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Autore: Leonhard    29/12/2014    4 recensioni
...e poi avrebbero sicuramente giocato a quel gioco stupido che si era inventato Tsuyoshi: "Pensieri, opere, parole, omissioni". Abbreviato, fa popo. un gioco veramente della popo. Ahahah...non aveva mai avuto uno spiccato senso dell'umorismo: neanche lui rideva...bah...
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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8.

Akito Hayama era sempre stato un bambino, un ragazzo, un uomo senza tante pretese né particolari abilità se non quelle che gli permettevano di vedere sempre l’alba del giorno dopo. Era nato quasi per caso e si era sentito per annoi la sorella che gli buttava sulle spalle la responsabilità della scomparsa della madre.

Lo avevano anche accoltellato! Eh si; un suo compagno lo aveva pugnalato ad un braccio accusandolo di non avergli dato il permesso di mettere il suo nome sulla lista dei migliori amici. Ragazzi, quel tipo non stava bene per nulla…aveva avuto quella che i medici avevano definito un’esperienza post-mortem, e poteva testimoniare che non c’era nessun tunnel dall’altra parte, almeno non per lui.

Per lui c’era una porta e sua madre che faceva attenzione a che nessuno di loro la oltrepassasse prima del giorno stabilito. Aveva anche visto sua mamma; non si ricordava molto bene il suo viso, ma se si sforzava il suono della sua voce gli riempiva ancora la testa, donandogli serenità e quiete.

Ebbene sì, signori: Akito Hayama era un ragazzo che aveva vissuto tanto, forse troppo, e chissà quante ne avrebbe raccontate ai nipoti, se quel giorno fosse mai arrivato. E per sua fortuna avrebbe potuto anche raccontare della sveglia della sua ex fidanzata con cui occasionalmente andava a letto e, credetemi, quest’ultima non è una cosa da poco.

Non ci aveva fatto molto caso la sera precedente, perso com’era nell’invitante profumo della pelle di Sana e nella concentrazione che stava mettendo nell’arrivare al letto per evitare di sollevarla tra le forti braccia, spingerla contro il muro e farla sua lì, che tra l’altro era una cosa che si era ripromesso di fare. La ricordava vagamente, come un sogno: una radiosveglia ordinaria, con l’ora segnata a cifre digitali bianche sopra uno sfondo con un’orchidea bianca e viola.

Giaceva beato nel letto non suo, godendosi nel dormiveglia il tepore del piumone e sentendosi in pace con il mondo intero. Alle otto in punto i Turisas squarciarono il silenzio con Stand Up and Fight (*) e strapparono Akito dal suo mondo di quiete per metterlo davanti al serio rischio di un infarto. Scattò a sedere all’istante, con il cuore che batteva talmente forte da poterlo sentire assieme a Tude Lehtonen, che in quel momento stava pestando alla batteria come se non avesse un domani. Volse uno sguardo assassino prima a quella che fino alla sera prima era una radiosveglia innocua e poco importante e poi a Sana, che si stava stirando placidamente.

“Buongiorno” disse, sovrastando l’apparecchio che diffondeva il suo chiassoso Folk Metal.

“Tu sei malata…” ringhiò lui in risposta.

“Ah è per la sveglia?” chiese, spegnendola e facendo tornare a regnare il silenzio. Akito sentiva ancora il delay della chitarra e pensò che in altre circostanze quel brano gli sarebbe anche piaciuto. “Mi da’ la carica di affrontare la giornata; non è la musica, sono le parole”.

“…molto malata…” replicò lui, sorvolando sul fatto che la sua esordiva con Hysteria  dei Muse(**). Si sdraiò nuovamente, aspettandosi che lei facesse altrettanto e rimase vagamente deluso quando la vide alzarsi dal letto.

“Accidenti, io stamattina ho lezione…” mormorò, gettandosi sulle spalle la vestaglia. La ragazza, senza aspettare un richiamo che tanto non sarebbe arrivato, uscì dalla camera da letto di corsa. Cosa avrebbe dato perché lui la abbracciasse e le sussurrasse all’orecchio di non andare, di rimanere con lui quella mattina e rimettersi a letto.

Aprì la tenda della cucina, facendo entrare la pallida luce del mattino, e tornò nella camera da letto. Lo vide rivestirsi ed ebbe un tuffo al cuore.

“Akito…cosa vuoi per colazione?” chiese. Lui le scoccò un’occhiata interrogativa.

“Sono un po’ lontano dall’università: mangerò qualcosa strada facendo” disse, pensando che quella era una ripicca bella e buona. Lesse la delusione nei suoi occhi e ne godette.

“Ah…” mormorò lei, abbassando lo sguardo. “Pensavo di far colazione insieme…”.

“Scusa, non hai lezione stamattina?” replicò lui, ritorcendo contro di lei la sua scusa per farsi abbracciare.

“Ne avremmo approfittato per parlare…” ritentò lei, ma Akito aveva la risposta anche per questo.

“Parlare di cosa?” chiese. “Di quello che facciamo? Di quello che siamo?”.

