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Autore: gingersnapped    05/01/2015    1 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
“Respira. Quando non respiri, non pensi.” Hiccup sorrise, beffardo. Non si ricordava che Merida avesse mai avuto ragione, e lui aveva una memoria  notevole, ma questa volta aveva ragione. Se fosse mai uscito da quella situazione gliel’avrebbe detto, e magari l’avrebbe pure fatta felice. Guardò oltre la punta della spada, puntata nello spazio tra i suoi occhi verdi, così intensi. Stava per finire tutto, ormai.

 
-Un anno prima-
Il cielo di metà settembre era inaspettatamente senza nuvole, solo un gran vento si alzava da ovest, facendo piegare al suo volere tutti i fili d’erba che, morbidi e lunghi, sembravano formare un manto verde di mare. Era più autunno che estate ormai, ma questo evento non faceva desistere un giovane ragazzo dal dipingere, all’aria aperta e senza alcuna giacchetta, il paesaggio. Era smilzo, con lunghi capelli castani che gli solleticavano il collo, gli occhi verdi come quei fili d’erba che curiosavano in giro, alla ricerca di uno specifico oggetto, trovandolo poco dopo appoggiato al suo orecchio sinistro, il pennello che sempre dimenticava. Una larga casacca lasciava intravedere i suoi miseri pettorali. Quello era mercoledì e il mercoledì era destinato alla paesaggistica e lui avrebbe dipinto quel paesaggio. Solo che..No, evidentemente quello non era il mercoledì giusto. Già rassegnato, il ragazzo estrasse dalla sua casacca un quadernetto molto consumato, appuntando qualcosa accuratamente. Almeno, se non avesse dipinto quel paesaggio, avrebbe potuto fare altro: come ad esempio migliorare una delle sue invenzioni. Forse aumentando la superficie d’estensione e la distanza tra le diverse canne fumarie avrebbe potuto diminuire il tempo di raffreddamento e quindi incrementare il numero di colpi! Si, si disse che era così, e a conferma della sua tesi ne fece uno schizzo a bordo pagina, in modo da non dimenticarlo.
“Hiccup?”
Una voce lo destò da quel vortice di inventiva, e il moro sapeva benissimo chi era. Alzò lo sguardo e vide dinnanzi a sé Jack, il suo amico. Alzo, snello ancor più di lui, capelli castani ma privi dei riflessi rossi dell’inventore e perennemente scompigliati, e occhi marroni, caldi, e un sorriso inaspettatamente sornione, malandrino. Con quel sorriso lì sembrava avere quell’aria di aver combinato chissà quale diavoleria, per poi diventare il più innocente tra gli uomini appena cambiava espressione. 
“Dimmi, Jack.”
“Gobber mi manda a chiamarti.”
“Perché? Lo dovrà imparare prima o poi che il mercoledì mi esercito a dipingere”, disse Hiccup, abbastanza seccato. 
“Ma non stavi dipingendo”, ribatté Jack, sorridendo furbescamente.  
“Si, beh, questo..questo è un altro discorso”, bofonchiò l’altro, rimettendo il quadernetto dentro la casacca.  
“Comunque forse ti interessa sapere che hai una commissione.”  
“Sai che novità.” 
“Oh, smettila di essere così sarcastico e ascoltami! È una commissione di uno dei Dunbroch”,esclamò Jack, estasiato. Hiccup si voltò immediatamente. 
“Cosa possono volere i Dunbroch da me?” 
“Forse tuo padre ha elogiato le tue capacità”, azzardò Jack. Hiccup alzò di rimando un sopracciglio, come a dirgli che non avrebbe creduto mai a qualcosa del genere neanche se l’avesse visto con i suoi occhi. Suo padre, il comandante delle guardie, Stoick Haddock denominato l’immenso perché era grande e grosso quanto una delle porte della città, quando aveva saputo che non avrebbe percorso la sua stessa carriera, non l’aveva presa poi così bene. Diciamo che aveva pensato bene di diseredarlo, chiamarlo bastardo e far finta di non averlo come figlio. E a Hiccup andava bene così, visto che si era trovato da fare presso la bottega del rinomato Gobber, artigiano di corte, fornitore di progetti di armi da guerra, ritrattista ufficiale di palazzo. 
“Okay, va bene, forse semplicemente volevano farsi costruire qualcosa da Gobber e lui ti ha passato l’incarico”, riformulò il moro. Questa volta Hiccup annuì distrattamente, seguendo il ragazzo fino alla bottega del suo maestro.

