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Autore: Better_Than_Words    24/12/2014    3 recensioni
“Come facciamo, noi umani, a capire se siamo innamorati seriamente?”
Questa è la domanda che si pone Lea, una ventenne londinese che cerca solo di vivere la vita nei migliori dei modi.
La storia tratterà delle varie fasi che conducono verso l'amore:
- Attrazione Fisica.
- Infatuazione.
- Legame Affettivo.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ PROLOGO ~
 
 
“Come facciamo, noi umani, a capire se siamo innamorati seriamente?”

Era una domanda che mi ponevo spesso dopo aver compiuto vent’anni. Avevo passato l’adolescenza a concentrarmi sulla scuola e sui voti, non avevo mai avuto l’opportunità di divertirmi, o semplicemente non ne avevo voglia. Non ero mai interessata a nessuno in particolare. Le persone mi apparivano come ombre scure che, a volte, mi sfioravano. Ero così presa dai miei obbiettivi che non mi rendevo conto della gente che mi circondava.
E poi, eccomi là, nella mia cameretta, in casa dei miei genitori, a guardare fuori dalla finestra, a fissare la pioggia che cadeva e rigava il vetro spesso che divideva l’aria fredda e tesa che era fuori, dall’aria calda e accogliente in casa.
«Lea, tesoro…Puoi aiutare tuo padre a scaricare la spesa, mentre io mi cambio?»
Mi girai verso la porta, alla mia destra. Era la mamma, lei e papà erano usciti per comprare alcune cose.
Ciondolai fino alla porta ed uscii, scesi le scale con tutta la tranquillità del mondo finché l’uomo che tanto gli somigliavo mi richiamò per darmi una mossa. Scesi gli ultimi gradini e uscii fuori ritrovandomi nel vialetto di casa, con una pioggia che cadeva a secchiate e io in pigiama e con le ciabatte con il pelo a forma di coniglio.
La pioggia fredda s’insinuava sotto i miei vestiti di flanella e tutto quello a cui pensavo era: speriamo che non mi becchi qualche influenza.
Ah, che vita piena di problemi sentimentali, la mia!
Mia madre mi diceva sempre che ero fortunata a non avere un ragazzo, almeno non dovevo affrontare situazioni catastrofiche per il mio povero cuore. Come se avessi qualche malattia!
Mio Dio! Era tanto sbagliato voler avere un colpo di fulmine e innamorarmi pazzamente di una persona?!
Secondo lei sì.
Con papà era sposata da più di vent’anni, erano innamorati, ma si amavano come due fratelli, almeno in mia presenza, non ricordo mai di averli visti baciare, forse non accadeva per non disturbare la mia “quiete” mentale, o come la si vuol chiamare!
«Lea! Ma che ti prende!? Sbrigati! Altrimenti ti prenderai qualche malanno!»
Scrollai la testa e mi diedi da fare, andando verso il portabagagli di quella macchina troppo grande per un uomo in quel modo basso e magro. Scaricai l’ultima busta di spesa rimanente.
Mentre ero intenta a non sbattere la nuca sullo sportello del portabagagli, vidi con la coda dell’occhio una figura muoversi al di là della strada.
Infatti, difronte casa nostra vi era una villetta, con un giardino molto più bello del nostro, che non era mai stata abitata. Mi spiego meglio: dopo averla costruita nessuno volle comprarla, si diceva che quella casa era stata costruita per dei futuri sposi, ma alla fine si lasciarono durante il matrimonio. In poche parole portava sfortuna, ma chissà perché attirava sempre i neo sposini in cerca di casa, e chissà perché scappavano tutti prima di firmare il contratto.
Perciò vedere una figura camminare in quel giardino mi preoccupò alquanto.
Spostai definitivamente la testa da sotto il riparo e tornai in posizione eretta, per fissare meglio cosa stava accadendo al di là della strada residenziale.
Un camion dei traslochi era parcheggiato nel vialetto di quella casa e un ragazzo che portava a fatica uno scatolone si dirigeva verso la porta principale.
I secondi si trasformarono in minuti, non appena sollevò lo sguardo e lo incrociò col mio, offuscato dai capelli zuppi che ricadevano davanti agli occhi.
