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Autore: Fidaide    13/11/2008    2 recensioni
Corre l'anno 1955... Qualcosa di strano accade a Malfoy Manor.
"La tensione crebbe palpabilmente. Pensieri tumultuosi mulinarono nel cervello di Hilda, che, abbrancata da una fitta di paura, si voltò di scatto, mentre il viso del maggiordomo, ritto dinnanzi a lei, sembrava essersi impietrito. Nelle loro vene il sangue fluiva veloce e raggelato.
Alla servitù non era concesso di entrare nella stanza delle armi, la camera preferita dei signori Malfoy, Abraxas e Lysiart, che conteneva una sfilza di stemmi e fucili Babbani, insieme con un mucchio di stampe antiche provenienti da tutte le parti del globo. Ma l’infermiera, colta dal terrore e dall'ansia, dimenticò ogni divieto. Afferrò la maniglia e spalancò la porta della sala sfarzosa. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante..."
Scritta a quattro mani da Fidia e Alaide.
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

L’aria odorava di salsedine e gelo nella nebbiosa Calle del Vin. Inargentato dai tremuli barbagli lunari che, di quando in quando, penetravano la foschia e ne carezzavano la superficie, l’asfalto splendeva come il pelo di un fiume cristallino. Mai come adesso Venezia era stata maestosa e somigliante ad una Bella di notte che si chiuda, temendo d’essere accecata dal sole, nei propri petali screziati, mentre nelle troppo oscure tenebre riposava fra la quiete surreale che solo le notti di pioggia e di nebbia portano con sé. E dalla lontana musica che le gondole e i vaporetti intonavano solcando le acque, gli abitanti in balia di Morfeo erano dolcemente cullati, e i loro animi riempiti d’una dolce e soave malinconia.
La figura nel mantello rosso camminava a passo tardo nella calle, talora poggiandosi ai muri di granito o gettandosi a terra per soffocare un pianto di dolore. Sformati dal velo di pioggia, i contorni della sagoma apparivano vaghi e fumosi ogniqualvolta intercettavano un filo di luce. Il camminare lento e strascicato dell’ombra lasciava trapelare, in maniera evidente, l’indole tormentata e scossa che fra le pieghe del mantello si celava. Apparentemente condannata a una vita raminga ed errante, simile ad uno spirito che eternamente insegua l’ispirazione, o ad un troviere con una storia che nessuno vuol sentire, girovagava respirando con fatica e versando lacrime velenose e aspre. Se Monet l’avesse per caso scorta, ne avrebbe fatto un ritratto di somma magnificenza; un poeta romantico sarebbe rimasto incantato dai suoi occhi, e per inneggiare alla sua decadente bellezza avrebbe composto una dolce poesia; nei suoi occhi un musicista avrebbe trovato le note per una pavane; ma ognuna di queste opere avrebbe nascosto un cuore di sofferenza, caldo al modo d’un fuoco che, pur crepitando, non voglia spegnersi, ed anzi brami d’ardere con rinnovata forza.
Come una rosa senza petali che danza al ritmo del vento autunnale, la donna vagava per le calli, contemplando le acque, ingannata da vecchi ricordi, unico nutrimento per il suo animo affranto.
Solo nelle notti più nere la si sarebbe vista peregrinare sulle banchine, come alla ricerca della via perduta. La sua figura, mitizzata dai pochi abitanti che l’avevano scorta, era ormai divenuta leggenda, e nessuno si chiedeva da dove quella donna fosse giunta. Qualcuno la identificava con la distillatrice di profumi che lavorava in un’antica residenza patrizia in prossimità di Calle dei Preti. Quella donna parlava una lingua che nessuno comprendeva, fatta di sospiri, gemiti e lamenti.
Sulla bordatura del suo mantello rosso correva, a detta di molti, una strana citazione:
“L’amour rassemble fort à une torture ou à une opéeration chirurgicale. Mais cette idée peut être développée de la manière la plus amère. Quand même les deux amants seraient très épris et très pleins de désirs réciproques, l’un des deux sera toujours plus calme ou moins possédé que l’autre. Celui-là, ou celle-là, c’est l’opérateur, ou le bourreau, l’autre, c’est le sujet, la victime.”
Perché andasse in giro con quelle frasi di Baudelaire sulla schiena era un mistero destinato a rimanere sepolto nel suo oscuro passato.


