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Autore: sfiorisci    01/01/2015    3 recensioni
Anno 3265.
La Terra non esiste più. Gli esseri umani hanno sfruttato tutte le sue risorse, fino a quando questa non è divento un pianeta morente. Un gruppo di scienziati riesce a mettere in salvo parte della popolazione portandola su Xaral, un pianeta con le stesse caratteristiche della Terra. Con la loro partenza sperano di poter mettere fine alla malvagità e la sete di potere degli uomini, ma purtroppo vengono delusi: coloro che avevano salvato si impongono sulla popolazione nativa, massacrando gli Xaraliani.
Anno 4065.
Evelyne è una ragazza fortunata, o per lo meno questo è il pensiero dei suoi dottori. Il suo corpo è stato ritrovato quasi in fin di vita in seguito all'esplosione di un palazzo. Il prezzo per la sua vita è stata la memoria: non ricorda nulla dell'incidente o della sua vita prima di esso, non ricorda amici, familiari e neppure il suo nome. L'unica cosa che sa è la sua età, diciotto anni, confermata dai dottori. Tutta l'eredità del suo passato è una medaglietta con scritto "Evelyne" appesa al collo.
Lentamente, riuscirà a mettere insieme i pezzi del suo passato, scoprendo che il suo destino è collegato a quella misteriosa popolazione, massacrata molti anni prima.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V

Per un lungo, interminabile attimo, il tempo parve essersi fermato. Nessuno, dentro la stanza, sentiva più la necessità di fuggire o di mettersi in salvo; padre e figlio si scambiavano sguardi di parole non dette. Evelyne si limitava a fissare entrambi, a bocca aperta, collegando le storie che tutti e due le avevano raccontato e maledicendosi per non esserci arrivata prima.
«Papà» ripeté Ashton in un bisbiglio, sussurrato a voce talmente bassa da essere udibile solo a lui. Avrebbe potuto pensare a tutti gli anni passati a cercarlo, all’incontro con Kevin, al suicidio della madre, al suo letto vuoto; ma non ci riusciva. L’unica immagine che aveva in mente era quella che vedeva davanti a sé: suo padre, stanco, spossato, con molti più capelli bianchi e rughe rispetto all’ultima volta. Indossava ancora un camice bianco da dottore e i suoi occhi erano gli stessi di quando l’avevano lasciato.
«Dobbiamo fuggire» questa volta toccò ad Evelyne interrompere la scena surreale. Padre e figlio, contemporaneamente, parvero svegliarsi dal torpore in cui la sorpresa li aveva avvolti ed entrarono nel panico. Nessuno sapeva come uscire e Mark, al quale fino a pochi minuti prima non sarebbe passata nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di fuggire, non vedeva l’ora di scappare da quella prigione ed essere libero, ora che poteva. Era curioso come gli uomini cambiassero idea tanto in fretta, se motivati.
«Sì, ma come? L’unica via d’uscita è la grande porta davanti alla quale sei svenuta e l’unico ad avere il codice per aprirla è Alexander Miller» disse Mark Wilson, in preda al panico. Per la prima volta da quando si trovava nella struttura, non aveva paura di ciò che sarebbe potuto succedere a lui, ma temeva per suo figlio.
«Chi?» chiesero all’unisono Evelyne e Ashton.
«L’uomo con cui hai parlato poco fa, è il braccio destro di Tyler Meatch» spiegò velocemente Mark.
«Tu come hai fatto ad entrare?» chiese la ragazza ad Ashton, pensando che, se era riuscito ad insinuarsi nella struttura, loro poteva utilizzare lo stesso modo.
«Ho detto di volermi arrendere e morire insieme a te, così mi hanno portato dentro e, prima che mi immobilizzassero, mi sono liberato, sgattaiolando qui. È per questo che è scattato quell’allarme» rispose il ragazzo.
Nessuno osò fiatare dopo le sue parole, ma il pensiero che aleggiava nelle loro menti era comune: erano morti. Se quello era davvero il modo in cui Ashton era entrato, non c’era via d’uscita. Forse era vero ciò che sosteneva Mark Wilson, forse era impossibile uscire da lì, forse…
«Un momento!» esclamò Evelyne, alla quale era appena venuta un’idea. «Dov’è Kevin?» chiese, rivolta ad Ashton.