Mi sorrise velocemente per poi continuare la strada verso casa e posare quella scatola strapiena di roba.
«LEA! Ma che cosa ti prende?! Vieni dentro!» urlò mia madre dalla porta di casa mentre si stringeva nel suo golfino, fuori moda, beige.
Sbuffai e corsi dentro casa, poggiando a terra la busta piena d’acqua.
«Pioggia del cazzo…» borbottai mentre mi asciugavo i piedi sullo zerbino.
«Lea! Modera i termini!» mi rimproverò lei.
Sbuffai nuovamente e salii le scale, provando a scappare dai rimproveri di mia madre su come non dire le parolacce e sostituirle con delle parole del tipo: arcidempolina, capperi fritti, e così via. Non accettava nemmeno “porca paletta”, per lei era come una bestemmia.
Spalancai la porta del bagno mentre mi sfilavo la maglia, ma avendo la vista deviata dalla maglia andai a sbattere contro la porta, per poi inciampare nel cesto dei panni sporchi, che, essendo enorme, mi accolse interamente dentro. Sembravo uno struzzo in preda ad un attacco di fifa!
Prima che qualcuno, e intendo mia madre, mi beccasse per rimproverarmi il fatto di non fare troppe cose contemporaneamente.
Mi alzai e con tutta la disinvoltura del mondo continuai il mio spogliarello (anti- sesso).
Chissà che famiglia era quella difronte, nella casa della sciagura?
Così veniva chiamata nel nostro quartiere, portava proprio sfiga, e la cosa strana era che quelli che ci stavano andando ad abitare non sapessero nulla…
Girai la manopola dell’acqua calda e aspettai che si riscaldasse. Dovevo assolutamente trovare qualcosa da fare.
Dopo essere stata respinta dalla University of London, il mio mondo crollò. Passai dei momenti tremendi, in solitudine, e da quel momento niente mi affascinava. Mio padre mi spronò a fare un altro esame di ammissione ma non passai nemmeno quello, ritrovandomi così, a Ottobre, a girarmi i pollici e sognare un amore che non sarebbe mai arrivato, perché sicura della mia inutilità nel mondo.
Sprofondai sotto il getto d’acqua, che fin da quando ero un fagotto, non era mai stata bollente, ma tiepida.
Come ogni volta, dopo la doccia, il bagno era immerso in una nube di condensa posata su ogni ripiano esistente. Con la manica dell’accappatoio levai la nube dallo specchio, ritrovandomi riflessa lì. Ero tremenda, non ero mai stata bella, ma in quel periodo ero peggio di Paris Hilton struccata. Che amarezza!
Uscii dal bagno ritrovandomi davanti mio padre.
«Puoi vestirti in fretta?»
«Perché?» lo guardai con circospezione.
«Tra un po’ arrivano i tuoi cugini»
«Come scusa?» fissavo ogni suo movimento.
«Vengono per pranzo, dopo di che, andiamo dai vicini e li salutiamo» disse mentre era impegnato a cercare una cravatta da abbinare alla camicia bianca e alla giacca nera.
«Ma gli Smith già li conosciamo…» dissi non capendo.
«Ma non gli Smith! Ti ricordo che con loro abbiamo chiuso da quando mi hanno rigato la macchina! Intendevo gli Styles, sono nuovi e bisogna fargli i migliori auguri dato che vivono in quella casa sfortunata» mi passò affianco e mi pizzicò una guancia, per poi scendere le scale di corsa per far approvare da sua moglie la cravatta di un blu tremendo.
Perciò erano gli Styles…Strambo nome… Chissà quanti anni aveva il ragazzo…Ma tanto se aveva la mia età era fidanzato. Anche sotto la pioggia, con i capelli davanti, come se fosse un cane bagnato, era bello. Figuriamoci da asciutto!
Scossi nuovamente la testa e girai l’angolo andando in camera.
Perciò dovevo sorbirmi due ore di “Allora? Il fidanzatino?”. Che urto! Che parenti ficcanaso!
Mi diedi un’asciugata, togliendomi l’accappatoio. Mi piaceva andare in giro nuda, mi faceva sentire bella e in pace con me stessa. Ma vivendo ancora con i due vecchietti, non potevo permettermelo sempre, solo quando erano a cena fuori e io rimanevo a casa da sola a crogiolarmi nel gelato al limone, mentre lo mangiavo nuda seduta sul letto, il mio letto.
