Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Loda    05/01/2015    2 recensioni
Quanto poco abbiamo conosciuto le vite di Petra, Auruo, Gunther e Erd e il loro rapporto con lo stesso Levi? Questa fan fiction va un po' indietro nel tempo e propone una possibile versione della loro storia all'interno della legione, con il punto di vista di Petra.
Personaggi: Levi, Petra, Auruo, Gunther, Erd, Hanji, Erwin, Eren più altri inventati.
[dal testo] Petra uscì dalla camera di Levi con circospezione e cercando di camminare piano - i suoi passi le rimbombavano minacciosamente nelle orecchie, le pareva impossibile che nessuno li sentisse. Era mattino presto e in cuor suo sperava che nessuno vedesse l'ennesima delle sue vergogne. Non fu abbastanza furtiva - quando mai era stata capace di nascondere qualcosa - perché incontrò Erd lungo il cammino e la sua colpevolezza le si dipinse in faccia. Erd l'aveva colta in flagrante e lei non seppe mentire. Lui era confuso, lei disse solo: "Non dirlo ad Auruo... Non dirlo a nessuno." La verità era che Erd non l'aveva colta in flagrante, solo che lei aveva voglia di parlare con qualcuno.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Auruo, Bossard, Erd, Gin, Gunter, Shulz, Petra, Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La squadra di Levi - capitolo III
Capitolo III
 



Quando avevano varcato le mura, Petra era ancora tranquilla. Non aveva tremiti, né nausea, né lacrime agli occhi; il cuore, in protesta, le martellava nel petto ma quello lo poteva ignorare.
La luce del sole era forte, e piacevole, come lo era sempre stata. Petra aveva avuto paura di cominciare ad odiare la luce del sole, aveva paura di associarla al sangue, ma, mentre guardava il verde sconfinato che le era davanti, pensava non fosse davvero possibile. Non aveva ancora dimenticato il motivo per cui era voluta entrare nella legione esplorativa.
Lo scopo della spedizione – quello di ogni spedizione – era di spingersi sempre più avanti. Il loro obiettivo era scoprire se ci fosse altro, oltre a loro, oltre ai giganti, se ci fosse ancora una speranza.
L’anno precedente, le aveva raccontato Giulia, la legione aveva provato un paio di volte a catturare un gigante. Avevano fallito e il numero delle vittime era stato altissimo. La notizia aveva penetrato le mura ed era arrivata in città, scatenando l’indignazione dei civili. Erano esplose critiche e insinuazioni, che non erano mai cessate, e Petra le sentiva risuonare nelle orecchie. La settimana prima, alla sua prima spedizione, chiusa nella sua paura, non le aveva sentite. Aveva sentito i pianti, i saluti, ma sotto quelli, serpeggianti e infidi, stavano le grida di scherno, gli insulti… Dove andate, diceva la gente, morirete e basta, ecco per cosa paghiamo, non servite a niente.
Petra aveva stretto le redini del suo cavallo e aveva mandato giù il magone che si sentiva in gola. Preferiva l’indignazione alla paura, ma avrebbe dato qualsiasi cosa pur di far provare a quella gente un briciolo della paura che aveva avuto.
Poi aveva visto quel ragazzino, che urlava incitamenti a gran voce, e aveva gli occhi blu spalancati, e puntava un dito contro loro e diceva «siete grandi!» Era un bambino ma quei suoi occhi decisi erano già adulti, e Petra ebbe un’improvvisa voglia di proteggere tutti i bambini dell’umanità, affinché non dovessero crescere così in fretta per forza.
Da quel che le aveva detto Giulia, Hanji Zoe continuava a chiedere insistentemente che venissero fatti altri tentativi di cattura. Pareva non capire quanto il rischio fosse alto e il comandante non aveva mai approvato le sue richieste. Petra ricordò quello che aveva detto Claire: Hanji era alla stregua di Levi, un soldato che aveva smesso di essere umano, che si focalizzava sui suoi obiettivi e basta. Per loro non siamo altro che bombe, pensava Petra. Vedeva la schiena del capitano, qualche fila più avanti. La riconosceva perché era quella meno ricurva di tutte. Pur bassa, se ne stava eretta e altezzosa.
