CAPITOLO
32
In piedi
accanto alla finestra, Cornelia cercava di scrutare tra le piccole fessure delle
travi che la sbarravano, più per impiegare il tempo che non per capire dove si
trovava, cosa a cui aveva rinunciato ormai da un po’.
Nei momenti in cui
lasciava vagare la mente a ruota libera, si chiedeva disperatamente che cosa ne
sarebbe stato di lei, ma soprattutto che cosa ne era stato dei suoi amici. Era
chiaro che si stava preparando qualcosa in quella casa, qualcosa di grosso, e
che il loro avversario non voleva ostacoli sulla sua strada. Si era però accorta
che, da qualche giorno a quella parte, i rumori si erano un po’ placati, come se
ormai l’operazione fosse quasi conclusa. Quindi, come era logico supporre, anche
lei presto avrebbe scoperto quale sarebbe stato il suo destino.
Quello era
un altro dei punti oscuri, visto che non riusciva proprio a capire cosa avessero
in serbo per lei. Già il rapimento le era parso assurdo: perché l’avevano presa,
tanto per cominciare? L’unica spiegazione che le era venuta in mente era per
tenere a bada Basil nel caso, quanto mai probabile, che fosse riuscito a
fuggire.
Mentre si arrovellava su queste ipotesi, sentì dei passi che si
dirigevano verso la sua stanza. Erano familiari, quindi doveva trattarsi per
forza di Elizabeth. Strano che venisse a quell’ora, visto che era presto per la
cena. Un brivido le corse lungo la schiena senza che lei potesse impedirlo
quando comprese che, probabilmente, era giunta l’ora della verità. Rimase ferma
nella sua posizione anche quando sentì la porta aprirsi, senza voltarsi a
guardare la nuova arrivata che le si rivolse con voce gioiosa.
“Ho una buona
notizia per te, Cornelia. Stasera uscirai di qui.” Le disse la topolina,
avvicinandosi e mettendosi accanto a lei. Solo allora l’altra si voltò
lentamente a guardarla.
“Mi stai dicendo che sono libera?” chiese, ricevendo
una risata in risposta.
“Non è quello che ho detto. Uscirai da questa stanza
per recarti nella tua nuova collocazione. Una volta là dovrai attendere fino a
nuovo ordine.”
“E come mai mi spostate? Perché non posso rimanere
qui?”
“Quante domande, Cornelia. Peccato che io non abbia l’autorità per
risponderti. Coraggio, seguimi senza fare storie e ti assicuro che andrà tutto
bene.”
L’altra la fissò, valutando se ribellarsi e cercare di fuggire o
arrendersi subito. Considerata l’assurdità della prima opzione, sospirò e si
decise a seguirla. Elizabeth, per tutta risposta, le sorrise:
“Bravissima,
sapevo che saresti stata ragionevole. Vieni” le disse, offrendole un braccio che
fu prontamente rifiutato. Le due uscirono dalla stanza e due ragni presero a
scortarle al piano inferiore. Mentre camminavano lungo il corridoio, Cornelia
poté vedere bene per la prima volta la casa in cui era stata trattenuta visto
che, al suo arrivo, era stata in fretta e furia condotta nella sua stanza: era
molto ben tenuta, anche se decisamente tetra e buia, probabilmente a causa del
suo status di covo criminale. Si chiese come avessero fatto i vicini a non
accorgersi di nulla, a non vedere le finestre sbarrate, a non incuriosirsi.
Quelle domande, per il momento, erano destinate a rimanere senza risposta. Una
volta scese le scale, Elizabeth la condusse ad una porta, presumibilmente quella
della cantina e le intimò di aprirla. Effettivamente, dall’altro lato, c’era una
rampa di gradini che sparivano nell’oscurità sottostante. Utilizzando una
lampada che le era stata fornita, scese le scale ritrovandosi in uno scantinato
dal basso soffitto, fatto completamente di mattoni e di legno. Era anche più
grande di quanto si sarebbe potuta immaginare, sembrava quasi che fosse un
immenso corridoio… no, un attimo, in effetti era un immenso corridoio visto che, alla
sua sinistra, alla luce di alcune torce appese al muro, poteva vedere che le
pareti correvano parallele per diversi metri.