«Ci aspetta in mezzo al bosco per fuggire, gli ho promesso che ti avrei liberata» rispose lui pensieroso. Qual era il piano della ragazza? Sperava si ricordasse che gli Ibridi non avevano nessun potere strano e, lui in particolare, nessuna abilità per farli uscire di lì.
«E lui non ti ha fermato? Ha incoraggiato il tuo stupido piano per venire qui dentro?» domandò Evelyne, sempre più convinta della sua teoria.
«Non è stupido!» ribatté Ashton, offeso «Se adesso abbiamo un’opportunità di scappare è merito mio!»
«Sì, sì va bene, come ti pare. Rispondi alla mia domanda ora»
«Mi ha dato il suo pieno appoggio. Era sicuro che saremmo riusciti a scappare»
«È ovvio!» esclamò soddisfatta Evelyne, battendosi una mano sulla fronte.
Fino a quel momento Mark Wilson si era limitato ad ascoltare e osservare i due giovani in silenzio, capendo poco o niente di quanto dicevano, sperando che si sarebbero spiegati ma, quando fu chiaro che non l’avrebbero fatto, decise di intervenire: «Cosa è ovvio?».
«Kevin. Lo conosco da poco eppure ho capito che tipo di persona è» rispose Evelyne sorridendo e scuotendo la testa. Il suo sorriso, in breve, si trasformò in una sincera risata; probabilmente alimentata anche dalla sua precedente ansia.
«Cosa c’è da ridere?» domandò Ashton, seccato e incredulo contemporaneamente.
«Non capite? Come mai Kevin avrebbe mandato il suo unico braccio destro in una missione suicida per recuperare me? Non c’è via d’uscita, non ci sono porte, non c’è nulla. Serve un miracolo per uscire da qui» spiegò la ragazza e, allo sguardo confuso dei due, aggiunse un’altra frase a quelle dette in precedenza: «Un miracolo o… magia».
Mark continuava ad essere confuso – non era a conoscenza dei poteri della ragazza – mentre Ashton inarcò le sopracciglia, come se fosse tutto chiaro.
«Stai dicendo che ci farai uscire tu di qui?» chiese.
«Sì!» rispose esaltata la ragazza.
«Con i tuoi poteri?»
«Esatto!»
«Moriremo» commentò sconsolato.
«Grazie della fiducia!» ribatté Evelyne: questa volta toccò a lei essere offesa.
«Vorrei essere fiducioso, ma hanno funzionato solo una volta e, nonostante gli sforzi successivi, non è cambiato nulla in seguito»
«Lo so, ed è per questo che Kevin ti ha mandato qui! A quanto pare pensa che io debba essere motivata per attivarli e forse è così» spiegò lei.
«Di quali poteri stiamo parlando?» intervenne Mark, sempre più confuso dalla piega che la situazione stava prendendo.
«Non c’è tempo per le spiegazioni, prima scappiamo e poi rispondiamo alle tue domande» affermò con sicurezza suo figlio.
Evelyne chiuse gli occhi e tentò, come aveva fatto in precedenza, di allontanarsi dal mondo esterno. Sapeva che i rumori, l’ansia e la struttura intorno a lei la distraeva, per questo doveva cercare di rimanere sola con se stessa, come le era successo quando Mark aveva intenzione di sedarla. Il suo problema, però, era principalmente la concentrazione: trovandosi in una situazione in cui era alto il rischio di fallire per colpa sua, non riusciva a svuotare la mente; era in continuazione percorsa da miliardi di pensieri, immagini e suoni. Il battito del cuore, che le martellava incessante nel petto, era appena udibile in tutta quella confusione. Tentò di concentrarsi su quello, di prendere il ritmo, di affidarsi a quella costante di lei, per avere la certezza di non fallire.
Le ci vollero alcuni minuti prima che potesse entrare in quella strana dimensione formata da se stessa, in cui il buio predominava e il tempo era scandito dal suo battito. Come a rallentatore, sentì la sua mano muoversi verso il suo collo, per cercare il ciondolo con il suo nome impresso sopra. Era quello la chiave di tutto e forse Mark aveva ragione. Forse il ciondolo era il vero protagonista e lei solo uno strumento ma, se non raggiungeva quella pace interiore con se stessa, non riusciva ad attivarlo.
