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Autore: Jordan Hemingway    03/01/2015    2 recensioni
Narra la leggenda che all’inizio dei tempi Otto Clan si divisero le terre del Sud, prosperando sotto la guida del Primo Clan, che godeva della protezione dei draghi. Oggi i Clan sono divisi, e il popolo del Primo aspetta un segno dal loro Grande Protettore per tornare alla passata grandezza…
Due Figlie di Drago nate dallo stesso ventre, due metà dello stesso seme. Materiale da leggenda, ma si trattava di capire se da quella leggenda si potessero anche forgiare due armi letali, o se il fatto di essere state divise nel grembo della madre avrebbe influito sulla loro forza.
Prima classificata al contest "Sangue di Drago" indetto da ManuFury su EFP Forum
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Figlia di Drago



7
“Oh, fossi un girovago/che viaggia nel vento/danzando al tramonto”
Yinna Ibn Arsa, Poesie scelte
 
I carri si fermarono al crepuscolo: in pochi attimi i guidatori li disposero a cerchio e fermarono i cavalli, le donne uscirono e accesero un fuoco al centro dell’accampamento, accingendosi a preparare la cena. Fu uno dei bambini a notare la figura raggomitolata alle radici di un albero.
“Un fantasma! Un fantasma della foresta!” Urlò, talmente spaventato da dimenticarsi di correre via.
“Idiota. E’ solo un viandante che dorme.” Lo rimproverò suo fratello, che per il fatto di avere due primavere in più di lui si sentiva esperto nelle cose del mondo. “Ecco, ora si è svegliato. Ed è colpa tua, idiota.” Concluse con un colpo secco sulla nuca del fratellino, come sempre.
“Un viandante?” Uno degli uomini uscì dal suo carro e si avvicinò, ma il viandante, completamente ricoperto da un mantello di liane secche, aveva già iniziato ad allontanarsi. “Fermo dove sei.” All’improvviso l’uomo era alle spalle del fuggitivo, e lo aveva agguantato saldamente ad un braccio. “A noi gente delle carovane non piacciono le spie: a quale Clan appartieni, gaijin?”
L’altro non rispose, preferendo lasciarsi cadere a terra come un sacco vuoto. L’uomo lo toccò cautamente con un piede, spostando il mantello che lo avvolgeva.
“Gan!” Uno dei due bambini si portò alle sue spalle. L’uomo sollevò il viandante svenuto, facendo attenzione a non far cadere il mantello. “Dì a tua madre di preparare una scodella di stufato in più.”
 
Dopo due settimane passate nel fondo del carro a dormire e mangiare, l’uomo decise che per il suo ospite misterioso era giunto il momento di fare una chiacchierata.
“Allora, gaijin.” Iniziò, dopo aver spedito figli e moglie fuori dal carro. “Chi sei tu?”
Nessuna risposta da parte del fagotto di rafia davanti a lui. L’uomo sospirò. “Dunque, mio misterioso gaijin, forse dovresti sapere un paio di cose su di me. La prima è che il mio nome è Leung Yaw, e sono noto per la poca pazienza. La seconda…” E dicendo questo si tolse uno stivale. “E’ che probabilmente la tua storia sarà simile alla mia.” Il viandante si irrigidì: il piede e la gamba di Leung Yaw erano sottili, ricoperti di piume, del tutto simili alle zampe di un uccello.
“Mia madre era un Roq.” Leung Yaw si rimise lo stivale. “Almeno, questo è quello che mi raccontava mio padre. Venne rapita dal Terzo Clan subito dopo avermi partorito: per mia fortuna era riuscita a consegnarmi a mio padre, prima di essere presa.” Riportò lo sguardo sul viandante. “Io non so chi o cosa tu sia, gaijin. Da quel poco che ho potuto vedere di te, tuttavia, credo tu abbia dannatamente bisogno di aiuto.”
Ci fu un lungo silenzio.
“Chiamami Guin.” Sussurrò il viandante, levandosi lentamente il mantello. Leung Yaw trasalì: le scaglie dorate che ricoprivano il corpo della Mezzosangue terminavano all’altezza del collo. Il viso era una maschera di sangue rappreso e croste, alcune delle quali iniziavano a suppurare. Solo attorno agli occhi, al naso e alla bocca rimanevano dei bagliori dorati, troppo piccoli per essere estratti.
“Chi ti ha fatto questo?”
“Io stessa.”
 
