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Autore: K anonima    28/12/2014    0 recensioni
“Dai, apri gli occhi”.
Volevo veramente che cominciasse un'altra giornata? Mi ponevo questa domanda ogni giorno, ma non riuscivo mai a trovare una risposta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Andavo sempre nel negozio di dischi locale. Non compravo mai niente, ma a Giovanni, il proprietario, non dava fastidio. Quel posto mi tranquillizzava nonostante fosse malmesso. -Tengo aperto solo per te- mi diceva lui ogni tanto e io pensavo “Per fortuna”.

-Se ci fossero ancora giovani come te che si interessano ai dischi io sarei ricco- esordiva.

-Non ci sono però- rispondevo come da copione tutte le volte. Lui faceva una smorfia triste e tornava a passarsi la mano sui baffi leggendo il giornale. “Che persona bizzarra”. A lui piaceva definirsi un vecchio burbero, ma l'ho sempre trovato molto tenero. Da molto tempo ascoltavamo i dischi nuovi insieme. Nuovi si fa per dire, erano quelli che piacevano a noi. Musica indipendente degli anni '70 e '80, che non comprava nessuno, ma a noi piacevano.

Ogni tanto ballavamo insieme su quello stupendo sottofondo.

Un giorno suonarono i campanellini sulla porta, qualcuno stava entrando.

Mi girai con un'espressione alquanto sorpresa, sulla soglia c'era un ragazzo alto e magro con aria molto timida. -Cosa vuoi ragazzo? Ti sei perso?- gli domandò Giovanni dopo essersi schiarito la voce.

-Ah no, vi ho visto dalla vetrina e non so... ho pensato di entrare- replicò il ragazzo che doveva sentirsi parecchio in soggezione dato il modo in cui si guardava intorno. Non potevo togliergli gli occhi di dosso. Non l'avevo mai visto, eppure non pareva un totale sconosciuto.

-E tu entri nei negozi in base alla gente che vedi dentro?-, ero molto perplessa.

-No, sì. No, volevo dire no. Scusate non importa-, si girò ed riaprì la porta.

-Tu, ragazzino! Puoi restare, questo posto non ha mai visto tante persone tutte insieme-, in effetti Giovanni aveva proprio ragione.

La musica ripartì. Una cosa proprio mi disturbava: quel ragazzo seduto per terra in un angolo con lo sguardo fisso sul pavimento. “Nessuno dovrebbe sentirsi così”.

Mi sedetti vicino a lui e gli dissi -Ciao. Non far troppo caso a noi, siamo persone particolari-.

-Io... mi dispiace per prima. Sembrava che vi steste divertendo-

-Certo, noi ci divertiamo sempre- feci una piccola pausa -Vedi questo posto? Non è mai cambiato, in trent'anni. Lui è il proprietario e io... non mi posso permettere di comprare dei dischi-

-La musica è un rifugio che non vede denaro-. Quella frase mi aveva davvero stupito.

-E' fin troppo buono a farmi entrare, già. Non viene mai nessuno qui e so che ne soffre. Il minimo che posso fare è fargli compagnia-. Guardavo Giovanni, non volevo che mi sentisse, anche se sapevo che stava ascoltando la nostra conversazione.

“Perché glielo sto raccontando. Chi è? Ma cosa ti prende?!”.

-Io e te non ci conosciamo giusto?- sperai di non fare una di quelle brutte figure che a me capitavano fin troppo spesso.

-Mi chiamo Mattia. Facciamo la stessa scuola dalle elementari, mai stati nella stessa classe. Capisco se non mi conosci, non mi faccio notare molto. Ho due anni più di te-. La figuraccia ormai era fatta, ma cominciavo a ricordare. Era lui la persona che mia madre spesso citava come l'unico peggio di me a scuola. Il ragazzo che abitava nella mia stessa via e che tornava a casa da solo tutti i giorni. “Oh no, idiota”.

-Mi ricordo di te... più o meno-. Giovanni si mise a ridere, conferma che stesse partecipando passivamente alla conversazione.

Fuori ormai era già buio e, dopo aver salutato quel tenero vecchietto baffuto ci avviammo verso casa.

-Scusami se non mi ricordavo bene di te. Non c'era cattiveria- dissi per rompere il silenzio.

-Cattiveria? Tu forse non sai nemmeno cos'è la cattiveria, sei troppo gentile e tranquilla-. Quante cose non sapeva. Nella mia vita non c'era mai stata la pace, solo guerra.

-Magari fosse come dici. Cambiamo discorso. Piacere io sono...- mai mi era capitato di presentarmi, mai nessuno aveva chiesto il mio nome. A me nemmeno piaceva. Evitavo di dirlo e di farmi chiamare, evitavo tutto. “Forse non gli interessa. Perché dovrei dirglielo?”.

-Sei?-

-...Sam. O meglio Samanta, ma per intero non mi ci ha mai chiamato nessuno-.

-A me piace il tuo nome. Mat e Sam.... sembra il titolo di un programma tv- e scoppiò a ridere. “Tenerezza”. Che stava succedendo? Anche io stavo ridendo?

Tornai in me dopo qualche secondo, gli sorrisi e gli feci un cenno con la mano. Lo fissai dritto negli occhi per qualche altro secondo, fino a che la cosa non divenne molto strana.

Mi girai su me stessa e corsi a casa, piantandolo in mezzo alla strada.

Mi strofinai il viso con le mani, c'era qualcosa che non andava. Avevo percepito qualcosa di familiare in lui, come se fossimo simili. Forse ci si sentiva così quando si incontrava qualcuno di affine.

   
 
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