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Autore: Biebby23    08/01/2015    0 recensioni
I desideri di un ragazzo, che vorrebbe avere una vita più frizzante, piena di novità, di bizzarrie e di meraviglie, vengono esauditi. Forse in un modo un pò troppo brutale... Ma quella offerta in questa storia è un'avventura che non ha eguali, vicende strampalate e non-sense di un grande panorama di pre-morte, mano nella mano con i più simpatici e bislacchi personaggi di un mondo dominato dalla follia. Cominciamo quindi quest'avventura.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualcuno bussò brutalmente alla porta dell'appartamento di Thomas.
Erano le 9: 30%, Thomas e Bonanza si trovavano a letto insieme, con i loro piedi che sporgevano dal bordo del materasso bianco. Lui aprii aprii gli occhi assonnati, svegliato dal trambusto, e s
i alzò dal letto, grattandosi gli attributi e si diresse pendolante davanti la sua porta, mentre la sua ombra sbatté contro l’ombra del suo lampadario ancora più assonnata di lui.
Vide dall’oblò della porta un torace nero con la tuta aderente e tre teste di pesce.

“Leviathan, buongiorno!” esclamò Thomas, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando rumorosamente. Il leviatano, impassibile entrò nella sua camera, senza chiedere il permesso.
Teneva qualcosa tra le mani, due biglietti, indirizzati per Simon e Evie.

“Sto cercando Simon e Evie! Credevo fossero qui!” disse guardandosi intorno.
“No, caro, Simon e Evie sono nell’appartamento 23 e 24, questo è il 16, è il mio appartamento!” gli disse.
“Uhm… devo essermi confuso!” disse, guardando intanto la ragazza che dormiva dolcemente sul suo letto e notò quella inusuale tranquillità di Thomas e gli si avvicinò, prestandogli attenzione.
“Sbaglio o ti sento un po’ più sereno oggi?” domandò.
“Non sono sereno, sono solo sedato dal sonno!” esclamò Thomas. ”Aspetta che mi faccio un caffè uhm... lungo 8 metri e poi rincaro la dose di ingiurie su di te!” aggiunse, andando un attimo in cucina per poi tornare indietro dal pesce.
“MA CHE CACCHIO CI FAI QUI, A DISTURBARE IL MIO SONNO, TESTA DI CAZZO!” esclamò a tutta furia. 
In tutto quel trambusto Bonanza si svegliò, stiracchiandosi e sbadigliando. Ritrovandosi il leviatano davanti, si coprii imbarazzata con la coperta.
“Ehm… buongiorno, Leviathan!” disse con voce timida. “Che ci fai qui?”.
“Niente di particolare, cercavo i vostri amici!” gli disse con la bocca sorridente di fauci biancastre quel furastico leviatano. “Sono più in fondo!” le disse.
Detto ciò il leviatano si diresse fuori dalla porta dell’appartamento, ma prima che potesse uscire Bonanza lo richiamò, cambiando idea all’ultimo momento.
“Leviathan…! Forse non lo apprezzerai o nemmeno lo capirai, ma ti ringrazio per aver aiutato Thomas a sconfiggere quel mostro qualche notte fa! Non ho avuto modo di dirtelo prima e mi sembrava giusto farlo...!” le disse con voce dolce e riconoscente. 
Ma il leviatano, impassibile a qualsiasi parola dettata dal cuore, se ne andò dalla camera e chiuse la porta.
I due innamorati rimasero soli, di nuovo. 
Adesso c’era solo la luce che filtrava dalla finestra della camera che donava alle coperte disfatte un colore bianco luminoso e sfocato, il cielo sconfinato e limpido senza nuvole e il cinguettio di uccelli rari e sgargianti. Bonanza stava seduta sul materasso. Con voce dolce e stregante chiamò il suo tesoro.
“Amore…! Ti va di fare quel gioco che ti piace fare tanto? Quello che si fa in due…!” disse con voce sensuale e invitante. Il fumo usciva dalla cerniera di Thomas.
“Oh, Bonny, mi stai davvero stregando! Quando cominciamo?” domandò smanioso il ragazzo in preda all’euforia.

