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Autore: Mary Serpeverde    07/01/2015    0 recensioni
"alcune cose si scordano. Non si può sapere o ricordare tutto, sono un essere umano e ho il permesso di non essere perfetto, perchè la perfezione non esiste davvero. Non è solo un proverbio, la perfezione è inesistente."
Jason Miller è un ragazzo che non ha mai avuto amici. Sua madre è morta di parto mentre suo padre, quando Jay -Jason- aveva dodici anni, si è suicidato. Lui rimane con il nonno, e si affeziona davvero a lui, più di qualunque altra persona, finché pochi mesi dopo, muore anche il nonno. Jason si ritrova solo, circondato da parenti che pur di non averlo tra i piedi, lo lasciano mandare all'orfanotrofio.
Quando finalmente compie sedici anni, si avvera il suo sogno: andare al liceo. Qui conoscerà una persona che lo sorprenderà dal primo momento, e un'altra persona, nonché il secondo migliore amico, capace di leggere pensiero. All'inizio, quando questo suo amico scopre una cosa molto imbarazzante su di lui, Jason si sente umiliato appena lo vede, anche se lui non ha mai svelato nulla. Ma saprà Jason trattenere il segreto di leggere la mente, cioè il segreto di Derek, cercando di non farsi scoprire dalla persona che ama? Derek lo proteggerà, lo aiuterà?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il giorno dopo, mi sentivo completamente diverso, in quattro anni che ero rinchiuso là dentro. Mi bruciavano gli occhi, mentre le braccia mi facevano male. Con le condizioni di ieri, pensavo veramente che mi stessi ammalando. Ed evitai Derek tanto quanto ero riuscito a chiedere il nome del ragazzo. Perciò, non lo stavo evitando, perchè non riuscivo a chiedere nulla al ragazzo. Mi vedevo sempre con Derek, e devo dire che sembravamo quasi amici. Forse lo eravamo. I suoi occhi azzurri che non temevano di fissare i miei, al contrario di come facevo io. Mi sentivo in imbarazzo con lui. Lui sapevo che ero... lui sapevo quello che ero. E avevo tanta paura di fare qualcosa di sbagliato, con lui, non solo perchè io lo consideravo il mio migliore amico, ma anche perchè temevo svelasse il mio segreto a causa di un minimo sbaglio. Un piccolo sbaglio. Quella sera uscimmo dall'orfanotrofio, anche se c'era abbastanza troppa aria, per rimanere lì. Aveva le braccia conserte, ma vicine al mento, poggiate sul petto. Forse aveva freddo, forse avrei potuto fare qualcosa purchè lui stesse bene. Per tutto ciò che aveva fatto per me in soli due giorni. Non pensavo che l'amicizia esistesse. E tuttora non sapevo se lui mi considerava un amico. O magari addirittura un migliore amico. Qualunque cosa pensasse, io ero d'accordo con me stesso: non sarei mai riuscito a ringraziarlo abbastanza. Forse neanche un po', stupida vergogna. Per me non era facile dire grazie. Non lo avevo mai detto, la solitudine era l'unica cosa che conviveva con me, fino a quei giorni. Fino all'inizio del liceo; amavo leggere, e mi rifugiavo per ore e ore, per giorni interi, forse, a leggere. In quattro anni, per quanto camminavo a testa bassa, non avevo mai visto, notato, osservato il volto di nessuno dei miei compagni. E neanche a dire che l'orfanotrofio era troppo grande per visitarlo tutto, perciò andavano nei posti meno visitati ed io ero uno dei tanti... a non visitarlo. Uno dei tanti. Non ero uno dei tanti. Mi viene in mente la frase che mi ripetevo ogni giorno: Non ero come gli altri. Magari non ero uno dei tanti abitanti del mondo, ero diverso in tutto. Ed ero consapevole che tutti quelli che avevo conosciuto, o forse quasi tutti, sapevano che io ero così... ero gay. Gay, gay, gay, gay, gay. Mi ripetei quella parola troppe volte tanto che mi venne in mente il pensiero "perchè hanno dato proprio questo nome al significato?". Insomma, la parola si era staccata dal suo significato. Mi accorsi che io e Derek ci stavamo guardando, e un brivido mi percorse su tutto il corpo. Cosa stavo facendo? Lui, invece? Perchè non distaccavo lo sguardo, anche essendo consapevole che io ero distratto? Ma anche quando lo ero diventato anche io, non riuscivo a staccare i miei occhi da lui, ancora con le braccia conserte. «S-sei sicuro di stare bene?» Domandai, finalmente tolsi lo sguardo, puntandolo sul terreno. Mi guardai le mani, giocando cno le dita. Deglutii sperando di non darlo a vedere. «Perchè quando parli non mi guardi? Diventa difficile comunicare. Io sto bene, ma non sembra che tu sia tanto felice con me, quando ti parlo. Quando ti guardo. C'è qualcosa di male in me, che non ti piace, magari? Potrei cambiare, Jason.» diventai rosso, e scossi la testa. «No, è solo che... ho bisogno di parlare riguardo a...» Mi interruppe facendo finta di tossire. Deglutii di nuovo, prima di alzare lo sguardo e lasciare che il suo si intrecciasse al mio. «Continua pure.» aggiunse. I suoi capelli che volavano al vento violento, la sua faccia