 
(Gobber)
Gobber non era affatto nato per insegnare, infatti come maestro vero e proprio era pessimo. Non aveva una corporatura alta e minacciosa, semplicemente mangiava tanto e beveva troppo, il tono di voce era grossolano e chiassoso, la bocca sempre aperta a prendere aria, e gli occhi, troppo piccoli e troppo vicini tra di loro, acquosi, davano l’impressione che piangesse sempre ma non era affatto una persona sensibile, e chiunque avesse osato dire questo, non visse tanto a lungo per raccontarlo. 
“Sei in ritardo, ragazzo!”gridò rivolto a Hiccup, tirandogli un bicchiere di legno che aveva in mano. Fortunatamente questa volta il ragazzo lo evitò: peccato che colpì invece Jack. 
“Ahi”, si lamentò questo per il colpo, massaggiandosi dove era stato colpito. 
“Lo sai che è mercoledì”, cercò il spiegarsi il moro, senza alcuna efficacia però. 
“Non mi interessa”, abbaiò infatti Gobber, “e adesso pensa a costruire un arco.”
“Hai mandato Jack a chiamarmi, hai rovinato il mio mercoledì solo per uno stupido arco?”
“Hamish Dunbroch non vuole uno stupido arco, ne vuole uno intelligente e cito testuali parole, deve sputare fiamme” 
“E mi spieghi come farebbe un arco a sputare fiamme?”, chiese Hiccup, guardando Gobber. 
“E io che diavolo ne so. Inventalo!”, rispose di rimando quello. Il moro sospirò; quello era decisamente uno dei momenti in cui Gobber dimostrava chiaramente di non essere affatto nato per insegnare, ma Hiccup avrebbe voluto tanto che lo fosse.
 
 
(Rapunzel)
 Rapunzel era una ragazza estremamente graziosa: gli occhi grandi, verdi, erano contornate da lunga ciglia che addolcivano ancor di più il suo sguardo, sul nasino perfettamente all’insù vi erano poche lentiggini che la rendevano sbarazzina, il fisico era minuto, i capelli erano lunghi e descrivevano ampie onde dorate. Rapunzel era una ragazza estremamente graziosa, e anche per questo per Hiccup era sempre un piacere sfruttarla come modella, proprio come quel lunedì.
“Hic, come va il progetto dell’arco?”, chiese la bionda, spostando gli occhi dal fiore che teneva in mano, un bellissimo girasole, agli occhi dell’inventore. 
Deve sputare fiamme” ripeté Hiccup sovrappensiero.  “Come diavolo fa un arco a sputare fiamme?” “Immagino che il progetto dell’arco non stia andando poi così bene.”
“Immagini bene purtroppo.”
“Sono certa che ce la farai. Tu ce la fai sempre”, disse fiduciosa lei, riservandogli un sorriso rasserenante e contagioso. Anche Hiccup le sorrise.
“Come va a corte, invece?”, domandò lui, prendendo un carboncino un po’ più fine per disegnare anche i dettagli.
“Oh, va benissimo. Là sono tutti così gentili, e ilari: soprattutto il re Fergus! Non avrei mai creduto che il nostro sovrano fosse così bonaccione con tutti, con i figli e con i sudditi.”
“Spero che sarà bonaccione anche con me, quando scoprirò che non ho costruito un arco che sputa fiamme al figlio.”
“Ma nessuno dei figli sa tirare con l’arco”
Hiccup smise di disegnare. Rapunzel era sempre là, con la sua aria di serenità perenne, neanche una vera tragedia sarebbe riuscita a scalfirla. La diciassettenne era lì, di fronte a lui, con i nastri sui capelli e il vestito svolazzante, e gli aveva appena detto che nessuno dei figlioletti Dunbroch sapeva tirare con l’arco.
“Mi spieghi perché Hamish vuole che gli costruisca un arco che sputi fiamme? Voglio dire, non solo non sa tirare con l’arco, ma vuole che questo sputi fiamme!”, sbottò il moro, riprendendo a disegnare. Rapunzel rise.
“Sarà per la principessa.”
“Senti Punzie, mi sa che il tuo senso dell’umorismo è peggiorato.”
“Non era una battuta.”
“E da quando le principesse sanno tirare con l’arco?”, domandò Hiccup sarcastico.
“Oh, la principessa è assolutamente fantastica, sono certa che la adorerai”, fu tutto ciò che disse Rapunzel.
 
