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Autore: Nina Ninetta    23/12/2014    1 recensioni
*IN FASE DI EDITING*
L'avventura di tre giovani amiche - Teddy, Morena e Grimilde - si svolge in soli due giorni: un week end speciale che decidono di trascorrere in un resort per festeggiare l'addio al nubilato di Teddy, inconsapevoli che qui incontreranno i fantasmi del loro passato, con cui saranno costrette a confrontarsi, senza poter più rimandare.
PS. Il titolo è tratto dalla canzone "Per Sempre" di Nina Zilli.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17


 
Al cinema e in televisione il giorno di Natale è il giorno più felice dell’anno. È il momento giusto per riappacificarsi con le persone amate.
E allora perché diamine stava andando tutto alla malora proprio il 25 dicembre?
Da quando Teddy era sparita oltre le porte del locale per risolvere quella situazione – con l’auspicio che la risolvesse nel modo giusto – Grimilde non aveva più aperto bocca. Si era seduta pesantemente sulla sedia e, ascoltando Morena che inveiva contro Diego, era riuscita a comprendere più o meno quello che doveva esser accaduto in sua assenza.
Tutta l’euforia di gridare al mondo (che poi il suo mondo erano le sue amiche) della scelta di seguire Alex a Barcellona, era vacillata in un nano secondo, così come era arrivata. Se Teddy non si sarebbe trasferita in Italia, come aveva creduto fino a quel momento, allora tutto cambiava. Tutto mutava.
Ma davvero la sua amica avrebbe fatto lo stesso errore per la seconda volta?
Possibile, si disse, che non aveva imparato la lezione?
Cos’è che la tratteneva dal vivere i suoi giorni al fianco di Nicolas?
Paura? Patriottismo? Autolesionismo?
Ecco, si disse la biondina, l’ultima opzione sembrava quella più plausibile.
Alzò lo sguardo per posarlo ora su Morena, ora su Torres, mentre lei continuava a dirgli che doveva imparare a tenere la bocca chiusa, che se lui non ci fosse stato, come era normale,  ora starebbero pranzando fra sorrisi e ricordi allegri.
Grimilde sentì la mano di Alex sfiorarle i capelli e si voltò con un’espressione funerea e lesse la paura sul suo viso.
Lo sapeva, Martinez sapeva che la volontà della sua bionda di trasferirsi in Spagna era una diretta conseguenza di quello che avrebbe deciso Teddy. Lo sapeva e adesso tremava al solo pensiero di finire come Romero e la stessa Teddy: due persone che si amavano alla follia, ma che il destino – se vogliamo usare un eufemismo – aveva fatto di tutto per dividere. Ma Alex avrebbe lottato, fino allo stremo se ce ne fosse stato bisogno, per portare Grimilde con sé. Le carezzò il viso e a fior di labbra la baciò, sussurrandole che non sarebbe cambiato nulla, che lei sarebbe comunque andata a vivere a Barcellona. La biondina abbassò lo sguardo senza aggiungere altro, né un sorriso.
 
