Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Merkelig    02/01/2015    0 recensioni
Dopoguerra. Due fratelli dagli occhi di smeraldo. Due angeli dalle ali d'acciaio.
Una storia di apocalissi, rivelazione e redenzione.
Terza classificata al contest "La sfida dei dieci (contest a pacchetti)" indetto da Releeshahn sul forum di Efp.
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
Capitolo I
Conosci il nemico

 
 
- Aladiah…
La voce paziente di Jophiel finisce per distogliere il giovane angelo dalle sue riflessioni.
- Che cosa c’è? – chiede quello, fissando il compagno con i grandi occhi ambrati.
- Dobbiamo andare. Damabiah ha suonato il corno. Siamo stati convocati. -
L’angelo lancia un’ultima occhiata al paesaggio sotto i suoi piedi.
Una foresta lussureggiante si stende per miglia e miglia, prima di precipitare in direzione di alcune rocce a strapiombo su un dirupo.
Aladiah adora quel luogo. Non solo perché è uno dei pochi posti dove la guerra sembra non essere passata, ma anche perché la cocciutaggine con cui quei poveri alberelli si aggrappano alla parete rocciosa lo fa sorridere. Sono piante sottili, fragili ad una prima occhiata. Ma emanano una volontà ferrea di sopravvivere, laddove esse sono sempre state. Non hanno scelto il luogo in cui venire al mondo e svilupparsi. Non possono sottrarsi al vento, alle frane, ai rovesci. Scelgono però di aggrapparsi alla vita con tutte le loro forze, invece di recriminare per dove Dio le ha posate.
Sagge, effimere piante.
- Aladiah…
- Si. – sospira il giovane.
I due angeli distendono le grandi ali d’acciaio e si innalzano verso il cielo.
 
 

 
 
- Guarda Giona. Lassù.
Il piccolo Giona, dalle felci dove si è acquattato pochi minuti prima, alza il nasino spruzzato di efelidi verso il cielo.
Due immense sagome alate stanno volando sopra di loro, in quel momento. Gli scuri profili minacciosi si stagliano nettamente contro l’azzurro del cielo.
Sua sorella gli fa cenno di restare nascosto, finché i due angeli non superano la loro posizione, sparendo alla vista.
Quando è certa che le due creature non li abbiano visti, la ragazza si solleva a sedere con un sospiro.
- Serafina… - chiama il bambino, strofinandosi le manine l’una contro l’altra per pulirle dal terriccio umido del sottobosco.
La ragazza riesce a malapena a trattenere una risata. Quando il fratellino assume quell’espressione corrucciata significa che sta per porle una domanda seria. Il fatto è che Giona è un bambino. Un bambino estremamente giudizioso e precoce, ma pur sempre un bambino. Di conseguenza, il contrasto tra l’atteggiamento di matura serietà e quel volto infantile fa sempre sorridere la ragazza, più di tenerezza che di divertimento. Serafina comunque si impone di trattenere ogni reazione e di rispondere con altrettanta serietà, sforzandosi di andare oltre la sembianza di ingenuità del fratello.
- Si?
- Perché gli angeli sono malvagi?
Lentamente il sorriso della ragazza si sbiadisce in una piega mesta.
- Non lo so, piccolo.
- Ma tu mi hai raccontato delle storie su di loro. Dicevi che un tempo erano buoni e proteggevano gli uomini. E avevano grandi ali bianche, fatte di piume!
- È vero, un tempo era così.
- E che cosa è cambiato?
- Giona…
- No! – interrompe improvvisamente il bambino – Voglio saperlo! Per favore, Serafina. È l’unica storia che ancora non mi hai raccontato.
- Cavolo, Giona! – Serafina si alza in piedi bruscamente. – Sei solo un bambino! Io c’ero quando è successo, sai? Ero più piccola di te. E sono cresciuta con quelle immagini addosso. Maledizione, sei fortunato a non sapere nulla. Questa non è come una di quelle storie che ti racconto la sera per farti addormentare. Questa storia ti farà venire gli incubi! -
Giona tace. La sorella lo vede stringere i pugnetti e abbassare il viso, ora tutto rosso.
Senza dire una parola la ragazza lo guarda, finché lo smeraldo dei suoi occhi si incatena a quello molto più limpido e sincero in quelli del fratello.
Gli porge la mano.
- Torniamo a casa, dai. – sospira.
 
