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Autore: AmbraDellaRosa    31/12/2014    0 recensioni
Cosa succederebbe se si potesse scrivere la storia in un libro e tutto ciò che viene scritto si avverasse? Quale potere si avrebbe nelle mani? Ma soprattutto, quale sarebbe il prezzo da pagare?
Libro delle favole, istruzioni per l'uso:
Sta attento a ciò che scrivi, potresti non rimanerne soddisfatto...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Le prime luci dell'alba accarezzavano le pulite e semplici lenzuola di cotone del letto di Adhele, mentre lei, già sveglia da più di un ora, come ogni mattina, si preparava per dare inizio alla sua giornata.
La notte precedente, quando era rincasata dal bosco, aveva trovato la porta socchiusa; per un'istante aveva temuto che suo figlio fosse ancora in giro ai margini del bosco, ma poi, entrando, aveva trovato il pezzo di pane sul tavolo, e, scendendo a controllare al piano di sotto, aveva intravisto fra le ombre il figlio dormire sotto le coperte, come se nulla fosse accaduto. 
Tirò un sospiro di sollievo risalendo le scale, e cercando di fare il più piano possibile per evitare di farle cigolare. 
"Perdonami" si era detta nel bosco, sulla via del ritorno, pensando al marito. Ogni opportunità di riaverlo indietro dando via il libro era svanita. "Anche lui avrebbe voluto così in questa situazione" si disse, come per rincuorarsi, prima di cadere fra le braccia di Morfeo.
Quella mattina però, invece di sentirsi meglio rispetto alla notte precedente, tutto ciò a cui riusciva a pensare era la categorica consapevolezza del fatto che avrebbe dovuto parlare con suo figlio; stava per compiere undici anni, era ormai abbastanza grande per conoscere la verità, e, come ben sapeva, cercare ulteriormente di proteggerlo dal libro aveva già causato molti danni, tanto da fargli immaginare che esso fosse un bene al servizio dei buoni, uno strumento magico da adoperare ogni qual volta ce ne fosse il più remoto bisogno; un oggetto del tutto sicuro.
Adhele si rigirò tra le lenzuola, passandosi le mani sul volto, e pensando a dove aveva sbagliato. Anche se in fondo, lo sapeva bene. 
Decise di affrontare il problema di petto, così si alzò, raggiunse la botola, che aprì piano, e si calò al piano inferiore. "Questo passaggio sta diventando troppo stretto" pensò con rammarico; suo figlio sarebbe cresciuto e sarebbe diventato scomodo per lui, se non impossibile, usufruirne. 
Ethan stava ancora dormendo, ma la madre, sedendosi accanto a lui sul letto, lo scosse delicatamente, finché le sue palpebre assonnate non si schiusero. Sulle prime il bambino si guardò intorno confuso, ancora un po' addormentato ma poi il suo sguardo si incrociò con quello della madre, tanto che non ci sarebbe stato bisogno che lei gli dicesse:-Dobbiamo parlare. 
Le parole furono pronunciate con voce ferma ma non severa, come altre volte. 
Adhele si alzò dal letto per dare la possibilità al figlio di sedersi sul bordo, per poi riaccomodarsi al suo fianco.
Il bambino la osservava in uno sguardo che era un misto fra l'accigliato ed il consapevole, aspettando che la madre iniziasse il suo discorso. 
-Ci sono delle cose che devi sapere- disse, incrociando i suoi occhi, con voce tesa ma dolce, che ricordava vagamente la voce della ragazza nel sogno. Ethan notava l'immensa somiglianza, celata da una crocchia di capelli arruffati e una pelle piena di grinse. Non era certo dell'età di sua madre, ma era sicuro che dimostrasse quasi il doppio dei suoi anni.
-Circa il libro- continuò la donna, abbassando leggermente la voce, come se fosse un segreto. Ethan annuì, ancora turbato dalla sua visione in sogno della notte precedente.
