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Autore: Widelf    04/01/2015    1 recensioni
La storia di una compagnia di tre individui, esponenti di tre razze nei canoni del più classico dei fantasy, alla ricerca di loro stessi e di qualcosa che potrà salvare o distruggere il continente di Ibira.
Torno a scrivere dopo un bel po' di tempo, spero di non essermi arruginito :)
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gerwin si alzò dal letto quando il sole era già alto nel cielo. La luce filtrava dalla sua finestra attraverso le logore tende della sua stanzetta, mettendo in risalto il pulviscolo dell’aria. Il giovane ragazzo si stropicciò gli occhi e si stiracchiò, esibendosi in un rumoroso sbadiglio. Schiaritosi la mente, riuscì finalmente a decifrare le urla forsennate della madre che lo chiamava.

‹‹Gerwin! Gerwin! Maledetto scansafatiche! E’ appena passato mezzogiorno e tu sei ancora a letto! Maledizione, cosa ho fatto per meritarmi un figlio del genere…per Duher, a 24 anni ancora disoccupato, e senza uno straccio di famiglia!››.

‹‹Arrivo mà, non ti agitare così›› rispose Gerwin laconicamente. Il giovane si guardò nel vecchissimo specchio della sua camera e si aggiustò la folta zazzera di capelli neri, riccissimi. I suoi occhi erano ancora gonfi di sonno ma tradivano una forte vivacità e una certa furbizia; il suo naso era leggermente aquilino ma dava al suo viso un tocco di nobile fierezza. Prese una vecchia camicia di lino, un po’ unta ma quantomeno senza buchi, e un paio di brache marroni. Dopo essersi vestito alla bene e meglio, prese i morbidi stivali di pelo che il padre gli aveva regalato al suo ultimo compleanno, se li infilò e scese al piano di sotto, dal quale proveniva un forte odore di carne stufata, cavolo e altre spezie.

‹‹Lo stufato di coniglio è pronto. Serviti pure e mangia…certo non si può dire che anche oggi tu te lo sia guadagnato››. La madre di Gerwin si chiamava Mirella. Era un donna di circa 55 anni, piuttosto bassa e decisamente grassa. La sua faccia tonda aveva un colorito giallastro per via della sua salute cagionevole. I capelli le cadevano sulle spalle, piuttosto radi e unticci, e le sue labbra carnose rivelavano una chiostra di denti sbeccati e giallognoli. Non era quello che si poteva definire una gran bellezza, ma aveva fama di lavoratrice e massaia instancabile. Gerwin non la sopportava per via dei suoi continui richiami: sembrava che il suo primo pensiero fosse quello di infastidire suo figlio ogni mattina ricordandogli quanto fosse inutile da disoccupato e senza una famiglia. Era una frase così ricorrente che Gerwin la prendeva ormai come un “buongiorno”.

‹‹Di nuovo stufato di coniglio? Che Duher sia lodato, madre! E’ la quinta volta questa settimana!››

‹‹Non sei nella posizione di lamentarti, Gerwin. Non lo sei mai stato negli ultimi 24 anni. E comunque il coniglio è una delle poche cose che possiamo permetterci di questi tempi, visto lo stipendio da minatore di tuo padre. Certo, se tu ti trovassi un lavoro rispettabile…››

‹‹Va bene, va bene! Mangerò il coniglio! Non ricominciare!››. Gerwin si sedette al robusto tavolo di legno al centro della stanza, dove era poggiata la maleodorante pentola piena di stufato. Se ne versò due mestoli pieni nella ciotola e fissò il magro pasto; non si trattava che di qualche misero pezzetto di carne in un incolore brodaglia, con qualche cima di cavolo qui e lì.