“Beh, considerando che è la seconda volta che siamo andati a letto insieme, direi che parlarne sia abbastanza normale” replicò. Lui fece una spalluccia.

“E perché?” chiese ancora. “Per te è così importante avere un’etichetta?”.

“Come scusa?”.

“Andiamo a letto insieme e stiamo bene nel farlo” analizzò il ragazzo, abbottonandosi i polsini della camicia. “E non ci facciamo molte domande quando capita: perché farcele una volta finito tutto? Io faccio quello che mi fa star bene”.

“E questo ti fa star bene?” chiese lei, con quella voce.

Già, quella voce.

L’unica cosa di Sana in grado di fargli veramente paura. Quella voce ferma, bassa, del tutto inespressiva, che gli ricordava la fuga in quel parco divertimenti che in quel momento gli sfuggiva il nome. La malattia della bambola; quanto tempo aveva dovuto far passare prima di accettare il fatto che, se quella malattia era reale, allora per il suo caso non esisteva più cura alcuna?

Decise di ignorare il lungo, sgradevole brivido gelido che quella voce gli regalò e si concentrò su sé stesso, su quello che sentiva.

“Non lo farei se mi facesse star male” mentì.

Non erano passati nemmeno dieci minuti dall’inizio della giornata ed aveva appena detto alla donna che amava che il loro essere scopamici gli stava bene. Quando sentì il “capisco” stentoreo di Sana capì qualcosa anche lui.

Non sarebbe più tornato indietro.

Il viso di Sana fu pervaso da un sorriso largo quanto falso, talmente falso che Akito si sentì infastidito nel vederlo: avrebbe preferito un ceffone a quella vista.

“Beh, del resto è meglio così no?” disse. “Tu non vuoi rimetterti con me ed anche tu probabilmente saresti lo stesso fidanzato ingestibile. Faremo quello che ci fa star bene e smetteremo quando ognuno di noi troverà la persona giusta”. Lui annuì, senza staccare gli occhi dal suo…chiamiamolo sorriso.

Uscendo dalla porta, ebbe la tentazione di baciarla, ma gesti come quello appartenevano ad un mondo passato, un mondo che gli aveva regalato una sofferenza che lui ancora temeva troppo. Sentiva il suo cuore sanguinare e la sua mente dirgli che era meglio che lo facesse; non era fatto per soffrire in quel modo. Tirò dritto e la salutò, ascoltando il suo saluto allegro.

Uscito che fu dal cancelletto della casa, si guardò intorno; l’aria era fredda e la condensa d’aria che usciva dalla sua bocca si raddensava in fugaci nuvolette che subito scomparivano. Pescò una sigaretta dal taschino e la accese: con la complicità del tabacco, quelle nuvolette erano meno timide e più prolungate, ma il sapore era diverso. Volse l’angolo e si appoggiò al muretto, fumandosi addosso per coprire l’odore di sesso ed il profumo di lei, così intriso nei suoi vestiti da provocargli una fitta di dolore ad ogni respiro.

Gettò il mozzicone quando puzzò di nicotina come voleva lui. Senza un apparente motivo e senza prendersi la briga di tentare di trovarne uno, si mise a correre verso casa.
 

Sana era appoggiata contro la porta. Ascoltò i suoi passi fuori dal vialetto finché non sentì il cancello chiudersi. Niente relazioni o legami, solo rapporti: una scopata ogni tanto e poi tante grazie ed arrivederci. Ma era veramente questo che voleva? Era caduta così in basso da accettare un simile compromesso? Ed anche quella proposta: non era assolutamente da Akito proporre soluzioni del genere. Si chiese per la prima volta se fosse mai stata una buona fidanzata. Incapace di non pensarci, perse qualche istante a ringraziare di non aver lezione e si rimise a letto.

Le lenzuola erano ormai fredde, ma c’era ancora la forma del suo corpo tra le pieghe del letto. Non seppe che fare, né a chi chiedere consiglio. Tutto quello che sapeva era che era diventata la scopamica del suo ex, una che va a letto con un ragazzo finché uno dei due non trova di meglio.

Non sapendo più cosa pensare, fece ciò che ogni ragazza come lei fa in situazioni del genere: affondò il volto nel cuscino e lavò via la sensazione dei baci sulle sue labbra con calde e salate lacrime, indecisa se vergognarsi o meno del piacere che ancora le dava quel piacevole caldo in mezzo alle gambe e dentro il suo ventre.
 


(* fidatevi: un’esperienza così è terribile…)
(**anche questa…)

 
NOTA DELL’AUTORE

È strano raccontare cose del genere, ho sempre la sensazione di non riuscire a render bene l’idea: fatemi sapere cosa ne pensate. E così, a tre o quattro uscite dalla fine, siamo arrivati ad un nuovo anno. Ci tenevo a farvi gli auguri ed a ringraziarvi per il supporto che mettete nelle recensioni che lasciate.

Spero di continuare a soddisfarvi con belle storie anche il prossimo anno (beh, magari evitando di far passare troppo tra un aggiornamento e l’altro). Ci leggiamo presto ed intanto auguro di nuovo a tutti voi un buon anno.

Leonhard
   
 
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