(Lo stupido arco che sputava fuoco)
“Sarà meglio per te che hai costruito quello stupido arco che sputa fuoco”, abbaiò Gobber, mentre sistemava un po’ di carte e di appunti nel suo tavolo degli attrezzi. Erano passate quasi due settimane da quando il maestro gli aveva dato quell’incarico, e Hiccup inizialmente non sapeva neanche come farlo. Certo, sicuramente quelle erano richieste fantasiose di un bambino, ma era un bambino regale, e in quanto tale andava accontentato, anche se avesse richiesto una catapulta fatta di marzapane che si muoveva da sola, l’avrebbe ottenuta.
“Non è uno stupido arco che sputa fuoco”, ribatté il giovane, “è uno intelligente.”
“Sei riuscito a costruirlo?” chiese Gobber, stupito. Era sempre così, quando si trattava del suo allievo prediletto, anche se non l’avrebbe ammesso mai: quando svolgeva le sue lezioni, il giovane mancava sempre perché aveva altro da fare. Però poi, quando aveva difficoltà –cosa che accadeva assai di rado- lo trovava nel suo ufficio e chiedeva.
“Certo.”
“E sentiamo, come avresti fatto?”
“In questa parte, lontano dal manico, ho messo una miscela di zolfo e resina polverizzata. Basta poi anche una sola scintilla per far sì che l’arco sputi fuoco”, spiegò Hiccup, tutto concentrato sull’arco.
“Ben fatto”, commentò estasiato il maestro, ritornando alle sue carte.
“Jack dov’è?”
“Sai come è fatto, sarà andato a rubacchiare qualcosa.”
“Ovviamente”, borbottò sovrappensiero, sbirciando tra gli appunti del maestro, sperando di trovare qualche progetto interessante. Niente, come al solito. Forse avrebbe potuto migliorare la sua altra invenzione, oppure avrebbe detto che era impossibile da realizzare, oppure gli avrebbe detto che era impossibile da realizzare e poi l’avrebbe migliorata di nascosto così da mostrarla al sovrano come sua invenzione. Non sarebbe stata la prima volta, certamente: come il caso del triplice mulinello, usato per portare più acqua in minor tempo. Il re Fergus l’aveva elogiato per settimane, facendogli inviare giornalmente doni e invitandolo a mangiare tacchino e chissà quante altre leccornie al suo banchetto. Quello sarebbe dovuto essere il mio tacchino, si ritrovò a pensare il moro, andando a sistemare l’arco e le frecce a portata di mano. Il principino sarebbe dovuto arrivare tra poco, e così fu. Il piccolo Hamish Dunbroch, accompagnato dai suoi due identici fratelli Harris e Hubert e una signora. Hiccup sorrise: quei tre arrivavano a malapena al metro e venti centimetri, i capelli sembravano fili di carota, gli occhi erano blu e sembravano alquanto innocenti e soprattutto, avevano sei anni. Gli occhi del giovane inventore si spostarono sulla signora, un po’ grassottella, che sembrava piuttosto affannata.
“Vecchio, hai costruito l’arco che sputa fuoco?”, gridò uno dei tre, facendo sobbalzare Hiccup. Non aveva poi così torto: aveva pensato che sembravano innocenti, non che lo fossero davvero.
“No, ma l’ha fatto questo ragazzo.”
Sei grandi occhi blu puntarono quelli verdi del ragazzo, intimidendolo non poco.
“Q-questo è l’arco”, disse il ragazzo, porgendo ai tre l’oggetto con le frecce. I bambini lo guardavano con attenzione, soffermandosi appena un po’ su un’incisione che Hiccup aveva fatto in un momento di noia.
“Non sputa fuoco”, commentò uno dei tre principini. Hiccup deglutì.
“No, non adesso ma le frecce e l’arco stesso sono formate da una particolare mistura che, anche con una scintilla, prende fuoco”, spiegò il moro.
“Pure l’arco?”, domandò estasiato un altro. Il ragazzo sorrise convincente.
“Maudie!”, riprese a gridare il primo che aveva parlato “paga il signore.”
“Oh, non chiamatemi signore. Sono un semplice artista.”
“Artista?”, chiese uno dei bambini. “Vuoi dire che fai anche dipinti?”
“Dipinti, ritratti..si, fa parte della mia formazione”, rispose il ragazzo, mentre la signora gli porgeva un sacchetto pieno zeppo di monete.
“Ehi, artista, perché non partecipi al concorso per il ritratto della nostra famiglia?”
“Già, se sei riuscito a costruire un arco infuocato che sputa fuoco puoi farcela.”
“Sicuro, potresti farlo eccome!”
“Allora parteciperò senz’altro, sperando di essere scelto”, disse Hiccup, mentre i tre principini lo salutavano. Guardò il sacchettino contenente le monete, e poi guardando in direzione dei tre bambini sorrise. Avrebbe partecipato eccome.
 