Morena si alzò in piedi non appena Diego cercò di difendersi e di intraprendere un discorso con lei. A tutti e a nessuno annunciò che aveva bisogno della toilette, sottintendendo che aveva solo bisogno di allontanarsi un attimo per ricaricare le batterie.
Grimilde si avvicinò al piccolo Martin, prendendo a fargli smorfie simpatiche che lui sembrava gradire:
«Non ti sembra il bimbo più bello del mondo?» disse ad un tratto Diego Torres guardando suo figlio con occhi luccicanti, sorprendendo Grimilde che gli era di fronte e Alex, all’altro capo del tavolo. I suoi tentativi di fare conversazione erano da ammirare, ma continuavano ad ottenere pessimi risultati. Senza smettere di giocherellare con Martin e senza guardare Torres, la biondina affermò:
«Non mi piaci» attese qualche secondo sentendo gli occhi dei due pallavolisti cileni su di lei «Non mi sei mai piaciuto. Non credo che tu sia la persona giusta per Morena, né lo sarai mai! Lei merita molto di più di uno come te.»
Diego la fissò a bocca aperta, senza sapere di preciso cosa rispondere. Anzi, lo sapeva, doveva solo trovare il coraggio di ammettere che aveva maledettamente ragione. Chinò il capo e si guardò i pugni:
«Hai ragione» disse poi «So di aver sbagliato tutto ed è per questo motivo che sto cercando di rimediare, ma lei è così ostinata e non mi guarda neanche in faccia. Aiutami, dimmi cosa devo fare» concluse, alzando lo sguardo e cedendo sotto quello di ghiaccio di Grimilde, la quale probabilmente lo stava osservando da un po’, con quell’espressione fra lo schifata e la pena che si proverebbe per un mendicante:
«Aiutarti? Io? Vuoi sapere la prima cosa che ho pensato quando Morena è tornata in Cile? Finalmente, ha lasciato quell’idiota!»
La biondina e Torres si studiarono ancora un po’, come due bestie che stanno per azzannarsi, e se Morena non fosse tornata dal bagno in quel preciso istante, mettendo fine a quell’assurdo siparietto, Martinez era già pronto per intervenire, invece tirò un sospiro di sollievo.
 
Per la prima volta nella sua vita Teddy non rabbrividì per le temperature rigide, nonostante non avesse il giubbino. In realtà non lo sentiva neanche il freddo. Il suo corpo e la sua mente erano troppo concentrati su quello che sarebbe accaduto di lì a qualche minuto e quando vide Nicolas Antonio, al riparo dalla pioggia sotto uno dei tendoni al centro del terrazzo, fece un respiro profondo. Era tempo di affrontarlo e di mettere la parola fine a quella storia.
Alla loro storia, molto più probabilmente. Uscì allo scoperto e corse per raggiungere il prima possibile il rifugio, ma ritrovandosi ad appena un metro da lui ebbe quasi l’impulso di tornare indietro e farsi scivolare l’acqua addosso, così che potesse portare via tutte quelle brutte emozioni. Improvvisamente si ricordò di non aver appresso le sigarette, che aveva lasciato nella borsa che aveva dimenticato a sua volta sul tavolo e il batticuore andò peggiorando.
Nicolas Romero se ne stava con le mani nelle tasche dei jeans, a fissare il panorama plumbeo che si estendeva dinnanzi a lui a perdita d’occhio. Le nubi avevano inghiottito tutto in un quadro spento, smorto, senza vita. Compreso lui stesso. Sentì l’avvicinarsi di Teddy, ma non si girò a guardarla. Non ce la faceva, un sentimento di astio gli bruciava dentro come non mai. Era come se tutto il bene che aveva provato per lei fino a qualche minuto prima si fosse trasformato in risentimento, così, come il capovolgimento di una stessa medaglia.
Testa o croce?
«Ti ho portato il giubbotto» gli disse con un filo di voce porgendoglielo, tuttavia quando non diede segni di volerselo riprendere abbassò il braccio e sospirò, non sapeva neanche da dove iniziare, in ogni caso ci provò «Te ne avrei parlato stasera. Io … io» si passò una mano fra i capelli «Mi dispiace, il fatto è che non riesco a immaginare di dover vivere in un altro posto che non sia Santiago. Io …»
«Entro domani ti voglio fuori da casa mia» la interruppe il ragazzo, il tono così brusco e perentorio che Teddy faticò a riconoscere come veramente suo:
«Vorrei solo spiegarti che …»
«Se vuoi un consiglio comincia già da ora a cercare un biglietto aereo, di questi tempi i voli sono pochi» continuò lui, incamminandosi sotto la pioggia, senza preoccuparsi dell’acqua, allontanandosi da lei che lo seguì con lo sguardo tornare all’interno del ristorante.
Non le aveva neanche dato la possibilità di spiegare le sue ragioni.
 
