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Autore: coldmackerel    06/01/2015    10 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Volevo ringraziarvi tantissimo, sia da parte mia che da parte dell'autrice, per aver letto il primo capitolo... e in maniera particolare a chi l'ha commentato e inserito tra i preferiti/da ricordare/seguiti... siete già un sacco e non avete idea di quanto ci faccia piacere. L'altra volta non sono entrata nello specifico, ma volevo dirvi che questa storia (che è già stata completata ormai più di un anno fa, e tra l'altro fu scritta nel giro di un mese) è lunga 28 capitoli, per un totale di 90.000 parole circa (una volta e mezzo LTC, per capirci). Difatti, quando e se possibile, potrei decidere di aggiornare un poco prima, per portarmi avanti. Mi sembra tutto per oggi, per cui buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: a parte gli inevitabili errori di battitura... tutto regolare credo. Ah, come sempre, se qualcuno ha letto/sta leggendo la storia originale, che è linkata nel profilo, e trova errori di traduzione o altro, sarei più che felice di essere corretta.


The 6th ward
CAPITOLO 2: Un sacco di nulla

5 mesi, 20 giorni

‘Una routine confortevole’ non era proprio il modo in cui Levi avrebbe descritto il tempo che trascorreva nel reparto sei, ma, perlomeno, aveva finalmente raggiunto la capacità di sorprendersi con poco. Ad essere onesto, pensava di aver già guadagnato tale capacità prima di incontrare Eren e il resto della combriccola del reparto sei, ma solo perché non aveva mai immaginato che si sarebbe trovato a fare da babysitter a un mucchio di ragazzini morti per ventidue dollari l’ora. Questa, era stata giusto una prova in più che la vita ti può sorprendere sempre.

La passata settimana e mezzo si era rivelata come la più turbolenta della sua vita, sotto certi aspetti, ma, stranamente, anche come la più pacifica. I pazienti del reparto sei erano rumorosi, pericolosamente annoiati e una costante fonte di stress per i nervi di Levi, ma erano, anche, in qualche modo tranquilli, nella loro modesta esistenza. Vivevano perché gli era permesso, e c’era una sorta di melanconico appagamento tinto di una leggera felicità in ogni conversazione, sorriso e gesto. Era come un promemoria che loro erano ancora lì. Che erano morti, ma non lo erano. E qualche volta Levi non riusciva a capire se erano contenti o tristi della cosa, anche se, in generale, pensava che i pazienti del reparto sei semplicemente non fossero in grado di capire se essere contenti o tristi della loro situazione.

Dopo essere riuscito a districarsi da una discussione unilaterale con Hanji sull’utilizzo del catetere (lei aveva tenuto tutta una serie di argomentazioni, mentre Levi aveva fatto finta di ascoltare), riuscì a raggiungere il reparto sei nella sua solita quasi-routine. Normalmente a quest’ora era in corso qualche attività agitata. Che fossero Connie o Sasha che correvano per le stanze, o Jean che litigava con Eren, o Reiner che raccontava una delle sue storie – molte delle quali, Levi sospettava, erano del tutto o parzialmente inventate – c’era sempre qualche sorta di nullo avvenimento. Alla fin fine, non facevano niente di più di qualsiasi gruppo di persone che Levi avesse mai incontrato. Solo che lo facevano abbastanza rumorosamente.

Quel giorno, però, era silenzioso. Era esattamente come il reparto sei avrebbe dovuto essere se Levi non avesse perso qualche rotella, ma, sicuramente, non quello che si aspettava. Poi notò, attraverso gli oblò di una delle porte, che c’era un visitatore. Ymir, una donna alta con una personalità sicura di sé e vagamente dispettosa, aveva un visitatore seduto vicino al suo corpo.

Ymir era una persona con cui Levi riusciva ad andare d’accordo facilmente, perché nessuno dei due parlava molto. Lei lo faceva concisamente, dicendo solo quello che voleva e quando voleva dirlo, ma, se ascoltavi con più attenzione, aveva un umorismo tagliente e se ne usciva sempre con i migliori insulti. Si teneva le parole per i momenti in cui avrebbero davvero significato qualcosa, e Levi apprezzava questo suo modo di fare.