 

 
 
 
Luce. Luce ovunque. I raggi solari entrano da interstizi invisibili e vengono riflessi all’infinito da specchi nascosti. Nel palazzo dorato al di sopra delle nuvole la luce regna incontrastata. Le pareti, interamente rivestite con il prezioso metallo, scintillano liquide. Le linee pulite di angoli e scale non servono a ridurre il senso di smarrimento che prende il cuore, causato dall’architettura paradossale di quel luogo.
La struttura sembra seguire un infinito nastro di Möbius, che dà l’impressione di attorcigliarsi su se stesso con un impercettibile movimento ipnotico.
La profondità perde significato. I profili degli spigoli a tratti si piegano in angoli impossibili, conservando comunque il loro contorno rettilineo.
Scale. Numerosissime scale, che non conducono in alcun luogo. I gradini, tutti perfettamente identici, costruiscono un percorso che termina nel vuoto. Alcune scalinate si interrompono bruscamente, laddove un parete si frappone lungo il loro cammino. Altre invece continuano all’infinito per poi tornare a chiudersi su se stesse, proseguendo ciononostante a salire o a scendere.
Porte, minuscole o gigantesche, si schiudono su pareti cieche, mentre archi altissimi si aprono su immensi cieli stellati e su territori vasti ed estranei.
Ogni corso perseguibile, a piedi o con lo sguardo, termina al centro di quel luogo, dove una luce purissima si irradia dal centro della stanza.
I due angeli avanzano lentamente.
Mantenendo il più perfetto silenzio, essi ripiegano le grandi ali scintillanti e chinano il capo in direzione della luce.
Una voce bronzea risuona all’improvviso. Sembra provenire da ogni angolo, da ogni parete, da ogni colonna, e allo stesso tempo sembra non avere origine da nessun luogo.
- Andate, e perlustrate il versante roccioso delle colline a ovest.
Una frase brevissima, che risuona limpida nel silenzioso atrio dorato.
Jophiel china il capo con deferenza, lasciando che i lunghi capelli argentati gli coprano il volto.
Aladiah osserva il compagno mentre si inchina a sua volta, con l’impressione di compiere un monotono rituale divenutogli ormai estraneo. Si sente lontano da quel luogo, con la mente e con il cuore. Si sente sperduto, in uno spazio che non gli è possibile riconoscere. Si sente sospeso in una realtà che non considera tale, come se vivesse in un sogno e non ne avesse coscienza.
Jophiel avverte che il giovane è irrequieto e distante. Apre i limpidi occhi cerulei e lo osserva con uno sguardo senza tempo, che non lascia trasparire alcuna espressione. Lo guarda per un tempo che è difficile da determinare.
Lentamente, si volta e cammina silenzioso verso la grande terrazza sulla quale sono atterrati pochi momenti prima. Quando percepisce che il compagno è al suo fianco, distende le ampie ali e si alza in volo.
 
 

 
 