Eppure dovevano esserne consapevoli, che anche loro erano delle bombe.  
Petra era nella parte destra della formazione, in terza linea, quando vide del fumo rosso alla sua sinistra. Fumo rosso significava pericolo, significava gigante.
Stinse i denti e cercò di concentrarsi. Il fumo rosso era un pericolo fattibile – ogni volta aveva paura che fosse nero.
«Di qua!» urlò Neal, il suo caposquadra, dirigendosi verso destra. Petra gli fu subito dietro insieme con gli altri.
Non dobbiamo combatterlo per forza, pensava, basta andare avanti. Si sentiva più serena ma le parole tra gli scalpitii degli zoccoli erano confuse. Non riusciva neppure a vedere cosa c’era intorno a lei; il mondo andava troppo veloce – eppure era solo lei che si muoveva.
Un’altra fumata, questa volta proveniva dal centro della formazione ed era verde. La fumata verde segnava la via libera, quella da imboccare.
Petra galoppò con impeto, senza perdere di vista il suo caposquadra. Avrebbe voluto cercare i suoi amici, ma sapeva che non era possibile. Non bisognava perdere tempo, non bisognava cedere alla preoccupazione, l’unica schiena che doveva interessarle era quella di Neal.
Fu proprio perché guardava insistentemente la nuca mora di Neal che lo vide subito. Una massa rosa informe che diventava sempre più grande procedeva dritta verso di loro: era un gigante che correva, un anomalo. Petra urlò qualcosa e subito cercò, legato alla sua cintura, il fumogeno giusto. Si accorse che le dita le tremavano ma sapeva bene cosa doveva fare; avere un obiettivo era la sua unica salvezza.
Sparò e una torre di fumo nero invase l’aria intorno a lei.
Il rimbombo le impedì di sentire cosa stava urlando Neal, ma angosciosamente immaginava che stesse dicendo di combattere.
Giulia si spinse col suo cavallo verso il gigante e Petra ne vide per un momento, un momento soltanto, l’espressione decisa e arrabbiata. Forse era solo la sua immaginazione, il suo inconscio che le voleva trasmettere un messaggio di coraggio, forse il viso di Giulia era solo terrificato.
«Petra, spostati!» urlò Neal.
Petra obbedì, senza neanche pensare di protestare – si odiava quando l’assaliva la codardia.
Giulia aveva sparato il suo rampino uncinato verso la spalla del gigante e, penzolando vicino al suolo, cercava di trafiggergli la gamba destra. La stessa cosa stava facendo Toska all’altro lato dell’immenso corpo e Petra non riusciva a fare altro che guardare le gambe rose e inquietantemente lisce di quel mostro – così terribilmente umane…
Non osava alzare lo sguardo, vedere il bacino, il torace, le braccia, umane, e la testa, il viso di un essere a cui era successo qualcosa, che l’aveva reso mostruoso. Quegli occhi enormi e ridenti che tormentavano gli incubi di Petra, la bocca ilare, che, incessante, muoveva labbra, denti, e quella lingua che, in ogni sogno, perdeva sangue, goccia a goccia.
Si era distratta un attimo, l’inesperta Petra, e non aveva visto che Giulia era stata troppo poco veloce, e che era stata scaraventata a terra con un calcio crudele. Toska, le lame in fuori, si era bloccata in un urlo strozzato.
«Giulia!»
L’insensibile Toska, antipatica e volgare; sul suo viso brillavano lacrime di puro dolore mentre guardava il corpo inerme di Giulia. Lacrime furiose, che però non aumentavano, testimonianza di una sincera rabbia, che però non divampava, mentre la ragazza veniva agguantata da una mano mostruosa e condotta tra le fauci del gigante.