(Un po’ di Jack)
La sua figura era invisibile tra la folla, specialmente con quel cappello nero, sporco un po’ di polvere con qualche buco, e quella mantellina marrone. Tutti gli uomini erano vestiti di nero o di marrone, e ciò rendeva possibile la sua mimetizzazione nella folla sempre un po’ caotica della stagione autunnale. Quel giorno Jack virò in direzione del mercato, perché Hiccup era impegnato con un arco che sputava fuoco, qualunque cosa potesse significare, dove erano allestite diverse bancherelle che, a detta del ragazzo, offrivano la loro mercanzia su piatti d’argento. Si avvicinò appena al bancone della frutta, prendendo due mele che nascose velocemente sotto la mantellina, allontanandosi poi senza fretta. Come al solito, la fruttivendola non si accorse di nulla, continuando a parlare allegramente con il pescaiolo della bancarella accanto, al quale Jack stavolta non rubò niente. Il pesce non era un granché quel giorno. Invece, i suoi occhi caddero sui panini sofficissimi della signora Brot. La signora Brot era un’odiosa donna di mezza età, larga quanto alta, con due altrettanto odiose fossette sulle guancie grassocce, che odiava follemente Jack. Ed è per questo che i suoi occhi, neri come la liquirizia, avevano puntato Jack. In realtà, la storia di come la signora Brot, giudicata da molti una signora onesta e bonacciona, cominciò ad odiare Jack, è piuttosto buffa.