Si ritrovarono a giocare in due alla PS, seduti sul letto, davanti la TV.
“Ti piace, tesoro?” domandò Bonanza ilarica.

“Si, cara…!” rispose il ragazzo disilluso. Dal suo organo preferito, gli spermatozoi furono costretti a ritirarsi per ordine del commando generale della cappella. 
Intanto il leviatano si diresse nell’appartamento di Simon, dove stava ancora dormendo.
La faccenda di Christa lo aveva stancato parecchio e non sentii nemmeno entrare il leviatano dentro il suo appartamento che aveva aperto la porta inserendo le sue unghie lunghe nella serratura. S
i avvicinò al suo letto e gli stette lì davanti, osservando la sua testa capelluta sprofondare sul cuscino, con aria benestante e serena. 
Leviathan tirò fuori due biglietti e scrollò la spalla di Simon per svegliarlo.
“Simon, devo darti una cosa!” gli disse.
Simon era evidentemente troppo preso dal sonno per potersi svegliare e non accennò nessun segno d’interesse per le parole del pesce. Leviathan cercò di svegliarlo più volte, ma niente da fare, sembrava un sasso.
Allora gli infilò i due biglietti su per le narici e ridacchiando per la burlata se ne andò via.
I biglietti erano per una crociera per il mare di Python Ville, un pensiero del Sindaco per Simon e la sua ragazza.
Non appena aprii gli occhi, Simon si sentii il naso tappato dai due pezzi di carta che inavvertitamente, inspirando, ingoiò per via nasale. Simon si agitò buffamente sotto le coperte e scaracchiando di brutto gli uscirono i due biglietti unti dalla gola.
“Due biglietti per il Tamigi!” esclamò Simon, leggendo attentamente il biglietto, meravigliato. "E come ci sono finiti nel mio naso??".
La crociera si sarebbe tenuta quello stesso pomeriggio, senza esitare decise di andarci con Evie e andò da lei per informarla del regalo ricevuto.
“Una crociera… io e te?” domandò Evie.
“Si, sul Tamigi! Non è fantastico?!”.
Un idea allettante nella testa di Simon che gironzolava intorno la sua fantasia, che suscitava pensieri a dir poco invitanti.
“L’invito è oggi alle 90: ??!, sul porto di Boston! Andiamoci, ti prego!” disse insistente con le mani congiunte, per pregarla di accettare.
“Certo che c’andremo!” esclamò Evie, tenera come il pane. ”Uhm, mi sembrano un po’ unti questi biglietti, o sbaglio?” domandò Evie notando una certa vischiosità, derivata dallo scaracchiamento di Simon.
“Ehm…no, sono plastificati…!”. 