Mentre Toska taceva, Petra di terrore urlava. Tirò le redini del cavallo e quello corse con disperazione e senza meta. Neal aveva cercato di salvare la sua sottoposta ed era stato spinto da una mano più grande di lui. Un palmo immenso, dita lunghe come rami, unghie insanguinate, Petra credeva di vedere ogni dettaglio, o forse ricordava solo quei sogni in cui riviveva tutto ciò che era stato – solo in quelli, riusciva a soffermarsi sui particolari così a lungo. Come il corpo di Neal che lentamente cadeva, come il suo urlo che veniva interrotto dal brusco contatto col suolo, come la sua schiena piegata in modo innaturale sull’erba sporca di sangue.
Petra gridava aiuto, non poteva farcela da sola. «Neal!» urlava, sperando che non fosse davvero morto. «Cosa devo fare?! Neal!»
Il gigante la fissava masticando. I rumori erano forti – il rumore della sua voce urlante era forte – ma Petra credeva di sentire il corpo di Toska scricchiolare sotto i denti. Uno stivale cadde per terra e il mostro si leccò un dito di quella stessa mano che aveva ucciso Neal.
Stava muovendo i piedi – che avevano ucciso Giulia – e veniva verso di lei. Petra ricordò con orrore quando, nell’ultima spedizione, si era pietrificata e, quasi come se la sua mente ne fosse condizionata, non riuscì a muovere un muscolo. Prima che il gigante si mettesse a correre, Petra intravide un’ombra sopra la sua testa. Era un altro soldato: oh no, sarebbe morto! Petra non sarebbe rimasta ancora a guardare, svegliò il suo corpo dal torpore e gridò al cavallo, o a se stessa, di avanzare.
Il soldato aveva schivato le veloci dita del gigante e si era lanciato nel vuoto davanti al suo enorme volto. «No!» gridò Petra, in cerca di un punto d’attacco per il suo dispositivo di manovra tridimensionale.
Il gigante non fece in tempo ad agguantare quel soldato, che pure sembrava librarsi lento davanti ai suoi occhi – oppure era così che lo ricordava Petra, mentre volava, in uno scintillio verde, con quel mantello che avrebbe potuto essere un paio di ali. L’angelo verde gli aveva trafitto entrambi gli occhi con le lame e quello ululò qualcosa di così poco umano, mentre piegava la schiena su se stessa e si teneva gli occhi grondanti sangue. Il soldato saltò di nuovo sulla sua testa e si girò verso il suo collo, Petra finalmente poté vederlo e trattenne il respiro. Il gigante era già caduto a terra rivelando altri due mostri che arrivavano nella loro direzione, quando Petra si accorse che l’angelo verde era il capitano Levi.
«Attento!» urlò.
Non pensò neanche per un attimo di sparare del fumo rosso – non voleva più essere quella inutile – e saltò giù del cavallo. Fece qualche passo di corsa e volò fino alle gambe del mostro, aggrappata al rampino che aveva agganciato la sua spalla, cercando di imitare quello che aveva provato a fare Giulia. Lei è morta, pensava Petra, è morta così, è morta così. La ragazza attendeva il calcio ma quello non arrivava e la sua lama penetrò con violenza il polpaccio del mostro. Il sangue le schizzò addosso ma, in una confusione di luci e colori, riusciva a vedere l’altro gigante e sparò di nuovo il rampino, centrandogli un occhio col gancio, il che le diede un breve ma importante vantaggio. Si spinse via e, sostenuta dalla corda, raggiunse la gamba di esso e colpì anche quella. Senza più fiato, la ragazza perse l’equilibrio e cadde a terra, e con lei il gigante zoppo e accecato. Con la schiena dolorante a terra, vide la luce oscurarsi, un’ombra gigantesca dagli occhi rossi sangue le stava scivolando addosso e lei, trafelata, riuscì a rotolare via, mentre sentiva il terribile tonfo alle sua spalle. Ma sentiva l’alito nauseante del gigante che mugugnava qualcosa, affamato, e dibatteva i denti, proprio dietro di lei.
Fece appena in tempo a voltare la testa, a vedere quei denti e quelle labbra a pochi centimetri da lei, a vedere tutta la vita passarle davanti, che quello emise un rantolo e si bloccò.
