sei egoista e testarda».
«E sono anche curiosa di vedere che cosa farai senza di me lì, sempre pronta a salvarti la pelle. Che cosa farai quando, sul campo di battaglia, sarò sul fronte opposto?».
«Penso che qualcosa mi inventerò. Vedrai che starò bene. Non ho più niente da dirti, Annabeth. Ci si becca in giro».
Percy girò sui tacchi e se andò da dove era venuto. Camminava talmente veloce che Rachel, per seguirlo, doveva correre.
La figlia di Atena rimase lì, impalata, per una volta senza sapere cosa dire. Quando si rese conto che Percy non avrebbe cambiato idea, raccolse l’ultimo scampolo di stizza che le era rimasto e gli gridò dietro:«Non posso credere che tu lo stia facendo davvero! Dov’è finito il nostro “basta che restiamo insieme”?».
Il ragazzo si fermò di botto. Aveva colpito nel segno. La guardò per qualche secondo, sorprendendosi per la propria freddezza e disse:«Non lo so. Prova a cercarlo dietro il tuo orgoglio. Ah, e fammi un fischio, se lo trovi». Poi se ne andò, senza più guardarsi indietro e senza pentirsi di non averlo fatto.
 
«Credi che possiamo avere un colloquio con Apollo?» chiese Percy a Rachel. Se ne stavano seduti sul porticato del palazzo, dove, subito dopo la tragica fine del Consiglio degli dei, si erano radunati tutti i semidei. Adesso era pressoché deserto.
«Non credo che sia un buon momento. Perché?» rispose lei, accennando agli dei che erano stati sbattuti fuori dal palazzo. Poseidone, invecchiato di colpo, percorreva a larghi passi il perimetro del cortile, implorando suo fratello di aprire le porte, per mediare e cercare di trovare un accordo. Afrodite ed Efesto erano appartati in un angolo del porticato. Era strano vedere insieme quei due dei così diametralmente opposti. Afrodite sembrava aver appena pianto, per una volta aveva il trucco sciolto lungo le guance. Efesto sedeva a debita distanza da lei, ma le teneva con dolcezza la mano. Apollo invece se ne stava su un ramo di un albero ricurvo del giardino, strimpellando la cetra, lo sguardo basso.
«Niente, volevo solo cercare di vederci più chiaro con questa storia dei sogni e della profezia».
«Possiamo provare». Si alzarono e si diressero verso il dio. Lui non li vide neanche arrivare.
«Divino Apollo» esordì Rachel.
Lui sussultò e le rispose:«Rachel! Il mio Oracolo preferito! Hai bisogno di qualcosa? Se vuoi scusarti per la storia della profezia non preoccuparti, non è colpa tua». Percy si stupì di quanto fosse gentile e disponibile il dio. Poi però cominciò a notare l'aspetto che aveva: la fulgidezza usuale sembrava essere evaporata. I capelli e la pelle erano di un colore smunto, profonde occhiaie e anche qualche ruga solcavano le sue guance e aveva le labbra screpolate. Sembrava più che altro il dio delle insegne al neon.
«In verità non è per questo che siamo venuti. Percy Jackson e io vorremmo chiedervi udienza».
«Permesso accordato». Dopodiché si accovacciò di fronte a loro, come un'adolescente pronta ad ascoltare i segreti di un'amica. Rachel raccontò del suo ultimo sogno, di Ottaviano e delle troppe coincidenze con la profezia. Se possibile, durante la descrizione, Apollo divenne ancora più pallido e le punte dei suoi capelli sbiancarono.
«Rachel, non sono stato io a inviarti quel sogno. Non ne sapevo niente. E poi, andiamo. Di certo non avrei inviato un sogno così importante a quell'imbecille di un aruspice».
Ancora prima di rimanere esterrefatto, Percy portò automaticamente tre dita piegate ad artiglio al petto, sapendo che era l'unica cosa che potesse fare, ed eseguì l'antico gesto per scacciare il male che gli aveva insegnato Grover anni prima.
Grover, il suo migliore amico: lui avrebbe seguito Dioniso e Artemide, si sarebbe schierato con Zeus. Non poteva fare altrimenti.
«Divino, avete idea di chi possa averci inviato quella premonizione, allora?» chiese Rachel, sforzandosi di rimanere calma.
Apollo rispose:«Può averlo fatto chiunque abbia poteri divini. Io non so cosa significhi, ma non avevo mai visto niente del genere da quando siedo sull'Olimpo. Ragazzi, non posso augurarvi il favore degli dei, vista la situazione. Ma che la Moira sia con voi, che il Fato vi aiuti, perché ne avrete un estremo bisogno. Sarete voi a pagare per il nostro egoismo. Mi dispiace così tanto».
Percy si sentiva decisamente a disagio. Era abituato a vedere gli dei come tronfi e altezzosi. Non riusciva a concepirli così fragili. Tuttavia fu lui a parlare:«Grazie, Divino Apollo. E sono contento che voi vi siate unito a Poseidone, mio padre».
Il dio ammiccò e fece cenno a Percy di avvicinarsi. Si chinò in avanti, in modo che le sue labbra sfiorassero l'orecchio del semidio, e sussurrò:«Tienila al sicuro, mi raccomando». Poi indicò Rachel con un leggero movimento della testa. Il ragazzo annuì:«Certo, lo farò». Detto questo si congedarono.
 