-E' una lunga storia- iniziò Adhele -comincerò dal principio di tutto, per favore non interrompermi ed alla fine avrai tutte le risposte che hai sempre cercato.-
Si diede un ultima scrollata con un sospiro, e poi diede inizio al racconto, sotto il silenzioso sguardo attento di suo figlio. 
-Spesso mi hai chiesto cosa successe a tuo padre, ed io ti dissi che era morto in guerra, te ne ricordi?- a questa prima frase seguì un segno di assenso da parte del bambino, così Adhele continuò.- Bene. Spero che tu possa perdonarmi se ti ho mentito, ma l'ho fatto in buona fede, pensando che fosse la cosa giusta; solo adesso ho capto che mi sbagliavo.- un altra scrollata di spalle.Poi la donna ripose nuovamente lo sguardo sul figlio, il cui viso era corrugato in un espressione di stupore e confusione.
-Un tempo, dodici anni or'sono, io non ero un umile contadina e la mia vita era molto diversa da quella che è oggi.- le parole furono pronunciate con voce leggera e malinconica, in una memoria lontana.-So che per te sarà difficile da comprendere, ma io un tempo non appartenevo alla razza umana. Si, figlio mio, è proprio così. Io ero una di quelle che oggi verrebbero chiamate fate, e vissi per più di mille anni con le mie sorelle.- Sembrava quasi che Adhele volesse convincere anche se stessa di quelle parole, come se in fondo si desse della matta, come e ciò che stesse dicendo non avesse alcun senso; ma la reazione di suo figlio, che si aspettava essere sconvolta, fu invece solo quella di un volto leggermente accigliato, con lo sguardo che puntava in basso a sinistra, guardando il vuoto, come se stesse assimilando il tutto credendo ciecamente alle parole della madre. Quando sembrò aver collegato tutto rialzò nuovamente i suoi occhi ed annuì, pronto per ascoltare il resto della storia. In realtà, tutto ciò a cui stava pensando era che sua madre, forse, non dimostrava davvero il doppio dei suoi anni.
-Vivevo nel bosco, con le altre fate; facevo si' che i fiori sbocciassero e che la rugiada scivolasse delicata sulle foglie delle piante, non ancora illuminate dai primi raggi del sole; amavo il bosco, era la mia casa, ed amavo la mia vita.- disse la donna con un dolce sorriso accennato sulle labbra.
-Ma poi- continuò, mentre il suo sguardo si faceva ombroso,- ma poi, qualcosa accadde. La nostra sovrana, gentile e caritatevole, amata da tutte le fate, si ammalò inspiegabilmente ed in breve tempo morì, così, noi fate ci trovammo senza una guida e gli equilibri naturali che ci erano affidati ondeggiavano con equilibrio precario. Si necessitava di una nuova regina, di qualcuno che potesse prendere le redini della situazione, e riportare la stabilità nel nostro piccolo regno nascosto.- anche quelle parole furono pronunciate con amarezza, quasi come se fossero state chiuse a chiave in un cassetto e non fossero più state tirate fuori per lungo tempo. Ethan guardava sua madre, riusciva a percepirne il dolore così come la rimembranza di una gioia di tempi andati. Credeva alle sue parole; aveva sempre saputo che in lei c'era qualcosa di nascosto, di celato a tutti i costi, ed adesso sapeva di cosa si trattava. Si sistemò meglio sul bordo del letto, mentre sua madre continuava con il suo racconto.
-Ci furono due candidate al trono di regina, le sue due figlie, Brethil e Canie. Il metodo di votazione era semplice; ogni fata lasciava un granello di polvere fatata nella cesta con su scritto il nome della fata da eleggere. Brethil era molto amata, le altre fate le dicevano spesso che era proprio come la sua defunta madre, le dicevano che volentieri le avrebbero affidato il loro regno. Quasi tutte le fate avevano intenzione di lasciar cadere la propria polvere nella cesta assegnata ad Brethil, e solo poche di loro desideravano Canie come loro sovrana. Ella era astuta e malvagia, in grado di commettere il più grave degli atti per proteggere il suo interesse, e, fu proprio questa la caratteristica che la portò alla vittoria- Le frasi riguardanti la fata Brethil furono pronunciate con una punta di timidezza e malinconia nella voce, mentre quelle corrispondenti alla descrizione di Canie con disprezzo e rabbia.
