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Autore: Widelf    04/01/2015    1 recensioni
La storia di una compagnia di tre individui, esponenti di tre razze nei canoni del più classico dei fantasy, alla ricerca di loro stessi e di qualcosa che potrà salvare o distruggere il continente di Ibira.
Torno a scrivere dopo un bel po' di tempo, spero di non essermi arruginito :)
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sala d’addestramento del palazzo di Melaluma era innaturalmente silenziosa. Cinque Elfi sedevano con le gambe incrociate, i lunghi capelli biondi che scendevano fluenti sulle spalle, con gli occhi chiusi, immersi in una profonda meditazione. Quattro di loro indossavano lucenti armature dorate, decorate in maniera tale che sembrassero ricoperte di fogliame. La parte inferiore del corpo era coperta da un tessuto morbido, di colore rosso, sulle cosce; le tibie erano ricoperte da lunghi gambali che partivano da appena sopra la rotula, con una forma a punta, e finivano appena al di sopra delle caviglie. Tenevano l’elmo, sormontato da una splendida cresta, al loro fianco.
 
Il quinto Elfo si distingueva dagli altri perché non indossava alcun tipo di armatura; il suo unico capo d’abbigliamento era una lunga tunica bianca, legata alla vita da una piccola catenina di argento puro, dalla quale pendeva quello che sembrava un medaglione. Sul medaglione erano incise, nell’esile grafia elfica, le parole “Pei ruiei zeifoowei z rooaì reiui”, che nella Pooei Aìpmuieei, la Lingua Elfica, significavano “la mia natura non muore mai”. Esattamente sopra di esse, al centro del medaglione, si trovava uno smeraldo rotondo. Sul capo dell’Elfo era posata una tiara della stessa fattura del medaglione, con tre piccoli smeraldi incastonati.
 
Il rumore di passi destò gli Elfi dal loro torpore mistico. La grande porta a forma di foglia si aprì, e nella sala entrò un altro Elfo, vestito in modo molto più modesto, ma non meno bello di quelli già presenti nella sala.
 
‹‹Mio signore Filvendor, la prego di perdonare questa mia brusca interruzione della sua sessione di meditazione.››
 
Il messo elfico sembrava piuttosto nervoso. Il figlio del conte di Melaluma, Filvendor, non amava essere interrotto quando meditava, e la sua stravagante educazione da figlio unico, viziato all’inverosimile, lo poteva portare a punire chi trasgrediva le sue disposizioni.
 
Filvendor, l’Elfo vestito di bianco, aprì i suoi bellissimi occhi a mandorla rivelando due occhi verdissimi. Corrugando un sopracciglio, si rivolse all’elfo con tono perentorio: ‹‹Elred. Spero che questa tua interruzione sia più che giustificata. Conosci le mie regole.››
 
‹‹Chiedo di nuovo scusa, mio signore. Ma si tratta di vostro padre: il conte Thanalil richiede la vostra presenza nella sala dei banchetti. Desidera parlarvi di un’urgente questione, a proposito della guerra contro i Goliarkh.››
 
Filvendor si alzò lentamente, e così fece il corpo della sua guardia personale, i quattro Elfi in armatura che stavano meditando con lui.
 
‹‹Molto bene›› disse il conte ereditario al messo ‹‹andrò subito da lui. Puoi ritirarti, Elred. Anche voi, eiìrneiczui. Riprenderemo la sessione più tardi, se ne avrò voglia.››
 
Il messo se la diede quasi a gambe levate, e le sue guardie, dopo un leggero inchino, si dispersero. Filvendor uscì dalla stanza e percorse un lungo corridoio che conduceva verso la sala dei banchetti. Il palazzo di Melaluma si trovava nella parte settentrionale della città imperiale di Narburg, nel quartiere elfico. Narburg era una città di radici antichissime, sede dell’Impero Umano da tempo immemore, ma era divisa in tre zone di influenza: nella parte settentrionale si trovava il quartiere elfico, nella parte meridionale il quartiere nanico e nelle altre due parti viveva la maggioranza della popolazione, di razza umana. Al centro della città si trovava l’enorme palazzo imperiale, residenza di Dandelion IV, attuale imperatore dell’Impero Umano. La famiglia Melaluma si era trasferita a Narburg in qualità di ambasciatrice dei Liberi Elfi di Mfrei Reib, la Foresta Madre che il Popolo Leggiadro venerava come unica divinità. Filvendor era nato a Narburg novantotto anni prima, e la sua famiglia si era stabilita nell’antica città umana già da più di due secoli, servendo come contatto diplomatico tra il Fuieiì Eepei, l’Antico Conclave che gestiva gli Elfi, e più di 4 generazioni di imperatori umani.
 