Laureen fissava il parco all'esterno del Manor dalla finestra della sua camera. Alcuni fiocchi di neve svolazzavano pigramente fino al suolo imbiancato da giorni. Anche quel nuovo anno aveva portato la neve e il compleanno di Abraxas che cadeva proprio in quel giorno. La donna sospirò. Per quanto fosse passato un anno e mezzo da che era stato arrestato Zephyrus MacNiemand alle volte la sua mente si sentiva ancora oppressa. Ed era certa che la stessa cosa accadesse anche agli altri abitanti del Manor, a quelli che erano rimasti per lo meno.
C'era un nuovo maggiordomo da quando Green aveva sposato Ottilia Zurrey quattro mesi prima e di certo la donna dall'aria solare che badava ad Adolar non poteva capire per quale motivo lei fosse presa da improvvisi attacchi di tristezza. Il vecchio capofamiglia viveva nella sua demenza. Sempre più raramente ritrovava se stesso, sempre più raramente lo si vedeva vagare improvvisamente per il Manor. La sua mente se ne stava sempre più andando e questo angustiava Laureen che era certa che la morte di Lysiart e Loreley avesse avuto un peso rilevante sul vecchio Malfoy.
In fondo era impossibile dimenticare le morti di Lysiart e Megan, di Loreley e Patrick.
Forse anche alcuni degli elfi domestici ne avevano ancora memoria. Forse rammentavano quel periodo Hatty e Maky che lavoravano ancora nelle cucine della magione con l'ordine tassativo, che anche l'elfa libera seguiva, di non farsi mai vedere da Abraxas, una cosa che Laureen doveva ancora spiegarsi del tutto. Probabilmente vi erano questioni della tragedia che aveva colpito il Manor che a lei sfuggivano e una di queste era legata ai due elfi.
Scosse appena il capo. Tutto quel pensare agli elfi non toglieva il fatto che lei non potesse dimenticare. E sapeva che anche Abraxas, per quanto lo celasse abilmente, e Charlotte erano tormentati dai ricordi.
Forse nessuno l'avrebbe pensato in quel momento, vedendoli passeggiare sotto la neve, a braccetto, con il piccolo Lucius che zampettava qua e là ridendo. Un sorriso apparve sulle labbra di Laureen. Il figlio del cugino era una presenza che rallegrava la vecchia magione con le sue risate e i suoi giochi. Si disse certa che sarebbe diventato un'ottima persona una volta cresciuto.
Un gridolino più forte del bimbo ruppe del tutto il silenzio di quel dodici gennaio 1957. Charlotte sorrise, mentre si voltava verso Abraxas.
«Lucius sembra incantato dalla neve - commentò - Sono certa che l'anno prossimo potremo fare un bel pupazzo di neve per il tuo compleanno. Sarebbe bello farlo per il suo, a febbraio, ma non sempre c'è la neve in quel periodo.»
«Credo che nessuno abbia mai visto nulla del genere intorno al Manor, ma sono certo che si divertirà. - l'uomo fece una pausa, mentre toglieva dalla fronte di Charlotte un fiocco di neve - E mi piace sentire nostro figlio ridere.»
La giovane arrossì appena, mentre poggiava il capo contro la spalla di Abraxas. La imbarazzava sempre quando l'uomo si riferiva a Lucius come ad una loro creatura, anche se sapeva che lo faceva per il bambino. Lucius era troppo piccolo per poter capire che la sua vera mamma era morta e che Charlotte era stata un tempo la sua bambinaia. La giovane sorrise appena, mentre osservava il bimbo. Si sentiva così serena in quei momenti, quando era con Lucius e Abraxas, da riuscire a scordare tutto quello che era avvenuto un anno e mezzo prima in quella notte terribile nella stanza delle armi. Il solo ricordo la fece rabbrividire e stringere maggiormente ad Abraxas. Sentì lo sguardo dell'uomo su di sé e subito dopo le sue labbra sulla fronte. Sembrava quasi che fra loro non vi fosse più bisogno di parole, non in momenti come quello per lo meno. Continuarono a camminare, seguendo Lucius che sembrava voler afferrare un qualche fiocco di neve, allungando la manina aperta davanti a lui. L'immagine fece sorridere Charlotte. Il bimbo si muoveva ancora goffamente, ancor più considerando quant'era infagottato, e le ricordava in maniera incredibile il modo buffo in cui camminava il giorno di maggio in cui aveva sposato Abraxas.
«Papà, mamma! - esclamò improvvisamente il bambino, tornando verso di loro correndo - Preso uno.» aprì la manina e mostrò quello che rimaneva di un fiocco di neve che si stava pian piano sciogliendo a contatto con la sua pelle.
Abraxas scompigliò con una mano i capelli del figlio, in segno di congratulazione, e Charlotte gli sorrise solare, poi ripresero a camminare. Lucius rimase al loro fianco probabilmente stanco dopo tutto quel correre.
