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Autore: La sposa di Ade    03/01/2015    3 recensioni
Fuga e inseguimento. Preda e predatore.
Sembra semplice, sembra poco più che un gioco.
Ma è quando si scopre il vero volto della vittima che le cose si complicano, è quando si scoprono i motivi di tali azioni che i cuori tremano.
Un conflitto tra razze e ideali, tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
[In revisione] [Possibile continuo]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 - Se tu fossi il mostro

Nel momento stesso in cui aveva estratto, lentamente e con cautela, la sua arma dal fodero aveva capito che quella situazione non sarebbe potuta essere più complicata; aveva trovato sì la sua preda, ma il fatto che questa si portasse dietro un tale indifesa creatura rendeva tutto molto più complicato, come aveva immaginato.
Come la colpisco senza ferire la bambina? Come faccio a tenerla fuori? E se la usa come scudo?
Perché non si accorge di me?

Si era chinata, la donna che sembrava l'incarnazione stessa della luna, con il volto alla stessa altezza di quello della bambina. E se solo non si fosse trovato dietro di lei, con l'arma sguainata e pronto a trafiggerla, lui avrebbe potuto vederla sorridere, quella donna dal volto ancora sconosciuto.
Si accorse di lui nel momento stesso in cui vide la bambina sorridere e gettarle le braccia al collo, in quell'istante fu pienamente consapevole del pericolo dietro di lei, pronta a colpirla, ucciderla, ora che era fragile, a fracassarla, lasciarla a terra, sanguinante, in un vicolo di quella città che aveva appena iniziato ad amare.

Troppo tardi. 

Aveva creduto di poter vivere una vita serena, una
vera vita; aveva trascurato se stessa e la sua natura, indebolendosi, fino a non riuscire a percepire i pericoli che si ammassavano attorno a lei.

*

Rhiannon l'aveva aiutata a trovare un posto dove dormire; una piccola locanda appena fuori il centro città, in un luogo perfetto, dove gli schiamazzi e le urla della gente del mercato non arrivavano e dove i confini della città erano ancora abbastanza lontani.
La bambina si era rivelata essere incredibilmente matura nonostante l'età che dimostrava, le aveva detto che suo padre non c'era più, ma che sua madre era riuscita a trovare un buon lavoro per mantenerle entrambe. Maeve era rimasta in silenzio, perché non sapeva cosa significassero quelle parole, non sapeva cosa significasse perdere un padre, poiché lei non ne aveva mai avuto uno, così come non conosceva l'affetto materno, perché quel poco che aveva ricevuto era troppo piccola per ricordare, ed era ancora troppo piccola per sapere quando sua madre l'aveva abbandonata, nonostante ora ne intuisse il motivo.
La bambina si era accorta del suo improvviso silenzio, e con un nuovo e per niente scoraggiato sorriso, si era offerta di portarla a conoscere sua madre, più tardi, quando lei sarebbe riuscita ad ambientarsi in quella città.
Maeve alla fine era riuscita comunque a sorridere e a posare con fiducia le spade che si portava in spalla, sperando ardentemente di non dover più utilizzare quegli strumenti che appartenevano ormai a una vita che non voleva ricordare d'aver vissuto. Perché il peso dei doveri e delle paure si alleggeriva giorno per giorno, così come il peso di quelle lame.
La mattina si svegliava e posava lo sguardo sulle sue armi, sapendo che non erano più necessarie, che quell'orribile offerta del sovrano di Pherdi non valeva più nulla, ormai. Non avrebbe usato quelle armi per uccidere quelli della sua stessa specie, non avrebbe usato quelle armi per uccidere, nessuno. Perché quella era una vita di aria umida e lieve, di dolce sole sulla pelle e notti calme.
Ogni tanto Rhiannon andava a trovarla, la aiutava ad orientarsi e a capire quella città, che Maeve trovava ogni giorno, ogni attimo, sempre più bella. Ogni tanto Maeve usciva da sola, si guardava intorno e si sorprendeva dello splendore dei luoghi e delle persone, arrivando quasi a dimenticare la propria natura, ciò che le aveva reso la vita a Pherdi un inferno. Si sentiva leggera, tuttavia ogni giorno era sempre più spossata e debole, poiché ignorava, a volte volutamente, la prorpia necessità di nutrirsi, di recuperare energie attraverso un nutrimento più
vivo, rispetto a ciò che mangiava la gente normale.
La sua natura se la portava addosso come una pelle pesante.
Non assecondava la sua fame, non voleva cedere a quella necessità vitale di fare del male ad altri per la propria sopravvivenza. Se solo avesse potuto, avrebbe rinunciato alla propria natura, al suo essere
Mostro, e poter vivere con la stessa leggerezza che vedeva nel volto delle persone di Rabanastre.
Un pomeriggio Rhiannon era sbucata dalla porta della sua stanza, con il solito, radioso, sorriso. Aveva annunciato, come se nulla fosse, che quel pomeriggio l'avrebbe portata a casa sua. Maeve aveva provato a protestare, inutilmente.
La casetta si trovava schiacciata tra due altissimi palazzi, come rintanata al sicuro, abbastanza lontana dalla piazza principale da vedere le mura della città dalla piccola finestra della cucina. Non era per nienta sfarzosa, ma non cadeva neanche a pezzi; era una casa che se la cavava, sopportando le violente pioggie stagionali e il perenne caldo.
Sentì armeggiare oltre la porta quando la bambina bussò con forza alla porta.
"Mamma, sono io!" Altro rumore; catenacci che venivano aperti, poi la porta si socchiuse.
La figura oltre la porta non si fece vedere, troppo impegnata nei lavori domestici per curarsi di dare un vero benvenuto.
"Accidenti Rhia, dovresti avvisarmi per queste cose." Maeve venne trascinata dentro dalla bambina che serrava con forza la mano sul suo polso.
"Va bene, va bene. Magari la prossima volta." La bambina sorrise nel sentire la madre borbottare lievi improperi. Rhiannon non aveva avvisato nessuno, né Maeve, che era stata prelevata a forza dalla sua camera, senza una minima spiegazione, né la madre che solo quella mattina era stata avvisata dalla figlia, che le aveva detto che per pranzo avrebbe portato una sua amica.
"Buongiorno." Fece lei, titubante, in attesa di una reazione da parte della donna, che ora si era voltata e la guardava con gli occhi spalancati e con le mani che tremavano.
Maeve non poteva sapere, né tantomeno immaginare, che la madre di Rhiannon era vissuta a Pherdi per qualche anno, prima di spostarsi in quella città umida, per via di un incidente. Un incidente che lei, Lauri, non riusciva a considerare tale.
Maeve non poteva sapere che il nervosismo della madre era dato dal fatto che suo marito era stato ucciso proprio da uno della sua specie, proprio da lei.
Perché Lauri ricordava benissimo quella bambina; l'aveva vista in fasce, con degli impressionanti occhi come perle, l'aveva vista muovere i primi passi in quel quartiere che a malapena veniva considerato, quello delle persone,
creature, diverse. L'aveva sempre vista da sola, privata della famiglia come spesso accadeva a quelli della sua razza.
L'aveva vista fuori controllo, nove anni prima, con quei medaglioni che sembravano risplendere di luce vermiglia mentre dissanguava il suo compagno.
Perché certi volti erano impossibili da dimenticare.
Da allora non aveva più voluto avere niente a che fare con quel luogo, con quelle persone.
Da allora aveva desiderato che neanche la creatura che si portava in grembo avesse niente a che fare con loro.
Si rese vagamente conto del proprio volto che impallidiva, e del cuore che perdeva un battito alla vista della bestia, mostro, Lamia, che le aveva sottratto la sua metà, tenere fiduciosamente per mano la sua bambina.
Quella volta si disse che no, non le avrebbe lasciato rovinarle la vita.

