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Autore: Fuuma    10/11/2008    4 recensioni
La tenuta italiana di Reborn è esattamente come ci si aspetterebbe da un killer come lui.
L'ha visitata più di una volta, è nato in Italia ed è normale per lui andare a trovare colui che fu il suo Maestro. Soprattutto dopo le voci che sono giunte alle sue orecchie.
"Te ne vai?"
"Chi te l'ha detto?"
Avrebbe preferito sentirlo dire da lui, ma così non era stato.
[Otona!RebornxLambo][TYL!DinoxTY!Hibari]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: In a killer's Manor

Beta: MehDolcenotte, che cara ragazza, soprattutto quando mi da ragione *__*

Rating: Nc-14
Characters: Otona!Reborn, TYL!Dino, TYL!Lambo, TYL!Kyouya Hibari

Pairing: RxL, Dx18

Note: Non avendo niente di meglio da fare ho pensato di gettarmi nella stesura di una fic in 15'' seguendo il prompt della writing community 15_minute_fic. Lo scopo è esattamente quello di scrivere una fic in 15 minuti e non di più, inutile dire che io ho sfasato di almeno tre ore abbondanti, senza calcolare il tempo di rilettura e correzione e quello della mia beta*_*"... ma vabbeh, come ho già detto non avevo niente di meglio da fare XD!

Ultimamente non so perché ma mi è presa la voglia di trattare Rebocci in versione adulta (che sopporto molto, ma molto, molto di più, rispetto al suo alter nanico >_>) così boh, ho iniziato a scrivere questa fic su di lui; doveva essere una Angst, o almeno andarci vicino... alla fine l'angst non ho ben capito dove sia andato a finire e come al solito i personaggi hanno fatto tutto da soli>_>".


.In a killer's Manor.

La pallottola attraversò l’aria con un fischio acuto che si udì appena prima che il foro si formasse sulla lattina.

Un colpo solo, preciso. Dritto nel mezzo del barattolo a venticinque metri esatti da lui.

Cadde rimbalzando su se stessa almeno un paio di volte prima che il braccio di lui si distendesse nuovamente per prendere velocemente la mira e sparare di nuovo, uno, due, tre colpi facendola ballare come dotata di vita propria.

“E’ così che si allena il miglior hitman d’Italia?”

Li aveva sentiti i passi dell’uomo alle proprie spalle, i tacchi delle sue scarpe maschili picchiettare contro la nuda roccia che formava parte del selciato nella sua tenuta italiana; la sua preferita tra le altre cose, per svariati motivi che, infine, si riducevano tutti a “Si trova nella mia patria ed ha tutto ciò di cui io ho bisogno”.

Prima di voltarsi piegò il braccio per alzare la canna della pistola verso il viso, soffiandovi sopra, guardando il fumo svanire nell’aria profumata di limoni maturi. La fece ruotare tra le mani e la re-infilò nella fondina, nascosta nella giacca, sul lato sinistro del petto dove un destroso non avrebbe avuto alcun problema a recuperarla in caso di bisogno.

Soltanto allora le scarpe, nere e costose, si girarono per permettergli di guardare in faccia l’uomo che lo aveva disturbato con tanta nonchalance durante il suo periodo di riposo.

“Sei tu.” constatò pacato, sistemandosi la tesa del Borsalino scuro ben calcato sui capelli corvini, quei capelli dal taglio folle che soltanto un genio come Mario –il suo personale coiffeur- riusciva a ricreare tutte le volte.

“Speravo ti saresti dimostrato un po’ più felice di vedermi… Posso capire che avresti preferito la visita di una donna bella e prosperosa, ma così ferisci i miei sentimenti.” Blaterò l’uomo con fare teatrale, mentre con una mano si asciugava una lacrima invisibile dal volto e con l’altra cercava di nascondere il sorriso divertito nato spontaneo.