Seduta vicino al corpo di Ymir c’era una giovane e minuta ragazza, con capelli lisci e biondi e un bel viso innocente, che sembrava stare leggendo un libro a voce alta. Levi si infilò di soppiatto nella stanza e fu sorpreso di trovare tutti i pazienti del reparto sei raggruppati lì, senza fare rumore. Infatti, l’unico suono nella stanza, era quello della voce della ragazza mentre leggeva il volume che aveva posato sul grembo. Ymir sedeva sul suo stesso letto, incastrata di fianco al suo corpo immobile. I suoi occhi erano chiusi ma c’era un leggero sorriso sul suo volto, e lei stava annuendo piano alle parole recitate dalla donna.

Reiner e il suo compagno di stanza Bertholdt, sedevano a terra con la schiena poggiata al muro, sorridendo piano, mentre Connie e Sasha erano seduti sulle sedie dall’altra parte del letto, sporgendosi in avanti per posare il mento tra le mani e le braccia sull’angolo del letto di Ymir. Le loro facce erano assurdamente simili nell’espressione di meraviglia e assorta attenzione. Invece, Annie, un’altra ragazza del reparto, era poggiata contro il muro; non era una tipa particolarmente emotiva, ma anche il suo solito sguardo severo si era addolcito, e sembrava infinitamente più serena di tutte le altre volte in cui Levi l’aveva vista. Jean aveva la schiena rivolta verso il gruppo ed era affacciato alla finestra, ma la curva delle sue spalle e la postura rilassata lasciavano capire la sua calma, ed infine Eren, era steso a pancia in su ai piedi del letto, contemplando il soffitto con un sorriso stupidamente felice sul volto.

Levi si mosse verso l’angolo della stanza, cercando di essere presente senza effettivamente esserlo. Sarebbe stato un peccato rovinare il momento.

La donna con il libro aveva una voce stranamente confortante. Chiara, ma gentile. “‘Mi potrebbe dire, per favore, verso qualche direzione dovrei andare da qui?’ ‘Questo dipende molto da dove vuoi arrivare.’ ‘Non mi interessa dove – ’ ‘Allora non importa quale via prendi.’” Levi si ritrovò assorto nei pazienti del reparto sei, più che nella storia. Era come se improvvisamente non stesse più guardando un gruppo di adulti: i loro volti erano di nuovo giovani e i loro occhi avevano un’espressione così nostalgica che l'infermiere iniziò a pensare che si sarebbe sentito male anche lui. Reiner si stava strofinando gli occhi furiosamente, e Levi approfittò del momento per rendersi invisibile.





5 mesi, 19 giorni

“Levi,” si lamentò Hanji. “Non hai pranzato con me da quando sei arrivato dicendomi che sei Haley Joel Osment.” Stava facendo il broncio, camminando praticamente addosso a Levi mentre lui entrava nel reparto sei.

“Sto cercando di dimagrire.” rispose lui con sarcasmo. Be’, non è che stesse veramente cercando di dimagrire, stava direttamente perdendo peso. La cosa lo faceva arrabbiare, ma dei dannatissimi pazienti del reparto sei gli facevano passare l’appetito. Aveva troppi pensieri per la testa.

“Levi, se non mangi, non finirai solo per vedere i morti.”

“Sì, finirei per essere uno di loro. Non sarebbe strano?”

Hanji si ritirò dopo un altro po’ di proteste, eventualmente costretta a correre verso la sala dietro l’angolo per non farsi vedere dal supervisore con cui aveva incrociato lo sguardo. Levi non sapeva esattamente cosa avesse fatto Hanji per avere così tanti problemi con i suoi superiori, ma non era nemmeno così sorpreso. Chiamarla spirito libero non era abbastanza.

Il reparto era tornato alle sua normali attività dal giorno prima. Non c’era stato nessun altro visitatore, e tutti erano raggruppati nel corridoio, seduti o poggiati al muro. Eren agirò la mano allegramente quando vide Levi entrare nel reparto. Questi gli concesse un cenno del capo, prendendo le cartelle cliniche e unendosi a loro nel corridoio.

“Chi è venuto ieri?” chiese Levi, cercando di non suonare troppo interessato.

“Christa.” Rispose Connie dalla sua posizione sul pavimento. “La ragazza di Ymir.” aggiunse, con uno stupido sorrisone in faccia. Sasha fece una risatina dal suo fianco.

“Sì, mi piacerebbe.” borbottò Ymir. “Una buona amica, però. Abbastanza da essere l’unica persona che viene ancora a visitarmi. Sei quasi morta da un paio di mesi, ed ecco che la gente inizia a dimenticarsi di te,” continuò malinconicamente, “Legge sempre per me.”, aggiunse infine, in quello che a stento era un sussurro. Tutti concordarono silenziosamente, sembrando ancora persi nella calma che aveva portato Christa l’altro giorno.