Nicolas lasciò il locale subito dopo esser tornato dentro, lanciò le chiavi di casa a Martinez che fu costretto a prenderle al volo e poi si allontanò, senza dare spiegazioni. Tornarono indietro con la macchina di Diego, cosa che irritò ancor di più Morena, ma si rese conto che era l’unica soluzione possibile e si sforzò di rimanere zitta.
Dopo aver confabulato a lungo, Alex decise di fare quello che in realtà spettava a Grimilde, ovvero annunciare a Teddy che si sarebbe trasferita a Barcellona con lui. La biondina intervenne dicendo che ancora nulla era sicuro, che era solo un progetto campato in aria. Il problema era che non le andava di lasciare da sola Teddy a Santiago, l’una erano la famiglia dell’altra e i familiari non si abbandonano. Ma la ragazza castana si sforzò di sorridere, abbracciandola forte e dicendole che aveva fatto la cosa giusta:
«E allora perché non fai anche tu la cosa giusta, Teddy?» le aveva chiesto Grimilde ancora stretta a lei «Perché non rimani al fianco di Nicolas?»
In tutta risposta Teddy l’aveva stretta un po’ più forte e nient’altro.
 
Nicolas Romero rientrò in serata e quando nella propria camera trovò Teddy intenta a ficcare le cose nel suo trolley, aspettò in corridoio che avesse finito, con le spalle contro il  muro. Quello che le faceva più male non era il silenzio intestardito, ma il modo in cui la guardava, quelle rare volte che lo faceva. Sembrava un’altra persona, del ragazzo buono e gentile che aveva amato – e che ancora amava – non era rimasto più nulla e la colpa era soltanto sua. Rimase sull’uscio della porta, tirandosi dietro la valigia, mentre lui la oltrepassava per entrare nella camera, fece per dirgli qualcosa ma si ritrovò la porta chiusa in faccia. Forse questo era quello che si meritava, forse era stato già fin troppo compassionevole a lasciarle passare lì la notte.
Preparò velocemente due tazze di tè e si spostò nel salotto, ove vi trovò Diego Torres come aveva immaginato, accoccolato sul divano, sotto una coperta di lana. Quando la vide abbozzò un sorriso di sbieco e si scostò per farla accomodare, accettando di buon grado la bevanda calda. Rimasero in silenzio per un po’, senza distogliere gli occhi dalla valigia di Teddy.
«Eccoci qui. I due reietti» disse lui dopo un po’ e si girò a guardarla «Tu sei ancora in tempo. Ripensaci»
Teddy bevve due sorsi di tè che gli bruciarono lungo la gola. Aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornata su i suoi passi.
«Tu piuttosto! Smettila di fare lo zerbino con Morena. Non ha bisogno di uno schiavetto»
Lui sospirò:
«E cosa dovrei fare? Se provassi a fare quelle sceneggiate amorose mi manderebbe direttamente al diavolo»
«Dille qualcosa di concreto» gli consigliò Teddy senza sapere precisamente perché stesse aiutando quel desgraciado a tornare insieme alla sua amica, quando era stata la prima a scagliarsi contro di lui quella mattina in Sardegna, dopo aver fatto l’amore con Nicolas. Scacciò quei pensieri dalla testa sorseggiando il tè.
La parola “concreto” prese pian piano forma nella mente di Diego, il quale improvvisamente lasciò la sua tazza ancora piena per metà nella mani di Teddy e la ringraziò, balzando dal divano per correre fuori dalla stanza. La ragazza castana rimase così, con la fronte corrugata, sussultando quando lui si riaffacciò per dirle che stava facendo la seconda colossale cazzata della sua vita, avrebbe fatto meglio a cambiare idea e lei capì che Morena gli aveva raccontato le vicende della sua giovinezza.
Poi rimase da sola, con due tazze di tè ancora colme e con un masso, pesante e grigio, sul cuore.
 