Com’era accaduto per la grotta, una volta che la mano di Evelyne si chiuse attorno al freddo metallo, cadde rovesciò gli occhi e tirò la testa all’indietro. La visione era come quella dell’altra volta; sfocata, confusa e senza suono. La ragazza osservava dall’alto i movimenti di quelli che dovevano essere gli altri prigionieri della struttura; vide Alexander Miller rosso in viso mentre gridava contro i suoi tirapiedi, vide tutti quanti cercare di trovare Ashton attraverso i video di sorveglianza, ma nessuno sembrava vederlo. Questa visione, rispetto alla precedente, aveva un qualcosa di strano: nella grotta Evelyne aveva visto se stessa mentre usciva senza essere vista, mentre ora non si trovava, non sapeva dove fosse. Era forse possibile che si fosse sbagliata, andando troppo avanti con la visione? Avevano già trovato una via d’uscita? O si trovavano ancora nella struttura? Sarebbe riuscita a capire qualcosa in più se non fosse stato tutto così opaco e distante dalla relatà.
Sempre più confusa, Evelyne decise di tornare nella stanza dove la tenevano per vedere se fosse ancora lì. Camminò, fluttuando ad una paio di centimetri da terra, verso la porta e, solo quando vi fu davanti, vide che per entrare doveva inserire una combinazione. Sperando che, in qualche modo, sarebbe riuscita ad entrare, fece per toccare il tastierino numerico, ma la sua mano, semitrasparente, lo attraversava. Confusa, la ritrasse istintivamente, e vide che riusciva a oltrepassare perfino il muro. Era forse diventata una specie di fantasma?
Lentamente, inserì tutto il braccio nel muro, poi una gamba, poi l’altro braccio, infine si trovò ad attraversarlo e, con suo grande stupore, vide che il suo corpo non era lì. Forse, in questa situazione, lo “spirito” che diventava durante le visioni e il suo corpo erano una cosa sola e, se riusciva ad attraversare i muri della struttura com’era riuscita ad attraversare quello della sua camera, uscire da lì diventava una passeggiata. Prendendo un profondo respiro, camminò lentamente verso il muro successivo e, di nuovo senza difficoltà, lo attraversò. Era giunta in un qualche magazzino, pieno di scaffali. Su ogni scaffale c’erano diversi cassetti e su ogni cassetto un’etichetta con un nome. Evelyne si guardò intorno confusa: non conosceva – o non si ricordava di conoscere – nessuna di quelle persone scritte lì dentro per cui, nonostante una certa curiosità, si diresse verso il prossimo muro. Era quasi arrivata ad oltrepassarlo, quando vide un nome che attirò la sua attenzione: un’etichetta riportava il nome di Kevin Fort. Abbandonando il suo piano per la fuga, la ragazza si avvicinò al cassetto per poterlo aprire, ma nella forma in cui era la sua mano si chiudeva a pugno intorno alla maniglia, senza poterla stringere veramente. Si appuntò mentalmente di chiedere spiegazioni all’Ibrido una volta che fosse fuori di lì e, curiosa, attraversò tutte le restanti stanze di corsa, continuando a correre anche una volta fuori e, mentre si rifugiava nei boschi, il suo corpo toccava nuovamente terra e tornava alla sua consistenza originaria.
Mentre i rami bassi e i rovi le graffiavano le gambe, non poté evitare di sorridere: era finalmente libera.
 
Le sue gambe continuarono a correre, portandola in una radura in cui Kevin, Ashton e Mark la stavano aspettando. Era stata sempre la magia a farla arrivare in quel luogo? Sorridente, guardò tutti in faccia, ma il suo sorriso si spense quando vide le diverse espressioni dipinte sui loro volti: l’Ibrido la fissava arrabbiato, Mark aveva la bocca spalancata dall’incredulità e Ashton… non avrebbe saputo definire il modo in cui la guardava Ashton. Con rispetto, forse? Era difficile decifrare la sua espressione, ora che il suo viso sembrava più sereno e non corrucciato come al solito; trovare suo padre l’aveva sicuramente aiutato.