-Non è mai venuto alla luce come Canie, aiutate dalla sua cerchia di seguaci, riuscì ad essere eletta Fata Sovrana; si pensa che abbia indotto con un sortilegio quasi tutte le fate a riempire il suo cesto, ma fatto sta che il giorno della conta il cesto di Canie era stracolmo, mentre quello di Brethil era quasi del tutto vuoto. Grande fu lo stupore, tanto da far insorgere una rivolta tra le pacifiche fate poiché tutte desideravano vedere Brethil sul trono, ma Canie, che non poteva permetterlo, scacciò la sorella dal regno delle fate e le intimò di non tornare mai più.- Detto ciò Adhele abbassò la testa sul petto, tirando un gran sospiro.
Il bambino, che fino ad allora aveva ascoltato in silenzio, pronunciò le prime parole da quando era stato svegliato:-Siete voi Brethil, non è vero madre?- fu ciò che disse. La sua voce era ancora arrochita dal sonno, e suonò stupita ma allo stesso tempo convinta, come di chi mette insieme i pezzi di un puzzle, vedendoli combaciare alla perfezione.
La donna sollevò il viso a guardare il bambino e un dolce sorriso malinconico si fece strada sul suo volto stanco. Madre e figlio restarono a guardarsi così, per un attimo; lui con tante domande e lei con tante risposte. 
Adhele riprese poi la parola:-Fui cacciata dal mio stesso regno, quello che meritavo di diritto, e, una volta attraversato il bosco, la mia forma fatata fu sostituita da quella umana, privandomi di ogni potere. Vagai a lungo per queste terre, mi costruii un rifugio, anche, ai margini del bosco, prima ancora che nascesse questa cittadina. Vivevo sola e trascorrevo le mie giornate cercando di procurarmi cibo a sufficienza e tenendomi sempre lontana dal bosco. Una volta provai a superarne il limite, nella speranza di cogliere una mela dal ramo di un albero che si trovava proprio al confine, ma la mia mano fu come avvolta da mille lingue di fuoco e ne porto ancora i segni.- Detto ciò mostrò al figlio le cicatrici sulla mano destra, che lui credeva essersi procurata cadendo da un albero ed atterrando sugli attrezzi da lavoro.
-Il bosco e' ancora oggi vittima del sortilegio di mia sorella; esso è scuro e ombroso, pieno di bestie feroci pronte ad assalire chiunque osi addentrarvisi; non solare come un tempo, quando era il rifugio dei forestieri e tutte le sue creature vivevano in pace ed armonia fra di loro.- Il dolore nella sua voce era palpabile, crescente ad ogni parola pronunciata. 
-Un giorno però, dopo molti mesi che vivevo nel regno degli uomini, fu organizzata una caccia al cinghiale e molti uomini del re corsero a cavallo fra gli alberi sicuri di tornare vittoriosi; io tentai di fermali, ma invano, le mie parole circa i pericoli di quelle terre malvagie furono come aria alle loro orecchie, e non dandomi ascolto, nessuno di loro tornò vivo dal bosco- disse Adhele a malincuore, mentre suo figlio ascoltava attento le sue parole. 
-Nessuno tranne il principe, giovane figlio del re, che si rivelò anche essere l'uomo che avevo tentato di avvisare. Corse da me raccontandomi il destino dei suoi compagni e quanto fosse stato sciocco a non darmi ascolto; allo stesso modo, io gli raccontai la ma storia e di come fossi finita ad abitare quella terra. Mi disse che sarebbe tornato il giorno seguente, e quello dopo ancora, ed infine mi invitò a vivere a palazzo. Dopo meno di sei mesi si celebrarono le nozze e credevamo entrambi di aver avuto il nostro "felici e contenti" nonostante le nostre disgrazie.- La donna qui fece una pausa, con una nuova luce negli occhi, rammentando di quegli illustri giorni, ma suo figlio la richiamo dal suo stato di trance, ponendo la sua seconda domanda dall'inizio della storia.