“Andiamo”
le disse Elizabeth, indicandole quella direzione. “Cammina ed ignora le voci.”
Cornelia la
guardò sgranando gli occhi: ignora le voci?! E con quello cosa voleva dire? Si
guardò bene dal pronunciare quegli interrogativi ad alta voce, preferendo invece
avviarsi. Mentre camminava, si accorse che le pareti del corridoio, ad
intervalli regolari, si aprivano su delle stanze chiuse da sbarre, delle vere e
proprie celle. Dentro ciascuna di esse, stavano due topi che, al loro passaggio,
li fissarono, cominciando a chiedere di essere liberati, alcuni con voci molto
autoritarie, altri con modi decisamente volgari. Alla sua sinistra c’erano gli
autoritari, a destra gli altri. Cosa stavano pianificando quei criminali? Passò
il tragitto a chiederselo ed a formulare ipotesi in merito senza però giungere a
niente, cercando sempre di ignorare le voci di quei topi imprigionati che
gridavano all’affronto, alla congiura, al tradimento e ad altre cose che persino
la sua mente si rifiutava di ripetere. Dopo un po’, le celle scomparvero ed i
quattro si ritrovarono a proseguire il cammino mentre l’aria si faceva sempre
più pesante. Il terreno su cui posavano i piedi, però, era costituito da pietre
che, nonostante la notevole umidità dell’ambiente circostante, faceva sì che
potessero camminare all’asciutto. Probabilmente, si disse Cornelia, si trovavano
in una specie di tunnel segreto di quelli che servivano per far scappare
velocemente i topi che potevano essere in disaccordo con la monarchia vigente o
che erano perseguitati per altri motivi (in fondo, anche loro come gli umani
avevano avuto dei tempi bui). La “passeggiata” le parve infinita, i piedi le si
erano fatti pesanti (non che non fosse allenata a muoversi molto, ma non era
abituata a cose simili). Alla fine, giunsero davanti ad una scala molto angusta
che saliva a chiocciola verso l’alto. Dopo essersi voltata verso Elizabeth,
notando che i ragni che le avevano accompagnate si erano ritirati, ed aver
ricevuto un cenno d’assenso, Cornelia cominciò a salire i gradini, sentendo
l’aria farsi mano mano più respirabile, com’era logico aspettarsi visto che
stavano tornando a posare i loro piedi sulla terra e non sotto essa. Arrivata in
cima, prese una bella boccata d’aria e sentì la sua compagna fare altrettanto:
evidentemente anche lei non era abituata a quel genere di percorso. Una volta
che entrambe si furono riprese, Elizabeth la condusse ad una porta, aprendola.
Subito, un vociare indistinto giunse alle orecchie dell’attrice: i toni, però,
non erano spaventati o confusi, ma sembravano tranquilli, quasi…
divertiti.
Elizabeth
si voltò verso di lei e le disse: “Non una parola” prima di prenderla a braccetto e
condurla lungo un corridoio, molto diverso da quello che aveva attraversato fino
a quel momento, in quanto pulito, ben arredato, ampio e luminoso. Mentre lo
attraversavano si accorse che l’ambiente le era decisamente familiare: ma certo,
era la casa di Elizabeth, dove aveva passato molti momenti diversi anni prima
quando ancora erano amiche. Mentre attraversavano il corridoio , vide che, alla
sua destra, si apriva una doppia porta di legno lucido, la quale dava su
un’ampia sala illuminata, piena di topi intenti a conversare amabilmente tra di
loro: era evidente che si trattava di una festa, o comunque di una cena
elegante. Dal poco che scorse, vide che alcuni invitati avevano una maschera sul
viso, altri no invece, ma non fece in tempo a chiedersi che logica ci fosse
dietro quella differenza, visto che Elizabeth la condusse su per una scalinata,
facendole salire due rampe strette prima di giungere ad un pianerottolo.
Percorsi pochi passi, la topolina si fermò aprendo una porta alla loro destra e
facendoci entrare Cornelia.
“Ecco il
tuo nuovo alloggio. Te lo ricordi, vero? Spero che ti piaccia come l’ho
arredato, anche se non dovrai starci per molto tempo.”