L’altro si prese la libertà di osservarlo per qualche lungo istante, ridisegnando con lo sguardo i lineamenti marcati di un viso adulto incorniciato da crini selvaggi del colore del granturco maturo, un colore che stava tra il biondo ed il castano.

Sospirò, scuotendo il capo e infilando la destra nella tasca dei pantaloni, naturalmente cuciti su misura. Se doveva avere una cosa, il minimo era averla ben fatta.

Sono felice di vederti, Dino.” Non c’era enfasi nella sua frase, scivolò via in un unico soffio atono e basso e se lo Stallone fosse stato uno dei suoi nemici, avrebbe iniziato a tremare davanti allo sguardo che gli tirò.

Pece nera.

Erano gli occhi di quell’uomo. Petrolio, si attaccava alla pelle e si insinuava in ogni poro senza che si riuscisse mai a distogliere lo sguardo.

“Per che cosa mi cercavi?” gli chiese poi.

Dino si trovò ad indietreggiare di un passo ancor prima che al cervello arrivasse la sensazione di timore reverenziale che la sola voce dell’altro gli aveva procurato.

Guardò oltre le spalle di lui, per non dover duellare con i suoi occhi, e rispose.

“Mi hanno detto che te ne vai.”

“Chi?”

“Perché?” riprese, cercando di mostrarsi seccato per essere stato interrotto.

“Non mi piace chi risponde alle mie domande con un’altra domanda.” Sibilò l’hitman, affilando lo sguardo. Neppure un oceano nero sarebbe apparso più glaciale ed allo stesso tempo più minaccioso.

“Nh.” Mugugnò in risposta Dino, indietreggiando di un altro passo.

Ogni volta che credeva di riuscire ad essersi avvicinato a quell’uomo questi lo ribatteva lontano, al suo posto di misero allievo che mai e poi mai avrebbe superato il maestro. Non come Tsuna…

“Tsuna. È stato Tsuna.” Mormorò quindi, abbassando lo sguardo e distogliendolo completamente dal volto di lui. Lineamenti duri, occhi neri che richiamavano i cimiteri infestati nelle notti di halloween e quelle strampalate basette che soltanto su di lui potevano avere un senso e risultare meno stupide e ridicole di quanto invece fossero.

“Capisco.”

Tutto qui, non aggiunse altro, mosse un primo passo a superare il corpo di Dino ed un secondo che lo allontanava dal selciato, riconducendolo verso il tavolo della veranda su cui aveva lasciato il vassoio con due tazze ed una teiera di ceramica bianca.
Prese posto su una delle seggiole in ferro battuto e soltanto allora tornò con lo sguardo verso lo Stallone che non si era mosso dalla sua posizione iniziale.

“Dino.” Chiamò piano.

Il giovane boss ci mise qualche lungo secondo prima di sentirsi uno stupido ragazzino infantile e decidersi a voltarsi, mordendo nervosamente il labbro inferiore mentre la mano sinistra, spostata dietro la schiena, stringeva convulsamente l’impugnatura di cuoio scuro della sua Lady. Non era così malato da dare un nome alla propria frusta, ma di quando in quando gli capitava di chiamarla in quel modo, come se si fosse trattato di una donna , della sua donna, cosa che Kyou non gradiva affatto e più volte era quasi riuscito a spedirlo in uno dei refrigeratori dell’obitorio di Namimori con un tonfa piantato nel cuore. Tornò rilassato a questo pensiero, ricordando lo sguardo assassino del Guardiano delle Nuvole mentre a denti stretti, più irritato che mai, gli ringhiava che lo avrebbe prima morso a morte e poi impiccato con la sua stessa frusta.

Scosse il capo e si avviò verso la veranda, ritrovando una seconda seggiola ad aspettarlo e lo sguardo dell’uomo che ancora lo fissava accavallando le gambe e poggiando il gomito al tavolino di marmo bianco, reggendo tra le dita la propria tazzina di tea.

Ce n’era un’altra di fronte a lui.

Dino inarcò un sopracciglio biondo, sedendosi.