«Che succede?» chiese Evelyne, improvvisamente conscia del fatto che non aveva idea di come Ashton e Mark avessero fatto ad uscire, infatti, rivolta verso di loro, aggiunse: «Come siete scappati voi due?»
«Sei tu che devi dirci come hai fatto!» ribatté Mark «Un secondo prima ti stavamo seguendo, ci hai indicato la strada da percorrere e poi sei sparita, arrivando solo molte ore dopo di noi. Pensavamo fossi rimasta all’interno, per qualche strana ragione»
«Vi avrei fatti uscire io?» ripeté Evelyne incredula
«Beh, a meno che quella che ci ha guidati fuori non sia stata un persona con la tua voce ed estremamente somigliante a te, sì, ci hai tirati fuori tu di lì»
«È impossibile, me ne ricorderei se lo avessi fatto. Quando sono uscita nessuno dei due c’era più»
«Penso che dovremmo tutti calmarci, per mettere insieme i pezzi dobbiamo sentire le versioni di tutti, io sono ancora molto confuso» intervenne Kevin Fort, poi si girò verso Ashton «Allora, cos’è successo a te e tuo padre?»
«Avevamo appena deciso di scappare, quando Evelyne ha chiuso gli occhi e poggiato la mano sul suo ciondolo. Avendole già visto fare una cosa simile quando ha avuto la visione nella grotta, non mi ero preoccupato, pensando che sarebbe accaduta la stessa cosa e, almeno all’inizio fu così: gli occhi le si erano rovesciati all’indietro ed era caduta in trans ma, dopo qualche secondo, ha detto una parola in una strana lingua ed è caduta a terra, svenuta»
«Cosa?» lo interruppe Evelyne, che non si ricordava affatto questo particolare.
«A quel punto io e mio padre l’abbiamo presa in braccio e appoggiata sul lettino» riprese Ashton, dopo che Kevin ebbe ammonito con lo sguardo la ragazza «E abbiamo iniziato a sentirci strani, quasi come se fossimo più leggeri. Abbiamo impiegato pochi secondi a capire che la magia stava operando anche su di noi: i nostri piedi erano sollevati da terra e non riuscivamo a toccare più nulla. Evelyne, a quel punto, si è alzata dal lettino. Anche lei levitava e, con uno strano tono di voce, ci ha detto di seguirla, ci ha fatto passare attraverso i muri e, una volta usciti dall’edificio, ci ha detto di correre nei boschi fino a quando non avremmo trovato Kevin e poi è sparita nel nulla. Siamo rimasti invisibili e senza un corpo solido fino a quando non ci siamo addentrati nei boschi»
«Tutto questo è assurdo» commentò Evelyne una volta che il ragazzo ebbe finito il suo racconto «Se vi avessi portati in salvo me ne ricorderei, non trovi?»
«Eppure questa è la verità, non abbiamo motivo per mentire» ribatté Mark.
«Evelyne, calmati e spiegaci tu come hai fatto ad uscire» disse l’Ibrido.
La ragazza prese un paio di profondi respiri per calmarsi e riordinare le idee prima di parlare.
«Non posso essere stata io a farli uscire» esordì «Perché appena ho toccato il mio ciondolo, ho avuto una visione: non sentivo nessuno rumore intorno a me e le immagini erano sempre sfocate, ma ho visto Alexander Miller urlare contro i suoi dipendenti e loro cercarci con le telecamere di video sorveglianza. Non capivo cosa stava succedendo, non era una visione del passato, ma del presente. Iniziai a chiedermi cosa fosse successo e scoprii di essere una specie di fantasma, camminavo staccata da terra e nessuno mi vedeva. Qualcosa mi diceva che il mio corpo era ancora dentro la stanza in cui mi tenevano prigioniera, andai lì per controllare e scoprii di riuscire ad attraversare i muri. Mi sbagliavo, però: nella stanza non c’ero io, né Mark, né Ashton. Pensai che fossero riusciti a trovare un modo per scappare e, attraversando i muri, uscii anche io, correndo poi in mezzo al bosco. Penso che sia stata sempre la mia magia a permettermi di trovarvi».
Dopo la spiegazione di Evelyne, erano tutti ancora più confusi di prima. Stavano pensando a cosa potesse essere accaduto realmente, a come le due storie potevano essere unite ma era chiaro che nessuno, nemmeno Kevin, trovasse un’ipotesi plausibile. Nonostante tutto, fu proprio l’Ibrido a rompere il silenzio.