Mi diressi verso l’armadio e ne estrassi un paio di slip neri e un reggiseno dello stesso colore. Non so perché, ma avevo le mie idee sull’intimo: se era troppo trasparente mi sentivo nuda, anche se la cosa non mi dispiaceva, ma comunque il pizzo e il tulle fino mi prudevano, e grattarmi le natiche davanti a tutti mi sembrava brutto; poi c’era l’intimo sfuso, abbinavo tutti i reggiseni alle mutande, se solo una coppia era scoppiata creavo il delirio in casa.
La cosa buffa era che una volta al mese indossavo calzini spagliati. Secondo me erano contro la sfiga, ma chissà perché non funzionavano mai…
Ero arrivata alla scelta ardua: cosa mettermi?
Sì, ero in depressione, e sì, non mi sentivo bella, ma comunque apparire bella mi piaceva.
Esclusi a priori i vestiti, dato che l’ultima visita dei miei cugini, in cui io indossavo un abitino, si era ridotta al gioco della bottiglia vietato ai minori di cinquant’anni.
Niente di strano, eh! Però nulla di casto.
Presi, quasi ad istinto gli skinny jeans neri  e un maglione nero con maniche raglan e intarsi in pelle nera. Me l’infilai, ma guardandomi allo specchio mi sembravo una della ditta funebre. Andai in giro per la stanza in cerca di qualche accessorio colorato, ma l’unica cosa colorata che trovai furono un paio di orecchini minuscoli multi-color, che sarebbero stati coperti dai capelli mezzi bagnaticci.
Rassegnata al fatto che dovevo rifarmi il guardaroba mi diedi una truccata oltre il veloce e scesi le scale.
«Certo che qualcosa di più colorato te lo potevi mettere!»
«Oh, mamma! Non rompere!» borbottai mentre mi sedevo sul tavolo con le gambe a penzoloni.
«Come mai andiamo a trovare i nuovi vicini?» domandai dopo un po’ mentre masticavo un’oliva verde.
«Perché siamo una famiglia educata che da’ il benvenuto a tutti» sorrise.
Era impegnata a fare le decorazioni su una torta che nessuno avrebbe mangiato, a causa della troppa panna, e non poteva guardarmi in faccia, ma ero sicura che stava sorridendo con quello sguardo da psicopatica che spesso aveva mentre riordinava la casa o cucinava qualcosa per qualcuno che non fossimo io e/o mio padre.
Che donna di casa…
«E come mai vengono i cugini? Ci siamo visti solo una settimana fa…» sputai in un fazzolettino l’osso.
«Gli zii vogliono passare più tempo con noi…E comunque fai troppe domande! Va a metterti delle scarpe decenti!»
Inizialmente sembrava triste, come se quelle visite non fossero tanto felici e che sotto c’era qualcosa; poi come se niente fosse era tornata ad essere la solita matta!
Poggiai i piedi a terra e li trascinai sul pavimento per tornare in camera.
«Lea! Non metterti le scarpe da ginnastica!» mi urlò dalla cucina.
Speravo non me lo dicesse, ma le mie speranze erano le prime a morire, dato che c’era qualcuno che le ammazzava.
Con un passo paragonabile a quello di un’elefantessa incinta di tre gemelli, tornai al piano di sopra per togliermi le ciabatte e mettermi delle scarpe scomode e femminili.
Chiusi la porta per aprire la scarpiera nascosta dietro quest’ultima. Ero piena di scarpe come le intendeva mia madre, non le avevo quasi mai messe, un paio avevano ancora la plastica intorno per proteggerle!
Afferrai le prime che sembravano meno scomode e più secondo lo stile di mia madre.
Mi piacevano i tacchi, ma li trovavo scomodi e non avendoli messi giornalmente non li sapevo portare alla perfezione, ad esempio dopo dieci minuti dovevo sedermi altrimenti cadevo a terra e le gambe rimanevano impalate nel terreno.
Erano dei semplici tronchetti marroni con delle fibbie e un tacco troppo sottile per i miei gusti. Ma che dovevo farci? Più le dicevo che non volevo i tacchi e più mia madre me ne comprava!
Li misi e scesi nuovamente le scale. Un profumo ottimo di arrosto aleggiò intorno a me avvolgendomi completamente, ma cosa più importante: mi ricordò che avevo fame, una tremenda fame che mi ero leggermente dimenticata quando avevo visto il ragazzo bagnato.
Mi vibrò il cellulare: era mio cugino Kevin, quello con cui avevo più confidenza.
 