Morena era ancora sveglia quando Diego bussò alla porta della sua camera e senza attendere il permesso di entrare, si infilò all’interno chiudendo la porta dietro di sé, facendo attenzione a non svegliare il piccolo Martin.
La ragazza bruna avvampò per la rabbia, andandogli incontro e intimandogli di uscire immediatamente, trattenendosi dall’urlare, ma lui congiunse le mani davanti al viso come se stesse pregando e infatti la supplicò di ascoltarlo solo per un attimo, non voleva litigare, solo parlare.
«Ti prego, mì amor» disse e Morena gli chiese di smetterla di chiamarla con quel nomignolo o non l’avrebbe ascoltato affatto. Lui assentì e quando fece per sfiorarle il viso, gli disse che non avrebbe dovuto neanche toccarla e annuì di nuovo.
«Ho sbagliato» cominciò «Dio solo sa quanto sia stato stupido a ferirti a quel modo e so che rimediare è quasi impossibile, ma c’è lui …» indicò Martin beatamente addormentato sul letto sotto le coperte « … Se non vuoi tornare a casa per me, fallo per lui.»
Morena si voltò indietro a osservare il suo bambino. Anzi, il loro bambino. Quel fagottino rannicchiato che non era altro se non il risultato dell’amore che provava per Diego, o per lo meno aveva provato, perché adesso era tutto confuso: sentimenti, gioie, dolori, rancori.
«Fin dove ti sei spinto con quella?» gli chiese ad un tratto, senza però trovare la forza di guardarlo in faccia e dopo un lungo momento che parve durare anni, lo sentì farfugliare un:
«Mi dispiace …» lei sentì una rabbia irrefrenabile montarle dentro «Rifletti su quello che ti ho detto. Non pretendo il tuo perdono, ma nostro figlio ha il diritto di vivere una vita tranquilla e comune, come tutti gli altri bambini, quindi con una mamma e un papà.»
Non ricevendo risposta Torres sospirò e fece per tornare di sotto, quando lei lo fermò chiedendogli se per caso di sotto ci fosse anche Teddy. Il cileno le confermò che la sua amica era proprio in soggiorno, Morena allora si congedò da lui, affermando che doveva rimanere lì a badare a Martin, quindi uscì dalla stanza.
Giunta in salotto vi trovò Grimilde aggrappata a Teddy come un polipo e in lacrime, mentre la supplicava di restare a Torino con Nicolas o lei non si sarebbe mai potuta perdonare il suo trasferimento in Spagna. Morena si sedette al loro fianco consolando la biondina con tenere carezze e sussurrando a Teddy che era una gran imbécil.
 
 
Teodorita Gomez non ricordava neanche più come ci era arrivata lì.
Anzi, come ci era (ri)tornata.
L’unica cosa che sapeva era che faceva freddo. Tanto freddo. Troppo freddo. Il giubbotto di piume con il cappuccio alzato e i guanti servivano a ben poco. Ma la colpa era sua. Se non fosse stata così freddolosa e intollerante alle temperature al di sotto dei 15° forse non starebbe letteralmente morendo di freddo. Si strofinò le mani e vi soffiò dentro, senza smettere di tremare. Aveva i muscoli dell’addome indolenziti per quanto tempo era rannicchiata e tesa e tremolante. Anche le gambe iniziavano e dolerle, avrebbe dovuto stenderle un po’ ma quando ci aveva provato quel venticello gelido le aveva subito fatto cambiare idea.
Alzati
si disse
sempre meglio che rimanere congelata tutta rattrappita …. Scema! Concluse il suo ego.
Come ci era finita lì?
A tentoni si mise in piedi, muovendo le gambe formicolanti e sbattendo i denti.
Allora? Come ci era finita?
 