“Quindi cosa si fa oggi?” chiese Levi, interrompendo le loro reminiscenze. Non gli interessava un granché della cosa in realtà, sperava solo non fosse rumorosa.

Eren grugnì. “Come diavolo hanno fatto alcuni di voi a restare qui per mesi. Non c’è niente da fare.” disse mentre grattava via un segno da una piastrella.

“Sì, certamente abbiamo un’abbondanza di nulla,” meditò Bertholdt. “Qualche volta faccio finta che il tempo non esista, e in qualche modo aiuta.”, fece spallucce, “Ti da l’opportunità di pensare ad un sacco di cose.” Poi sorrise, in segno di scusa. “Ma questa rischia di essere una cosa non buona.”

Levi diede un’occhiata esasperata al gruppetto. Dannati ragazzini. “Volete che vi porti qualche film o della musica o qualcosa?” Non era interessato a fare beneficenza, ma non poteva fare finta di niente considerando che era l’unico in grado di fare qualcosa. Nessun altro poteva portare ai pazienti del reparto qualcosa da fare.

Ci fu un improvviso frastuono perché cominciarono tutti subito a blaterare eccitati, parlando dei loro film preferiti, di giochi e di musica. Levi cercò di non girare gli occhi in irritazione, ma fallì.

“Ucciderei per vedere un film.” annunciò Reiner al gruppo.

“Il sesto senso?” propose Levi con sarcasmo.

Eren rise apertamente. “Cavolo, tu sei proprio Bruce Willis.”

“Non sono Bruce Willis,” lo interruppe Levi, con la voce più alta di quanto avrebbe voluto. “Tu sei Bruce Willis, deficiente. Io vedo i morti. Tu sei morto.”

Eren sembrò riconsiderare la cosa, prima di agitare la testa lentamente. “Non sono proprio morto,”, ci scherzò. “E non abbiamo nessuna prova che tu sia vivo, comunque. Dopotutto perché ci riesci a vedere?”, sorrise maliziosamente, “Sei sicuro di non essere Bruce Willis?”

“Si. Cazzo.” ribatté Levi. Odiava arrabbiarsi. “Sono Haley Joel dannato Osment. E voi siete tutti insopportabili.”

“Allora noi siamo tutti Bruce Willis?” chiese Sasha scetticamente.

“Nessuno è Bruce Willis, dannazione!” Levi era fuori di sé.

“Sì, ma chi non vorrebbe esserlo.” ghignò Ymir.

Il tutto si concluse in una risata mentre Levi se ne andava via.

Questi dannatissimi ragazzini morti erano una rottura di palle.





5 mesi, 16 giorni

Levi si stava meticolosamente lavando le mani, strofinando furiosamente la parte sottostante le sue unghie. Il sapone aveva un odore calmante di alcool isoprolipico e limone. Il pulirsi in generale lo metteva di buon umore, lo rendeva quasi felice.

“Levi!” quest’ultimo riconobbe la voce di Erwin, e si girò a guardarlo mentre questi lo raggiungeva. Erwin era perfettamente sistemato come al solito: la camicia stirata, la cravatta tenuta in posizione dal ferma-cravatta, i pantaloni stirati, il camice senza neanche una grinza e i capelli ingellati perfettamente.

“Dottor Smith.” disse Levi, inclinando la testa leggermente in segno di saluto. Dopo essersi rigirato verso il lavandino, riprese a lavarsi le mani, sperando che Erwin decidesse di lasciar stare un’indesiderata conversazione.

“Come ti sta trattando il reparto sei?”

Levi era ben in grado di sentire la punta di sarcasmo nella domanda dell’uomo. “Bene.” rispose brevemente. Era ovvio che Erwin era interessato a parlare di qualcos’altro ma non voleva arrivare subito al punto, anche se farlo sarebbe stato preferibile. Le chiacchiere di cortesia non erano proprio una cosa per Levi.

“Piuttosto silenziosi, ma almeno non fanno troppe domande.” disse frivolamente Erwin, arrotolandosi le maniche della camicia per lavarsi le mani nel lavandino di fianco a quello di Levi.

“Saresti sorpreso di scoprire che è il contrario.” mormorò lui.

Apparentemente Erwin non aveva afferrato il commento di Levi, e infatti portò avanti la conversazione. “Hai sentito dei lavori di ristrutturazione che sono appena stati approvati? Oddio, in realtà non è niente di grandioso. E’ solo strano che non sarà più qui.”