Filvendor giunse infine nell’enorme sala dei banchetti. C’era una tavolata enorme, completamente deserta, se non fosse stata per la figura china a capotavolo.
 
‹‹Paì aìaì coouibiì ui fooiìui neiui, neib.››
 
Dopo aver rivolto il tradizionale saluto elfico al padre (nella lingua umana il saluto suonava come “le stelle guidino i tuoi passi”), Filvendor chiese al conte: ‹‹Perché mi ha chiamato, neib? Elred mi ha detto che dovevi parlarmi dei problemi al fronte.››
 
La voce del conte, in risposta, era cupa e molto profonda. ‹‹E’ così, Filvendor. Abbiamo perso altri cinque maghi in un’imboscata. I Goliarkh stanno spostando la linea del fronte sempre più a sud. Le truppe di Dandelion non riescono a tenerli, e le sue richieste di maghi si fanno sempre più pressanti. Non posso permettermi di sacrificare ancora il sangue di altri aìpmui. Sai bene quanto il sangue elfico sia prezioso rispetto a quello degli umani o dei nani. Noi non ci riproduciamo alla loro velocità.››
 
Filvendor abbassò gli occhi. Era vero, era un evento estremamente raro che gli elfi si riproducessero, ma era anche impossibile che essi morissero in circostanze normali. Gli Elfi erano immuni agli effetti del tempo, ma soffrivano come ogni creatura vivente il tocco gelido dell’acciaio. La perdita di altri cinque Elfi era un disastro. Le file della loro razza si andavano assottigliando sempre di più a causa della guerra. Gli Elfi appoggiavano gli umani in guerra contro la terribile crudeltà Goliarkh, grazie alle loro incredibili capacità magiche, ma lo spargimento di sangue li stava portando sull’orlo dell’estinzione.
 
‹‹Che cosa vuoi che faccia in merito, neib? Non puoi chiedere agli umani di fare a meno di noi?››
 
‹‹Dandelion non ci concederà mai di ritirarci, e io non ho l’autorità necessaria per oppormi a lungo alle sue richieste. Quello che voglio che tu faccia, Filvendor, è che torni alla Mfrei Reib e che tu chieda consiglio all’Antico Conclave. Perfino Dandelion dovrà piegarsi agli ordini degli Undici Saggi, se essi decidono che gli aìpmui si debbano ritirare.››
 
Filvendor rimase a bocca spalancata. Il viaggio da Narburg alla Foresta Madre era molto lungo, e non privo di pericoli. Inoltre, lui non era mai stato nella Foresta Madre, e anche da Elfo aveva una certo timoroso rispetto nei suoi confronti. Non era un luogo da attraversare a cuor leggero nemmeno per uno della sua specie.
 
‹‹Dovrò andare da solo?›› chiese Filvendor al conte.
 
‹‹No, no, certamente no. Il mio unico figlio non affronterà un simile viaggio da solo. Tuttavia, non posso permettere che i tuoi eiìrneiczui ti accompagnino. C’è il rischio di perdere altri Elfi. No, piuttosto, nel pomeriggio ti recherai al palazzo imperiale e chiederai a Dandelion di fornirti una scorta. Non dirgli delle nostre reali intenzioni, o non te la concederà mai…digli piuttosto che torni nella Mfrei Reib a reclutare altri maghi per lui. Non è certo una soluzione onorevole, ma funzionerà.››
 
Filvendor annuì con un breve cenno del capo e prese congedo dal padre. Il suo inflessibile senso del dovere lo obbligava ad eseguire l’ordine del padre, ma in cuor suo covava una forte inquietudine per la missione che l’attendeva.
   
 
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