 
Dall’alto è impossibile rilevare l’effettiva presenza umana che, quando il cielo è sgombro dalle grandi ombre alate che di tanto in tanto lo attraversano, anima il piccolo spiazzo erboso.
Solo un esame attento e paziente consente di scorgere le piccole capanne di legno grezzo, disseminate sotto gli alberi in un semicerchio. Le pareti sono di grossi rami, dalla forma irregolare, e il tetto è coperto da uno spesso strato di fogliame che viene cambiato regolarmente.
I due fratelli arrivano al campo quando le cime degli alti pini sono lambite a malapena dagli ultimi, tiepidi, raggi del sole.
Una ventina di adulti, tra uomini e donne, sta raggruppando il cibo raccolto durante il giorno. Tre anziane, aiutate da alcuni ragazzi, sistemano un grosso pentolone pieno d’acqua sul fuoco acceso al centro dello spiazzo. Alcuni bambini corrono sull’erba, facendo la spola tra i loro genitori e le donne che si occupano del fuoco.
- Piccolo Giona! Siete tornati!
Il bambino non si fa chiamare una seconda volta e corre verso una donna anziana che lo sta aspettando a braccia aperte.
Serafina lo osserva con un mezzo sorriso, prima di incamminarsi nella loro direzione.
Quella donna è nonna Rachele. È una donnina minuta, con un grande scialle logoro sulle spalle e un paio di grossi occhiali da vista, con una lente incrinata. Nessuno sa con chi sia davvero imparentata, probabilmente nemmeno lei lo sa con certezza. Nel dubbio, si prende cura di tutti i bambini del campo. Quando gli adulti la biasimano perché badando ad ogni bambino spesso si ammala per la fatica, lei risponde loro che chiunque dei piccoli potrebbe essere un suo nipotino. Perciò ama e alleva con la stessa cura tutti i bambini.
Spesso, durante il giorno, molti dei bambini devono restare al campo. Così Rachele gioca con loro, disegna con loro, dà loro da mangiare e insegna loro a leggere, scrivere e contare. Quando i piccoli hanno paura lei racconta loro delle storie fantastiche, che per un secondo li fa viaggiare lontano.
È, insomma, la nonna di tutti. Anche molti adulti vanno da lei per un consiglio. Magari hanno paura per i propri mariti, le proprie mogli, i propri figli o i propri genitori. Nonna Rachele riesce sempre a tranquillizzare gli animi. Forse gli adulti che lei ha aiutato non le corrono incontro festosi come i loro figli o i loro fratellini minori, però si vede quando una persona ha parlato con lei. Quella persona ha una sorta di calore nello sguardo e il sorriso che dura di più che negli altri giorni.
Rachele si è affezionata molto a Giona, soprattutto da quando i genitori dei ragazzini sono scomparsi durante un giorno come tanti. La mattina sono partiti, salutando i figli con un bacio, e non sono più tornati.
Serafina si è presa cura del fratello come poteva, con l’aiuto delle donne del campo e con quello specifico di Rachele. Ben presto cominciò a portarselo dietro dovunque andasse, nonostante le insistenze delle donne più anziane affinché lasciasse il bambino al campo insieme ai suoi coetanei. Serafina aveva testardamente rifiutato ogni volta, finché Rachele non aveva detto alle donne di lasciare in pace quella povera ragazza e di tornare a farsi gli affari di qualcun altro, che diamine.
Forse Rachele aveva capito che la ragazzina viveva nel terrore quotidiano di vedere sparire anche il fratellino, da un momento all’altro. Forse comprendeva che non era tanto l’egoismo, quanto il senso di responsabilità a muovere le azioni di Serafina nel suo rapporto con Giona. Forse fu l’unica persona a preoccuparsi e a prendersi cura di entrambi i fratelli, non soltanto del piccolo. Forse fu l’unica a rendersi conto che gravare una quindicenne con le responsabilità di una donna non la rende adulta.
Serafina è maturata in fretta. Eppure il suo cuore si alleggerisce ogni volta che vede Rachele venire loro incontro con la sua andatura traballante.
- Sai nonna che oggi abbiamo visto due angeli?
- Ah si? E com’erano? – chiede la vecchietta, prendendo il bambino in braccio.
- Stà attenta, Rachele. Alla tua veneranda età bisogna evitare gli sforzi. – la canzona Serafina.
- Non rompere, ragazzina. – brontola la donna, aggiustando la presa per sostenere meglio Giona.
- Erano giganteschi, e non si vedevano bene. Le ali scintillavano. Volavano velocissimi!
- Lo immagino. Tua sorella ti ha raccontato di loro?
- Si. Mi ha detto che c’è stato un tempo in cui erano buoni e vegliavano sugli uomini.
- È tutto vero. Quando ero più giovane, per dire che un uomo era molto buono si usava l’espressione ‘ un uomo nato angelo, intrappolato al suolo ’. – ricordò la donna, posando a terra il bambino con un sospiro. – Adesso fa il bravo, và a lavarti un po’ il visetto. Tra un’ora si mangia.
Il bambino annuisce e prende per mano la sorella.
La ragazza sorride alla donna e si avvia verso il loro capanno.
 