Petra fissò ancora per un istante i suoi denti giallognoli, poi guardò i suoi occhi intrisi di vene spaventose, il gancio del suo dispositivo che se ne stava sporco di sangue aggrappato a una palpebra martoriata e, ancora alzò lo sguardo un poco, vide Levi che, con disinvoltura, ripuliva le sua lame con un fazzoletto. Lui si accorse del suo sguardo e le disse, senza un sorriso: «Stai bene?»
Petra si trattenne ma poi il dolore, la fatica e il terrore che aveva attraversato la schiacciarono, tutti insieme, in una morsa strozzante e poté solo balbettare qualcosa, ancora immobile, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Levi l’aiutò ad alzarsi e lei si accorse che aveva male in ogni punto del suo corpo.
«Riesci a muoverti?» chiese lui.
«Mi… mi fa male solo la schiena, un po’» disse lei, ammorbidendo la verità. Erano insopportabili i soldati lamentosi. Lo sapeva, ma quando ritirò il suo rampino, altra pelle della palpebra del gigante cadde, assieme a rivoli di sangue, scoprendo un bulbo oculare grande quanto una noce di cocco, e Petra lanciò un’esclamazione di disgusto.
Guardò subito Levi ma lui la si limitava a osservarla inespressivo. Non aveva un graffio ed completamente pulito; Petra non osava immaginare che aspetto potesse avere lei. Si sentiva sudicia, e quel sangue che aveva addosso le dava la nausea.
Levi non diceva nulla, e le metteva soggezione, ma le uscì un sorriso quando vide il proprio cavallo sano e salvo che tornava da lei.
Gli fece una carezza mentre dal capitano emersero strane parole. «Sei stata molto brava. Complimenti.»
«Cosa?»
«Hai attaccato due giganti contemporaneamente, non è da tutti. Ottima anche l’idea di attaccare le gambe.»
«Non è mia» disse subito Petra, d’istinto. Emise un singhiozzo e se ne vergognò. Non voleva che di nuovo il capitano la vedesse frignare, e si limitò a dire, con voce tremolante: «Il mio caposquadra è morto, dove devo andare ora?»
Levi continuava a fissarla con occhi freddi, che a Petra davano fastidio. Sembrava potesse divorarla – come un gigante – da un momento all’altro.
Richiamò il suo cavallo e ci saltò sopra. «Mi sa che per oggi abbiamo finito, la formazione è in delirio. Per ora segui me.»
Aveva una voce calma e decisa, e Petra obbedì, pensando ai corpi di Neal, di Giulia, che presto sarebbero stati raccolti, insieme con altri morti – le mancò per un attimo il respiro.
Non si era accorta che intorno a loro il cielo si era colorato di rosso e nero.
 
 

La spedizione era stato un ennesimo fallimento, mancavano ancora tre chilometri all’ultima stazione di rifornimento quando il comandante Erwin decise che dovevano rientrare.
I giganti erano riusciti a penetrare nella perfetta formazione e i fumogeni non erano stati abbastanza. L’idea dello schema che attualmente usava la legione esplorativa era stata di un giovane Erwin, quando non era ancora comandante. L’intera legione si muoveva insieme, come se fosse un corpo unico, e ogni soldato – ogni arto – doveva essere al posto giusto. Non bisognava permettere ai giganti di entrare: ogni soldato che ne avvistava uno doveva sparare il fumogeno rosso. Il comandante, la cui posizione era al centro, a seconda dei luoghi in cui vedeva del fumo rosso, avrebbe sparato il fumogeno verde, indicando la via in cui tutta la formazione sarebbe dovuta procedere.
Ma i giganti anomali, quelli che si comportano in modo atipico, richiedevano un trattamento diverso. Quelli andavano abbattuti, ad ogni costo. Cosa sono i giganti anomali, si chiedeva Petra, mentre stringeva tra le sue dita il fumogeno nero, perché esistono. I giganti sono lenti, i giganti sono stupidi, non corrono, non calciano le persone. La sua testa urlava il nome di Giulia mentre ne vedeva il volto cereo avvolto da un lenzuolo bianco. Del corpo di Toska invece non era rimasta nessuna traccia.