Levi chiuse il rubinetto e finalmente si girò verso Erwin, inaspettatamente desideroso di partecipare alla conversazione. Erwin non aveva notato il suo interesse improvviso, impegnato a finire di lavarsi le mani. “Cosa non sarà più qui?”

Il medico alzò lo sguardo e incrociò quello di Levi. “Ah.” riuscì a dire. Chiaramente non si aspettava che la conversazione diventasse bilaterale. “Immagino che tu non l’abbia saputo. L’amministrazione ha deciso di chiudere il reparto sei. Non accetteremo più pazienti comatosi e tenteremo di convincere le famiglie dei pazienti, che ci sono ora di scegliere una soluzione migliore di lasciarli lì a marcire.” Si stava grattando distrattamente la testa. “Tanto tutti quelli che hanno una famiglia che possa decidere per loro devono avere la spina staccata entro sei mesi. Poi abbiamo quel paziente nuovo, che ha ancora quasi sei mesi da fare, ma per la maggior parte degli altri abbiamo già le date in cui staccheremo la spina. Tutti gli altri sono quelli che non hanno una famiglia a cui interessi di loro. Probabilmente ci appelleremo allo stato per staccargli la spina nei prossimi mesi.” Erwin scosse la testa tristemente. “Non è giusto tenere i loro corpi vivi quando, sai… non lo sono veramente.”

Levi stava annuendo ammutolito, cercando di focalizzarsi su quello che Erwin diceva.

“Credo che verrà modificata la presa di posizione dell’ospedale riguardo ai pazienti tenuti in vita artificialmente. L’obiettivo è quello di non accettare più pazienti a lungo termine quando sono praticamente morti, e, se le famiglie vorranno mantenere in vita questi pazienti comatosi per più di una paio di settimane, dovranno trasferire il loro caro ad un altro ospedale. San Trost non lo farà più per loro.”

Erwin fece spallucce. “Probabilmente è la scelta migliore. E’ triste vedere quei pazienti stare lì così a lungo. Le famiglie hanno bisogno di una conclusione.” Con questo, il dottore si asciugò le mani e se ne andò, agitando un mano oltre la sua spalla in segno di saluto.

Levi cercò di determinare i suoi sentimenti sulla cosa, ma ebbe un’inusuale difficoltà a decidere come si sentiva. E la cosa più difficile da decidere, oltretutto, era come avrebbe fatto sapere ai pazienti del reparto sei che i loro giorni erano contati. La maggior parte di loro doveva saperlo già, ragionò. L’ospedale non aveva mai consentito più di sei mesi di supporto vitale artificiale. Ma per quanto sapeva bene che doveva dirglielo, non riusciva a fare a meno di provare una sensazione di disagio mentre si faceva strada nel reparto.

Non appena arrivato, Levi notò che il corridoio era deserto, ad eccezione di Eren, che se ne stava seduto sul pavimento fuori la sua camera, le gambe distese e le mani strette insieme e poggiate mollemente sulla sua pancia. Stava canticchiando distrattamente, fissando un punto sul muro di fronte a lui. Levi riuscì ad mettersi in piedi esattamente di fronte a lui, prima che Eren potesse anche solo notare che era lì.

“’Giorno.” lo salutò Eren con un sorrisino e il suo modo di fare disinvolto.

Levi non rispose. C’erano cose più importanti dei saluti e delle formalità. Dunque, andò dritto al punto. “Sai che hai meno di sei mesi prima che ti toglieranno il respiratore, vero?”

Eren sbatté gli occhi un paio di volte, con un’espressione confusa in volto. “Ah, sì. Cioè, direi che lo so. Mikasa ha accettato la cosa.”

“E’ la tua ragazza?” L’espressione di Levi non cambiò, rimanendo sempre perlopiù disinteressata.

“Sorella,” lo corresse Eren,“Sorella adottiva.”, aggiunse dopo un momento. “Cioè, sarò effettivamente morto a quel punto?”

Levi lo derise. “Non so, fammi controllare il manuale che abbiamo per le situazione di merda come questa, Ah, ecco qua,” disse con finta sorpresa, tenendo in mano un libro immaginario e facendo finta di cercare uno specifico paragrafo con l’indice. “Il manuale su come aiutare dei ragazzini quasi morti a diventare effettivamente morti dice sì, che effettivamente morirai quando verrai ucciso.”