 
 

 
 
 
 La sera, limpida e frizzante, stende il suo fresco manto sulle colline brunite. Tutti i colori si oscurano, mano a mano che il sole cala dietro al profilo roccioso.
Aladiah scandaglia i territori circostanti con occhi attenti.
Un fruscio.
Jophiel atterra lieve al suo fianco.
- Ho perlustrato tutta la cresta montuosa. Non ho trovato nulla.
Il giovane si limita a restare in silenzio. Sente che il compagno lo sta fissando, attento. Se gli occhi soprannaturali di Jophiel potessero esprimere emozioni, probabilmente riuscirebbe a scorgervi della preoccupazione nei propri confronti.
- Aladiah… i tuoi sogni sono tornati?
- Si. – sospira l’interpellato. – All’improvviso delle immagini si sovrappongono alla realtà e mi scorrono davanti agli occhi.
Jophiel si siede a gambe incrociate su un grande sasso, raccogliendo la tunica candida sotto di se e ripiegando ordinatamente le ali sulla schiena.
- Raccontami.
Aladiah si prende un momento per osservare il profilo dell’orizzonte diventare un tutt’uno con l’inchiostro del cielo notturno.
- Fiori. Centinaia di fiori. Ricoprono gli alberi, le case, invadono la strada. Avvolgono tutto con i loro petali rosati, con i quali sembrano voler sommergere la Terra. Evitano tuttavia due file di binari ferroviari, di metallo opaco, che continuano fino all’orizzonte. Sopra la mia testa ci sono i fili dell’alta tensione e quelli di un’alta funivia, che sembra galleggiare nell’aria. Il cielo è blu scuro, quasi nero, e sfuma nel grigio tenue, mentre le nuvole disegnano tante forme bianche. L’atmosfera sembra sospesa, raggelata. Poi la scena sbiadisce lentamente, come se i colori che fino ad un momento prima avevo davanti agli occhi scivolassero via silenziosi. Il rosa fiorisce prepotente e mi copre la visuale. In mezzo a tutti quei fiori appena sbocciati scopro una piccola altalena rossa, con le corde bianche. Sopra all’altalena c’è una bambina, con dei buffi codini biondi, che si sta dondolando. Il vestitino blu che porta è schizzato di fango sull’orlo, ma lei non se ne preoccupa. Ride felice.
L’angelo tace, con aria mesta. Dopo qualche momento Jophiel interloquisce cautamente.
- Aladiah… sembra uno scenario anteguerra.
- No, Jophiel. A me sembra tanto un ricordo.
- Un ricordo? – l’angelo corruga la fronte.
- Si.
- Non è possibile.
- Perché, tu non hai ricordi del mondo di prima?
- Certo, - risponde Jophiel – ma non sono così specifici. È più una sensazione. Una sensazione di pace infinita. Di appagamento completo. Di felicità perfetta.
- Anche adesso provi queste sensazioni?
L’angelo, per qualche momento, tace confuso.
- Non è così, vero?
- No. – si ritrova a rispondere quello.
- Allora…cosa è cambiato?
Un silenzio senza risposta cala lento sui cuori dei due soldati. Silenziosamente, l’oscurità lo segue.
 
 

 
 
 
La piccola lampada a nafta disegna intorno a sé un cerchio di luce calda, familiare. Serafina aiuta il fratellino a infilarsi nella ruvida branda arrugginita e lo copre con una spessa coperta da campo di lana grezza.
- Serafina?
- Si?
- Mi dici di nuovo quella frase? Quella che ti diceva la mamma?
- Quella sugli altri mondi?
- Si.
- Beh, la mamma diceva sempre ‘Ognuno di noi ha altri mondi a cui aspirare. Sono i nostri luoghi sicuri, in cui rifugiarsi. E io sogno per me un mondo tutto all’inverso. Un mondo in cui il cielo sta sotto i piedi e in cui la paura non esiste. Vorrei poter ricreare l’universo tutto daccapo. Vorrei poter andare nel mondo più perso, per inventare un altro universo. ’ 
- E tu cosa le dicevi?
- Io le dicevo ‘mamma, non ti capisco ’, lei allora rideva, e mi scompigliava i capelli. Poi diceva di non darle retta, che era un po’ pazza. Aveva idee tutte sue, la mamma.
- Adesso invece hai capito quello che voleva dire?
- Credo di si. – afferma la ragazza, pensierosa – Credo volesse dire che tutti hanno bisogno di un luogo remoto, in cui andare con la mente capisci? Un luogo che sia solo nostro, un luogo di pace e silenzio in cui riposare. A volte è necessario andare molto lontano per poter raggiungere questo luogo. Però la mamma voleva fare di più. Voleva raggiungere il punto più lontano dell’universo, in cui poter ricostruire una vita per tutti. In cui noi quattro potessimo vivere serenamente.
- E tu? Qual’è il tuo posto sereno, sorellona?
Serafina sorride.
– Quando ero molto piccola, io, mamma e papà siamo andati al mare. Ti ricordi che ti ho raccontato del mare?
Il bambino annuisce, attento.
- Una notte sono uscita di nascosto dalla casa in riva al mare e sono corsa in spiaggia. Era bellissimo. Il cielo era di un nero perfetto, senza nuvole. Le stelle erano tantissime, riempivano tutto quanto con la loro luce bianca. Il mare rifletteva quella luce mille volte e i riflessi sembravano danzare sul pelo delle onde. Uno spettacolo stupendo.
- E dopo?
- Sono rientrata quasi all’alba. Mamma e papà non l’ hanno mai scoperto, anche se la mattina dopo mamma si è arrabbiata molto per tutta la sabbia sui pavimenti di casa. Ma, non avendo scoperto il colpevole, l’arrabbiatura le è passata presto.
La ragazza ride, divertita dal ricordo. Poi da un bacio in fronte al fratello.
- Buonanotte, Giona.
E in quel momento un grido d’allarme infrange l’aria tranquilla della sera.
 