L’altra era
nel frattempo entrata nella stanza, costatando che non era molto diversa da
quella che ricordava, eccezion fatta per l’unica finestra la quale era stata
accuratamente murata. Non fece nemmeno in tempo a dire qualcosa che la porta si
richiuse alle sue spalle. Udì la chiave girare nella toppa e dei passi
allontanarsi. Sospirando, si sedette sul letto e si mise di nuovo a pensare,
arrivando a supporre che ci fosse un’unica spiegazione per il suo spostamento:
qualcosa – o più probabilmente qualcuno – si stava muovendo e ciò aveva messo in
allerta i criminali tanto da farla portare in un luogo più sicuro. Se la
questione la rincuorava da un lato, dall’altro la faceva sentire inquieta:
questo perché i suoi carcerieri non avevano avuto alcuna fretta, né si erano
mostrati eccessivamente nervosi, il che significava che pensavano di avere ogni
cosa sotto controllo. Aveva una brutta sensazione, ma anche la speranza che
tutto, presto o tardi, si sarebbe risolto.
Frattanto,
in una strada a qualche miglio di distanza…
Tre ombre
si muovevano nei pressi del Parlamento inglese, a Westminster. Facevano il
possibile per non dare nell’occhio, mentre cercavano il punto esatto da cui fare
il loro ingresso. Sapevano di dover entrare nell’edificio, ma la porta
principale non era un’opzione da dover considerare e così le altre porte. Dopo
aver vagliato diverse possibilità, avevano deciso di sfruttare una strada poco
convenzionale: le fognature. La scelta aveva fatto preoccupare Topson e non
poco: Basil sapeva orientarsi perfettamente in quell’ambiente, ma per Rattigan
era come tornare a casa. Chi li assicurava che, una volta entrati, non li
avrebbe attirati in un punto a lui favorevole per poi ucciderli? Aveva provato a
spiegare le sue perplessità e paure all’amico investigatopo, ma non ci era
riuscito perché l’altro l’aveva zittito. Sapeva di doversi fidare di lui, ma non
riusciva a scacciare la sensazione di disagio che l’aveva pervaso. Era stata
proprio quest’ultima a fargli decidere di portare non solo il revolver, ma anche
alcune munizioni di riserva per ogni evenienza.
“Ecco, ci
siamo” annunciò il Professore, avvicinandosi ad una grata all’angolo della
strada “Questa ci condurrà proprio sotto il Parlamento.” Continuò, mentre Basil
gli si affiancava, scrutando la grata sotto di sé, prima di chinarsi ed aprirla.
“Vado prima
io, tu mi segui e Topson starà in fondo.” Dichiarò. Il dottore, rimasto poco
indietro, si aspettava che Rattigan replicasse, ma questi si limitò a stare in
silenzio, alimentando la sua sensazione riguardo il fatto che qualcosa non
andava. Basil però parve non curarsene perché cominciò a scendere nel condotto,
seguito dal criminale che, prima di sparire oltre il bordo della strada, rivolse
un sorrisetto a Topson. Quest’ultimo, dopo solo alcuni istanti di esitazione, si
affrettò a scendere a sua volta, richiudendo la grata dietro di
sé.
Una volta
toccato il fondo con i piedi, si accorse che l’oscurità era pressoché totale, se
si escludeva la luce flebile che filtrava tra le inferriate sopra di loro.
Fortunatamente, Basil aveva portato con sé una lanterna cieca che si affrettò ad
accendere, scrutando l’oscurità.
“Da che
parte, Professore?” chiese, puntando il fascio di luce alla loro destra e poi
alla loro sinistra.
“Di qua”
rispose Rattigan, incamminandosi prima di venire bloccato dall’Investigatopo.
“La disposizione resta quella di prima.” Dichiarò, prima di dirigersi nella
direzione indicata dal criminale. Questi lo seguì senza battere ciglio, seguendo
il suo temporaneo alleato lungo il cunicolo con Topson dietro di loro.