Guinevre rimase nel carro per mesi, accompagnando la compagnia di girovaghi senza mai uscire dal suo rifugio, occupandosi di lavorare le pelli di cavallo e di altre incombenze che la moglie di Leung Yaw le affidava di volta in volta. Le sue ferite, curate da Leung Yaw con una mistura di erbe medicinali, erano guarite dopo alcune settimane: ora il suo viso era un ammasso di carne rossa e informe, in cui si distinguevano a malapena il naso e gli zigomi. Non si era più mostrata a nessuno senza mantello, si limitava a vivere di giorno in giorno sul fondo del carro, senza pensare a nulla che non fosse il trottare degli zoccoli dei cavalli.
Finché un mattino Leung Yaw andò a svegliarla prima dell’alba: “Guin, vieni con me.”
Gli toccò tirarsela in spalla e uscire così dal carro, ma ne valse la pena: appena furono fuori, la ragazza si irrigidì per lo stupore. Si trovavano sopra una collina priva di alberi, che scendeva dolcemente fino ad un enorme fiume che divideva in due le pianure sottostanti e si gettava nel mare. Sulle due rive erano sparse migliaia e migliaia di luci che si arrampicavano fin sotto le pendici della collina: “Quella è Kanduan, la Città di Luci.” Spiegò Leung Yaw. Guinevre fissò le case, le palafitte, i templi e i palazzi che si estendevano sotto di lei. “Gli altri ci seguiranno allo spuntare del sole. Vieni.”
Senza parlare, i due scesero la collina e raggiunsero velocemente le prime case di Kanduan: ad ogni finestra e cornicione erano appese lanterne di ogni forma e colore, che si agitavano nella brezza illuminando le mura intonacate di bianco o dipinte a colori sgargianti. Il groviglio di strade si svolgeva come un serpente tra edifici di ogni dimensione e forma addossati l’uno sull’altro, templi contro chioschi di laksa, catapecchie contro case tradizionali. Nonostante all’alba mancassero ancora delle ore, non mancarono di incrociare vari nottambuli, a volte ubriachi sulla via di casa, a volte operai pronti per iniziare il loro lavoro. Guinevre si strinse addosso il mantello, respirando l’aroma di spezie e di frutta andata a male.
La casa dove si fermarono aveva gli stipiti dipinti di verde e rami di magnolia alle finestre. Leung Yaw bussò tre volte in modo bizzarro, e una donna velata aprì il portone, guidandoli per lunghi corridoi in cui erano ammassate cianfrusaglie e strani apparecchi che a Guinevre ricordavano i manufatti delle Antiche Ere di cui Vivianne era appassionata. Scacciò il pensiero con un singhiozzo.
La donna velata li condusse infine in una stanza vuota, con un unico letto a baldacchino appoggiato al muro. Sul letto era steso un uomo enorme, il più grosso che la ragazza avesse mai visto nella sua vita.
“Ed ora, Guin, lascia che ti presenti il mio vecchio amico Conrad Vennchra.”
L’enorme uomo sbadigliò. “Che cosa mi porti, Leung, vecchio mio, a quest’ora della notte?” Stiracchiò le braccia, riuscendo a sembrare ancora più imponente. “Lo sai che ho bisogno di dormire.”
Guinevre lo squadrò sospettosa: si era fidata di Leung Yaw, ma la situazione le sembrava ora piuttosto equivoca.  Come se le avesse letto nella mente, Conrad sospirò e si alzò dal letto. “Non ti agitare, tu, sotto il mantello. Nonostante le apparenze, non esiste un posto più sicuro di questa casa per quelli come te e come noi.”
Fu allora che Guinevre si accorse della coda lunga e pelosa che spuntava dal retro di Conrad e si avvolgeva a spire intorno al suo caffetano da notte: in effetti, tutto il corpo dell’uomo sembrava ricoperto da una folta pelliccia nera, tranne che sul viso, accuratamente rasato.
Ikugan.” Spiegò Conrad affabilmente, indicando se stesso. “O almeno, da parte di padre. Ed ora vediamo un po’ cosa mi hai portato, Leung Yaw.” Guinevre si scansò, mentre Conrad cercava di scostarle il mantello.