“Sapevi che sarei venuto?” domandò, senza riuscire a nascondere la propria piacevole sorpresa.

L’altro rise, o sorrise soltanto, la differenza era così poca quando si trattava di lui che era difficile capirlo.

“Mi sarei offeso se non fossi venuto.” asserì leziosamente, portando la tazzina alle proprie labbra e dandovi il primo sorso.

Tea verde e bollente.

Così come piaceva a lui.

“Ah… Beh… Io non pensavo che…”

“Stai balbettando, Dino.” Gli fece notare, come se lo Stallone non lo sapesse e non si sentisse già abbastanza immaturo. Era assurdo il modo in cui, ogni volta che si ritrovava davanti l’Hitman più in gamba della Penisola, i suoi trentuno anni non contassero più niente; finiva sempre per sentirsi il marmocchio di quindici anni prima quando un piccoletto di poco più di un anno gli era zampettato di fronte con l’aria e l’arroganza di un adulto, arrogandosi il diritto di diventare suo tutore.

C’erano momenti in cui lo avrebbe ucciso se avesse potuto.

Altri –la maggior parte- in cui gli era grato di averlo fatto diventare ciò che era.

“Credevo…”

“Cosa?”

“Beh… ehm…”

“Non ricomincerai, vero?”

Sbuffò, gonfiando le guance. Ed ora, proprio ora, sì, si sentiva ancor più moccioso!

“Eddai Reborn, lo dice anche otooto, tu ti diverti troppo a mettere in soggezione la gente!” si lamentò, incrociando le braccia al petto, districandole dall’incrocio, passando nervosamente una mano tra i capelli dorati ora lunghi sin oltre le spalle e tornando ad incrociare le braccia.

Reborn ne apparve compiaciuto.

Era vero, si divertiva.

Lo adorava.

Peccato ci fosse gente a cui non faceva molto effetto, come una certa aho ushi ad esempio, che aveva avuto il coraggio di chiedergli di portarlo con sé o peggio! Quel Bovino gli aveva chiesto una cartolina… a lui… Il più temuto killer di tutti i tempi, che spedisce cartoline ad un idiota simile?!

Ancora adesso, se ci pensava, il sangue gli ribolliva nelle vene e le dita gli prudevano, sottolineando quel bisogno assoluto di sparare a qualcosa –o qualcuno-.

“Non starò via molto.” riprese invece, cercando di apparire calmo come al solito. Gonfio della sua insensibilità di cui faceva vanto. “E voi non avrete bisogno di me.”

“Ma se…”

“Dino, io sono solo un killer a pagamento, non ho una Famiglia da comandare e i miei affari riguardano me e basta.”

Lo Stallone annuì, spingendosi con la schiena completamente contro lo schienale della seggiola.

A quanto pare il discorso aveva raggiunto la sua naturale fine.

“Yare, yare. Almeno ce la spedirai una cartolina?”

Non era stato Dino a parlare.

Ci fu silenzio.

Un silenzio di tomba. Mortale.

Ed alla prima vena ballerina che pulsò alla tempia di Reborn, se ne aggiunse un’altra e poi un’altra ancora, finché l’espressione assassina non tornò a brillare sul volto dell’uomo.

“Devo intenderlo come un no?” rincarò una voce ben conosciuta, con il tono languido di un playboy e una palpebra calata a coprire l’occhio destro, mentre l’indice della mano sinistra sfiorava la fronte, in un’elegante posa plastica, facendosi spazio tra crini corvini.

Dino si sorprese di vederselo comparire alle spalle, ma si sorprese di più a notare quel che indossava il ragazzo: un paio di boxer bianchi con macchie scure simili a quelle delle mucche e… e dei sandali beige. Nient’altro.

Ebbe anche la vaga impressione che fosse appena uscito dalla doccia visto alcune gocce d’acqua che lente colavano dalla linea del collo seguendo quella poco marcata dei pettorali.

