Capitolo
2:
Oscurità’,
Acqua, Fuoco, Aria, Vento
Come previsto
il ridotto esercito Lannister cadde nella trappola segnando la propria
sconfitta.
In lontananza potevo sentire i rumori della battaglia in corso: spade
che
cozzavano le une sulle altre, bestemmie, zoccoli che pestavano sul
terreno,
nitriti, imprecazioni, urla di dolore, suppliche, versi, uomini che
morivano...
L'ansia
aumentava sempre di più, la paura di una sconfitta opprimeva
il mio cuore.
All'improvviso i rumori cessarono e un silenzio di tomba invase tutta
la
foresta.
Non potevo vedere niente perché ero nascosta dalla fitta
boscaglia.
Poco a poco iniziai a sentire passi che si avvicinavano velocemente.
Quale tra i due eserciti era riuscito a prevalere?
Finalmente, attraverso gli occhi della Lady Catelyn Stark, vidi uscire
dalla
boscaglia i superstiti dell'Esercito del Nord e con loro Robb Stark.
Soddisfatta
richiusi il libro, diedi un'occhiata alla strana macchia rosa sul
braccio
sinistro e sospirando rimasi sdraiata sul morbido materasso ripensando
alla
straordinaria storia che stavo leggendo. "Il Grande Inverno" era uno
dei tanti libri che costituivano "Le Cronache del ghiaccio e del
fuoco" di George R. R. Martin, un racconto magnifico pieno di inganni,
tradimenti, amore, onore, colpi di scena, complessi piani e misteri.
Un'altra fantastica storia e avventura da aggiungere alla mia
collezione.
Mentre leggevo contribuivo alla dura lotta che gli Stark di Grande
Inverno
stavano vivendo, e condividevo il dolore che provavano dopo la perdita
di
Eddard Stark.
L'evento mi aveva scosso molto, il Lord del Nord era stato fin
dall'inizio uno
dei miei personaggi preferiti.
Non so quanti di voi mi potranno capire ma, durante la lettura di una
storia,
mi affezionavo subito ai protagonisti, buoni e cattivi, che diventavano
parte
della mia vita.
Mi sembrava di conoscerli benissimo, come se realmente vivessero
accanto a me.
Con loro ridevo, scherzavo, soffrivo, piangevo, provavo paura e
dolore...
Sembra una cosa strana, ma con loro vivevo. Sono stati loro ad
affiancarmi e ad
aiutarmi nel periodo più brutto della mia vita; sono stati
loro che nonostante
tutto mi hanno trasmesso importanti valori e che infondevano in me la
forza di
andare avanti.
"Eryn
Raisi!"
"Si mamma?" risposi tornando bruscamente alla
realtà.
"È la millesima volta che ti chiamo! Vieni subito a tavola,
la cena è
pronta"
Sospirando mi alzai dal comodo letto e mi avviai verso il salotto.
"È possibile che ti debba chiamare trecento volte prima che
tu
risponda?" disse irritata.
"Non erano mille?" risposi sbadigliando.
"Non fare la spiritosa!"
"Scusi!" ribattei sedendomi.
L'ampio
soggiorno era illuminato dalla tenue luce del tramonto ed era pervaso
dal
profumo della carne che cuoceva ancora sul fuoco.
Un piccolo tavolo rotondo in legno massiccio era posto al centro,
coperto da
una tovaglia a quadretti bianchi e verdi, sopra la quale erano posti
ordinatamente le posate in argento inossidabile, piatti in ceramica e
bicchieri
in vetro colorato.
Attorno ad esso sedeva la mia famigli: mio padre stava ripiegando il
giornale
appena letto; mia madre stava servendo il primo nei vari piatti (pasta
al tonno
e mozzarella); mia sorella Giada era impegnata a scrivere un messaggio
con il
suo dannato cellulare; mio fratello invece si era già
fiondato sul piatto
fumante.
"Come
va il braccio?" chiese mio padre.
"Sta peggiorando" risposi guardando la grande macchia rossa che si
stava espandendo sulla parte inferiore del mio esile polso.
"Stai continuando a mettere la crema che ti ho comprato?" si
intromise mia madre.
"Si ma non serve a un cavolo, più la metto più la
macchia si
espande".
"Niente servirà a mandarla via" disse mio padre
distrattamente, la
moglie in tutta risposta lo fulminò con uno sguardo.
"Perché non dovrebbe sparire?" chiesi sospettosa guardando
entrambi.
"Magari è l'inizio di una malattia grave!" disse Giada
spaventata.
"Ma non sparare cavolata!" si intromise Max sempre più
annoiato dalla
conversazione.
Seguì
un lungo silenzio durante il quale mia madre continuò a
guardare male il
marito.
Infastidita ruppi il silenzio chiedendo spiegazioni ma i due genitori
si
limitarono a guardarmi con aria fintamente innocente, alla fine mi
arresi e
rivolsi tutta la mia attenzione al piatto fumante.