Quella mattina era stata la prima a svegliarsi, non che avesse dormito granché a dire il vero, in ogni caso quando aveva aperto gli occhi le sue amiche stavano ancora ronfando, tutte strette e in posizioni che avrebbero fatto invidia ad un contorsionista. Si era alzata piano, osservandole dall’alto.
Grimilde, i suoi capelli biondi e la pelle lattiginosa. La prima volta che l’aveva vista erano della bambine tutte emozionate per il primo giorno di scuola. Fra tutti quei bambini Teddy era stata attratta da una in particolare, bionda e bianca, che spiccava contro un muro di pelle scura. Lo zaino era tre volte più grande di quella bambina con la testa china e la manina nascosta in quella grossa di un uomo vestito per bene, affascinante, ma che non aveva neanche un tratto somatico in associazione con quella piccolina. Teddy avrebbe scoperto più in là negli anni che quell’uomo era suo padre, poiché suo madre era già andata via, lontana da quel Paese e quella gente (suo marito e la famiglia di quest’ultimo) che non l’aveva mai compresa.
Teddy e Grimilde non scambiarono una sola parola fino al primo giorno di scuola secondaria, quando quella ragazzina entrò nella sua stessa classe, lo zaino troppo grande per lei, i capelli biondi e lunghi. Il problema di Grimilde era che attirava le simpatie dei maschi e le antipatie delle femmine. Ma non la sua. Teddy non riuscì mai a spiegarsi cos’era che l’attirava di quella ragazzina così diversa da lei e dall’amica di sempre, quella di una vita, ovvero Morena, fatto sta che d’istinto aveva alzato un braccio per attirare la sua attenzione e farle segno che lì di fianco a lei c’era un posto libero.
Grimilde aveva sorriso, un sorriso smagliante, l’aveva raggiunta trotterellando e l’aveva abbracciata, ringraziandola, poi si era seduta, tirando i capelli indietro e aveva preso a parlare.
E non aveva smesso in quasi vent’anni di amicizia.
E ora si sarebbe trasferita in Spagna, perché nonostante Grimilde era cresciuta con suo padre e i suoi nonni paterni, lei era come sua madre.
Il Cile non l’aveva mai compresa, o forse era stata lei a non comprenderlo.
Con Morena le cose erano andate diversamente. Le loro famiglie erano amici di vecchia data, le loro mamme erano state compagne prima che lo diventassero le figlie e affezionarsi a quella bimbetta tonda, con i codini e il musino sempre un po’ imbronciato, era stato facile per Teddy. Un po’ meno facile farle capire che lei non era inferiore a nessuno, che era bella con tutti quelli che lei definiva difetti estetici. Aveva creduto che Diego Torres avrebbe cancellato tutte quelle insicurezze e invece temeva che non aveva fatto altro che ampliarle e rafforzarle.
Le aveva osservate addormentate e apparentemente rilassate, poi si era fatta un caffè e si era buttata sotto la doccia, muovendosi come un robot, come se non fosse lei quella che si stava preparando a dire addio all’amore della sua vita.
Già, proprio lui. Nicolas Antonio Romero.
Come dimenticare la prima volta che si era accorta di lui? Che si era veramente accorta di lui …
Fino a quel momento non si era mai innamorata, non aveva mai provato quelle famose e internazionali “farfalle nello stomaco”, quella sensazione di batticuore e di panico fuse insieme, così difficili da definire.
Era accaduto durante il primo match del torneo di calcetto organizzato dall’istituto. La sua classe contro quella di Nicolas. Teddy vi aveva assistito con un libro di letteratura aperto sulle ginocchia, le urla dei tifosi nelle orecchie (e in particolare la voce di Grimilde che si era momentaneamente trasformata in capo ultras per l’occasione) e Morena che borbottava al suo fianco, con la calcolatrice e un problema di geometria sui poliedri da risolvere.
Quando gli studenti presenti sugli spalti erano esplosi in un boato di insulti reciprochi, Teddy aveva alzato lo sguardo e aveva assistito ad una scena che rasentava il comico: l’arbitro era fra due giovani calciatori impegnato a dividerli, uno era Romero, l’altro il suo compagno di classe Felipe che con le braccia allungate tentava di prendere il pallone dalle mani di Nicolas, il quale se la rideva sotto i baffi. La situazione era degenerata quando Romero gli aveva fatto l’ occhiolino, inviandoli un bacio con le dita. Felipe a quel punto era diventato paonazzo e all’arbitro non era rimasto che cacciare il cartellino rosso  e mandarlo negli spogliatoi, limitandosi ad ammonire Nicolas, cosa che aveva destato la rabbia della classe di Teddy che era rimasta ad osservare l’intera scena, sentendosi strana. Poi quel ragazzino insolente si era voltato nella sua direzione, posizionandosi oltre la linea bianca di bordo campo per effettuare la rimessa laterale, ed era stato in quel momento che si erano guardati, lui con quel ghigno che gli increspava le labbra, lei assolutamente di cera ma con il cuore impazzito nel petto e un improvviso senso di calore che le era salito fino alle guance. Nicolas Antonio aveva allargato quel sorrisino beffardo, le aveva strizzato l’occhio e le aveva dato le spalle per rimettere la palla in gioco.
Grimilde era saltata sul posto, iniziando a gridare che le aveva fatto l’occhiolino, che lei gli piaceva, Teddy era tornata con gli occhi sul libro minimizzando l’accaduto, mentre Morena cominciava con i suoi personalissimi insulti verso quello che lei definiva un “delinquentello”.
Dopo nemmeno una settimana Nicolas l’avrebbe baciata ad un falò, in riva al mare, con le stelle e la luna a fare da testimoni silenti.
 