«Qualsiasi cosa sia successa, non possiamo restare qui. Gli uomini di Meatch sapranno che non possiamo essere andati tanto lontano, ci verranno a cercare. È meglio andarsene, penseremo dopo a cosa può essere accaduto» disse in maniera decisa. Tutti annuirono senza parlare e Kevin si mise in marcia con passo fermo, come se avesse già in mente dove andare. Evelyne raccolse il suo zaino a terra, lo portò sulle spalle e poi corse per affiancare l’Ibrido. Voleva dare ad Ashton e suo padre dello spazio per poter parlare – era sicura che avessero molti argomenti di cui discutere – inoltre non aveva dimenticato il cassetto con il nome di Kevin, era decisa a parlargliene a tutti i costi.
«Hai idea di cosa possa essere successo?» gli chiese come scusa per attaccare bottone.
«Solo ipotesi e sono una più improbabile dell’altra»
«Beh, ci deve pur essere qualcosa che…»
«No, Evelyne, non c’è» la interruppe bruscamente lui.
Per un attimo la ragazza si fermò, sorpresa dalla durezza con cui lui l’aveva trattata. L’Ibrido camminava svelto, le gambe percorrevano molta distanza in breve tempo e lei si ricordò quando era andata in giro con Ashton e camminare velocemente l’aveva aiutata a smaltire la rabbia. Era questo ciò che stava facendo Kevin? Era ancora arrabbiato con lei per la sua fuga?
«Sei ancora arrabbiato per il mio comportamento stupido?» gli chiese correndo per potergli stare dietro «Mi dispiace moltissimo, non avrei mai dovuto perdere la testa, solo che mi sentivo sotto pressione e non riuscivo a…»
«Sotto pressione è quando lavori meglio. Ti ho mandato Ashton in modo tale che tu avessi qualcuno da salvare»
«Si è vero però…» Evelyne stava cercando di scusarsi, quando rifletté meglio sulle parole che Kevin aveva detto «Avevi mandato Ashton a morire? Sapevi che la sua sarebbe stata una missione sucida! E cosa sarebbe successo se non fossi riuscita ad usare i miei poteri? Ci avresti lasciati morire tutti?»
«Siamo in guerra e ogni tanto bisogna esporsi per ottenere qualcosa. Oggi abbiamo scoperto che, in qualche modo, puoi usare i tuoi poteri anche sugli altri, abbiamo fatto un passo avanti»
«Non importa se è una guerra!» gridò la ragazza «Non si può giocare con la vita umana!»
«Questo non è un gioco, Evelyne!» esclamò Kevin, fermandosi all’improvviso, arrabbiato «Noi possiamo decidere le sorti dell’umanità e di Xaral, non possiamo commettere errori! Non ti rendi conto che se ti avessero uccisa, in un modo o nell’altro, saremmo morti tutti?»
«Ed è per questo motivo che hai deciso di rischiare la vita di Ashton? Perché morire prima o dopo non avrebbe fatto alcuna differenza per lui?» chiese scettica la ragazza.
«No, l’ho fatto perché lui si è offerto di salvarti e perché io credo in te, perfino quando tu non credi in te stessa. Cresci, Evelyne, non è possibile che non riesci a capire quanto la tua vita sia importante? Perché c’è una parte di te che non vuole sopravvivere? Ashton non sarebbe venuto a cercarti se avesse creduto che tu fossi abbastanza egoista da volerti salvare, e io non l’avrei mai mandato. Per cui, invece di farmi apparire come il mostro della situazione, pensa a quante situazioni spiacevoli potresti evitarci, se solo avessi un briciolo di amor proprio!».
Evelyne, improvvisamente, si sentì come se il mondo le cadesse addosso, la vista le si oscurò e cadde a terra, svenuta.
 
Quando Evelyne si svegliò, si trovava all’interno di una tenda e, seduto accanto al suo sacco a pelo, c’era Kevin Fort, con una tazza fumante in mano.
«Ti sei svegliata, finalmente» disse.
«Dove sono? Cos’è successo?» gli chiese lei.