Camminarono per un po’, prendendo svolte ed infilandosi in corridoi sempre più
stretti finché non raggiunsero il punto che, a detta sia di Basil che di
Rattigan, li collegava al Parlamento sopra di loro. Dopo essersi guardati un po’
attorno ed aver esaminato il terreno circostante, imboccarono un corridoio che,
secondo Topson, li avrebbe condotti dall’altra parte del Tamigi. Così non fu
però perché, ad un certo punto, dopo una svolta, cominciarono a dirigersi verso
la parte orientale della città, prima di tornare leggermente verso nord. Si
stavano dirigendo, il dottore si rese conto, verso la zona ricca della città, il
che rendeva il tutto ancora più incomprensibile ed inquietante: se anche le
classi alte erano coinvolte, chissà quanto era grande l’organizzazione contro
cui avrebbero combattuto, forse anche più grande di quella di Rattigan. Immerso
in questi pensieri, per poco Topson non andò a sbattere contro quest’ultimo, che
si era fermato in mezzo alla strada. Anche Basil, si rese conto il dottore, si
era fermato e stava scrutando dietro l’angolo.
“Scale che
portano verso l’alto” comunicò l’investigatopo in un sussurro. “Un corridoio che
si apre sulla sinistra. Sento delle voci provenire da lì.”
Anche
Rattigan sbirciò da sopra la testa di Basil.
“Conosco
questo posto, fa parte di una rete sotterranea che collegava il Parlamento ad
alcune delle case nobiliari di Londra. Da qui sono passati molti documenti, o
anche individui, che dovevano essere fatti sparire con discrezione, o
semplicemente dei Lord che preferivano questa via al traffico della superficie”
Spiegò agli altri due.
“E la casa
a cui portano quelle scale di chi è?” chiese Basil.
“Non ne ho idea, anche se
dovremmo trovarci nei pressi di Kensington, a meno che non mi sbagli di
grosso.”
Topson
ascoltava quella conversazione senza intromettersi: aveva vissuto a Londra per
la maggior parte della sua vita a Londra e sapeva che la città aveva molti
segreti, reti sotterranee comprese, ma non aveva mai pensato che fossero di
un’entità così vasta, ritenendo che spesso le voci al riguardo fossero una mera
esagerazione. Invece, ora che ci si trovava, si rendeva conto che, forse, erano
lontane dalla verità. Nel frattempo, gli altri due avevano continuato a parlare
tra loro, cercando di stabilire quale fosse la strategia migliore da
seguire.
“Io direi
di andare al piano superiore, i Parlamentari potrebbero essere tenuti
prigionieri lì dentro.” stava proponendo Basil, scrutando le vie davanti a loro.
“Sembra
troppo semplice, non trovi? Sappiamo entrambi che ci stanno aspettando, magari
sanno già che siamo in movimento e vogliono attirarci lì.” Replicò
Rattigan.
“E allora
cosa proponi?”
“Dividiamoci,
voi andate di sopra e io vado di là.”
“Non se ne
parla assolutamente, rimarremo uniti.”
“Perdendo
tempo e facendoci scoprire subito? Geniale Basil, davvero
geniale.”
“Non ci
scopriranno se facciamo attenzione. Andiamo.” Replicò l’Investigatopo, smorzando
un po’ la luce della lanterna cieca, prima di procedere con cautela.
Rattigan lo
seguì scuotendo la testa e Topson, suo malgrado, si scoprì ad imitarlo. Erano
arrivati al bivio tra il corridoio e le scale e stavano per imboccare queste
ultime, quando sentirono una voce.
“Capo, è
lei?”
Un
bisbiglio o poco più, ma bastò a far fermare Basil che scrutò l’oscurità del
corridoio alla loro sinistra con un sopracciglio inarcato. Si voltò a guardare
Rattigan che aveva la sua stessa espressione. Insieme, con il buon dottore
dietro di loro, si avviarono in quella direzione. Man mano che si avvicinavano
al punto da cui era provenuta la voce, cominciarono a sentirne altre.
“È lui, lo
sapevo.”
“Sì, è
venuto a prenderci.”
Arrivati ad
un certo punto, videro le celle da ambo i lati con dei topi dentro, solo che,
mentre quelli sulla sinistra sembravano quasi ritrarsi nell’ombra, forse
spaventati da Rattigan, quelli sulla destra erano attaccati alle sbarre, con dei
grandi sorrisi sulle labbra.
“Pronti a
prendervi la rivincita?” chiese il professore.
“Sì!” fu il
grido unanime.
“Basil,
guarda qua” disse Topson che, nel frattempo, si era avvicinato all’altro lato
del corridoio. L’amico, dopo aver lanciato un’ultima occhiata a Rattigan, lo
raggiunse con la lanterna cieca e sorrise.