Quel ricordo la fece sorridere, ma allo stesso tempo le si formò un magone. Aveva chiuso gli occhi e si era immersa sotto l’acqua calda. Quando era uscita dal bagno aveva trovato Morena e Nicolas intenti a parlare davanti la stanza in cui Martin stava dormendo in compagnia di suo padre. La ragazza bruna le aveva lanciato uno sguardo veloce e poi era sparita oltre la porta, lasciandoli soli. Romero aveva preso a scendere le scale, ma Teddy l’aveva fermato:
«Sto andando via» gli aveva detto
«Bene»
«Potremmo almeno … che so, salutarci?» aveva proseguito lei, seguendolo lungo la rampa:
«Si, certo» lui era entrato nel soggiorno e si era voltato a guardarla «Adios» e le aveva sbattuto la porta in faccia, contro la quale Teddy aveva mollato uno schiaffo a palmo aperto:
«Vorrei solo spiegarti le mie ragioni, Nicolas! Ti prego»
Il pallavolista cileno si era puntellato con la schiena contro la porta, accorgendosi solo in un secondo momento che Alex e Grimilde erano sul divano, ad osservarlo dispiaciuti e in evidente imbarazzo, quando la biondina si era alzata, lui le aveva fatto segno di stare in silenzio, nel frattempo Teddy continuava il suo monologo:
«Se vado via è perché questo non è il mio Paese. Non è qui la mia vita, il mio lavoro, i miei bambini della scuola che mi aspettano per parlare insieme delle feste di Natale. Ho una pessima capacità di adattamento e dovresti saperlo» tentò di girare la maniglia, ma questa fece resistenza, evidentemente lui la stava trattenendo dall’altra parte «Ti prego, Nicolas, aprimi. Ti prego.»
 
Entrando nella camera da letto ancora in penombra poiché le tende erano tirate e le tapparelle chiuse, Morena aveva sbirciato innanzitutto il suo bambino addormentato con la stessa sputata espressione un po’ corrucciata del padre.
Ne aveva bisogno, più di lei. Quel piccoletto aveva bisogno di una figura maschile nella sua vita, ma non di una qualsiasi, bensì di suo padre, il suo stesso sangue che lo amava come mai nessuno avrebbe fatto.
Diego Torres si era svegliato e a stento aveva trattenuto un gridolino vedendola lì, in piedi e con le braccia conserte a fissarlo. Aveva chiesto che ore fossero, ma la risposta non era mai giunta:
«Martin ha bisogno di te, perché anche se sei un emerito rincretinito, sei pur sempre suo padre» aveva atteso qualche secondo prima di continuare «Tornerò a Cagliari» e allora Diego era balzato dal letto per abbracciarla, ma Morena aveva fatto un passo indietro «A patto che tu vada via di casa» il sorriso era svanito dal volto di lui:
«In che senso? E dove dovrei andare?»
«Questi sono fatti tuoi. Una cosa è sicura: non dormirò sotto il tuo stesso tetto» Torres aveva aperto la bocca per cercare di farla ragionare, invano «E vestiti, in mutande sei tutt’altro che sensuale e anche perché dobbiamo accompagnare Teddy all’aeroporto» Diego aveva alzato gli occhi dalle sue mutande di cotone bianco udendo quelle ultime parole:
«Allora non ha cambiato idea?»
«No» aveva risposto Morena avviandosi verso l’uscita «A quanto pare sono circondata da imbéciles» e aveva sbattuto la porta.
 