Almeno adesso sapeva che il Boss dei Bovino non era svanito nel nulla come sostenevano le voci che circolavano da qualche settimana…

“Ehm…” iniziò lo Stallone, sentendo l’aria frizionarsi intorno al corpo di Reborn ed un’aura intensa e negativa che si faceva sempre più tesa “Forse è il caso che io tolga il disturbo…”

“Sì.” sibilò l’hitman “Non voglio avere testimoni quando mi prenderò la vita di quest’aho ushi!”

Non attese neppure che Dino iniziasse a correre via verso l’uscita della tenuta, si limitò ad infilare la mano al di sotto della giacca nera, allacciare le dita affusolate intorno al manico della fidata Colt ed estrarla. Il  dito premette sul grilletto, senza bisogno di prendere la mira, ed i primi due colpi sfiorarono la nuca di Lambo che già si era dato alla fuga.

“Hiiiii, ma Reeeboooorn, così farai male a qualcunooooo!” fece il più giovane, con voce lamentosa e gli occhi lucidi di pianto.

“E’ proprio quello che voglio, imbecille!”

“Mi dispiace per lui…”

Dino diede le spalle ai due, portandosi alla ghiaia che conduceva verso il cancello principale, rischiando di inciampare un paio di volte nei propri piedi e ritrovandosi completamente sdraiato sull’asfalto alla terza, con la faccia spalmata sulla strada.

“Ma porc… che dolore…” si rimise a sedere, premendosi il naso con entrambe le mani e quando alzò gli occhi sulla strada, due lame di nera pece imprigionarono il suo sguardo.

Una spazzolata di capelli tagliati corti simile al piumaggio spettinato dei pulcini ed un semplice kimono di stoffa nera a coprire le forme di un corpo snello ed al contempo virile.

“Hai finito di fare il clown, Stallone, o devo morderti fino alla morte?”

Dino si sentì improvvisamente la gola secca e la lingua impastata.

Kyouya Hibari sapeva essere sexy perfino quando lo minacciava.

Si alzò di colpo, riuscendo per puro miracolo ad evitare di scivolare nuovamente e sorrise in direzione del Guardiano, circondandogli le spalle con un solo braccio e soffocando piacevolmente nel profumo del suo balsamo.

Kyouya ne osservò diffidente e seccato ogni movimento, per poi mostrare una smorfia insofferente quando il braccio dell’uomo lo circondò.

“Grazie per avermi aspettato, Kyou.” Fece Dino, in un italiano troppo veloce che Kyouya comprese appena.

Essere venuto con lui sino in Italia, costretto a mischiarsi con quegli inutili erbivori che non capivano mai una parola della sua lingua e lo guardavano come se fosse un qualche stupido idol giapponese indicandolo ad ogni angolo della strada, era stato soltanto una perdita di tempo.

“Come premio questa notte ti farò usare la mia frusta.” chiocciò orgoglioso lo Stallone.

Il Guardiano voltò completamente lo sguardo verso di lui, riempiendolo di una strana luce perversa e soddisfatta, cosa che risultò particolarmente inquietante.

“No… aspetta…” intuì l’altro “Volevo dire che ti avrei insegnato ad usarla, non che l’avresti potuta usare contro di me. Kyou, Kyou, lo sai che certi giochetti erotici non mi piacciono… se a subirli sono io.” sorrise a stento, sperando di essere riuscito a convincere il più giovane, ma di tutta risposta questi mostrò un ghigno e lo superò, iniziando ad indirizzare i propri passi verso il Quartier Generale della Famiglia Cavallone.

Forse non era stato totalmente una perdita di tempo.

“Kyooooou, daaaai, facciamo che ci ripenso e non ti ho detto nient… waaaa!”

Finì come al solito.

Kyouya sorrise mefistofelico e Dino inciampò nei propri piedi rotolando per svariati metri, giù, lungo la discesa che dava direttamente sulla spiaggia e poi sul mare.


.THE END.

-phrasebook-
Otooto = Little brother

Aho ushi = Stupid cow

   
 
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