Cosi fecero. Verso il pomeriggio, Simon e Evie arrivarono al porto del fiume Tamigi.
Non c’era una nave, o un traghetto, come s’aspettava Simon, bensì tutt’altra cosa: una struttura neogotica a lui famigliare che s’imponeva aitante dinnanzi la fila di passeggeri. 
C’era il Big Ben che galleggiava imponente sulle onde del porto, ancorato ad un palo. Galleggiava, agitando sul fondale marino i suoi lunghi tentacoli color alga.
“Ma… ma è il Big Ben?!” esclamò Simon ritrovandosi quel bestione taccheggiante.
“Si è scappato qualche giorno fa dal Palazzo di Westminster* e hanno pensato di dargli quest’occupazione! Era stanco di segnare l’ora!”.
Le persone salirono una ad una sulle scale, mostrando il biglietto al conducente della cosiddetta nave situato davanti la porta ad arcata della struttura.
Era proprio come una nave, ma all’interno sembrava un vero e proprio castello o qualcosa di simile, comunque sia era fatto appositamente per portare dentro di se tante persone.
Aveva delle camere d’albergo all’interno situate sulle pareti, fino il soffitto e scale a forma circolare che giungevano fino in cima dove c’era la campana del Big Ben che a mezzogiorno e a mezzanotte, o quando gli pareva, suonava il suo tocco di campana.
Trovarsi nel mare di Python Ville sarebbe stata un’esperienza a dir poco fantastica.
Le scale si allontanarono dall’entrata dell’orologio e il Big Ben si allontanò dal porto, agitando i suoi tentacoli.
Simon e Evie, per godersi quel magico momento si diressero all’ultimo piano della struttura.
“Che meraviglia!” disse Simon allibito, ammirando il panorama sotto di loro da 60 metri d’altezza. 
Si riusciva a vedere l’orizzonte di uno sbocco verso un mare sconfinato, velato da una patina di ignoto.
“Vorrei tanto sapere cosa c’è oltre il mare!” disse tra se e se Simon, appoggiandosi alla ringhiera del balcone, con l’orologio sopra di loro fuori uso. 
Evie si girò verso di lui e gli accennò una risatina divertita.
“Sempre a pensare oltre tu, eh?” domandò la ragazza a lui vicino, accennando un’alzata di sopracciglio.
“Si, ho sempre voluto conoscere cosa c’è oltre tutto quello che vedo, oltre il confine! Non appena trovo qualcosa più grande di me, ho l' impulso di raggiungerloo!”.
Lo spirito di Simon era uno spirito avventuriero, sempre bramoso di voler conoscere tutto, di varcare la soglia, senza temere conseguenze, il suo unico intento era quello di capire.
“E’ per questo che sei entrato a Python Ville?” domandò Evie col tramonto che gli si colorava in faccia.
“Credo di si, è forse l’unico confine che sono riuscito a raggiungere!” esclamò, distogliendo un attimo lo sguardo dal mare. 
”Capisci? Adesso per me l’unica barriera da infrangere è il capire come sono finito qui…!”.
“Un giorno avrai tutte le risposte, troverai la persona giusta che saprà risponderti!” le disse.
Simon si levò dalla ringhiera per andare a vedere l’interno del campanile, se ne andò, Evie rimase lì, pensierosa e ammutolita, lasciando che le onde del mare le coccolassero la mente.
Simon se ne stava sotto quella campana enorme, piena di ruggine e polvere. L’odore sembrava quello delle cantine di pietra, quell’odore che rilassa l’olfatto, che lascia dentro i polmoni un odore pesante da respirare ma piacevole.
C’erano colonne di legno che reggevano l’enorme campana, ben lucidate e forti.
Da una di queste travi, comparve timidamente un essere molto strano.
Dapprima Simon, curioso, denotò le mani inguantate sulla colonna di legno che poggiavano lì, poi lo smoking nero con un etichetta con scritto sopra il suo nome: Bubbleyes.

Credette fosse un impiegato per i biglietti.
La testa che si sporse di poco da dietro la colonna, era solo un intruglio di occhi grandi e piccoli, con le iridi di vari colori, che volteggiavano lentamente sopra il colletto dello smoking. Teneva in mano un orologio dorato antico, di quelli tascabili, con una catenella legata al polso sinistro. Simon non disse una parola e anche il mostriciattolo restò in silenzio.
D’ un tratto gli mostrò l’ora nell’orologio da tasca. Simon rimase un po’ confuso dalle sue intenzioni, pensò che volesse domandargli che ore fossero, ma non emettendo alcun tipo di voce la cosa divenne complicata da interpretare.
“Guardi signore, vorrei saperlo anch’io che ore sono, ma non lo so proprio, mi dispiace!” disse.
Ma Bubbleyes di nuovo gli mostrò l’orologio, insistente.

Passarono parecchi ipotetici minuti a capire cosa volesse quello strano e taciturno essere.
   
 
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