La mente di Lotte tornò a vagare nei ricordi. Abraxas le aveva chiesto di diventare sua moglie pochi giorni dopo la notte nella stanza delle armi, per poi giungere di comune accordo a lasciare scorrere diversi mesi per rispetto, seppur tardivo - e quello la faceva sentire ancora in colpa alle volte - verso Megan. La cerimonia stessa era stata quanto di più intimo vi potesse essere, al punto che i giornali non se n'erano quasi accorti. Soltanto Laureen, Green e Ottilia, con Timothy, avevano partecipato. La giovane sospirò pensando alla sorella. C'erano stati giorni, dopo la fine di tutto, che aveva disperato di poter realmente ricucire il legame con lei. Da parte sua era ancora ferita dalle accuse di Ottilia, dall'altra parte sua sorella provava ancora diffidenza per il suo rapporto con Abraxas. Era stato un processo lento, favorito soprattutto da Timothy, ed il giorno in cui si erano abbracciate di nuovo erano entrambe colme di imbarazzo. Poi Ottilia si era fidanzata con Green, quando il figlio aveva accettato la presenza dell'uomo, ed infine anche lei si era sposata nuovamente.
«Papà, stanco.» biascicò Lucius, sbadigliando al loro fianco.
Abraxas si chinò e prese in braccio il figlio. Si voltò verso Charlotte che stava al suo fianco e ripresero a camminare. Rimasero in silenzio a lungo. L'uomo osservava di tanto in tanto la moglie. Alle volte non riusciva ancora a credere di essere al fianco della giovane che amava, di poter vivere il resto della sua vita con lei, di essere lì con suo figlio e non ad Azkaban a pagare per gli errori tremendi che aveva commesso. Sapeva che il senso di colpa non l'avrebbe mai abbandonato, che avrebbe rivisto nei suoi incubi il volto della madre morta a causa sua e il padre che cadeva nella demenza. Ed in fondo non voleva che lo abbandonasse. Era l'unico modo che aveva per scontare i suoi peccati, per pagare quel debito con il padre che gli aveva fatto sposare Megan, per riparare forse a tutti gli altri errori che aveva commesso in vita sua, ed uno era stato sicuramente legare a sé una donna che non amava.
La salute di suo padre peggiorava di giorno in giorno. Alle volte aveva temuto che potesse morire da un momento all'altro. La morte del genitore era qualcosa che aveva sempre temuto, che aveva sempre riposto nell'angolo più remoto della sua mente. Forse desiderava il suo perdono, forse desiderava potergli dire che aveva vissuto e sarebbe sempre vissuto con il senso di colpa per quello che aveva fatto. Riteneva che l'ultimo vero sprazzo di lucidità risalisse a quella mattina, la mattina che aveva preceduto la notte nella stanza delle armi, quando aveva spiato lui e Lotte e aveva gridato quel Maledizione, che per Abraxas rimaneva ancora inspiegabile. Forse aveva semplicemente ricordato ogni cosa di quel giorno nella piccola libreria.
«Si è addormentato.» disse improvvisamente Charlotte, rompendo i pensieri del marito, indicando il bambino.
«Si è stancato a correre così tanto.» commentò Abraxas.
«Ed ha mangiato troppa torta a pranzo. - aggiunse Lotte con un sorriso - È goloso.»
L'uomo annuì appena, mentre con la sua famiglia raggiungeva il padiglione rococò. Entrati, andarono in una delle sale e Abraxas depositò Lucius su un divano, coprendolo con alcune coperte che trovò in uno stipo.
«Stamane ho ricevuto una lettera da Deirdre O'Connor. - disse la giovane, che si era andata a portare accanto al camino, che spandeva il suo calore tutt'intorno - Non ho fatto in tempo a dirtelo, con tute le disposizioni da dare agli elfi per il pranzo e Lucius che scalpitava per andare nel parco…Dice che ha presentato il libro sull'alchimia, quello a cui ha iniziato a lavorare qua al Manor, in Giappone. Ha incontrato Ester Hayward per puro caso. È diventata un'Auror di una certa importanza presso gli uffici ministeriali di Kyoto… - la giovane fece una nuova pausa, mentre pensava alle poche volte in cui aveva visto la figlia di Juliet, la quale ancora viveva ad Hayward House pronta a spargere zizzania su chi le capitava a tiro - Mi sembra incredibile che Deirdre ancora ci scriva di tanto in tanto.»
«Sì, risulta strano anche a me.» confermò l'uomo, che si era avvicinato alla giovane moglie, ponendosi al suo fianco.
Poi l'abbracciò, stringendola contro di sé. Entrambi stavano ricordando i drammi di un anno e mezzo prima. Erano fatti impossibili da dimenticare, da scacciare dal cuore e dalla mente. Condividevano il fardello di quei giorni e, forse, se non fossero stati uniti questo li avrebbe schiacciati, distrutti. Nessuno poteva passare indenne attraverso quella tragedia e nessuno poteva passare indenne attraverso le proprie colpe, pensò l'uomo, mentre baciava dolcemente la moglie. E Charlotte, accettando di dividere la vita con lui, fin da quella fatale sera nella stanza delle armi, aveva preso su di sé parte del peso delle sue colpe. Sicuramente condividevano le ferite di quei mesi del 1955, quelle ferite che avevano lasciato cicatrici che mai sarebbero scomparse.
Eppure, stretti in quell'abbraccio, nel loro amore, riuscivano entrambi a vedere davanti a sé giorni a venire colmi delle piccole gioie della vita quotidiana, un futuro sereno da vivere insieme al piccolo Lucius, un futuro sgombro di nubi.