*

Maeve non voleva morire, e di tornare a Pherdi non se ne parlava. Non ora che aveva trovato il suo piccolo paradiso, non ora che iniziava a vivere davvero.
Fece quindi l'unica cosa che le avrebbe garantito qualche attimo in più di vita.
Si piegò sulla bambina spingendosi la sua testa sul petto, mentre l'altra mano correva, non più efficente come un tempo, ma pur sempre letale e rapida, all'impugnatura di una delle sue armi, estraendola parzialemente.
L'urlo spaventato della bambina venne coperto dal cozzare di metallo su metallo. Ma Maeve non l'avrebbe comunque sentito, troppo impegnata a guardare sbigottita la spada che si era bloccata tra la lama e la guardia della sua arma, ora terribilmente vicina al suo volto.
Maeve tremava, o forse era solo il tremito di Rhiannon che si ripercuoteva anche sul suo corpo; non si sentiva stabile sulle gambe, avvertiva la forza nel polso scemare velocemente. Si accorse che non nutrirsi era stato un grave errore, perché adesso non aveva possibilità di uscirne viva, non in quelle condizioni.
Ma lei era esistita a Pherdi, solo a Rabanastre aveva iniziato a vivere. E il desiderio di respirare, parlare, fare cose che fanno le persone
vive, era troppo forte per permetterle di arrendersi.

Reynard pensò che avrebbe dovuto darle un calcio alla schiena, spingendola in avanti e sbilanciandola, farla cadere a terra, per poi trafiggere il suo cuore cercando quel punto preciso tra spina dorsale e costole in cui far penetrare la spada.
Sarebbe semplice, si disse, semplicissimo.
Ma lo percepì il quell'istante; il suo desiderio di vivere, che la avvolse come una forte aura.
Vivere, diceva la sua tenue energia, Vita. In quel momento Reynard pensò che neanche trafiggendolo venti, cento volte, il suo cuore avrebbe mai smesso di battere.