«Credo che lo sforzo per fare la magia e la tua chiacchierata non proprio amichevole con me ti abbiano sfinita. Il padre di Ashton ti ha preparato questo infuso con delle erbe che ha trovato, dice che dovrebbero rimetterti in forza».
Passò la tazza ad Evelyne che, aiutandosi con le braccia, si mise seduta e ancora spaesata iniziò a bere l’intruglio. Dopo il primo sorso una smorfia di disgusto le attraversò il volto.
«Non ho mai bevuto nulla di così cattivo» commentò posando la tazza a terra.
«Devi berlo tutto e io mi assicurerò che tu lo faccia» disse Kevin «A proposito, mi dispiace per quello che ti ho detto. Non avrei dovuto essere così duro con te» si scusò, fissando il pavimento.
«No, non preoccuparti. Hai fatto bene a dirmi quelle cose, avevi ragione»
«Sì, ma ho sbagliato il modo. L’unica cosa che volevo farti capire è che io non disprezzo la vita di Ashton, né di nessun altro. Volevo solo farti capire che anche tu sei importante».
Evelyne non poté fare a meno di arrossire per quelle parole: era la prima volta in tutta la sua vita – la vita che ricordava – che qualcuno le diceva che era importante. Sì, l’Ibrido glielo aveva fatto capire anche prima, ma solo sentendolo Evelyne iniziò a crederci realmente. Mormorò un timido «Grazie» a Kevin, che le sorrise e, sforzandosi, finì tutto l’intruglio preparatole da Mark. Non si sentiva affatto meglio o più in forze, al contrario le veniva da vomitare e la testa le si fece pesante.
«Credo che dormirò ancora un po’» sussurrò prima di stendersi e addormentarsi nuovamente.
 
Quando si svegliò di nuovo, era notte fonda. Era completamente sudata e il caldo che c’era dentro la tenda era soffocante, così aprì il suo sacco a pelo, prese una giacca dallo zaino lentamente uscì dalla tenda, facendo attenzione a non fare troppo rumore con la zip. L’aria fuori era gelida, s’infilò la giacca e prese dei profondi respiri. Il velo di sudore che fino a poco prima avvolgeva il suo corpo iniziava a seccarsi, mentre veniva scossa dai brividi. Stava per rientrare all’interno della tenda, quando vide qualcuno camminare nell’oscurità e sedersi in mezzo all’erba. Silenziosamente, chiedendosi chi potesse essere, si alzò per controllare. Si avvicinò a lui lentamente e, solo quando gli fu sopra, si accorse che era Ashton. Era disteso con i gomiti appoggiati a terra e la luce delle stelle gli donava un colorito pallido, accentuandogli ancora di più le linee tonde del viso e rendendo i capelli e gli occhi ancora più scuri.
«Cosa ci fai qui fuori da solo?» gli chiese, sedendosi accanto a lui. Il ragazzo sobbalzò leggermente, segno che lei lo aveva colto di sorpresa.
«Evelyne, non ti avevo sentita arrivare!» esclamò lui mettendosi a sedere.
«Scusa, non avevo intenzione di spaventarti. Mi chiedevo solo cosa facessi qui tutto solo, pensavo che tu e tuo padre avevate molte cose da dirvi…»
«Già e lo abbiamo fatto. Abbiamo parlato anche di te, avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto quando gli ho raccontato dei tuoi poteri!» Ashton si interruppe, ridendo. Era la prima volta che la ragazza lo sentiva ridere sul serio e pensò che non ci fosse nulla di più bello di una risata sincera, specialmente fatta da chi di motivi per ridere nel corso degli anni ne aveva avuti ben pochi.
«Sono contenta che tu sia riuscito a ritrovarlo» disse Evelyne.
«Grazie. Molto lo devo a te. Anche se sono stato brusco a volte sono contento che tu sia impazzita a tal punto da andare in quella struttura; non lo avrei mai trovato altrimenti»
«Ehi, non devi ringraziarmi, non ho fatto nulla di speciale…»
«Ci hai salvati. Potevi portare in salvo solo me, potevi lasciarci morire entrambi e andartene come se niente fosse, invece ci hai fatti uscire sani e salvi da lì. Ringraziarti è il minimo che possa fare»
«Non è mai stata un’opzione quella di non salvarti. Fai parte della mia squadra e, una volta saputo che quello era tuo padre, come non avrei potuto trascinare fuori anche lui? Ma è inutile che mi ringrazi, tecnicamente non ricordo nemmeno di averti salvato»
«Però lo hai fatto» ribatté Ashton, voltandosi a guardarla. Evelyne abbassò lo sguardo a terra: le piaceva essere ringraziata e aveva aspettato moltissimo per sentire quelle parole sincere uscire dalla bocca del ragazzo, ma in questo caso non era sicura di meritarsele. Era possibile salvare qualcuno e non ricordarsene?