Tutto cominciò due inverni fa.
Era un evento raro un’uscita ufficiale della famiglia reale completa. Il re camminava accanto alla moglie, però con lo sguardo attento ai tre bambini piccoli che con i loro passi incerti sembravano quasi perdersi tra la folla. La regina invece parlava con l’unica figlia femmina, la maggiore. Cercava di convincerla a legarsi i capelli, magari in un’acconciatura come quella nella quale lei teneva legati i suoi capelli castani, ma la figlia scuoteva la testa dicendo di no, facendo ricadere i capelli, rossi e ricci come quelli del padre, sulle spalle. E proprio al mercato Jack li vide. La famiglia reale stava ispezionando le bancarelle, e di conseguenza tutti i venditori erano distratti. Non c’è occasione migliore, pensò Jack, avvicinandosi quatto quatto alla deliziosa bancarella della signora Brot: non era solo una panettiera, ma anche un’ottima cuoca e pasticcera, che di tanto in tanto vendeva anche sformati di carne o la dundee*, una torta colma di uvetta e bucce di arancia, che faceva venire l’acquolina in bocca. E nella sua bancarella, quel giorno, vi erano pure dei deliziosi dolcetti. Jack non era l’unico ad averli notati: anche i tre principini dai capelli rossi stavano guardando quegli stessi dolcetti, con l’aria sognante. Preso da un moto di gentilezza, Jack prese quattro biscotti, dandoli ad ognuno dei bambini regali e lasciandone uno a se stesso. Peccato che non fu abbastanza veloce da allontanarsi senza attirare l’attenzione. La signora Brot lanciò un urlo agghiacciante, e subito una marea di folla fu attorno alla donna, che invece con gli occhi non aveva mai smesso di seguire Jack.
“Signora, che cosa è successo?”, chiese il re in persona, mentre sua moglie si avvicinava alla signora.
“Quel ragazzo ha rubato i miei dolcetti”, rispose quella, con la voce alta di parecchie ottave.
“Quale ragazzo?”
“Quello!”, urlò, indicando un punto imprecisato della folla.
 La regina diede un’occhiata alla folla accanto a sé.
“Io vedo solo i miei figli mangiare i suoi dolcetti”, disse la regina.
“Elinor..”cominciò il re, ma la moglie lo zittì.
“No, Fergus, dobbiamo pagare. La signora potrebbe prenderci per delinquenti, e noi non lo siamo.”
“Ma, mia regina, io non mi riferivo ai vostri figli, un altro ragazzo ha rubato i miei dolcetti..”
“No, per carità, non voglio che i miei figli ricevano alcun trattamento speciale. Questo le basta per rimediare al danno?”
E Jack approfittò di quest’ultima distrazione per allontanarsi. Vide i bambini salutarlo, mostrando fieramente le mani sporche di dolci, e notò anche che la loro sorella maggiore, rimasta in silenzio per tutta la scenetta, lo guardava. Poi sorrise beffarda e poi si girò dall’altra parte.
Ed era per questo, che la signora Brot odiava Jack, per la brutta figura fatta con la famiglia reale.

“Salve, signora Brot”, salutò Jack quel giorno, rivolgendole il suo miglior sorriso innocente, ma quella continuava a guardarlo con diffidenza, facendogli a malapena un cenno.
“Ehm, vorrei tre dei suoi baps*”, disse, allungando gli occhi su quei sofficissimi panini dalla forma ovale, ripieni di uovo fritto e pancetta e pregustandoli già. A giudicare dal lieve fumo, erano usciti dal forno da poco.
“Mostra i soldi prima”, abbaiò la signora Brot. Jack ne rimase stupito, ma mantenne sempre quell’espressione angelica sul viso, mostrando due monete d’argento.  “Dammele!”
“Mi dia prima i panini”, ribatté Jack, ritirando la mano con i soldi. La signora Brot assottigliò i suoi occhi neri, e malvolentieri porse al ragazzo i tre baps. Jack aveva ragione, erano ancora caldi e più appetitosi che mai e per questo le diede i soldi.
“E adesso va’ via, piccolo screanzato!”
“Buona giornata anche a lei, signora Brot”, disse Jack, allontanandosi ridacchiando. Avrebbe ringraziato più tardi Hiccup per aver avuto la geniale idea di dipingere le monete di ottone con l’argento.


(*) dolci tipici scozzesi.

Salve! Questa è la prima storia che pubblico qui perchè non ne ho mai avuto il coraggio di farlo (coraggio racimolato nelle feste tra un pandoro e l'altro, o forse era semplicemente senso di sazietà). Sarei ben contenta se qualcuno di voi mi facesse sapere cosa ne pensa. Buone feste a tutti
gingersnapped
   
 
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