Tutto quello che era accaduto nelle ore successive si era susseguito in maniera così repentina e confusionaria che la stessa Teddy faceva fatica a riordinare.
Nel grigiore del mattino aveva atteso fino alla fine che Nicolas uscisse dalla sua stanza per salutarla, dirle qualcosa, qualsiasi cosa, poi quando Grimilde le aveva toccato il braccio e sussurrato che lui non c’era, che era uscito di casa in tuta e con l’i-pod, aveva avuto la certezza che non l’avrebbe visto.
All’aeroporto di Milano il suo già fragile autocontrollo si era spappolato. In silenzio aveva seguito le sue amiche qualche passo più indietro, trascinandosi il trolley che pesava come un macigno.
«Non ce la faccio» aveva detto ad un certo punto fermandosi e attirando l’attenzione delle due ragazze poco più avanti. Teddy aveva tenuto gli occhi fissi sul pavimento «Non posso lasciarlo di nuovo, questa volta non ne uscirei viva» la sua voce era stata incrinata dalle lacrime e ansimante come un malato di asma.
«Oh grazie al cielo!» aveva esclamato Grimilde stringendola forte
«Ma come facciamo? L’aereo parte fra poco» aveva proseguito Morena, quando Diego si era fatto avanti, sorridente come non mai:
«L’accompagniamo indietro»
«La tua macchina è sull’aereo per Roma» gli aveva ricordato Morena, ma lui non si era arreso, affermando che se la sarebbe fatta ridare, loro tre (lui, Morena e Martin) sarebbero potuti andare a Roma in auto e da lì si sarebbero imbarcati per la Sardegna.
Gli unici a salire su quell’aereo diretto per la capitale erano stati Martinez e la biondina, il cui programma dei prossimi giorni era proprio quello di visitare la Città Eterna prima di tornare in Cile, dove Grimilde avrebbe impacchettato le sue cose per la nuova avventura in Spagna.
I saluti erano stati veloci e non c’era stato tempo per le lacrime, se non per quelle mute.
 
Teddy aveva bussato tante di quelle volte al campanello e alla porta che le nocche della mano destra le facevano male. Si era rassegnata al fatto che lui non fosse ancora tornato e a poco a poco lo sconforto e il freddo avevano avuto la meglio, facendola raggomitolare nell’angolo della porta d’ingresso, fino a trascinarla in un sonno profondo e inquieto.
 
Nicolas Romero rientrò in serata, con la tuta zuppa di neve e ancora la sua musica preferita che strimpellava dagli auricolari. Quando vide quell’ombra rannicchiata davanti casa sua sbuffò, credendo che fosse di nuovo Carlo ubriaco fradicio, invece era Teddy e il suo cuore, che pulsava come un matto per la corsa, mancò un battito.
Si inginocchiò, chiamandola e scuotendola con delicatezza, accorgendosi che il suo corpo  emanava un insolito calore, mentre gli si accasciava ai suoi piedi.
Allora provò quasi terrore:
«Cazzo, Teddy! Cazzo, cazzo, cazzo!» la prese in braccio ed entrò in casa.
 
 
 
 
 
 
  
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