-Mio padre era un principe?- chiese adesso sconcertato, con gli occhi sbarrati in direzione della madre; e notandola annuire la confusione nella sua mente non fece che crescere.
-Come siamo finiti a vivere in una casetta ai limiti del bosco dunque, madre?- domandò incerto.
-Manca ancora metà della storia figlio mio- disse la donna con un aria triste, indicando che il peggio dovesse ancora arrivare.
Fu Ethan a tirare un sospiro questa volta, prima che sua madre potesse continuare il suo racconto.
-La vita a palazzo era meravigliosa, anche se talvolta mi mancavano ancora le mie sorelle nel bosco- rincominciò la donna- il matrimonio era annunciato in tutto il regno e tutto il popolo era in festa, attendendo con ansia il giorno delle nozze del figlio del loro buon re. A palazzo fui subito trattata come una principessa, ancora prima che sapessero delle mie nobili origini, e trovai molte amicizie fra le dame della corte; per la prima volta da quando avevo lasciato il bosco mi sentivo di nuovo a casa.- Ethan poteva osservare la felicità negli occhi della madre, sempre mista a malinconia, ma in cuor suo fu lieto che la donna serbasse nei suoi ricordi dei tali bei momenti. 
-Proprio una settimana prima delle nozze, però, un paggio di corte mi venne ad avvisare che una messaggera del regno delle fate desiderava parlarmi. Io, che mi trovavo nelle mie stanze, in una delle torri del castello, scesi di corsa tutte le scale fino alla sala del trono, laddove si ospitavano tali incontri, incredula e scossa dalla notizia appena ricevuta. Colei che fungeva da messaggera era Sinhora, una delle mie più care amiche tra le fate, e la accolsi con grande affetto. Mi disse che mia sorella la regina Canie, desiderava chiedermi perdono per quanto accaduto e che, per dimenticare il rancore, invitava a celebrare le nozze nella radura incantata del bosco, in modo tale da conoscere il mio promesso sposo e di riconciliarsi con me.
Sulle prime fui turata dalla proposta, ma dopo il tanto insistere della fata ad assicurami le pie intenzioni della regina acconsentii.- Adhele fissava con sguardo vuoto un punto incolmato della stanza, ripensando all'accaduto, per poi darsi una scrollata e continua il suo racconto.
-Le carrozze reali, il giorno delle nozze, trasportarono tutti gli invitati al matrimonio nella radura, che era addobbata a festa con i più bei fiori del bosco. Sembrava tutto così come lo avevo lasciato, tanto che pensai che mia sorella avesse deciso di redimersi e di annullare i sortilegio. Fu lei la prima a venirmi incontro, poco prima della camminata verso l'altare; mi disse che dovevo pensare bene se quella fosse realmente la vita che desideravo, mi propose anche di tornare ad essere una fata e di riunirmi alle sorelle, ma io rifiutai, così lei mi diede la sua benedizione e le nozze furono celebrate in tranquillità e felicità.
Io ritornai a palazzo ed ero molto felice con tuo padre; anche il re e la regina erano molto cortesi con me e vissi nel lusso e nella pace. Dopo poco tempo arrivò il giorno della tua nascita, che arrecò grande gioia a tutto il regno; eri l'erede della corona, e crescevi sano e forte fra l'amore delle persone che ti erano attorno. Decidemmo di battezzarti a palazzo, e grandi furono i festeggiamenti; arrivarono i re e le regine da tutti i regni limitrofi e ognuno aveva un dono per te; anche mia sorella Canie fu invitata alla cerimonia e come tutti ti fece un regalo. Un libro fatato disse, le sue pagine erano state bagnate dalla polvere fatata, cosicché comparisse su di esse la favola che si desiderava. Io e tuo padre ringraziammo per il dono e, dopo la festa, tornammo alla nostra vita.- La donna fece una pausa per inumidirsi le labbra dopo aver raccontato tutto d'un fiato di quei giorni felici, mentre Ethan ascoltava la storia come se fosse una i quelle che gli venivano raccontate quando era piccolo. Le fiabe di re e regine, di principi e principesse, oggetti magici e lieti fine. 