Da: Kevin
Ehi! Siamo quasi arrivati!
Preparati per un nuovo giro ;)
 
No, di nuovo il gioco della bottiglia no! Non lo avrei sopportato!
 
A: Kevin
Non ci contare!
E poi non sono dell’umore adatto!
 
Era vero, non volevo neanche relazionarmi con loro quella mattina. In verità volevo passare quella giornata chiusa in camera mia a leggere le scemenze su Twitter e risistemare l’armadio. Ma no, i miei avevano già organizzato tutto, come sempre!
In pratica dovevamo pranzare con i parenti, dopo di che se ne sarebbero andati intorno alle quattro e, verso le cinque, giusto il tempo per sistemarci, saremmo andati a far visita a quei poverini al di là della strada.
 
Da: Kevin
Capito.
Il dottor Kevin è sotto casa.
Aprici!
 
Mi affacciai alla finestra della cameretta e li vidi scendere dalle macchine.
Proprio non era giornata! Sì, amavo la mia famiglia enorme e impicciona, ma erano tanti e troppo invadenti!
Sbuffai per l’ennesima volta nel giro di venti minuti, presi coraggio e scesi le scale attaccandomi alla ringhiera per paura di crollare a terra.
Papà li aveva fatti entrare. Intravedevo già la nonna, la mamma di mia madre, le tre zie e i sei cugini. Kevin cercò di sbucare in mezzo a tutta quella folla e raggiungermi.
Infatti, appena arrivò davanti alle scale mi prese per il braccio, mi fece rigirare per poi  risalire tutte le scale di corsa.
«Kevin! E che cazzo!!» sbraitai una volta raggiunta la mia camera.
Mi massaggiai il braccio, dove poco prima c’era la sua mano, mentre lui chiudeva la porta e si accertava che non ci fosse nessuno ad origliare.
Quando si calmò, si girò lentamene verso di me e mi squadrò da capo a piedi.
«Come stai, cugina?» il volto gli s’illuminò di una luca bizzarra e quel suo sorriso metteva paura.
«Una merda» mormorai mentre mi andavo a sedere sul letto a una piazza e mezza.
«Dai, su. Dimmi tutto» si posizionò al mio fianco prendendo in braccio un cuscino.
«E’ sempre il solito motivo, ridicolo e impossibile» mi sdraiai espirando tutta l’aria che avevo nei polmoni.
«Ahh…L’amore» mi raggiunse mettendosi su un fianco sorreggendosi la nuca con la mano e il braccio sinistro.
«Come sta Lucy?» cambiai discorso.
«Sta bene…L’altro giorno mi ha fatto conoscere i suoi genitori» sorrise.
«Oh! Finalmente! Lei ha conosciuto tutti della tua famiglia! E intendo tutti…»
«Già…Ma stavamo parlando della tua vita sentimentale, non della mia» mi ricordò.
«Si dà il caso che tu ce l’abbia una vita sentimentale, io no»
«Ma se te nemmeno ci provi!»
«Cosa dovrei fare? Mettermi in mezzo alla strada e sperare in un colpo di fulmine?» dissi sarcastica.
«Sei troppo fissata col colpo di fulmine! Ci pensi troppo! Prova a staccare e a divertirti!»
«Certo che sei monotono!» mi lamentai
Era vero! Ogni volta mi ripeteva di divertirmi! Aveva ragione, ma se vedi che da sola non ci riesco fa qualcosa! Tonto!
«Anche te non scherzi! Se oggi avevamo tutta la giornata ti avrei portata in giro! C’è un mio amico che ti potrebbe piacere…»