Mi
sdraiai sul grande letto e mi voltai sulla schiena guardando
attentamente la
macchia rossa: era grande come una pallina da ping-pong e aveva una
strana
forma irregolare. All'inizio si era presentata come un piccolo puntino
e
avevamo creduto fosse un insignificante morso di ragno, ma la
macchietta invece
di sparire aveva iniziato, poco a poco, ad espandersi. Non sentivo
dolore ma un
costante, leggero e fastidioso prurito; a volte era fredda, altre
invece più
calda.
All'inizio mia madre aveva insistito perché la facessi
esaminare da un
dermatologo ma mio padre aveva ribattuto che non sarebbe servito a
niente e che
con il tempo sarebbe andato via da sola. Così mi avevano
rifilato una strana
crema che invece di migliorare la situazione la peggiorava.
Il
comportamento dei miei genitori mi aveva lasciata molto perplessa,
sembrava che
mi stessero nascondendo qualcosa.
Magari
è l'inizio di una malattia grave
Le
parole di Giada risuonarono nella mia mente ma subito le scacciai
scuotendo il
capo.
Allungai
il braccio e presi il grande libro dal comodino, mi immersi nuovamente
nella
storia dei Sette Regni e tra fantasia e realtà mi
addormentai.
L'oscurità
era l'unica cosa che potevo vedere, un buio intenso e opprimente, non
avevo mia
visto un nero così nero. Le
tenebre mi avvolgevano e dominavano, la
loro ferrea morsa mi impediva di compiere qualsiasi movimento e mi
impediva,
quasi del tutto, di respirare.
Il freddo era insopportabile, sembrava fossi immersa completamente in
un lago
ghiacciato,
Improvvisamente
un dolore lacerante colpì il mio polso e il freddo
iniziò a diminuire lasciando
posto al caldo.
Intorno a me si alzarono lingue di fuoco rosse, gialle e blu.
Iniziarono ad
avvolgere il mio corpo con una rovente presa.
Il caldo continuava ad aumentare, ogni centimetro della mia pelle
bruciava e
fumava come il carbone in un braciere.
Rimpiangevo il freddo e la gelida morsa
dell'oscurità.
Urlavo senza riuscire a emettere alcun suono mentre il calore aumentava
insopportabilmente fino a raggiungere il culmine.
Un'altra
fitta di dolore avvampò sul mio polso e mi ritrovai immersa
nell'acqua gelida.
Non riuscivo a respirare, cercai con tutte le forze di muovermi per
risalire a
galla ma il corpo ignorava i comandi che il mio cervello gli inviava.
Nuovamente
dolore e un violento vento mi investì tramutandosi in una
tromba d'aria.
Altro
dolore e finii avvolta dalla terra.
Come
era iniziato, tutto finì nell'oscurità e mi
risvegliai improvvisamente nel
cuore della notte fradicia di sudore per poi riaddormentarmi.
Un
debole e piacevole calore investì il mio viso, interrompendo
un sonno
tormentato.
Aprì lentamente gli stanchi occhi cercando di mettere a
fuoco l'ambiente
circostante, timorosa di trovarmi ancora imprigionata
nell'oscurità o nel
fuoco, nell'aria, nel vento o sommersa dalla terra.
Con sollievo mi resi conto di essere nella mia stanza, illuminata
completamente
dai deboli raggi del sole mattutino. Al centro, un grande tappeto
bianco aveva
assunto un colore giallognolo a causa della luce e ricopriva quasi del
tutto il
pavimento in parquet. I muri erano coperti da grandi armadi e scaffali
contenenti ogni sorta di oggetti e vestiti, tra di essi spiccava
un'enorme
libreria colma di libri riguardanti qualsiasi genere letterario. Una
piccola
scrivania era sommersa da varie cianfrusaglie che nascondevano un
grigio
computer portatile, mentre il pavimento era cosparso di vestiti
stropicciati e
accartocciati.
Non sono mai stata una ragazza molto ordinata e questo credo l'abbiate
capito,
spesso discutevo furiosamente con mia madre convinta della mia tesi:
"Tanto
anche se la riordinassi ritornerebbe comunque disordinata"; ma questo,
ovviamente, non riusciva a smuovere mia madre.
Non
appena fui completamente sveglia un dolore intenso e insopportabile
investì il
mio polso.
Trattenni un urlo di dolore e le lacrime iniziarono a rigare il mio
volto
sofferente.
Rimasi immobile per qualche minuto, poi, con fatica, aprii gli occhi e
avvicinai il polso al viso.
Non appena essi si soffermarono sul braccio si sprigionò
un'intensa e abbagliante
luce bluastra che mi costrinse a chiudere nuovamente gli occhi.
All'improvviso la testa iniziò a girarmi velocemente,
l'oscurità ritornò ad
avvolgermi e persi i sensi.