-Io e il principe, tuo padre, ti leggevamo spesso le pagine del libro, cullandoti con le loro dolci storie, fin quando, una notte, mia sorella comparve in sogno al principe suggerendogli di scrivere lui stesso una storia per te nel libro, in modo tale da narrargli qualcosa di suo. Tuo padre si mise subito a lavoro, prendendo il sogno come un consiglio dal cielo, così scrisse nel libro il famoso racconto che narra di tuo nonno, il re, e di quando sconfisse una bestia feroce salvando la vita ad uno dei suoi fratelli, molti anni prima. 
Lui stesso ti lesse la storia, in presenza del re, che ascoltava pieno d'orgoglio il racconto. Tutto andò bene, ma quando arrivò al finale e chiuse il libro subito una belva feroce comparve nella stanza, sotto gli occhi increduli di tutti i presenti. Io corsi accanto alla tua culla e ti presi in braccio portandoti in salvo; tuo padre e il re, invece, tentarono di combattere la bestia, ma ella sbranò il re, e poi scomparve nel nulla, così come era venuta. Fu una grande disgrazia a palazzo, tutte le tende furono chiuse, nemmeno un raggio di luce illuminava più i lucidi pavimenti marmorei e le grandi stanze, la vita sembrava essersi fermata. Tuo padre si sentiva in qualche modo colpevole dell'accaduto, così una sera si confidò con un cavaliere, suo caro amico, e gli disse del sogno della regina delle fate e del suo funesto consiglio. Il cavaliere, che in realtà bramava la corona, corse dalla regina, che dopo la morte dell'adorato marito aveva allontanato tutto e tutti e si chiudeva nelle sue stanze rifiutando il cibo, e le raccontò del sogno. Lei, come una furia, fece sì che tu, tuo padre ed io fossimo allontanati al palazzo e privati di tutti i nostri averi, tranne il libro magico, che disse di non voler mai più rivedere. Fummo scacciati dalla nostra casa e costretti a vivere qui, in questa piccola e vecchia casa ai limiti del bosco, perché accusati di aver tramato con la regina delle fate contro il re, per prendere la corona. 
Solo allora capii che mia sorella non si era affatto pentita delle sue azioni, ma non aveva fatto altro che rovinarci, solo per vederci cadere in disgrazia. Non vidi mai più gli abitanti del palazzo e stetti ben lontana dalle fate, fino a ieri notte...- Adhele alzò lo sguardo, che aveva tenuto basso durante la narrazione di tutta quella parte della storia, come se volesse far intendere che il suo racconto era giunto al termine. Suo figlio, però, aveva ancora molte domande da porre e non esitò.
-La vostra storia è terribile ed ingiusta, ma ancora non so com'è che è morto mio padre- disse lentamente cercando di essere il più delicato possibile, non avendo mai visto la madre così provata. La donna ebbe un sussulto:-Hai ragione, quasi dimenticavo.- disse, prima di riprendere a parlare.
-Il giorno in cui tuo padre ti disse di dover partire per la guerra, ti mentì, cercando di proteggerti dalla verità. Vivevamo in carestia e ogni giorno dovevamo lottare per mettere qualcosa sotto i denti, così prese la decisione di utilizzare il potere del libro, o almeno, di fare un tentativo. Lo pregai di non farlo, che se avesse aperto quel volume ci avrebbe causato solo ulteriori disgrazie, ma non mi volle ascoltare, e dopo aver detto addio a tutti, come se già conoscesse il suo destino, si recò nel bosco. Non so cosa accadde, ma come sai, non è mai tornato...- una lacrima le scese piano lungo una guancia, prima che potesse asciugarla e ricomporsi, cercando di non rattristare ulteriormente il figlio. 