con un'espressione rassicurante... per me era tutto così strano. Perchè Derek si sarebbe dovuto concentrare proprio su di me? Non lo stavo fissando poi così tanto. E poi dovevo stare anche attento ai miei pensieri, ma come controllarli? «Ho bisogno di parlare riguardo a quello che hai letto nella mia mente.» Dissi tutto d'un fiato, come quando, se continui, ti ritrovi privo di coraggio di pronunciare le parole. Chiusi gli occhi sospirando profondamente. «Tu... perchè hai scelto proprio me? Sono tanto penoso? Sono talmente deludente riguardo la socializzazione che ti faccio pena?» Dal mio tono sembravo arrabbiato, e forse lo ero. Lo ero perchè in quei due giorni, anche se mi aveva fatto provare l'affetto di un vero amico, mi aveva anche fatto temere di ciò che sapeva. «Ehy, calmati. Non puoi prendertela con me così ad un tratto.» Rispose lui nello stesso tono, ma scorsi in quest'ultimo anche la malinconia. Forse stava pensando che non mi aveva davvero reso felice. O forse era ancora una mia sensazione, forse non mi voleva veramente bene? Ma lo abbracciai, mostrandomi di nuovo debole come gli altri anni. Ritornai dentro, temendo di essere stato visto. Ma l'unica cosa che qualcuno vide, fu il mio volto, che riconobbe. E io feci altrettanto. I capelli biondi, gli occhi chiari, un bel ragazzo. «Ehy! È da ieri che non ti vedo, emh...?» parve domandare come mi chiamavo. «Emh... Jason, Jason Miller.» sorrisi. «Christian Lowren, puoi chiamarmi Chris, non trovo importante la precisione del nome.» Disse sorridendo, un sorriso aperto, come quello di ieri. Restai un attimo immobile. «Ah, emh... sì, neanche io la trovo importante... anche a me... insomma, anche a me potresti chiamare J... Jay.» Jay. Jay, suonava bene. Jay Miller. Non lo trovavo tanto ridicolo. Forse per niente, forse era la prima volta che stavo pensando qualcosa di positivo su di me. «Jay Mallir, giusto?» domandò lui. «Emh... Jay Miller.» lui annuì. «Scusami... sembri nervoso, sei preoccupato per qualcosa?» Deglutii. «No. No, per niente.» «Va tutto bene?» mi domandò. Annuii. Dopo un lasso di tempo che ci guardavamo, ripetè: «Jay Miller.» Si allontanò salutandomi. Lo salutai con la mano, continuando a guardarlo. Deglutii più volte, cercando di non farmi seccare la gola. «Jay» Ripetei mentre raggiungevo la mia stanza. «Wow» Chiusi la porta a chiave, prendendo un libro a caso. Controllai le pagine, cercandolo uno abbastanza grande, non da bambini o cose del genere. Il cuore di pietra dorata, così s'intitolava. Era di genere romantico e drammatico. Lessi la trama, come facevo abitualmente prima di cominciarne a leggere uno. "Sono passati ormai i tempi in cui gli uomini devono inchinarsi per rendere onore ad una donna. Ora gli uomini non pensano a rendere le donne onorate e nemmeno si preoccupano di apparire agli occhi di una ragazza ridicolo e antipatico. France, il capitano della squadra di football, un ragazzo che è definito da tutti trasgressivo e fortissimo, e Ceil, definita il capitano del club degli sfigati-secchioni, una ragazza insicura e studiosa, si incontreranno solo nell'ingresso della loro scuola, ed è quello il posto in cui nascerà un nuovo amore, che agli occhi degli altri è imposddibile e incredibile. Un capitano trasgressivo, una sfigata secchiona creano una coppia incredibile che si ama più di qualunque altra al mondo. Le cose cambiano quando France dovrà partire per la Spagna per due mesi interi, ma Ceil non vuole essere invasiva, anche se la cosa la rende tristissima. È quando France muore insieme alla sua famiglia, bombardato in casa, che a Ceil cade il mondo addosso. Che a Ceil cade il mondo fatto in frantumi, e sarò disposta a fare qualunque cosa per riunirsi a France nella pace più dolce e armoniosa. Gli ostacoli sono tutti i suoi parenti, che non la perdono mai di vista, e Ceil è costretta a rimanere in vita finché non avrà l'opportunità di suicidarsi.1" Mi trama mi sembrò molto interessante e cominciai a leggerlo, cercando di dimenticare le cose ridicole e troppo semplici che avevo detto al ra... a Christian. La scrittura era molto bella e complicata, scritta bene, di quelle che piacciono a me. Per la precisione lo finii in due giorni, ed aveva quattrocentosessantadue pagine. Il mio problema era rinato. Mi stavo di nuovo nascondendo dentro un mondo inesistente, sovrastato dalla solitudine, con la voglia di incontrare davvero quei personaggi del libro. Ma non riuscivo a togliere gli occhi da quella scrittura così fitta, bella e ordinata.
[1]: questa trama è scritta completamente da me, e per precisare l'ho già pubblicata su EFP.


Angolo Autrice ^^

Ciao ragazzi, finalmente ho aggiornato. Vi avviso subito che non so se la storia continuerà, ma credo di no... spero che vi sia piaciuto, anche se è cortissimo... Bè, non so che altro dire, adieu!

Mary :)
   
 
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