Aniela piangeva rumorosamente. Non le aveva chiesto com’era successo, non le aveva domandato nulla. Petra aveva pensato di avvicinarla, di accarezzarla o abbracciarla, ma aveva lasciato perdere. Era strano come fosse molto più interessata ai morti. Con una maschera di dolorosa impassibilità sul volto, passava in rassegna ogni cadavere, ignorando i brontolii, i pianti e le imprecazioni dei suoi compagni.
Credette di vedere il viso di Marianne. Non era riconoscibilissimo, era pelle piene di tagli, un rivolo di sangue si era seccato sotto il naso storto, ma intravedeva i suoi lineamenti pungenti, e le labbra sottili, di chi forse aveva davvero baciato, e amato, e non rimpiangeva nulla. Marianne, che sognava stupidamente un matrimonio… Petra si guardò in giro, cercava un qualche ragazzo che stesse piangendo per lei, un fidanzato segreto, ma non trovò nessuno e di nuovo si concentrò sui cadaveri, col respiro che si faceva sempre più penoso.
Non c’è Auruo, pensava, tremante, non c’è Auruo… Se non era nel gruppo dei cadaveri, allora era vivo. Oppure mangiato. Oppure disperso. Non c’è Auruo, non c’è…
Aveva il cuore in gola quando finalmente sentì la voce del suo amico chiamarla.
«Petra! Petra!»
Lei si voltò e, facendo esplodere una mezza risata dalla sua bocca, accolse il ragazzo tra le sue braccia. Lui la strinse forte e, quando si staccò, Petra vide che aveva gli occhi lucidi. «Sei viva… Stai bene?»
«Un po’ ammaccata» rispose lei.
Lui aveva parecchi graffi sul volto ma sembrava stare bene.
«Un anomalo» spiegò Petra, cercando di essere esaustiva. Voleva usare poche parole, essere breve, per non ricordare. Lo sapeva che, se avesse parlato davanti ad Auruo, la voce le si sarebbe rotta, e avrebbe finito col piagnucolare. «Un anomalo» ripeté, con un nodo alla gola «Ha spazzato via quasi tutta la mia squadra.» Senza accorgersene, aveva detto tutto in sol fiato e, dopo l’ultima parola, si premette una mano sulla bocca, prima di scoppiare a piangere.
Auruo le accarezzò il viso. «Anche noi ne abbiamo incontrato uno. L’ha messo fuori gioco il caposquadra Hanji.»
Petra annuì, tirando su col naso. Pensò che Hanji e Levi erano forti, e che avrebbero dovuto essere tutti forti come loro, forse così ce l’avrebbero fatta, forse…
Le sue gambe erano stanche e cedettero. Si sedette per terra, con lo sguardo fisso sull’erba, mentre ancora le lacrime le rigavano le guance. Era inutile, tutto inutile…
Qualcuno lo deve pur fare, papà, qualcuno deve pur andare, qualcuno deve pur combattere, si ripeteva nella mente, quando cedeva allo sconforto. Lascia che lo faccia qualcun altro, gridava sempre suo padre. Ora Petra capiva. Pensava che fossero tutti uguali, solo più o meno coraggiosi. Qualcun altro doveva combattere, qualcuno come Levi, o Hanji… Lei, che era così debole e piagnona, forse non era adatta.
«Ehi, Petra, ci sei? Petra!»
«Che c’è?» sbottò lei, rialzando lo sguardo. Auruo si mordicchiò il labbro.
Non sono adatta, Auruo, scusa, pensava Petra, tu lo sei? Abbiamo perso, oggi abbiamo perso…
«Tirati su» disse lui «Non so perché, ma il capitano ti sta fissando. Non vorrei che pensasse che…»
«Lascialo fare» ribatté lei, arrabbiata. Levi era forte, Levi non poteva capire come stava lei, e che le piantasse di fissarla con quegli occhi vuoti! «Mi ha detto che sono stata molto brava. Oggi non può fare critiche.»
Auruo strabuzzò gli occhi. «E quando te l’ha detto?»
«Prima» rispose Petra «Abbiamo abbattuto due giganti insieme.»
«Avete abbattuto due giganti insieme?!»