Levi chiuse il libro immaginario e attese pazientemente che Eren reagisse alla sua provocazione. Di solito lo faceva. Ma stavolta, rimase silenzioso, tamburellandosi i polpastrelli l’uno contro l’altro, apparentemente assorto nei suoi pensieri. Passarono un paio di minuti di sgradevole silenzio in cui Levi rimase in piedi su di Eren, con le braccia incrociate, e in cui Eren stava pensando così rumorosamente che l’infermiere poteva quasi udire le sue riflessioni. Il dannato ragazzino non riusciva nemmeno a pensare silenziosamente.

Levi non si sarebbe seduto sul pavimento, soprattutto perché aveva speso abbastanza tempo lavorando in un ospedale da sapere che tipo di fluidi finivano a terra, ma si piegò di fianco ad Eren con la schiena contro il muro e i gomiti poggiati sulle ginocchia, tenendosi la testa tra le mani.

“Dovrei sentirmi meglio, no?”, chiese infine Eren. “Non dovrei essere nervoso o altro. Perché, sono già abbastanza morto, no? Quindi che problema ci sarebbe se morissi veramente.”

Levi fece un mugugno evasivo. “Sentiti come vuoi sentirti.”

“Non mi sento morto.” disse Eren, quasi più a sé stesso che a Levi.

“Sì, be’, hai quasi sei mesi per abituarti ad esserlo.”

Eren rise un pochino, ma la sua risata era più triste che altro. Levi lo guardò curiosamente.

“E’ stato così stupido.”

Levi alzò un sopracciglio.

“Stavo lavorando come operaio. Stavo lavorando a quel dannato edificio da più di cento giorni. E quel turno, durante quello stupido turno, mi sono dimenticato il casco protettivo. E quell’altro deficiente ha fatto cadere il martello dall’impalcatura sopra la mia.” Lacrime di rabbia minacciavano di scendere lungo le sue guance, allora Eren rise un attimo, come per cercare di ridurre la tensione nella sua voce. “So che ci sono un sacco di statistiche sulla possibilità di essere colpito da un fulmine. Ma un martello? Un dannatissimo martello.” sussurrò infine, agitando la testa incredulamente.

“Pensa a come si sentono quelli che vengono colpiti da un fulmine.” offrì Levi.

Eren rise genuinamente a quel commento. “E’ così stupido. E’ come fare la somma di ogni stupido errore che hai fatto nella tua vita e che vorresti non aver fatto, moltiplicarla per mille e lanciarla sulla tua stessa stupida faccia come un boomerang.” A questo punto suonava perlopiù solo arrabbiato. “E per qualche dannatissima ragione tutto quello che posso pensare sono quelle stupide pubblicità che ti dicono che potresti morire in qualsiasi momento e quindi dovresti dare il tuo meglio oggi e non domani. Ma nessuno ci crede. Tutti pensano di avere un domani. Tu pensi che sì, la persona dopo di te potrebbe non avere un domani, ma tu sei il protagonista della storia, quindi non puoi morire. Tutti vogliono pensare che loro sono un po’ più speciali del Joe, Dick, Harry che viene investito mentre va al supermercato, o che scivola sul ghiaccio e si spacca il cranio. ‘Non morirò in un giorno qualsiasi a metà della mia vita’, pensi. ‘Saprò quando arriverà il mio ultimo domani.’ ma non lo sai.”, terminò.

Levi cercò di trovare qualcosa da dire, ma, letteralmente, la cosa più creativa che gli venne in mente fu: “Che schifo.”

Eren gli lanciò uno sguardo frustrato, come se si aspettasse qualcosa in più di avere conferma delle sue lamentele. Qualche consiglio di vita magari. Qualcosa di più profondo di quello che Levi aveva da offrirgli. “Sì,”, concordò. “Fa veramente schifo.”

“Ti piace la musica?” chiese Levi.

Eren gli fece uno sguardo contrariato. “Potresti lasciarmi avere una crisi isterica sulla mia vita per dieci minuti?”

“Sei morto, non puoi essere in crisi per la tua vita. Ti saresti dovuto occupare della cosa prima di tirare le cuoia. Forza moccioso, dimmi che tipo di musica ti piace. Vedrò se riesco a portare uno stereo o qualcosa.”

Eren alzò le mano in resa, “Ok, va bene. Porta della musica classica. Mozart e Back e merda simile. E non sono un moccioso, ho ventidue anni, dannato nano.”

Levi ringhiò sommessamente. “Ohi! Smetterò di chiamarti moccioso quanto tu smetterai di comportarti da tale. Dacci un taglio con le battute sulla mia statura.”

Eren fece spallucce. “Ci darò un taglio quando tu smetterai di essere basso, allora.”

   
 
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