Ethan, che aveva sempre pensato al padre come ad un eroe di guerra, adesso lo vedeva come l'eroe che aveva tentato di aiutare la propria famiglia, sacrificando la vita; ai suoi occhi, adesso, era ancora più degno di stima, ed il cuore gli si riempì d'orgoglio.
Un altra domanda, però, si fece strada fra la sua mente. 
-Madre, avete detto che non avevate più rivisto le fate fino a ieri notte, siete andata da loro quando siete scomparsa nel bosco?- lo chiese con una gran dose di curiosità, più che sconcerto.
-Sono andata a restituirgli il libro, in modo tale che non possa più fare danni.- rispose.
-Ma allora, se mio padre ha portato con se il libro nel bosco per cercare di utilizzare il suo potere, come avete fatto a riaverlo, non potendo più mettervi piede? Il sortilegio fu spezzato il giorno delle nozze in cui attraversaste il bosco?- chiese ancora Ethan.
-No- rispose la madre,-il sortilegio fu solo messo da parte in qualche modo durante le nozze,per far sì che vedessi il bosco in tutto il suo antico splendore. Credo che facesse tutto parte del piano di mia sorella per far si che rinunciasi a sposarmi e che tornassi ad essere una fata, per poi restare imprigionata in quel bosco ombroso per sempre. Lei ha sempre e solo desiderato il mio male- rispose Adhele con la rabbia che le riempiva gli occhi, come fiamme. 
-Quando tuo padre scomparve pensai di andare a cercarlo, sperando che fosse ancora vivo, e trovai un punto al limite del bosco in cui il sortilegio sembra non funzionare come dovrebbe. Se si corre e non si sosta troppo sul perimetro, in quel punto, si può entrare nel bosco senza bruciarsi. E' da lì che sono entrata anche ieri. Non trovai tuo padre, ma trovai il libro. Per tutto questo tempo, sospetto che egli sia stato inghiottito dal volume così come accadde a tuo nonno.- Con queste parole Adhele terminò di dare la sua risposta al figlio che le pose la sua ultima domanda. 
-Quando fummo scacciati dovemmo nascondere la nostra vera identità, non è vero? - chiese infine.
-Si- rispose sua madre- fu per volere della regina, cambiò i nostri nomi; rinominò me Adhele, tuo padre Philip e te Ethan. Temeva che anche in questo remoto angolo del regno qualcuno potesse riconoscerci- disse con astio verso la suocera.
Il bambino fu attraversato da un ondata di stupore, Ethan non è il mio vero nome, dunque, pensò; quando lo chiese alla madre, lei rispose che, purtroppo, la regina, in preda alla rabbia, aveva voluto cancellare definitivamente l'identità del nipote, a cui attribuiva irrazionalmente maggiore colpa, dato che il libro era stato un suo dono, e, servendosi di un sortilegio, aveva cancellato il suo nome originale dalla memoria di tutti. L'unica a ricordarlo era lei. 
Deluso Ethan annuì, pensando all'ultima domanda che gli restava:"Perché mio padre mi ha parlato del libro se esso ha un potere così malvagio e se non voleva che lo usassi?". Decide di tenerla per se. 
Fu la donna, invece, a parlare. 
-Adesso che sai la verità, sono sicura che capisci perché non volevo che tu toccassi il libro, tanto da riportarlo a mia sorella per far si che non ti accadesse nulla di male.- Detto ciò stampò un bacio sulla fronte del figlio ed uscì dalla stanza salendo le strette scale. 
Ethan restò solo, seduto sul suo letto, nella penombra creata dalla luce proveniente dalla botola, riflettendo su quanto narratogli dalla madre. 
Voleva davvero utilizzare il potere nel libro adesso? 
  
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