Con uno scatto che era il ricordo dei movimenti appresi tanti anni prima, la donna estrasse completamente la spada, sbilanciandosi di proposito in avanti, per tenere la fonte di pericolo il più lontano possibile.
Ringraziò mentalmente la bambina, quando sentì le sue gambe avvolgerle la vita in una stretta convulsa, e le sue piccole manine andavando ad afferrarsi a vicenda dietro la sua schiena. Così che Maeve si ritrovò con una sorta di tremante zainetto umano aggrappato al petto.
Le cinse la vita con la mano libera mentre si voltava ad osservare il suo avversario.
Occhi attenti risaltavano sul colorito pallido, glaciale, ed erano rossi, si rese subito conto Maeve; rossi come il ciondolo che lui portava al collo, rossi come gli stessi medaglioni che facevano parte della pelle della donna, rossi come lei non si era più permessa di avere. Splendevano nella notte, intrisi di quel potere a cui Maeve aveva rinunciato.
Non si soffermò oltre sui lunghi capelli o sugli abiti leggeri mossi dal vento, sulla pelle o sui tratti distintivi della sua razza, che era la
loro, di razza, ma sugli occhi...
Occhi freddi nella notte, occhi gelidi. Se avessi un'anima, non avresti quello sguardo.
Occhi d'oblio, pieni di quella realtà da cui si fugge.
Maeve non poteva farcela, e lo sapeva anche lei stessa, e non era tanto perché la bambina era un peso terrorizzato tra le sue braccia, e non era perché il suo corpo era stanco.
Era perché: "Chi sei?" Si sentì chiedere. "Perché?" Subito dopo, nonostante la risposta fosse chiara.
Degli occhi così sono sbagliati, sono come sarebbero potuti essere i miei.

L'aveva vista respingere la sua spada e sollevarsi, allontanandosi da lui il più velocemente possibile, mentre la bambina, un po' come una scimmietta, si aggrappava saldamente al suo corpo.
Oltre a considerarlo sconveniente, in quel momento, un fatto del genere era più che strano, stranissimo, poiché la madre gli aveva implorato di salvare la sua bambina, come se si potesse trovare di fronte a un terribile pericolo. Cosa che sarebbe potuta essere più che plausibile, visto la compagnia con cui girava per la città. Una Lamia non era di certo una presenza raccomandabile, eppure...
Si rese conto in quel momento che il mostro da cui sarebbe dovuta essere protetta non era tanto la donna pallida quanto, più probabilmente, lui.
Quel pensiero lo turbò; uccidere non gli era mai piaciuto, figurarsi se era per allungarsi la vita, figurarsi se si trattava uccidere senza spiegazioni quelli della sua stessa razza, tuttavia lo accettava, anche se con l'amaro in bocca. Ancora poteva accettare quelli che perdevano il controllo, quelli che diventavano vere
Bestie assoggettate dalla loro stessa sete. Ma non vittime innocenti, non una bambina.
"Lascia andare la bambina." Fece lui, ignorando le domande della donna. Aveva un lavoro da portare a termine, un dovere, e tanto valeva farlo in fretta, senza starci a pensare troppo come aveva imparato a fare per evitare che il senso di colpa lo divorasse.
"Non le farai del male." La vide arretrare, posizionando la spada dritta davanti a sé, in una posizione di guardia approsimativa, visto che la creaturina non sembrava voler allentare la sua presa.
"Non è la bambina il mio obbiettivo."
"Che cosa vuoi?" Lo lesse nei suoi occhi, oltre al profondo desiderio di vivere, vide il riflesso di sentimenti che, da tempo, lui non si era più permesso.
Occhi caldi nella notte, occhi umani.
Se tu fossi il Mostro, non avresti quegli occhi.
Vide nei suoi occhi il riflesso di una felicità che a Pherdi, a loro, non era permesso vivere, vide la speranza, per quanto debole ed effimera, tenacemente aggrappata alla vita, nonostante anche quella sembrava stesse per esaurirsi.
Occhi da umana, pieni di una realtà lieve e piacevole.
"Il sovrano di Pherdi mi manda a darti la caccia, vuole che torni. Viva o morta." La guardò negli occhi e capì perché le sue tracce erano sempre state così deboli, perché, fino all'ultimo, non si era accorta di lui. Lei non si era più nutrita, ignorando completamente le necessità della sua natura.
"A Pherdi non ci torno, piuttosto, morire mi sta bene." Che cambiava poi molto? Reynard lo capiva solo adesso, che lei si stava lasciando morire.
Degli occhi così sono sbagliati, sono come sarebbero potuti essere i miei.



L'immagine a inizio capitolo è Maeve (finalmente ve la faccio vedere!) ed è un'illustrazione del gran maestro Royo, dateci un'occhiata ai suoi lavori se vi interesano queste cose *-*
Avevo detto che sarebbe stato un capitolo un po' più lungo, e spero che vi sia piaciuto, perché per me questo è stato il più complicato da scrivere, è cambiato moltissimo e moltissime volte. Resto comunque molto molto dubbiosa riguardo come è strutturato, ma amen, alla fine si è scritto così, un po' da solo.
Spero vi sia piaciuto :)
Vero che state capendo cosa sta succedendo? (@_@)

PS: ho scritto un'ipotetica scaletta del continuo di questa mini storia di cinque capitoli, a voi piacerebbe vederla proseguire? Anche se questa è una domanda che dovrei fare alla fine, ma vabbé, mi porto avanti xD

  
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