Le parole di Baudelaire sul mantello di Rosamund significano:"L'amore assomiglia assai ad una tortura o ad una operazione chirurgica. Ma quest'idea può essere sviluppata nella maniera più amara. Anche quando i due amanti saranno assai presi e pieni di desiderio reciproco, uno dei due sarà sempre più calmo e meno ossessionato dell'altro. Questo qui, o questa qui, è il chirurgo o il boia, l'altro è il suddito, la vittima."

Ecco a voi l'epilogo! Giungere alla fine di tutto è qualcosa di sconvolgente, accorgersi di non aver più da scrivere su Abraxas, Rosamund, Charlotte, Laureen e tutti gli altri (citarli tutti sarebbe troppo lungo).
Abbiamo però iniziato a lavorare ad un nuovo progetto che comparirà (non sappiamo ancora bene tra quante settimane) sul sito. Conosciamo però già il titolo "...hoc quod volo me nolle". L'ambientazione, come scoprirete, sarà totalmente diversa da quella di "Sotto il gelsomino in fiore", per quanto rimanga nel mondo immaginato dalla Rowling.

Un grazie enorme a:

Vekra: Siamo lusingati della tua recensione! E siamo contentissimi che ti sia piaciuta la risoluzione del giallo, che ti abbia sorpreso favorevolmente. Scadere nel banale era la nostra più grande paura. Eccoti qua l'epilogo. Speriamo sinceramente che ti piaccia e che possa rispondere alla tua ultima domanda.

Thiliol: Grazie mille per la tua recensione! Siamo contenti di averti stupita con Rosamund! Sappici dire cosa pensi dell'epilogo!

Un grazie alle 15 persone che hanno inserito la storia tra i preferiti e a chi l'ha letta soltanto!

  
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