«Credi nel destino?» le chiese Ashton, che stava guardando le stelle. La ragazza alzò la testa per osservare tutti quei puntini di luce che si riflettevano nei suoi occhi e pensò ad una risposta che non la facesse sembrare troppo stupida. Ci credeva? In realtà non ci aveva mai pensato seriamente. Mentre era all’ospedale pensava solo a come sarebbe stata la sua vita una volta uscita e, da quando lo aveva fatto, pensava solo a come controllare la sua magia e cosa poteva fare per salvare Xaral.
«Non ci ho mai pensato, a dire il vero» rispose infine.
«Io non ci ho mai creduto. Ho sempre pensato che sono le azioni di uomo che costruiscono la sua storia: se hai successo è perché tu lo hai costruito, se non lo hai perché non cogli le opportunità. Ho sempre pensato che ci innamoriamo di qualcuno quando lo vogliamo, che ogni azione ha una conseguenza e siamo noi gli artefici del nostro destino. Mia madre invece ci credeva. Certo, non pensava che tutto fosse già scritto, ma pensava che, per ognuno di noi, ci fossero delle cose certe: chi sarebbe stata la persona che avremmo amato, quando e come saremmo morti, il nostro lavoro, i nostri affetti e così via»
«Perché mi stai dicendo questo?» gli chiese confusa.
«Guarda le stelle, Evelyne. Gli Umani che abitavano sulla Terra pensavano che il nostro destino fosse scritto lì, fra le stelle, ed io mi chiedo che razza di stelle abbiano avuto se riuscivano a leggerle. Qui c’è solo confusione»
«Forse allora avete entrambi ragione» disse Evelyne, ma Ashton la guardò senza capire «Tu e le stelle, intendo. Quello che cercano di dirti è di non credere al destino, ma di metterle in ordine e costruirne uno tuo. Se le stelle sono dei punti mettili insieme, formaci delle parole. Allora potrai leggere il tuo destino».
Evelyne si voltò verso di lui, con le immagini delle stelle che le appariva ancora davanti agli occhi. Erano a pochi centimetri di distanza e la volta celeste si specchiava infinite volte nelle pupille dei due ragazzi.
«Non sono più tanto sicuro di non credere nel destino, sai?» le confessò Ashton.
«Come mai?» gli chiese Evelyne in un sussurro.
«Perché da quando ti ho conosciuta ho provato ad ignorare il mio cuore quando mi diceva di essere innamorato di te, ma ho fallito miseramente» le rispose, poco prima di avvicinare le labbra alle proprie e lasciarle un delicato bacio. 

 
Sì, lo so, non aggiorno da settembre e mi merito tutti gli insulti possibili e immaginabili per questo (lo so sul serio) infatti se volete insultarmi io sono d'accordo. Mi dispiace di averci messo così tanto a pubblicare questo capitolo (anche se lo avevo pronto da un po') perché c'erano molte cose che non mi convincevano e volevo modificarle, solo che non trovavo mai l'occasione per farlo. Ora, durante le feste, mi sono decisa, e infatti eccomi qui :')
Ho già pronto un altro capitolo, ma non so quando lo pubblicherò perché prima vorrei andare il più avanti possibile scrivendo gli ultimi quattro mancanti (yay, siamo quasi alla fine!) e quindi vi farò sapere mano a mano che aggiorno.
Niente, detto questo vorrei ringraziare DarkViolet92 per aver recensito lo scorso capitolo, Amisa, Balder Moon e maraechelon per aver inserito la storia fra le seguite e ovviamente tutti i lettori silenziosi. Grazie mille per la pazienza con cui mi seguite, auguro a tutti un buon 2015 e un buon proseguimento di vacanze.
 
Francesca.
   
 
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