La ragazza non capiva lo stupore del suo amico, ma lui proseguì: «Hai combattuto col capitano Levi?!»
Lei annuì, e si accorse che non stava così male. Ricordò ancora quanto Levi fosse forte, e che le aveva detto che era stata brava… Avevano combattuto insieme, avevano collaborato; Auruo era sconvolto, forse invidioso, e Petra fece un titubante e coraggioso sorrisino.
Si guardò intorno, alla ricerca di Levi, e lo trovò. Ma lui non la stava fissando, era coinvolto in una discussione con Hanji e aveva uno sguardo lievemente alterato.
Petra decise di alzarsi e di avvicinarsi un poco, quel tanto, solo per sentire…
Auruo le chiese dove stava andando e lei lo ignorò. Ma Levi aveva congedato Hanji con due occhi di fuoco e si era poi allontanato con passo svelto.
Hanji sbuffava, coi pugni tesi. Era strano, lei era sempre così allegra, e aveva uno sguardo triste…
Petra si chiese per la prima volta se quei due avessero una relazione, solo per un istante, poi si diede della stupida. Loro erano grandi soldati, e non avevano niente da spartire con lei o le sue inutili insinuazioni.
Notò Gunther seduto per terra, che si teneva una gamba ferita, e andò da lui.
Sorrideva con un labbro spaccato e aveva gli occhi pesti rivolti al cielo. «Sono salvo anche oggi. Per oggi, ancora, posso pensare ad Eliza.»
Petra gli strinse un braccio e si mise di nuovo a piangere.
Finalmente riuscì ad essere contenta anche lei, solo un pochino, solo perché tornava a casa.  
 
 

La stanza era vuota, ma così rumorosa. Aniela non la smetteva di piangere e Petra non riusciva a prendere sonno. Era sgusciata nel letto di Claire e, seduta a gambe incrociate di fianco a lei, le aveva chiesto come stava. Dopotutto Claire conosceva Giulia e Toska da più tempo – ma non era una che si lasciava andare al sentimentalismo.
«Toska era una testa di cazzo» disse semplicemente, guardando dritto davanti a sé «Solo perché è morta, non dirò che era una bravissima ragazza.»
«E Giulia?»
In realtà Claire era ancora più pallida del solito, e i lividi che aveva in volto testimoniavano che anche lei era una combattente. Esitava a rispondere, mentre le sue palpebre si chiudevano e si riaprivano più volte. Petra pensò istintivamente che stesse ricacciando indietro le lacrime.
«Giulia era a posto» disse infine.
Si voltò finalmente a guardare Petra e lei pensò allo sguardo forte e triste di Hanji.
«Te l’ho detto che preferisco non farmi degli amici. Perché muoiono.»
Petra rimase interdetta. Non sapeva come ribattere, eppure era convinta che gli amici servissero. Non avrebbe potuto immaginare la sua vita all’interno della legione senza Auruo.
«Non so se morirò prima io, o se moriranno prima loro» continuò l’altra con un sospiro «È una cosa che mi turba.»
Morirò prima io, o Auruo? pensò Petra e, di nuovo, come quella mattina, mentre cercava nelle file di cadaveri, sentì il cuore in gola. Non sapeva nemmeno cosa preferisse, non poteva voler vedere morire Auruo, ma non voleva nemmeno morire lei… Non voleva, non voleva!
Claire aveva abbassato lo sguardo. «Per favore, Petra, non cercare di essere mia amica.»
Petra pensò che aveva capito, e che non ce l’aveva con quella ragazza così strana e sensibile, ma non glielo disse. Si limitò ad augurarle la buonanotte, come si fa tra compagne di stanza. Le sarebbe stata amica a suo modo, con le distanze che lei poneva.
Si addormentò col cuore pesante quella notte, ma era stanca, e non fece incubi. Non li fece per molte sere a venire, per molte settimane, che poi divennero mesi.
Era sempre così stanca; pure i pensieri parevano, a volte, essere spenti.











Quanto cacchius è difficile descrivere i combattimenti? D: abbiate pietà, al prossimo capitolo!

Grazie a chi mi segue :*
   
 
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