Poseidone e il suo schieramento lasciarono l'Olimpo al crepuscolo. Mentre i semidei, nettamente inferiori sia all'esercito di Ade che a quello di Zeus, lo sospingevano verso i cancelli, Percy non vide Annabeth da nessuna parte. Non era venuta neanche a dirgli addio. "Problemi suoi. Che faccia come le pare" pensò.
Mentre marciavano, qualcuno gli si mise a fianco, e un'inconfondibile andatura saltellante catturò la sua attenzione. Grover stava camminando accanto a lui. E il bello è che sembrava anche del tutto a suo agio.
«Grover!» esclamò Percy, decisamente sollevato.
«Ehi, amico. Si mette malino qui, eh?». No, forse non era del tutto a suo agio. La voce tradiva un certo nervosismo.
«Credevo che ti fossi unito a Zeus!» rispose il semidio, avvolgendo il satiro in un abbraccio.
«Sì, ci avevo pensato all'inizio. Ma non ce l'avrei fatta a combattere per quello lì. Che Dioniso se ne faccia una ragione. Non potevo lasciare i miei amici!».
«Ma Annabeth...».
«Per gli dei, credo che sia la prima volta che non ragiona. Ma fossi in te non mi preoccuperei troppo. Sappiamo benissimo entrambi che da domani si metterà a prendere accordi segreti con le altre fazioni e roba simile».
Percy abbassò lo sguardo:«Speriamo che tu abbia ragione».
Si avviarono verso la guerra così, con le braccia l'uno sulle spalle dell'altro.
 
I primi quattro giorni di guerra furono quasi idilliaci. Percy non aveva mai vissuto così piacevolmente una campagna militare. Il grande palazzo sottomarino di Poseidone ospitava un esercito molto più grande delle stime iniziali. Tantissimi semidei, sia Romani che Greci, dopo la catastrofica notizia dello scontro tra dei si erano uniti a loro. Ignorava completamente come se la passassero nelle altre due fazioni.
Quando i pensieri correvano ai suoi amici, la rabbia, divenuta tristezza, era insopportabile. La sola idea di doversi trovare a incrociare la spada con Nico, o a duellare con Jason gli faceva venire la nausea. Quanto a Annabeth la teneva accuratamente fuori dai propri pensieri. Non si era neanche pentito di non essere rimasto con lei, perché aveva evitato di pensarci. Tanto, ormai, quel che era fatto era fatto. Non poteva tornare indietro, e non poteva permettersi di soffrire per le sue decisioni.
Nonostante i ciclopi fabbricassero armi senza sosta, e fossero sottoposti a continue esercitazioni e spiegazioni del piano di attacco, passava gran parte delle sue giornate con Piper, Leo e Grover, a giocare a Mitomagia e a bighellonare per il palazzo. La sera incontrava Tyson, dopo che aveva finito il suo turno di lavoro, e cenava insieme a lui.
Era bello, per una volta, essere un soldato semplice anziché il comandante.
E tutto quel divertimento, tutto quel cameratismo gli faceva quasi dimenticare che fuori il mondo si preparava ad una delle guerre peggiori mai viste, quasi scordare che i suoi amici di una vita erano diventati i suoi nemici, che la pace tanto agognata e duramente ottenuta era stata spezzata di nuovo, che ci sarebbero state presto nuove vittime innocenti e nuovo dolore.
Quasi.
Era a quel "quasi" che pensava, la notte della vigilia di Natale, disteso sul suo vecchio letto, a casa dei suoi genitori. Suo padre gli aveva permesso di passare il Natale con sua madre e Paul Stockfis, in tutta tranquillità, come un normale diciottenne newyorkese.
Quel "quasi" lo teneva sveglio da diverso tempo, non avrebbe saputo dire quanto. Quantificò che non dovesse ancora essere mezzanotte, visto che il vecchio pendolo nel soggiorno non aveva ancora emesso nessun rumore.
Per un po', la curiosità di sapere che ore erano rubò la scena ai dubbi esistenziali. Così si alzò dal letto e andò in salotto, per controllare l'orologio.
Come da vecchia abitudine, si affacciò alla finestra accanto alla porta d’ ingresso. Da lì, oltre le vette dei grattacieli, si vedeva uno scorcio della punta dell'Empire State Building. Secondo quanto gli avevano detto, l'esercito di Zeus doveva ancora trovarsi lì.
Si sentivano i fievoli rimasugli dei cori di Natale per la strada. Le luminarie dei vicini lo abbagliarono per un secondo. Così, quando si voltò per consultare il pendolo, attribuì a quello il bagliore che vedeva aleggiare nell'aria. Solo quando si fece più intenso e insistente capì di cosa si trattasse: un messaggio-Iride.
In mezzo alla stanza comparve il volto di Reyna, sporco e sudato. Percy non si chiese come avesse fatto a trovare un arcobaleno in piena notte. Non si chiese neanche perché lo stesse disturbando proprio la vigilia di Natale.
Fortunatamente i suoi occhi riuscirono a catturare sufficienti particolari dello sfondo del messaggio da capire che trasmetteva dalla cima dell'Olimpo.
Perché le parole che uscirono dalla bocca del pretore cancellarono tutti gli altri "quasi" che aveva per la testa:«Percy, Ade ci ha attaccato a tradimento. E' un casino. Muoiono come mosche. Aiutateci, vi prego».
Poi un fendente di spada troncò la conversazione.  
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SPAZIO AUTRICI:
Salve! La nostra assenza è stata imperdonabile, ma tra pigrizia, studio, mancanza di idee e mille altre cose da fare, questa storia era finita nel dimenticatoio. Siccome però ci sembrava un peccato non terminare una fan fiction alla quale avevamo lavorato così sodo, di punto in bianco ci siamo rimesse a scrivere, e questo è il nostro grande ritorno, anche se un po' noiosetto come capitolo.
La canzone nel titolo è Nothing Left To Say, degli Imagine Dragons.
SEAs
  
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