«Chi? Mike cervello di gallina?» mi girai verso di lui alzando un sopracciglio.
«Perché lo chiami così?! E poi non è lui!»
«E allora chi è? Luke sono il più figo e ce l’ho più lungo?!» l’ultima frase la pronunciai con voce profonda imitando il ragazzo nominato.
«Nemmeno! Non lo conosci! E poi smettila di prendere per il culo i miei migliori amici, dandogli delle sigle ridicole!» mi rimproverò corrugando la fronte.
«Guarda che non me le sono inventate io! Luke mi ha detto proprio che è il più figo e che ce l’ha lungo!» dissi seriamente.
«E che mi dici di Mike? Poverino! E un po’ scemo ma sta studiando matematica alla London University!»
Tasto dolente. Nessuno in famiglia nominava più l’università in mia presenza, evitavano sempre di entrare in argomenti riguardanti la scuola.
Non ci stavo male come qualche mese prima, ma comunque per me era una sconfitta ed era una ferita aperta e senza crosticina. Ancora sanguinava.
«Oh….Scusami, Lea…» mi accarezzò un braccio.
«Tranquillo…Prima o poi dovrò superare tutto questo» mormorai.
«Dai su! Siamo giovani! Chi ti dice che tra un anno rifarai l’esame e lo passerai?! E poi sei una ragazza fantastica! Sei piena di talento!»
Si era alzato dal letto preso da un momento di euforia, e si era piazzato di fronte e me, che lo fissavo da sdraiata e cercavo di seguire i suoi gesti delle mani e i suoi movimenti. Gesticolava come un politico in preda ad un attacco isterico dovuto all’abbassamento degli stipendi dei deputati. Era spassoso vederlo in quel modo alterato. Sembrava pazzo, ma allo stesso tempo sembrava sapesse cosa stesse dicendo.
«…Perciò tu ora ti metti giù e rincominci a studiare così diventerai una grande dottoressa! Non m’interessa se dirai “ma nessuno mi vuole, come faro?” no! tu devi impegnarti! Altrimenti arriverà qualcun altro che prenderà il tuo posto! Adesso alza quel culo rotondo e scendiamo di sotto a magiare, perché ho fame!»
Avevo ascoltato la metà di tutta la sua ramanzina, ma l’ultima parte era la parte migliore. Dalla “rabbia” era diventato tutto rosso in viso.
Kevin era proprio un bel ragazzo. Gli dicevo sempre che era il sosia del fratello di Emma Watson, ma lui ripeteva che non era assolutamente vero e che io mi sbagliavo essendo un po’ scema.
Era fidanzato con Lucy da due anni. Lei era veramente una brava ragazza, di quelle che sono tutte casa e chiesa (nel vero senso della parola) ma che sanno quando divertirsi e con chi, soprattutto.
Io ero il suo esatto opposto! Ma che poi sapevo divertirmi, era solo che in quei tre mesi non avevo voglia di divertirmi!
Mentre ridevo, mi alzai dal letto.
«Lo farò, Kevin» sussurrai mentre lo abbracciavo forte e lui ricambiava altrettanto forte.
Ci dondolammo un po’, finchè io non mi staccai e mi diressi alla porta per aprirla e uscire di lì.

 
 

-Spazio Autrice-
Salve ^-^
Non ho, ancora, nulla da dirvi .-.
Però, se volete, voi potete farlo ;) 
Se avete dubbi o cose varie chiedetemi anche nei messaggi privati :D

Alla prossima *-*

Baci Xx
  
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