“Calma, calma. Nessuno vuole venderti, stuprarti, lapidarti o qualsiasi altro grazioso passatempo passi per la mente degli umani. Sei al sicuro, ma ho bisogno di capire cosa sei, se vuoi che ti aiuti.”
Guinevre guardò Leung Yaw, infine si tolse il mantello.
Conrad le girò attorno, soffermandosi sul suo viso solo un istante di troppo.
“Lo sai? Potresti essere l’unica del tuo genere.” Concluse. Meditando, uscì dalla stanza, per ritornare poco dopo con un paio di guanti lunghi di seta nera, un paio di gambali e una maschera di garza rigida, dipinta di bianco e di nero. “Tieni. Ne avrai bisogno.”
La ragazza non aveva mai visto indumenti simili. Quando li ebbe indossati, si guardò nel riflesso della finestra: i suoi occhi la fissavano dal volto misterioso di una maschera rituale, le mani e le gambe erano completamente coperti dalla seta e dal cuoio, nessuna delle sue scaglie era visibile.
“Bisognerà fare qualcosa per quei capelli.” Borbottò Conrad, indicando le ciocche argentate della Mezzosangue. “Ma per il resto, è perfetta.” Si avvicinò a Leung Yaw. “Dove l’hai trovata?” Sussurrò.
“A circa dieci giorni dal confine con i territori del Primo Clan.”
L’Ikugan annuì. “Non mi sarei aspettato diversamente. Mi chiedo perché l’abbiano lasciata andare.”
“Non sono la Figlia di Drago.” Rispose Guinevre. I due aspettarono che continuasse. “Ho fallito, non sono riuscita ad invocare il Grande Protettore, a differenza di mia sorella. Non sarei mai dovuta essere nata.”
Il colpo la raggiunse allo stomaco. Conrad ora troneggiava su di lei. “Non osare più ripeterlo. Tutti noi.” E indicò se stesso, Leung, la donna velata e Guinevre. “Tutti noi siamo venuti al mondo in modi che hanno del miracoloso. Siamo sopravvissuti all’odio, agli stenti, alle persecuzioni degli umani e dei nostri simili, ma siamo vivi. Ci aggrappiamo alla vita in modi che non potresti nemmeno capire. Non disprezzare la tua vita, Figlia di Drago, solo perché lei ha disprezzato te.”
Leung Yaw si fece avanti. “Guin, Conrad è uno dei capi della rete di Mezzosangue degli Otto Clan. Grazie a lui centinaia di persone sono riuscite a mettersi in salvo dalle persecuzioni e dai mercanti di schiavi.”
“Tu sei la prima della tua specie che vedo in decenni di attività.” Gongolò Conrad. “Potresti esserci molto utile, che ne dici?”
Guinevre alzò lo sguardo verso Leung Yaw. “Ci fermeremo a Kanduan per tutta la stagione delle piogge. Avrai modo di vedere in cosa consiste il lavoro di Conrad e di decidere con calma. Intanto, ora che puoi usare le mani, inizia ad esercitarti con queste.” E le lanciò alcune sfere colorate, che Guinevre non riuscì ad afferrare. “Il nostro giocoliere ha bisogno di un’aiutante.”


 




Note: Salve! Vi ringrazio per essere arrivati fin qui! Finora non ho lasciato note, ma questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere (come anche il prossimo^^') e continuo ad avere l'impressione che sia un tantino noioso, e che la cara Guinevre ci faccia una figura un po' miserrima... Scusate gli scleri da post-scrittura. Dicevo, dato tutto questo, se vi va, lasciatemi la vostra opinione: la storia è stata scritta per un contest, per cui non posso più modificarla, ma se la cosa sarà permessa (e avrò un'idea decente su come fare) vorrei provare a sistemare i punti più "critici"una volta concluso il contest. P.S. Sempre se vi va, andate a leggere le altre storie in gara: ce ne sono di veramente belle!^^

http://freeforumzone.leonardo.it/d/10922391/Sangue-di-Drago-Fantasy-Contest-/discussione.aspx 
Alla prossima!
 
  
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