‹‹Tuo padre dovrebbe essere di ritorno a momenti. Puoi mangiare ora o aspettarlo, non fa alcuna differenza››. Mirella si sedette di fronte a lui, si servì e cominciò a mangiare di gran gusto, come se stesse mangiando un piatto appena sfornato dalle cucine dell’Imperatore Dandelion IV. Gerwin piluccò di mala voglia un cucchiaio di brodaglia, quando sentì lo sferragliare della serratura dell’abitazione.
La pesante porta di legno si aprì con un roboante cigolio, e nella stanza entrò un uomo di mezza età, con la pelle e i vestiti ricoperti di polvere di marmo. La finissima polvere gli aveva imbiancato anche i riccissimi capelli, esattamente come quelli di Gerwin. Aveva delle folte sopracciglie nere e due occhi molto piccoli, anch’essi neri come due perle di elmstub, un estratto di radice che veniva consumato sotto forma di pastiglie simili al prodotto delle ostriche, che avevano un effetto rinfrescante e digerente. Una folta barba, intricata e disordinata, circondava il rosso foro della bocca. Portava alla cintola un piccone e un piccolo martello, simboli della sua attività da minatore. Il suo nome era Ursio.

‹‹Bentornato, padre›› lo apostrofò Gerwin. Mirella era così impegnata nello strafogarsi lo stufato che lo degnò a malapena di un grugnìo. I due si erano sposati 30 anni prima, nell’euforia giovanile che li aveva spinti a pensare che avrebbero avuto un futuro ben diverso: Ursio aveva sognato di perseguire l’attività di fabbro dopo aver fatto un lungo apprendistato presso il padre di Mirella, Rayford. Egli però aveva scoperto la tresca con la figlia e gli aveva tolto la dote, lasciando così Ursio privo della bottega e del titolo di artigiano necessario per gestirla. Nella foga giovanile Ursio aveva deciso di fregarsene e di sposare comunque Mirella, che all’epoca doveva essere un tipo ben diverso di donna.

‹‹Salute, figliolo. Mirella.››

Ursio si avvicinò a grandi passi al tavolo e si sedette a capotavola, nel posto riservato al capofamiglia. ‹‹Ho grandi notizie per te, Gerwin: ho parlato con Colby, giù in miniera. Dice che suo cugino Wiclif, il conciatore del mercato di quartiere, ha bisogno di un garzone. La paga non è delle migliori, ma Wiclif è una persona onesta e rispettabile. Inoltre, avrai la possibilità di cominciare ufficialmente un apprendistato. E per pochi che siano, i soldi fanno sempre comodo in questa casa.››

Gerwin lasciò cadere il cucchiaio sul tavolo e rimase per un momento con gli occhi sgranati e la bocca aperta. ‹‹Ma…padre…avresti dovuto almeno interpellarmi prima…insomma, ecco…il conciatore? Ma che razza di lavoro è? E poi lo conosco Wiclif, ha fama di essere uno schiavista! Non è un caso che sia a corto di garzoni, e io non voglio certo…››

‹‹Silenzio! Abbiamo bisogno che tu ti dia da fare per la tua famiglia, Gerwin. Dall’inizio della guerra contro i Goliarkh, il prezzo della vita si è alzato di molto. Il mio stipendio non basta più per sfamare tre bocche. Io e tua madre abbiamo tollerato abbastanza la tua nullafacenza.››

Gli occhi di Mirella quasi brillarono a quelle parole. ‹‹Ma padre›› incalzò Gerwin ‹‹credevo che fossi almeno libero di scegliere ciò che avrei dovuto fare della mia vita! Che razza di genitori siete a impormi…››

‹‹Basta così, figliolo›› lo interruppe Ursio. ‹‹Se tu avessi deciso cosa fare della tua vita, lo avresti già fatto tempo fa. Ormai è deciso. Nel pomeriggio andrai da Wiclif e ti proporrai come garzone. Colby mi ha detto che ci avrebbe messo una buona parola, per cui non dovresti avere grandi problemi nell’ottenere il lavoro.››

D’improvviso malumore, Gerwin si alzò e salì di corsa le scale, lasciando il misero pranzo dentro la ciotola e sentendo sulle sue spalle il sorriso e lo sguardo di sua madre.
   
 
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