“Bene
signori, direi che questo potrebbe essere il momento di uscire da qui.” Disse,
rivolgendosi ai Parlamentari che cercarono di ricambiare il suo sguardo,
coprendosi gli occhi con una mano, essendo ormai abituati solo alla flebile luce
delle torce.
“Senza
offesa, signor Basil, ma preferiremmo restare qui per ora.” Replicò uno di loro,
guardando i topi dall’altro lato. L’investigatopo alzò gli occhi al cielo.
“Ma certo,
bene.” Disse, voltandosi verso Rattigan che stava già armeggiando con la
serratura della prima cella. “La prima parte del piano è stata superata, adesso
dobbiamo passare alla seconda.”
“E chi ha
mai detto che avremmo partecipato insieme alla seconda?” gli chiese Rattigan,
smettendo di lavorare sulla serratura. “Credo che la tua parte finisca qui,
Basil. Oserei dire che ogni cosa finisce qui. Appena i miei uomini saranno
liberi, neutralizzerò te, il tuo amico e Moriarty e sfrutterò il suo piano per
prendere il potere.”
“Credevi
che non me lo aspettassi forse?” replicò Basil, mentre Topson metteva mano alla
pistola. “Credevi che non avessi preso le mie
precauzioni?”
“Beh, qui
non le vedo” gli rispose Rattigan, allargando le braccia e guardandosi intorno
con fare plateale. “Ci siete solo voi due e quel branco di conigli in gabbia.
Non vedo proprio come tu possa anche solo lontanamente sperare di avere la
meglio.”
“Capo?” lo
chiamò uno dei topi in tono di avvertimento.
“Non
adesso, sono occupato.” Ribatté lui, avvicinandosi a Basil che, a sua volta,
fece un passo indietro. “Sai, me lo volevo gustare fino in fondo, ma abbiamo
speso troppo tempo in parole e troppo a lungo ho represso il mio desiderio di
strangolarti.”
“Provaci se
ci riesci.” Lo provocò l’altro, sfidandolo con gli occhi.
“Sarebbe
certo interessante assistere ad uno scontro tra voi due, ma non credo di avere
tempo per queste cose.” Disse una voce beffarda, proveniente dall’imboccatura
del corridoio da cui erano entrati.
Basil, Rattigan, Topson e tutti i topi si
voltarono di scatto e si trovarono davanti Moriarty con altri cinque ragni che,
in totale silenzio, si erano avvicinati a loro.
“Certo che
non vi smentite proprio mai.” disse il ragno, muovendosi lentamente nella loro
direzione. “Riuscite a fuggire la prima volta e vi fate riprendere come dei
novellini. Padraic, da te poi non me lo aspettavo, sei sempre stato così
scaltro.” Continuò, suscitando delle risate negli altri intorno a lui ed
un’occhiataccia da parte di Rattigan. Il ragno, però, proseguì imperterrito ed
incurante.
“Un’alleanza…
che cosa patetica, vista anche la rapidità con cui è crollata. Una decisa caduta
di stile da parte di entrambi, ma una grande semplificazione per me.”
Topson alzò
lo sguardo e vide che c’erano altri ragni sopra di loro. Tirò la manica di Basil
per attirare la sua attenzione, ma l’amico sembrava attirato da Moriarty che,
intanto, continuava a parlare.
“Un po’
deludente forse, perché speravo che questo gioco sarebbe durato più a lungo, ma
evidentemente mi ero sbagliato. Ah, per quanto riguarda la vostra amica, me ne
sono occupato personalmente.” disse precedendo la domanda e sorridendo quando
vide Basil stringere i pugni e rivolgere un’occhiata truce a
Rattigan.
“Oh, ma non
vi preoccupate ora ci occuperemo anche di voi.”
“Se non ci
muoviamo prima noi. Professore…” replicò l’investigatopo, alzando ed aprendo la
lanterna cieca in direzione di Rattigan che, estratta una polverina dalla tasca,
la soffiò sopra la fiamma in direzione dei ragni davanti a loro, facendoli
arretrare tossendo. Basil poi si affrettò a chiudere la lanterna facendo
piombare l’ambiente circostante nella semi-oscurità.
FINE DEL
CAPITOLO