- Angeli!
 
 

 
 
 
Quando un riverbero di luce pallida gli sfiora il viso, Aladiah volge lo sguardo verso il disco lunare. Damabiah scivola lieve sui raggi luminosi, come solo lui riesce a fare. I lunghi capelli corvini danzano lievi nell’aria e sembrano duettare con i lembi dell’impalpabile tunica verdeazzurra. Il viso dall’ovale perfetto è privo di espressione.
Il messaggero si posa senza rumore sulla cresta montuosa, al cospetto dei due angeli. Piega ordinatamente le ali bronzee sulla schiena e interloquisce con voce formale.
- I vostri ordini sono cambiati. Un gruppo di umani si nasconde nel folto del bosco vicino al fiume, a tre ore di volo in questa direzione. Andate e purificate la Terra.
Jophiel annuisce e, imitato dal compagno, spiega le ali e si alza in volo.
 
 
 

 
 
 
- Angeli! – grida la sentinella una seconda volta.
Serafina si precipita fuori dal capanno. Il campo è in subbuglio. Un gruppetto di adulti sta togliendo i teloni da sopra gli spara arpioni d’acciaio, mentre tutti gli altri corrono a cercare riparo, strattonando nella fretta i bambini che piangono disperati.
Due ombre scure si delineano minacciose nella polvere che turbina nell’aria. 
La ragazza trattiene il respiro. In un silenzio irreale, le due creature planano al suolo.
Avanzano lentamente sul terreno polveroso, mentre le loro sagome diventano più chiare ogni secondo che passa.
Alla fine emergono dalla foschia.
Sono due giovani.
Il primo è alto, ha lunghi capelli chiari e uno sguardo gelido. Il secondo sembra appena un ragazzo, con una massa ribelle di ricci ramati. Solo gli occhi, di un colore innaturalmente dorato, rivelano la reale assenza di ingenuità in lui.
Avanzano silenti, inarrestabili. Senza esitazioni, senza coscienza. Senza pietà.
- Adesso!
A quel grido l’incantesimo si rompe.
Le lunghe fiocine argentee si lanciano sibilando contro gli aggressori, che si separano rapidamente. Uno dei due raggiunge con un salto il cannone più vicino e lo fa a pezzi assieme al suo artigliere, mentre l’altro lancia enormi macigni sulle casupole di legno.
Serafina si volta e corre verso il capanno dove ha lasciato Giona. Il piccolo è sceso dalla branda e si sta sbracciando sulla porta, non osando uscire. Il rumore tremendo copre la sua voce e quella della sorella, che gli sta gridando di scappare. Riesce a raggiungerlo e a prenderlo in braccio, poi comincia a correre nella direzione opposta. Una grossa pietra si schianta nel punto dove pochi secondi prima il bambino si era fermato.
Senza guardarsi indietro Serafina corre, lasciandosi alle spalle la carneficina che sta avvenendo nel piccolo spiazzo erboso
.  
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Merkelig